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ESCLUSIVA: Berardi-Milan, a che punto siamo?

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ESCLUSIVA: Berardi-Milan, a che punto siamo?

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Non è una novità quella dell’interesse del Milan per Domenico Berardi. L’esterno del Sassuolo da un paio di anni sta sfornando prestazioni da top europeo ed è definitivamente pronto per il grande salto in una big. Su tutti i club di Serie A, proprio i rossoneri sembrano quelli che più vogliono fare sul serio. Secondo quanto appreso dalla nostra redazione, Berardi sarebbe l’obiettivo numero uno per la corsia destra. Il nodo principale resta il prezzo del calciatore: se il Sassuolo continuasse a chiedere 30 milioni, l’affare salterebbe immediatamente. Discorso diverso se, invece, la cifra fosse intorno ai 20 milioni. Il problema di fondo è l’età: Berardi ha 27 anni e non rientra nel range su cui il Milan sta puntando da qualche anno. Proprio per questo, l’affare può compiersi solo a cifre più basse da quelle richieste dai neroverdi.

Questo è il ragionamento fatto da Elliott, la proprietà a capo del Milan. Chiaramente il discorso potrebbe cambiare qualora Investcorp formalizzasse in tempi brevi il passaggio societario. Ma, finchè c’è Elliott, si ragiona con la filosofia dell’azienda statunitense.

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Conference League

ESCLUSIVA – Braida: “Milan, non si vince con gli algoritmi. Pioli? Lo confermerei anch’io”

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Milan Braida, l'ex DS e DG dei rossoneri è stato intervistato in ESCLUSIVA da Numero Diez sulla situazione attuale del Diavolo e di Pioli: le sue parole

MILAN BRAIDA – Il Milan sta vivendo uno dei periodi più difficili della sua storia recente. La vittoria contro la Fiorentina sembra raddrizzato la situazione, ma la sconfitta di martedì contro il Borussia Dortmund in Champions League ha rimesso tutto in discussione. La qualificazione agli ottavi della predetta competizione è fortemente a rischio. Un’eventuale eliminazione potrebbe avere delle ripercussioni anche in campionato. Tuttavia, il Diavolo si fida di sé stesso e del suo progetto tecnico, guidato da Stefano Pioli. L’allenatore emiliano è stato confermato alla guida dei rossoneri, i quali si affidano alla continuità e all’unità di intenti per uscire definitivamente da questo periodo di impasse (CLICCA QUI PER LEGGERE LA NOTIZIA). La scelta risulta giusta o sbagliata? Per avere queste risposta, la redazione di Numero Diez si è affidata al giudizio sapiente di uno dei dirigenti più vincenti della storia del calcio e del Milan e che incarna alla perfezione il senso di “milanismo“: Ariedo Braida. Di seguito, proponiamo il contenuto integrale dell’intervista ESCLUSIVA all’ex DS e DG dei rossoneri, il quale ha regalato anche altri spunti interessanti sulla situazione attuale del Diavolo.

Dopo una vittoria un po’ sofferta ottenuta contro la Fiorentina, martedì ha perso contro il Borussia Dortmund. Che partita ha visto? 

Partiamo dal fatto che le partite iniziano sul punteggio di 0-0 e non si sa come finiscono, come del resto anche la prossima (contro il Frosinone, ndr). La partita contro il Borussia Dortmund non è stata interpretata nel migliore dei modi, anche se prima del modo in cui è stata disputata questa gara, va considerato il punto chiave: le assenze. Per me, Leao è un giocatore fondamentale per il Milan. Fa la differenza sempre! Nell’uno contro uno ha sempre la meglio e spacca le partite con i suoi strappi. La sua mancanza accentua i problemi del Milan in tutti i reparti. Del resto, i giocatori importanti danno tanto quando ci sono e tolgono altrettanto quando non ci sono. Un esempio si può riscontrare nel Napoli: quando Osimhen e Kvaratskhelia sono assenti, gli azzurri fanno fatica…“.

La qualificazione agli ottavi di questa Champions League e alla prossima edizione della Champions League è ancora alla portata o è diventata difficilissima?

Adesso, certamente, le speranze sono diminuite di tanto: anche pareggiare sarebbe servito martedì. A volte, però, nel calcio esistono le sorprese e anche i miracoli. In ogni caso, ciò che mi preme dire è che il Milan si è complicato e, in generale, si sta complicando la vita di parecchio…“.

