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L'Aston Villa e la storica vittoria della Coppa Campioni del 1982

Calcio e dintorni

Dalla fioca luce di un lampione alle sgargianti luci del trionfo: i Villans dell’82

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L’ennesima stagione deludente era da poco terminata con un ennesimo piazzamento nelle melmose paludi di metà classifica, quelle acque ristagnanti fatte di mediocrità e di fallimento che i Villans conoscevano bene ormai da troppi anni. Troppa gloria smarrita fissava quella squadra che viveva e si nutriva di ricordi gloriosi portati da uomini del passato ma soprattutto uomini veri, vincenti e innovatori. Leggende come Jack Hughes, Frederick Matthews, Walter Price e William Scattergood che in una fredda sera invernale del 1874, seduti su una panchina della Wesleyan Chapel e rischiarati dalla fioca luce di un lampione, decisero di fondare l’Aston Villa.

Essere tifosi dei Villans non è un sentimento qualsiasi: è una rivendicazione di orgoglio e di superiorità che viene da un’innata consapevolezza di essere prescelti. Un tifoso del Villa vive con estrema ironia l’uscita di una squadra britannica dalle competizioni europee e vede il successo come una logica conseguenza del mistico e prescelto mandato celeste (e magenta) designato per la sua squadra. Un vero tifoso dell’Aston Villa elencherà tutte le sue vittorie: dai sette campionati conquistati, passando per le sette Fa Cup fino ad arrivare alla storica Champions League del 1982. Alla luce di quest’ultima impresa memorabile, noi di Numerodiez racconteremo i presupposti, i protagonisti e il cammino che hanno portato il magico Aston Villa a diventare campione d’Europa.

Fonte foto: sito ufficiale Aston Villa. Avfc.co.Uk

DAL FALLIMENTO ALLA RINASCITA: LA FABBRICA DEI VILLANS

Nel crudele e spietato mondo industriale, il verbo “osare” fa parte della quotidianità ed è il metaforico ascensore che permette di raggiungere il tanto agognato paradiso del successo. Spesso la strategia del rischio paga ma, talvolta, il celebre proverbio del chi troppo vuole, nulla stringe diventa realtà, in quanto l’azzardo non calcolato può portare al fallimento. Dal baratro oscuro del dissesto economico, una grande fabbrica deve necessariamente ridimensionarsi e ripartire umilmente come una piccola officina. Nel cuore industriale dell’Inghilterra, a Birmingham, l’Aston Villa ricordata agli inizi come una grande industria calcistica di successo, negli anni successivi – complici investimenti sbagliati, acquisti mancati (soprattutto in difesa) ed incompetenza dirigenziale – fu costretta a ridimensionarsi in una scarna officina, ristagnante nella melmosa mediocrità della seconda divisione.

Il rilancio, si sa, deve essere graduale, ripartendo dalla testa di una società e proseguendo poi con un necessario ricambio di uomini. Dopo anni di gestione disastrosa, la dirigenza del Villa, sospinta anche dai tifosi inferociti, decise di dimettersi lasciando la gestione della squadra a Pat Matthews e al presidente Doug Ellis. Semplicità e cambiamento furono le due parole d’ordine di questi due giovani imprenditori che attuarono come prima e incontrovertibile decisione quella di ingaggiare nuovi rinforzi. Fuori la vecchia e deludente guardia formata dai vari Cumbes, Gidman, Mcdonald e Leonard e dentro giovani e grezzi talenti desiderosi di ripartire. Un ricambio costante, a cadenza annuale che portava l’Aston Villa a scambiare continuamente i tasselli del proprio puzzle. Una scelta azzardata ma calcolata, in quanto lo scambio sottostava alle condizioni incontrovertibili della gioventù e della qualità. Questa strategia permise ai Villans di centrare obiettivi che anni prima sembravano impossibili: prima di tutto, la promozione nella massima seria nel 1975, poi due coppe di lega sempre nel ’75 e nel ’77 ed un piccolo assaggio d’Europa. Ma il futuro per i Villans sarebbe stato presto ancora più radioso del già luminoso presente che stavano vivendo.

