Le grandi rivoluzioni tattiche della storia del calcio, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con lo spazio.
“Il nostro centravanti è lo spazio.”
Nel Barcellona di Guardiola, per esempio, non c’era bisogno di un centravanti. Non era importante avere un riferimento in attacco ma creare spazi che potessero essere occupati dinamicamente dai giocatori. Nella Lazio di Simone Inzaghi, c’è un giocatore che più degli altri è diventato un riferimento chiaro al centro dell’attacco. In questo momento, in Serie A, nessun attaccante ha un rapporto con lo spazio migliore del suo.

È Ciro Immobile.
Capire quando e come correre. Ricevere nella posizione giusta e col corpo orientato nel modo giusto. È soprattutto da qui che deriva la sua eccezionalità, una sensibilità particolare, ad alti ritmi. In un’intervista Immobile spiegava che proprio nel momento in cui il centrocampista prende palla, orientativamente puoi farti un’idea di dove correre. Qui, poi, diventa fondamentale la coordinazione, per capire come muoversi e come concludere. Il tutto, naturalmente, con la necessità di farlo il più velocemente possibile. Inoltre, aveva aggiunto, “con i ritmi di oggi è impensabile che tu riesca a stoppare la palla dentro l’area, a guardarti intorno e calciare”. Immobile è l’equilibrio nella corsa, anche se quando parte in progressione, sembra quasi che non abbia il completo controllo della palla. Perché la sposta, allungandosela quasi troppo, ma confidando sempre nel fatto che in qualche modo riuscirà a tornarne in possesso. E così accade. Immobile è l’incredibile elasticità che gli permette di segnare gol bellissimi e con continiutà.
Va sottolineano anche il fatto che, forse, il suo gioco non si è evoluto più di tanto. A fare la differenza piuttosto è stato il suo inserimento in un contesto che lo responsabilizza e lo esalta. Ai massimi livelli. Immobile infatti è arrivato alla Lazio proprio per espressa richiesta di Simone Inzaghi: “Non ci sono più aggettivi. È un trascinatore e la squadra lo mette nelle condizioni migliori di esprimere il suo potenziale”. L’allenatore ha costruito attorno a Immobile la struttura tattica ideale per esaltarlo e permettergli di concentrarsi su ciò che gli riesce meglio: tagliare in profondità per finalizzare l’azione. Le corse con o senza il pallone, l’aspetto più visibile del suo stile, sono state migliorate anche grazie a Inzaghi e portate a livelli mai toccati prima.
COME ATTACCA LA LAZIO
Con 20 gol segnati e 8 assist realizzati, Immobile è in cima alla classifica dei marcatori.
Con uno così, era piuttosto evidente il fatto che Inzaghi si affidasse molto alle qualità individuali dei suoi giocatori e che tutti i suoi sforzi fossero rivolti al creare la migliore combinazione possibile, limitandosi a cambiare il vestito tattico a seconda delle partite. Un 4-3-3 per quelle da giocare in maniera più offensiva, un 3-5-2 per quelle in cui difendersi. Era una scommessa affascinante, che legava in maniera indissolubile il rendimento della squadra a quello dei suoi giocatori migliori.
Oggi, al contrario di quanto poteva sembrare, l’aspetto più positivo di questa squadra va individuato nel fatto che la Lazio ha portato al gol 14 giocatori diversi. Un attacco devastante, bello, offensivo e spregiudicato. Un forte istinto alla verticalità, all’attacco degli spazi larghi. Il tutto molto pronunciato. Nella partita di ieri contro il Chievo, in assenza di Ciro Immobile (che ha lasciato il campo dopo mezz’ora), a segnarne cinque ci hanno pensato i suoi compagni. Nani, per dirne uno. In tutto sono 53 i gol realizzati e i biancocelesti sono gli unici ad aver segnato almeno 5 gol in una singola partita per quattro volte (in ordine, Sassuolo, Benevento, Spal e Chievo): nessuna altra squadra ci era riuscita.
TRA CERTEZZE E SORPRESE
Poi, tra i protagonisti di ieri, ci sono Luis Alberto e Milinkovic-Savic.
Per quanto riguarda il primo, la sensazione è che adesso sia perfettamente cosciente del suo talento. Lo si vede perché in campo tenta cose che un calciatore medio non rischierebbe. In realtà, prima di questo inizio di stagione con la Lazio, non è mai sembrato abbastanza determinato da riuscire a far emergere il suo talento in qualsiasi contesto. “Era colpa mia, non capivo il calcio italiano, ora mi sento un altro”, aveva parlato così del suo inizio un po’ traballante, “ora rischio di più, provo cose che prima non avevo il coraggio di poter fare”. Sembra davvero che Luis Alberto si stia accorgendo di essere così forte solo adesso. Sicuramente una parte del merito va attribuita al sostegno ricevuto da parte di Simone Inzaghi. Ha fatto capire al suo giocatore che non solo sarebbe stato parte integrante del progetto tecnico della Lazio, ma anche che le sue caratteristiche tecniche e le sue letture sarebbero state essenziali per arricchire il patrimonio offensivo della squadra.

E poi c’è Milinkovic-Savic. Nessuna sorpresa. La solita conferma, piuttosto. Perché sa essere sempre al posto giusto nel momento giusto e la squadra si fida di lui. Perché collega perfettamente i due reparti, perché per i suoi piedi passano tantissimi palloni sporchi, che lui rapidamente pulisce e ritorna. Come detto qualche mese fa in un nostro articolo, intitolato “Milinkovic-Savic contro se stesso”, il serbo non è molto dinamico, ma raffinato nella tecnica. Non è agile, ma allo stesso tempo forte fisicamente. È stato capace di ricercare il giusto equilibrio, mostrandoci chi è realmente. Tocchi di prima, sponde, passaggi filtranti, e il bisogno più forte, tra tutti, di riconquistare il pallone. Ieri è arrivata anche la doppietta contro il Chievo. Una gioia (doppia) davanti ai suoi tifosi dato che all’Olimpico non segnava addirittura dal gennaio 2017.
Certezze e sorprese, con la consapevolezza che si può andare oltre ai singoli, e anche con grandi risultati.
Cosa c’è di più bello?