Cioè?

Bisogna cercare di fare un’analisi molto più profonda e serena. Molte volte si cerca di scaricare le responsabilità sull’allenatore. Ma bisogna valutare attentamente i singoli giocatori a disposizione di un allenatore, in questo caso Pioli. Per stare ad alto livello, si vogliono dei valori che sappiano sopportare il peso del ruolo che ricoprono e della maglia che portano“.

Lei ha parlato di giocatori che sappiano sopportare il peso della maglia che portano. Secondo Lei, il Milan ha dei giocatori che sanno incarnare l’essere milanisti? Quali sono, invece, i giocatori che fanno più fatica da questo punto di vista?

A me piace il calcio e sono stato al Milan per tantissimi anni. Ritengo di avere la cultura da Milan. So cosa serve a una grande squadra. I giocatori non sono tutti uguali anche se, a volte, si parla di un giocatore fenomenale grazie a una prestazione positiva, salvo poi ritenerlo inadeguato quando fornisce una gara non positiva. Bisogna imparare a capire il valore dei calciatori, perchè a questi bisogna dare un valore. Se si fa un’analisi serena sui giocatori attraverso schede accurate, allora si può capire e dare delle giuste valutazioni“.

Cosa intende dire con ciò?

Ci vuole una certa competenza. Il calcio non lo conoscono tutti. Si parla sempre di algoritmi: gli algoritmi sono numeri, ma l’uomo non è un numero. Le partite non si vincono con gli algoritmi, a mio avviso. Si vincono con giocatori che vanno guardati e analizzati. Tutti possiamo sbagliare nel dare un giudizio su questo o quel giocatore, però, ci sono dirigenti sportivi e allenatori che fanno questo mestiere da tanti anni e che decidono. Altri, invece, ricoprono ruoli senza avere le competenze per farlo. Certe realtà funzionano perchè hanno guide forti e capaci. Poi, il calcio è un po’ ciclico. Società come il Milan, l’Inter o la Juve possono vincere per tanti anni, ma poi hanno degli anni un po’ altalenanti, perchè finisce il ciclo di alcuni giocatori iconici e carismatici di un gruppo, che bisogna ricostruire. E a volte si fatica sotto questi aspetti. All’interno di questo Milan ci sono giocatori che fanno fatica a giocare in grandi squadre, perchè non sono a livello per giocare in squadre di vertice, che lottano per vincere grandi obiettivi come la Champions League“.

All’indomani della sconfitta contro il Borussia Dortmund c’è stato un incontro tra Cardinale e Pioli, dal quale è scaturita la conferma dell’allenatore emiliano. Ricollegandoci un attimo al discorso delle competenze tecniche di cui ha parlato, si può dire che Pioli capeggia il progetto calcistico del Milan. Pertanto, Le chiedo: secondo Lei, è stato giusto dargli fiducia oppure avrebbe sfruttato il momento per rompere gli equilibri e ripartire da zero?

Per dare una risposta a questa domanda, bisogna conoscere le cose dall’interno. Ma basandomi sulla mia percezione e sulla mia esperienza, posso dire che il fatto che Pioli incontri i dirigenti è normale ed è giusto, anche perchè è importante che ci sia un dialogo costruttivo. I risultati sono certamente importanti, perchè un allenatore viene misurato su questo fattore. A volte, però, nel calcio si innescano delle empatie che (ri)creano delle magie tra giocatori e allenatore. Io sono dell’avviso che la continuità sia importante per ottenere risultati e quindi credo che sia stato giusto confermare Pioli, perchè cambiare sempre l’allenatore è negativo. Io posso portare la diretta esperienza avuta con Sacchi e Ancelotti. Il primo si è seduto sulla panchina del Milan per cinque anni, il secondo è stato l’allenatore del Milan per quasi otto anni. Entrambi hanno vinto tutto. In questa categoria posso far rientrare anche Ferguson. Ha ricoperto la carica di manager del Manchester United a grandissimi livelli per trent’anni. Da quando è andato via, il Manchester sta vivendo una situazione di incertezza tecnica e di risultati da sei-sette anni. Pertanto, dico che la continuità generalmente porta a buoni risultati. E per continuità non intendo solo quella legata al mandato dell’allenatore, ma anche quella dei dirigenti competenti…“.