Nell’immagine Doug Ellis intento a festeggiare la promozione dei Villans. Fonte foto: rivistacontrasti.com

Un avvenire all’insegna del successo che sarebbe stato completato da 14 giovani e talentuosi britannici, una dozzina o poco più di operai del pallone che grazie ad una coesione incredibile e un’unità d’intenti impareggiabili avrebbero presto riportato l’Aston Villa ad essere una fabbrica di successo.

Prima di concentrarci sull’impresa, tuttavia, è giusto tracciare i profili dei protagonisti di queste vittorie partendo dalla difesa con l’esperienza di Jimmy Rimmer che era strenuamente salvaguardato da due rocciose scogliere scozzesi come Evans e Mcnaught. Ai loro lati, gli instancabili Swain e Williams che aiutavano un centrocampo di qualità formato dal trequartista Cowans e da due mezzali eccelse come Mortimer  e Bremner. Davanti, infine, spazio al tridente delle meraviglie formato dagli esperti Morley e Withe e completato dal figliol prodigo di Birmingham, il biondissimo Gary Shaw.

In tutto questo si potrebbe pensare: “ma l’allenatore?”

Non ce lo siamo dimenticati, ma merita un paragrafo a parte. Il prossimo. Perché, come in una fabbrica, gli instancabili operai devono essere guidati da un pragmatico capo-reparto così i giocatori necessitano di una guida decisa per raggiungere il successo.

Il biondissimo Gary Shaw. Fonte foto: sito ufficiale dell’Aston Villa. Avfc.co.uk

UN’ IMPRESA COMINCIATA DA UN SERGENTE DI FERRO E FINITA DA UNO STRATEGA

Dietro un grande esercito, dietro una grande squadra, dietro qualsiasi gruppo di uomini che raggiunge il successo c’è un essere umano capace di influenzare, valorizzare e trasformare una semplice accozzaglia di individualità in una compagine vincente. È una verità incontrovertibile, è un dato di fatto che il caos e l’egoismo vengano valorizzati in un’unità d’intenti vincente grazie a idee e leadership, ed il leader e propulsore del successo dei Villans ha un nome e un cognome ben preciso: Ron Saunders.

Sguardo di pietra e espressione glaciale che ricordavano il primo Clint Eastwood, Saunders era nato poco fuori Liverpool e aveva un passato da attaccante in serie minori in cui aveva messo a segno la bellezza di circa 200 gol. Metodico, preciso e orgoglioso era uno di quegli uomini educati al valore della resistenza, cresciuto tra pioggia, vento e insidie che lo rendevano simile agli orgogliosi soldati del fronte. Tra litri di caffè bevuti e quotidiani sportivi ultra sottolineati, Saunders era un allenatore che faceva del pragmatismo e della disciplina le sue parole chiave. Per lui non esistevano titolari o riserve ma un gruppo unito e coeso che sapesse vincere e perdere insieme, senza rimproverarsi l’uno con l’altro e avendo un rispetto generale per ogni singolo membro della squadra.

Grazie ad un gioco spumeggiante, attento e semplice i Villans di Saunders arrivarono ai traguardi prima citati ma, soprattutto, ad un’incredibile e insperato successo, come la vittoria del campionato nel 1981. Successi e vittorie che venivano inframezzate da sconfitte cocenti che puntualmente venivano rimproverate da un esagerato ed esasperato Doug Ellis con cui, puntualmente, l’orgoglioso Saunders intratteneva infinite discussioni. Proprio una di queste litigate costò il posto all’imprenditore inglese che venne sostituito con lo stimato dirigente Frederick Rinder. Il ribaltone presidenziale venne accolto con gioia dall’allenatore inglese ma non sapeva che, quell’insperato cambio, gli avrebbe portato più dolori che gioie. Sì, perché la svolta dirigenziale arrivò contemporaneamente ad un parziale declino della squadra che incominciò a faticare in Coppa Campioni e a crollare in campionato. Nei mesi tra Dicembre e Febbraio, in particolare, arrivarono sette sconfitte che portarono la squadra ad un grave allontanamento sia dalle prime posizioni che da quelle utili ad una qualificazione europea.

