Nainggolan è arrivato a Roma in un giorno di gennaio di quattro anni fa. Oggi è la colonna portante della squadra. Era arrivato per sostituire Strootman alle prese con un recupero lungo un’eternità, poi gli sono bastati solo pochi giorni per guadagnarsi un posto da titolare. Nessuna pretesa. Lo ha fatto senza che nessuno se ne accorgesse. Non c’è stato un momento preciso in cui si è detto “da oggi sarà così”. Partita dopo partita, centimetro dopo centimetro e scivolata dopo scivolata. Nainggolan si è preso la Roma. Non è mai calato di intensità, mai si è risparmiato, mai ha tolto una gamba o il corpo, la schiena, o le spalle. Mai ha lasciato integro il campo, lasciando solchi, strappando la palla, riconsegnandola alla sua difesa, segnando. Nainggolan è un insieme di cose che lo rendono un calciatore unico.
CAMBIARE SENZA STRAVOLGERE
In questa stagione, nonostante il suo rendimento viaggi sempre a livelli altissimi, si è parlato spesso di un calo. Di un Nainggolan considerato quasi come un problema. In che senso? Si, per la sua posizione in campo. Perché nella passata stagione, con Spalletti in panchina, faceva il trequartista mentre l’attuale allenatore giallorosso (sbagliando, secondo alcuni) lo ha riportato al suo ruolo originario in cui non rende come in passato. È vero, Nainggolan è più lontano dalla porta e trova con meno frequenza il gol, ma se guardiamo nel complesso a quanto accaduto alla Roma in questa prima fase della stagione, ci accorgiamo che Nainggolan non è, e non può essere il problema della Roma. Ha conquistato la punizione da tre punti a Bergamo, ha servito con un assist Dzeko contro l’Inter, prova sempre e comunque i tiri da lontano, ha sbloccato la partita contro il Verona, e poi, come sempre, recupera ogni pallone che passa nella sua zona e non.

Attenzione! Questo non significa che Nainggolan sia sempre impeccabile, perché non lo è. Sia in campo, che fuori.
FOLLIA
Tutte le tifoserie sentono di avere un rapporto speciale con la propria squadra. Poche contraccambiano con l’intimità surreale della Roma. Spesso si entra in un rapporto dialettico con i tifosi… forse troppo dialettico.
Non è certo una questione che riguarda solamente la Roma. Perché si tira in ballo quel confine tra pubblico e privato che nella modernità è stato abbattuto dalla tecnologia, trasformando la sfera privata in un sotto-genere della narrazione sportiva contemporanea. La sensazione però è che a Roma tutto questo sia amplificato e il caso Nainggolan di cui si sta parlando in questi giorni non è certo unico o eccezionale. Le ragioni, forse, vanno ricercate in quella “tradizione” tipicamente romana, in quell’intimità invadente che fa parte degli umori della città, in quell’affetto a volte troppo appiccicoso. A Roma il confine tra pubblico e privato è quasi inesistente.
TUTTO TROPPO
Qualche volta tutto questo diventa un esagerazione, altre volte invece no e infatti, chi se le dimentica le lacrime di Hernanes quando è uscito da Formello e i tifosi gli chiedevano di non lasciare la Lazio? Ma il caso Nainggolan (purtroppo) non ha nulla a che vedere con le lacrime di un calciatore e il desiderio dei tifosi di non vederlo partire. Il caso Nainggolan è stata l’ennesima follia, dopo quel “io sono contro la Juve, da quando sono nato”. Un video la cui assurdità è dovuta in gran parte dalla scioltezza del centrocampista, che si accende anche una sigaretta, con l’aria di uno che non ha fretta di andarsene. Uno scambio di battute quasi surreale tra il giocatore e i tifosi. L’incapacità di sapersi controllare negli slanci emotivi.
MENTALITÀ
Oggi, in conferenza stampa, Di Francesco ha anticipato tutti: “Nainggolan domani non sarà convocato con l’Atalanta”.
Una scelta che segue una linea adottata prima di tutto dalla società e poi condivisa e accettata dall’allenatore e dal giocatore stesso.
“Questo si lega a un modo di fare, sono cose inaccettabili e che non saranno accettate in futuro. Chiunque sbaglierà, pagherà nello stesso modo. Magari questa scelta l’ho fatta già il primo gennaio, io provo a trasmettere una mentalità. Anche nel modo di porsi e comportarsi si può essere vincenti”.
Che la scelta si giusta o sbagliata, ognuno può pensare ciò che vuole. Forse le cose personali (che ormai di personale hanno davvero poco) non dovrebbero influenzare in questo modo il campo e una partita. Forse, al contrario, è proprio giusto così. Perché l’immagine e soprattutto la maturità di una squadra e di una società si vede prima di tutto in queste cose, “oggi il calcio è cambiato, e anche il modo di pensare”.
DENTRO E FUORI

Avere la giusta mentalità è fondamentale. Ti completa. Il calcio non è fatto solo di possesso palla, ripartenze veloci e gol segnati. Se vuoi diventare grande, a livello di singolo e di squadra, devi avere prima di tutto una mentalità vincente. In questi ultimi anni la Roma si è ritrovata all’inizio della stagione a lottare per un titolo e verso la fine a ragionare e a chiedersi cosa non ha funzionato. La risposta è sempre la stessa: non ha la giusta mentalità. Al contrario, quello che di Nainggolan abbiamo imparato ad apprezzare in questi anni è la sua capacità di essere lucido e decisivo in ogni partita.
Ecco, è il caso che questo succeda anche quando non indossa gli scarpini e la maglia della Roma, ma tiene in mano un iPhone e festeggia. Nainggolan non è impeccabile, né in campo né fuori. Certo è che tutti accetteranno con più facilità un passaggio sbagliato, o la scelta di tirare in porta da posizioni improbabili, piuttosto che giocare un Roma-Atalanta senza di lui.
… e sapendo che si poteva benissimo evitare!