 

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ESCLUSIVA – Mister Coppitelli: “Qui a Lecce i tasselli sono tutti al posto giusto, che talento Dorgu”

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ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI – Nella scorsa stagione, la selezione Primavera del Lecce ha conquistato la scudetto di categoria con un percorso travolgente. Un titolo nazionale, il terzo per i giallorossi, che mancava da ben 19 anni. Dopo aver mantenuto la testa della classifica per tutta la regular season, i salentini hanno brillato anche nella Fase Finale del campionato Primavera 1 Tim. Dopo aver superato il Sassuolo in rimonta in semifinale, la vittoria contro la Fiorentina ha sancito il trionfo in casa Lecce.

La nostra redazione ha avuto il piacere di intervistare uno dei principali artefici di questo storico successo: Federico Coppitelli, l’allenatore della selezione Primavera del Lecce. Dalla vittoria in campionato fino all’avvio della corrente stagione, passando per l’esperienza fatta in Youth League contro l’Olympiakos. Tanti i temi affrontati nel corso della chiacchierata con mister Coppitelli che ci ha anche parlato di due giovani talenti in rampa di lancio: Patrick Dorgu e Giacomo Faticanti. Di seguito riportato il contenuto dell’intervista esclusiva del tecnico ai nostri microfoni.

ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI: DAL TRIONFO IN CAMPIONATO ALLA CORRENTE STAGIONE

La scorsa annata è stata fantastica. Una grande cavalcata che ha portato il Lecce ad alzare il titolo nazionale in Primavera 1. Quest’anno l’avvio di stagione si è rivelato più complicato per la squadra che si trova attualmente al sedicesimo posto a quota 7 punti. Cosa è cambiato e cosa manca rispetto all’anno scorso?

“Molto semplicemente abbiamo cinque ragazzi che sono andati in prima squadra e un ragazzo che è andato all’estero e altri che sono usciti per età. È una squadra nuova, che ovviamente ha bisogno di tempo per rimettersi a posto. È una squadra che ha qualche ragazzo che è venuto da fuori e ha avuto bisogno di un po’ di tempo in più di ambientamento rispetto a quello che pensavamo. Chiaramente siamo molto contenti della possibilità che hanno avuto tanti ragazzi che avevamo con noi in Primavera l’anno scorso. Poi sono partiti in undici in ritiro con la prima squadra prima di sapere quelle che poi sarebbero state le valutazioni del mister, per poi andare a integrare la rosa. Noi non riusciamo ancora a contare su gruppi dalle categorie inferiori che abbiano una capacità di riuscire a reggere poi la Primavera. Quindi abbiamo fatto qualcosina in ritardo ma lo sapevamo. Siamo consapevoli e non ci creiamo grandi problemi”. 

Il grande campionato con il titolo conquistato nella scorsa stagione ha portato a giocarvi l’accesso in Youth League nel doppio confronto con l’Olympiakos che non è andato bene. Com’è andata l’esperienza? Com’è stato giocarsela in campo europeo su un palcoscenico speciale per lei e i suoi ragazzi?

“Le motivazioni sono fondamentalmente quelle che abbiamo detto in precedenza. Sapevamo che tecnicamente sarebbe stato un esercizio quasi impossibile per il Lecce portare avanti questo tipo di percorso. Tant’è vero che noi siamo andati con mezza squadra della selezione U18 perché per i criteri che richiedeva poi l’UEFA noi avevamo praticamente solo 7-8 giocatori che rientravano in questi parametri. Sapevamo sarebbe stato complicatissimo, però è stato bello perché abbiamo regalato alla nostra società due partite di spessore internazionale contro un avversario di grandissimo valore che ha poi vinto 3-0 e 4-0 le due partite successive. Però è stato bellissimo andare ad Atene. Sono stati giorni fantastici e indimenticabili. Un’esperienza speciale”. 

ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI: DORGU E FATICANTI

Soffermiamoci ora su due ragazzi. Uno è Patrick Dorgu che è stato uno dei trascinatori della passata stagione e che quest’anno si sta ritagliando il suo spazio nelle gerarchie di mister D’Aversa. Che ragazzo è e soprattutto dove può arrivare? Ricordiamo che in si estate si era parlato addirittura di un interessamento da parte del Liverpool per questo giovane talento. 