Saunders con il trofeo del campionato. Fonte foto: sito ufficiale dell’Aston Villa. Avfc.co.uk

L’ultima di questa serie di partite disastrose, ovvero la sconfitta con lo United per 4-1, fu decisiva per l’allontanamento di Saunders che venne accolto dai tifosi con un misto tra l’indignazione generale e di rabbia. Tra venti di discordia e malcontento, il nuovo presidente proseguì nella sua decisione, affidando la panchina non ad un traghettatore qualsiasi ma a Tony Barton, assistente di Saunders.

Barton era la perfetta rappresentazione fisica dell’inglese tipo: pallido, riservato e capelli rossicci tendenti allo scuro che teneva lisci e con una riga laterale che ricordava il classico taglio dei beatles. Lanciato alla guida della squadra campione d’Inghilterra da un giorno all’altro senza mai essere stato prima su una panchina, l’ex vice allenatore sembrava l’agnello sacrificale in mezzo ad un branco di famelici lupi arrabbiati per il trattamento riservato a Saunders. Il suo sguardo deciso ed una prontezza d’azione invidiabile, tuttavia, rendevano l’inglese tutto fuorchè una vittima designata: ebbe l’intelligenza di non stravolgere l’assetto precedente, se non sul fronte offensivo, con un tridente composto da Morley, White e Shaw e l’abbassamento di Cowans a centrocampo.

Piccoli accorgimenti che portarono a grandi cambiamenti: dal suo insediamento sulla panchina i Villans infatti perdettero solo 6 partite in tre mesi concludendo il campionato all’undicesimo posto e compiendo una cavalcata trionfale in Coppa Campioni.

Il calcio di Barton era dinamico, spregiudicato e intelligente grazie soprattutto al regista calcistico Cowans, talento unico che, secondo una leggenda popolare si diceva che fosse in grado di far atterrare un pallone, da oltre 40 metri, su una moneta da 5 pence. Storie e uomini che alimentarono un cammino glorioso, tutto da raccontare, iniziato da un sergente di ferro e finito da uno stratega. Perché in certi casi serve un polso forte, mentre, in altri, un’intelligenza acuta.

Tony Barton con la coppa dei campioni. Fonte foto: sito ufficiale Aston Villa. Avfc.co.uk

UNA GUERRA VINTA DOPO TANTE BATTAGLIE

La vittoria di uno scontro si misura e si articola battaglia dopo battaglia. Una guerra, quella per la coppa delle grandi orecchie che, come detto prima, fu cominciata sotto la guida dell’arcigno Saunders e finita grazie all’ingegno e alle strategie dell’esordiente Barton. L’armata dell’Aston Villa affrontò la prima disputa contro gli islandesi del Valur, un avversario abbordabile che la squadra di Birmingham riuscì a superare con un netto 7-0. Agli ottavi, invece, incontrarono la Dinamo Berlino, squadra arcigna che li costrinse ad un sofferto passaggio del turno, con una vittoria per 2-1 a Berlino ed una sconfitta indolore subita al Villa Park. I quarti coincisero con il sorteggio della Dinamo Kiev ma, soprattutto, con la prima partita in panchina dell’esordiente Barton. Lo scontro con gli ucraini produsse un orgoglioso pareggio a Kiev ed una grande vittoria in Inghilterra grazie ad uno show di Gary Shaw. La semifinale vide i Villans fronteggiare i belgi dell’Anderlecht che vennero sconfitti grazie alla rete decisiva segnata da Tony Morley.

In una realtà che appariva un sogno, gli inglesi, relegati a metà classifica in campionato, si ritrovarono nella finale di Champions League contro la corazzata tedesca del Bayern Monaco.

Fra le mille sfumature che circondavano questo match si potevano cogliere sia uno scontro tra diverse mentalità che tra due scuole calcistiche opposte pronte ad affrontarsi nell’imminente mondiale spagnolo. Nell’intrigante cornice di Feyenoord si ritrovarono due squadre che schierarono entrambe le formazioni senza stranieri: una vera e propria guerra calcistica, quindi, tra inglesi e tedeschi.

A Rotterdam, nello spogliatoio dell’Aston Villa si respirava un’aria pesante: Tony Barton camminava nervosamente vicino alla lavagna, i giocatori si radunavano silenziosi e impauriti, tra cui il giovane Shaw che batteva incessantemente i tacchetti sul pavimento per paura di sentirsi dire che sarebbe stato in panchina.

Il gol di Withe in finale contro il Bayern Monaco. Fonte foto: sito ufficiale Avfc.co.uk

Prese poi la parola Barton, con un discorso degno delle più gloriose pellicole sportive. Esordì così:

“Voglio che sappiate che se siete arrivati fin qui lo dovete a voi stessi. Di là c’è Karl-Heinz Rummenigge e poi hanno Breitner, Hoenes, Mathy… tutta gente con le palle. Ma tutti loro non hanno le palle di uno di voi. Ma non sempre questo basta. Se perdiamo non avremo fatto assolutamente nulla. Non voglio che pensiate troppo ma che lo facciate da squadra.”

 Con l’impeto di queste parole, l’Aston Villa scese in campo, pronto ad affrontare i colossi bavaresi. Partirono meglio i tedeschi con un gioco corale e schiacciante, mentre il Villa agiva coscienziosamente e di contropiede. Al 10’ avvenne il danno che sarebbe potuto diventare beffa: Jimmy Rimmer, portierone dell’Aston Villa, fu costretto ad uscire per infortunio e venne sostituito da Nigel Spink, al suo esordio da titolare dopo 3 anni.

Il portiere inglese, tuttavia, come nelle più celebri trame dei classici film americani, sfoderò una prestazione monstre parando di tutto e di più. Tra le costanti bombardate bavaresi arrivò il contrattacco decisivo dei Villans: al 67’, infatti, dopo una lunga trama di passaggi, Morley servì White in area che, da pochi passi, depositò in rete per il vantaggio valevole l’uno a zero. Un vantaggio protetto e salvaguardato poi dalla difesa di  dei Villans che contribuì, in maniera decisiva, a consegnare un successo surreale e insperato.

Le foto della festa. Fonte foto: sito ufficiale Aston Villa. Avfc.co.uk

La portata di quella vittoria segnò l’apice della gloria e la discesa verso il baratro. Dopo festeggiamenti sfrenati e commoventi, infatti, cominciò negli anni successivi un’incontenibile caduta verso la palude della mediocrità da cui, tutt’ora, il Villa sta cercando di uscire.

Nonostante questa indiscutibile realtà, l’indimenticabile portata dell’impresa rimane e giustifica l’orgoglio dei prescelti tifosi dell’Aston Villa. In una città simbolo della rivoluzione industriale, quattordici umili operai calcistici guidati da due rivoluzionari e differenti tecnici sono riusciti ad avverare, in chiave sportiva, il sogno di Marx. In un’estrema rivoluzione del pallone, grazie al duro lavoro e ad un’unità di intenti, i proletari Villans hanno strappato il successo ai capitalisti del pallone, quel Bayern Monaco che, insieme alle altre superpotenze europee, deteneva da troppo tempo il monopolio della vittoria.

http:/https://youtu.be/s7xElZ6okH8

Fonte immagine copertina: sito ufficiale Aston Villa.