“Patrick è un ragazzo che ha due tre qualità veramente importanti, anche mentalmente. A tratti è come se fosse inconsapevole del palcoscenico nel quale alle volte si esprime. Io scherzando gli ho fatto una battuta dicendogli – ma hai capito che non sei più in Primavera? – È un talento importante che sa gestire alla grande la pressione. Io al Torino ho allenato Singo, che poteva essere paragonabile a lui come caratteristiche e come ruolo e ho avuto subito un confronto chiaro sul valore di Patrick. Non ho dubbi che abbia di fronte a sé un futuro luminosissimo”. 

A proposito di pressioni, parliamo del secondo ragazzo in questione, arrivato in estate da una piazza, quella di Roma, dove la pressione è tutt’altro che poca: Giacomo Faticanti. Un giovane che qualcuno pensava potesse essere un calciatore pronto per la prima squadra che ha giocato però anche con voi in Primavera. Come sta andando il suo ambientamento a Lecce? 

“Diciamo che Giacomo rimane comunque un giocatore della Prima squadra. Poi lui ha fatto qualche partita con noi, anche perché essendo un nazionale U20 aveva bisogno di un po’ di minutaggio e in accordo con la società noi ci siamo messi ovviamente a disposizione ma rimane comunque un giocatore della Prima squadra. Poi con Giacomo io condivido un percorso tra Frosinone e Roma quindi lo conosco praticamente da sempre. Se farà bene sarò molto contento”. 

ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI: IL RAPPORTO CON LA PRIMA SQUADRA

È chiaro che parlare di colleghi non è mai facile ma le chiedo cosa pensa dei ragazzi di D’Aversa. Partenza super, poi un naturale calo di rendimento. Come vede la Prima squadra nel proseguo del campionato?

“Una squadra che sta facendo sicuramente un bellissimo percorso. Questa è un po’ una mia battaglia che vale per tutte le categorie. Non ci si deve fossilizzare su come vengono distribuiti i punti ma bisogna guardare ai risultati finali. Purtroppo il calcio è bruttissimo sotto questo aspetto, perché giochi un giorno ogni sette e ci sono sei giorni in cui rimugini sui risultati. È chiaro che spesso il momento o l’ultimo risultato funge un po’ da bacchetta magica che in un modo o nell’altro ti fa sembrare tutto brutto o tutto bello. Penso che la Prima squadra stia facendo molto bene. Sono molto contento, così come lo sono tutti i tifosi del Lecce. Soprattutto se sei in una posizione ottima e hai anche magari qualche rimpianto, vuol dire che si sta facendo molto bene. Sono una squadra che mi fa piacere anche andare a vedere”.

Prendendo in esempio il caso di Faticanti, nel calcio di oggi ci sono tanti ragazzi che oscillano tra Prima squadra e Primavera. Ci può raccontare come funziona nel quotidiano il rapporto e il confronto tra un allenatore di una selezione Primavera e quello di una squadra di Serie A? Vedendo da fuori il lavoro che state facendo a Lecce, anche grazie al contributo di una figura a tratti leggendaria come quella di Pantaleo Corvino, l’impressione che emerge è quella di una vera unione di intenti tra le selezioni giovanili e quello che viene poi portato in Prima squadra e noi ci teniamo a farvi i complimenti.