 

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Cellino e l’incredibile retroscena ai tempi del Leeds: allenatore esonerato per colpa di… un divano!

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Cellino

CELLINO LEEDS – Massimo Cellino è da anni una delle personalità più controverse e particolari del calcio italiano, e non solo. Infatti, l’attuale presidente del Brescia è stato il patron del Leeds nel periodo compreso fra il 2014 e il 2017, periodo in cui il club alternata promozioni e retrocessioni in Premier League.

Alla base dei vari problemi vissuti in alcune situazioni vi erano incomprensioni tecnico-tattiche, ma anche linguistiche. Infatti, secondo quanto dichiarato ai microfoni del Daily Mail, la pronuncia inglese dell’originario cagliaritano non è mai stata impeccabile. Pertanto, a causa di questa insufficienza linguistica, le conseguenze sono state importanti anche nel percorso del Leeds.

Nello specifico, la richiesta del presidente di cambiare un divano presente nel suo ufficio ha subìto un’interpretazione del tutto erronea, spingendo i dirigenti del club a esonerare Brian McDermott, allenatore in carica fino a quel momento. Il problema di fondo è stato l’incomprensione fra il termine couch (divano) e coach (allenatore). Inoltre, secondo quanto sottolineato da Cellino stesso, l’equivoco non è stato mai noto, venendone a conoscenza solo il giorno della vigilia del successivo impegno.

Un episodio molto controverso, quindi, che ha portato all’esonero di un indifeso allenatore a causa di, incredibile ma vero, un divano. Questo episodio, dunque, è sempre rimasto incompreso dai tifosi, che non hanno mai visto di buon occhio Cellino.

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Dal Real Madrid alla NASA: Antonio Pintus studia la preparazione atletica degli astronauti

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PINTUS – Antonio Pintus è una delle figure “di secondo piano” tra le più note del calcio mondiale. L’italiano ricopre attualmente l’incarico di preparatore atletico del Real Madrid, apice della sua carriera professionale dopo una lunga avventura nello staff di mister Conte. Le sue metodologie di allenamento hanno stupito tutti per l’intensità e per l’efficacia derivata da esse, come sottolineato da Jude Bellingham ad inizio stagione. La sua tecnica ha incuriosito gli esperti di vari campi lavorativi, anche lontani dal rettangolo verde.

Infatti, secondo quanto riportato da RelevoPintus è stato convocato dalla NASA, l’organo spaziale statunitense, per approfondire la preparazione atletica degli astronauti. D’altro lato, invece, i responsabili dell’azienda amministrativa hanno studiato la metodologia del diretto interessato. In questo modo, l’obiettivo è acquisire i migliori segreti per incrementare la prestanza fisica degli astronauti. Si tratta di una collaborazione insolita, ma a testimonianza della grande ammirazione nei confronti di uno dei migliori professionisti nel suo ruolo.

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ESCLUSIVA – La ‘Brigata Mai 1 Gioia’ di San Marino raccontata dai suoi partecipanti

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San Marino

Sembrerà strano a dirsi, ma – alla fine di questa pausa – la nazionale del San Marino vive uno dei momenti migliori della sua storia recente. È vero: i biancazzurri hanno concluso il loro gruppo di qualificazione ad Euro 2024 con nove sconfitte su nove partite giocate, ma nelle ultime tre gare del girone (contro Danimarca, Kazakistan e Finlandia) San Marino ha realizzato altrettanti gol, segnando a tutte e tre le compagini affrontate. Un vero e proprio record, considerando che non era mai successo nella storia della nazionale.

Ad essere felici, quindi, non sono solo i componenti dello staff tecnico e i giocatori, ma anche e soprattutto i tifosi del San Marino che, spoiler, sì, esistono. Ma non solo, la nazionale può vantare addirittura di un gruppo di tifosi organizzato, la ‘Brigata Mai 1 Gioia’, composta da appassionatissimi che da anni seguono le avventure della squadra anche all’estero. Abbiamo voluto conoscere meglio questo simpaticissimo gruppo intervistando Daniele Davide, membri ormai navigati della Brigata.

POPOLARI LONTANO DA CASA

Proprio in virtù delle diverse trasferte, la Brigata si è fatta conoscere ed apprezzare fuori da San Marino e l’Italia, prendendo in simpatia tante tifoserie straniere, oltre che la stampa estera. Una cosa che ha tenuto subito ad evidenziare Daniele, l’attuale leader del gruppo.

“Effettivamente è molto strano. Le testate internazionali ci hanno cercato in ogni modo, ieri per esempio ero sul DailyMail, ma mi hanno chiamato anche BBC e altre testate di un certo livello. In Italia invece c’è gente che si domanda ancora cosa esista a fare San Marino e non ne comprendo il motivo. A conti fatti il nostro gruppo è quasi più conosciuto all’estero che in patria e spero che le cose possano cambiare e si capisca perché tifiamo San Marino. Il risultato non c’entra nulla, è una filosofia radicata”.

Una cosa confermata anche da Davide, che ci ha detto:

“A Belfast (contro l’Irlanda del Nord ndr.) i tifosi volevano conoscerci e fare foto con noi. È stato molto bello, alcuni addirittura ci mettevano di fianco i loro bambini per scattare fotografie di ricordo, incredibile. In Italia ci considerano quasi degli appestati!”.

UN GRUPPO NATO PER GIOCO

Chiaramente, per raccontare e conoscere meglio la storia della Brigata mai 1 gioia, abbiamo dovuto far luce sulle sue origini e sulle ragioni che l’hanno spinta a nascere. A spiegarci tutto nei dettagli è stato ancora una volta Daniele.

Il gruppo è nato 11 anni fa da un’idea di Massimo, il suo fondatore. Per curiosità andò a vedere un match a San Marino e allo stadio si accorse che tutti gli spettatori erano seduti, esattamente come al teatro, e nessuno cantava. Questa cosa gli mise un po’ di tristezza e per gioco decise di fondare un gruppo che con il tempo si è espanso. Ora siamo circa in 30 e i nostri membri vengono da tutt’Italia, ma anche da paesi esteri come Germania e Austria”.

Sì, perché è importante specificare che dei circa trenta membri della Brigata, in pochi vengono da San Marino. Gli stessi Daniele e Davide non sono sammarinesi: il primo viene dalla Toscana e vive a Modena, il secondo è originario di Salerno. Doveroso, allora, chiedergli i motivi per i quali si sono avvicinati alla causa biancazzurra.

Mi piace il calcio pulito, quello in cui non ci si picchia ma si fa amicizia, potremmo definirlo quasi un ‘calcio rugbistico’. San Marino è un unicum: incontri tifosi delle altre nazionali all’inizio e alla fine della partita, li conosci, ci scambi le sciarpe e magari ci vai anche a prendere una birra. È come se ci fosse un habitat incontaminato, dove tra l’altro è possibile conoscere anche i membri della nazionale. A Belfast per esempio abbiamo conosciuto tutti e sono diventato amico di Dante Rossi (calciatore della rappresentativa sammarinese ndr.). Contro la Finlandia, poi, abbiamo avuto modo di parlare anche con il CT, che ci ha raccontato come stessero lavorando e cosa era successo nella partita precedente in Kazakistan. È un clima irripetibile, chiaramente è impossibile fare questo con l’Italia o con qualsiasi altra nazionale: a San Marino trovi qualcosa che non si può fare da nessun’altra parte e questo mi ha spinto ad appassionarmi”.