“Una bella domanda. Io faccio la Primavera da sette anni e quello che posso dire è che con ogni allenatore, ogni società e ogni gestione viene definita dalle persone che poi effettivamente la fanno. Qui a Lecce il nostro responsabile è il direttore Corvino. È con lui che io e il mister della Prima squadra triangoliamo. Molto passa dalla sua organizzazione. In altre realtà può essere diverso. Ricordo che quando ero al Torino creai un rapporto con mister Mazzarri anche umano e gestivamo entrambi tutto in prima persona. Dipende dai diversi contesti. È chiaro che rispetto a prima la Primavera 1 è diventato un campionato di valore molto più alto. I risultati sono molto importanti, ci sono le retrocessioni e puoi giocare una volta ogni quattro giorni. Prima giocavi ogni sabato e ti trovavi contro squadre anche di Serie B o C nel girone. Ora è diverso e non è facile per i ragazzi stessi stare in un contesto molto più organizzato. Da un lato molto spesso ci si aspetta che questi ragazzi arrivino e risolvano i problemi ma non è assolutamente semplice. Tutte le squadre sono organizzate e non è scontato andare a creare un determinato tipo di rapporto con gruppi di ragazzi che cambiano continuamente. La gestione, come dicevo prima, dipende certamente dalle persone con cui ci si interfaccia . Per me ognuno degli ultimi sette anni è stato differente ma ho sempre avuto esperienze positive. A prescindere dallo Scudetto conquistato l’anno scorso, ci tengo a dire che qui a Lecce i tasselli sono tutti al posto giusto: una proprietà illuminata, un direttore davvero leggendario per certi versi. Poi, come in cucina, non tutti i piatti escono sempre perfetti però se gli ingredienti sono quelli giusti ci sono buone probabilità che le cose siano fatte bene. Questo aspetto mi ha sorpreso molto quando sono arrivato l’anno scorso. Non credevo ci fosse questà qualità sul piano delle idee e per ciò che riguarda le persone”.

 

Fonte immagine in evidenza: profilo Instagram U.S. Lecce

 

 

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ESCLUSIVA – Il dott. Danilo Casali spiega i tanti infortuni del Milan

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Infortuni Milan

INFORTUNI MILAN – Il Milan continua ad avere l’infermeria piena, a causa di continui infortuni, soprattutto muscolari, che continuano a falcidiare la squadra di Stefano Pioli. Per comprendere le possibili motivazioni degli stop, che sono saliti a 25 stagionali con quello di Thiaw contro il Borussia Dortmund, abbiamo intervistato il dottor Danilo Casali, esperto di prevenzione infortuni in ambito sportivo. Di seguito l’intervista rilasciata a Numero Diez.

IL CASO INFORTUNI-MILAN

“Quando una squadra subisce un numero così rilevanti di infortuni, è fondamentale ampliare il modello di analisi nella valutazione delle cause. Diversamente non è possibile per nessuno trovare una logica, un denominatore comune che permetta di capire e rafforzare l’efficacia della prevenzione. Se potessimo analizzare l’operato dello Staff nei dettagli, è pressoché certo che i professionisti che lo compongono abbiano attuato strategie e programmi adeguati, convalidati anche da altri colleghi. Ma determinate cause sono comunque identificabili, anche se occorre fornire spiegazioni tecniche per le quali chiedo uno sforzo ad ognuno di voi interessato a questo particolare e controverso argomento”.

ZONA D’OMBRA SU CUI SI DEVE INTERVENIRE

“In questi casi viene messo sul banco degli imputati lo Staff atletico, ma il problema è una zona d’ombra, non coperta da ciò che viene attuato per la prevenzione. Non solo al Milan.

Ogni atleta viene sottoposto a tests e monitoraggi meticolosi per quello che riguarda le performance muscolari, la nutrizione, l’idratazione. Parametri di facile rilevamento che consentono allo Staff di avere quella certezza, nero su bianco, di aver operato in maniera corretta e secondo le linee guida. Ma ciò non basta per un motivo ben specifico: la funzionalità biomeccanica di ogni singolo atleta, ovvero la risposta strutturale del sistema alle forze che coinvolgono le articolazioni in relazione al suolo, non è monitorabile da quanto sopra. Con troppo superficialità molti addetti ai lavori credono che sviluppare la forza muscolare ed il miglior coordinamento neuromotorio (controllo muscolare performante nelle innumerevoli situazioni di gioco), seppure imprescindibili, coprano totalmente le necessità per la prevenzione.

A questa affermazione molti potrebbero fare obiezione, precisando che i programmi di prevenzione sono molto più ampi, poiché comprendono anche esercizi di scarico, posture di allungamento muscolare, la criosauna ed altri soluzioni, ma rimane il fatto che il background disfunzionale in seno alla biomeccanica del singolo non può essere gestito con un approccio di gruppo, in cui tutti fanno gli stessi programmi. Il codice biomeccanico disfunzionale ha componenti differenti nell’atleta A, B o C…“.