Per quanto riguarda Davide, invece:

“Da anni mi piace il calcio sammarinese, per me la Champions League inizia a giugno con i turni preliminari, e non a settembre con i gironi. Diversi anni fa trovai la pagina della Brigata su Facebook e iniziai a seguirla perché la trovavo una bella iniziativa. Nel 2019, poi, mentre studiavo a Bologna, sul gruppo scrissero che c’era un posto disponibile per andare a vedere una partita e mi ci fiondai. In quella gara il San Marino riuscì anche a segnare un gol, così i membri della Brigata pensarono che portassi fortuna e mi inclusero immediatamente nel loro gruppo. In realtà da allora il San Marino non ha mai vinto e uno dei pochi pareggi mi ha fatto anche perdere una schedina perché avevo scommesso sulla sconfitta! Fu comunque un’esperienza molto divertente che mi ha fatto entrare in un gruppo di amici”.

L’AIUTO DELLA FEDERAZIONE

Quella della Brigata, insomma, è una realtà piccola ma vivace che, peraltro, nell’organizzazione di viaggi e nell’acquisto dei biglietti, ha potuto anche contare sulla federazione sammarinese. Come anticipato da Davide, a volte i membri del gruppo possono accedere a fasi di vendita anticipata dei biglietti, soprattutto contro gli avversari di lustro internazionale. Ancora una volta Daniele ci ha chiarito la questione.

“Il rapporto con la Federazione c’è sempre stato anche se siamo un gruppo indipendente che, in base alle situazioni, può anche criticare. Dallo scorso settembre, comunque, il nostro rapporto è passato dall’essere confidenziale a ufficiale. C’è stato un incontro tra i tifosi, il presidente federale, il segretario generale e il CT. È stata l’occasione per sederci ad un tavolo e iniziare a collaborare, i nostri obiettivi come gruppo sono affini a quelli della federazione e lo scopo è quello di portare gente allo stadio. Quando possibile loro cercano di aiutarci con i biglietti: chiaramente andare a vedere il San Marino non è gratis, ma si cerca di agevolare i tifosi che vengono più spesso. Anche per l’organizzazione logistica delle trasferte spesso parliamo e ci organizziamo con la federazione stessa, siamo entità distinte ma non estranee e anche questa è una cosa che non puoi trovare altrove”.

UN’ESPERIENZA DA PROVARE

Alla fine della nostra intervista, abbiamo voluto chiedere ai due ragazzi se si sentissero di consigliare l’esperienza di entrare a far parte della Brigata mai 1 gioia e quali fossero i lati positivi del tifare una squadra che, risultati alla mano, non vince da quasi vent’anni. Ci hanno risposto così.

“Tifare San Marino”, ci dice Daniele, “non è come tifare una qualsiasi altra squadra. Bisogna cambiare il punto di vista: chiaramente se si pensa solo al lato calcistico si vedrà una nazionale che, piuttosto che a vincere, ambisce a perdere con dignità, e questo non è chiaramente il massimo per una persona che guarda esclusivamente al campo. Si deve guardare al pacchetto completo: se si vuole sfruttare il calcio per fare nuove amicizie e portare valori allo stadio, allora l’esperienza è consigliatissima“.

“Nella battaglia tra Davide e Golia noi siamo Davide, personalmente sarebbe troppo facile tifare una squadra che vince sempre. Noi pensiamo ai ragazzi che scendono in campo: anche in caso di sconfitta, se alzano lo sguardo trovano gente pronta ad applaudirli e a riconoscere il merito di ragazzi come noi che hanno il coraggio di affrontare professionisti dieci volte più forti di loro. Sfido tutti i leoni da tastiera che attaccano con cattiveria il San Marino a giocare in uno stadio di 40 mila persone contro gente del calibro di Hojlund ed Eriksen, per me è un atto quasi eroico e va riconosciuto”.

Per quanto riguarda Davide, invece:

Tifare San Marino non è per tutti ed è un’esperienza che consiglio solo a chi nella vita sa accettare bene le sconfitte. Sicuramente però è un qualcosa di molto costruttivo che, anche al di fuori del calcio, insegna a vivere in maniera più rilassata e a godere anche delle piccole cose. So che sembra esagerato, ma trovarsi nella Brigata può essere anche terapeutico e renderci delle persone migliori“.