DALLA PREVENZIONE AL LOOP PROBLEMATICO

“Quando iniziano ad insorgere più infortuni di tipo muscolare, è teoricamente normale che per la squadra vengano proposti più esercizi/programmi mirati alla prevenzione, ma non dobbiamo dimenticare che gli stessi comportano un’attività muscolare che può divenire un ulteriore motivo di sollecitazione e carico, mal recepito se il sistema muscolo-scheletrico del singolo o di più individui hanno una funzionalità perturbata, in rapporto alle forze che imprime e subisce.

Abbiamo quindi giocatori  in perfetta forma atletica (forza, resistenza, ecc.) nel cui sistema muscolo-scheletrico si crea un sovraccarico relativo, che genera il terreno fertile vari problemi muscolari e non solo. In pratica, il muscolo in cui si manifesta l’infortunio non corrisponde alle cause del problema latente.

Perdere la miglior funzionalità biomeccanica equivale ad avere una riduzione del range di movimento degli ammortizzatori di una moto. A parità di percorso e con il funzionamento compromesso, il pilota riceverà più sollecitazioni: per mantenere la gestione della moto, dovrà attuare un lavoro muscolare maggiore nel senso stabilizzante”.

Per capire meglio:

https://www.youtube.com/watch?v=9q5tHoX23FQ/

“Nel calcio e rispetto al nostro esempio, abbiamo una tipologia/ampiezza di sollecitazioni radicalmente diversa, ma la sommatoria dei carichi subiti in allenamenti e competizioni creano un sovraccarico relativo su qualche distretto muscolare, fino a generare stiramenti o lesioni vere e proprie.

Senza la riarmonizzazione della funzionalità biomeccanica individuale di ogni singolo atleta, con il progredire della stagione, molte squadre potranno subire questo tipo di infortuni. Quando poi le lesioni interessano il tendine e la giunzione mio-tendinea, dopo aver sviluppato programmi per rafforzare intensamente quei muscoli sui quali vorremmo ottenere una prevenzione, occorre una seria riflessione che interessi tutti gli addetti ai lavori, in ogni squadra“.

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Calcio Internazionale

ESCLUSIVA – Demetrio Albertini a 360°: Mondiale ’94, Milan e Messi

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ESCLUSIVA ALBERTINI

ESCLUSIVA ALBERTINI – Calciatore di Milan, Atletico Madrid, Lazio, Atalanta e Barcellona, ora Presidente del Settore Tecnico in FIGC e imprenditore: semplicemente, Demetrio Albertini. L’ex rossonero ha scelto di raccontarsi a Numero Diez all’interno del format Behind The Mask, per svelare inediti retroscena riguardanti la sua carriera e la sua vita post-calcio.

L’oratorio è probabilmente il posto più importante per te e i tuoi fratelli: lì avete iniziato a coltivare la passione per lo sport. Tu ti sei realizzato in quell’ambito, mentre tuo fratello Alessio ha scelto la via ecclesiastica. Si può dire che le rinunce fatte da te come calciatore siano paragonabili a quelle fatte da tuo fratello per seguire la sua vocazione?

“L’oratorio è stato un punto d’incontro con i miei fratelli. In un paese di 1200 abitanti, l’oratorio diventa un fulcro e punto di ritrovo per tutta la comunità dei più giovani. Il passaggio era quasi obbligato e poi da lì abbiamo coltivato le nostre passioni, che sono per tutti e tre quelle calcistiche prima di tutto. Le nostre strade si sono un po’ divise dopo perché io e Alessio siamo usciti di casa molto presto, mentre Gabriele, il più piccolo, è rimasto lì. Io avevo 17 anni quando sono andato a vivere a Milanello, dove ho concluso gli studi mentre giocavo, Mio fratello Alessio, invece, è andato in seminario a 14 anni e ci siamo trovati dopo, dato che il seminario era molto vicino a Milanello. Gabriele è il presidente della Pro Sesto: anche lui ha fatto una carriera calcistica e ora ne sta facendo una dirigenziale importante”.

Cosa significa per te tornare lì? E quanto è stato importante sentire l’affetto della tua gente dopo la finale di Pasadena?