Si ringraziano Davide e Daniele per la loro gentilezza e disponibilità.

 

 

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ESCLUSIVA – Il dott.Pazzona approfondisce la psicologia in ambito sportivo

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Psicologia dello sport

PSICOLOGIA DELLO SPORT – Il ruolo dello psicologo dello sport è spesso sottovalutato. L’aspetto mentale è fondamentale, infatti, nel rendimento di un atleta. Ma quanto incide la psicologia nel calcio? Lo abbiamo chiesto al dott. Riccardo Pazzona, psicologo dello sport, che ha approfondito dettagliatamente l’argomento in questione.

QUANTO INCIDE LA PSICOLOGIA SUL CALCIO?

Quanto incide la psicologia sulla difficoltà di ambientamento di un calciatore, come ad esempio De Ketelaere, che ha deluso le aspettative al Milan e che è stato costantemente attaccato dalla tifoseria milanista?
“Sicuramente l’aspetto psicologico incide tantissimo nella prestazione. La prestazione è composta da 4 pilastri; se noi immaginiamo questi pilastri come le gambe di un tavolo, se una di questi cade, ecco che allora ci sono una serie di ripercussioni che vanno ad influire sulla prestazione come nel caso di De Ketelaere che adesso sta rendendo meglio all’Atalanta. Nel caso di una nuova realtà, una persona con difficoltà di ambientamento non riesce ad esprimersi al meglio”.

 

Spesso si sente parlare di giocatori che scendono in campo nonostante non abbiano una condizione mentale adatta: crede che un calciatore che non è sereno debba evitare di scendere in campo?
“Possiamo rispondere in due modi. O in base a come sta il giocatore, si decide se farlo scendere in campo o meno; oppure se vogliamo pensarla in maniera più strutturata, in funzione del suo stato d’animo e delle sue sensazioni, noi professionisti possiamo intervenire sulla regolazione emotiva. Per far ciò, è necessario monitorare una serie di parametri in prossimità della gara, e sulla base di essi, si interviene con specifiche tecniche”.

 

Parliamo del ritorno di Ibrahimovic al Milan: lo svedese è un grande motivatore, d’altra parte i rossoneri stanno vivendo un periodo negativo. Quanto potrebbero incidere la grinta e il carisma di Ibra al Milan?
“Certo, perché comunque parliamo di un leader tecnico e carismatico. All’interno di un contesto in cui si trovava fino a poco tempo fa, sicuramente avrà un bell’impatto. Il suo ruolo sarà presumibilmente quello di un trascinatore”.

 

Capitolo calcioscommesse: Fagioli e Tonali hanno subìto una squalifica piuttosto lunga. Quanto può incidere psicologicamente nella loro carriera?
“Non possiamo saperlo allo stato attuale. Quello che possiamo fare noi, da psicologi dello sport, è quello di gestire il momento, accompagnarli emotivamente in questo percorso complesso, ridefinendo gli obiettivi, perché ovviamente ci sarà un ritorno in campo e bisogna farsi trovare pronti”.

 

Abbiamo sentito parlare molte volte di “infortuni psicologici”, come nel caso di Nico Gonzalez quando fu accusato da Italiano di infortunarsi per problemi psicologici. Quanto effettivamente il fattore mentale può influire su un infortunio?
“A livello di probabilità di insorgenza di un infortunio, l’aspetto mentale incide in relazione allo stress che l’atleta sta sperimentando. Dal punto di vista del recupero dell’infortunio l’aspetto mentale pesa tantissimo ma, purtroppo, spesso non viene preso in considerazione. Un calciatore, infatti, per rientrare in campo, oltre ad essere pronto fisicamente, deve esserlo anche psicologicamente, perché l’infortunio è un vero e proprio trauma anche a livello emotivo. Questo può portare ad essere più limitati in campo magari per paura di farsi male”.

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