“Ho la mamma lì e vado spesso a trovarla. Tante volte diventa un punto d’incontro con la mamma e qualche amico che è ancora lì. Dopo 2 o 3 giorni rispetto alla finale di Pasadena abbiamo organizzato una partita in oratorio tra quelli della mia leva, ovvero quelli del ’71, contro il resto del paese. In quell’occasione fu una festa per celebrare un concittadino che ha giocato a calcio in televisione. C’erano 2000/2500 persone all’oratorio, numeri che si vedono in mesi”.

A Pasadena eri il più giovane della spedizione italiana. Nonostante questo hai calciato il rigore, segnandolo: cosa significa calciare un rigore in finale di Coppa del Mondo?

“Ero il più giovane, perché ero nato nel secondo semestre del mese, mentre Dino Baggio era nato nel primo. Avevo 22 anni ed è stata un’esperienza meravigliosa. Tirare il calcio di rigore, nel vissuto comune, è un gesto molto facile: lì, però, devi gestire l’emotività, più che calcolare il gesto tecnico. E le emozioni in una finale mondiale non le puoi preparare, dato che capita molto raramente di tirare un rigore così importante. Ci sono volute incoscienza, dovuta anche all’età, e consapevolezza, perché quando sai di aver fatto tutto nel modo giusto, vai con serenità a calciare nel modo corretto”.

Si può dire che sia stata l’esperienza più memorabile della tua carriera?

“Nello sport si dice spesso che alcuni siano più fortunati di altri: la fortuna serve, ma credo sia più corretto parlare di meritocrazia. Il treno passa e bisogna essere pronti a salire su quel treno, anche se non sai quando passerà. Può passare come per me a 17 anni, mentre per altri a 22/23. L’importante è essere preparati. Queste sono esperienze che ti porti per tutta la vita. Quando, da dirigente, vedevo ragazzi delle giovanili arrivare nelle finali, dicevo sempre: “Il calcio ti regala esperienze meravigliose. Spetta a voi tornare a casa dagli amici e raccontare di un’esperienza meravigliosa o di vittorie”. Male che vada rimane un’esperienza stupenda”.

Una vita da “metronomo” del Milan: qual è il miglior ricordo quegli anni?

“Mi viene la pelle d’oca perché il Milan è stata la mia seconda famiglia. Non penso solo ai risultati, ai tifosi, ma parlo di famiglia perché mi ha fatto crescere. Io firmo il primo cartellino al Milan a 10 anni, appena finita la quinta elementare, e ne esco a 32/33 anni. Ho vissuto quindi a braccetto con le persone e i valori che compongono la società per tantissime fasi della mia vita. Mi porto le vittorie, alcune rinunce – non sacrifici perché li ho sempre fatti con il cuore. La partita d’addio racchiude bene ciò che sono stato nello spogliatoio. C’erano otto Palloni d’Oro in campo e 45000 persone allo stadio. In quel momento, Van Basten viene da me in mezzo al campo e mi dice: “Demetrio, solo tu potevi raggrupparci tutti qui”. In campo vinci ma insieme agli altri, nello spogliatoio sei te stesso”.

Avresti voluto un addio diverso?

“Il mio sogno sarebbe stato quello di finire la mia carriera al Milan, ma se tornassi indietro rifarei tutto ciò che ho fatto. Dopo il Milan sono andato all’Atletico con un’esperienza incredibile. Vado tuttora a Madrid e sono accolto come uno di loro da società e tifosi. Sono andato alla Lazio e ho vinto l’ultima coppa che mi mancava: la Coppa Italia. All’Atalanta ho conosciuto tante persone legate al territorio e alla maglia con obiettivi diversi da quelli del Milan. Poi finisco la carriera al Barcellona: non vincevano da cinque anni, vinciamo LaLiga e da lì inizia il ciclo della squadra che ha segnato la storia del calcio mondiale. Avrei vissuto la mia carriera al Milan, coronando un sogno, ma avrei perso tante esperienze, sia come uomo che come giocatore”.

Rijkaard ti chiama al Barcellona, dopo un periodo all’Atalanta, per un progetto totalmente diverso: in poco tempo, hai lasciato tantissimo a società e tifosi, creando un legame indelebile prima del ritiro. Come ci sei riuscito?

“In sei mesi a Barcellona sono successe due cose: ero il veterano della squadra e quello che aveva vinto un po’ di più. Lì c’erano Xavi, Iniesta, Puyol, Messi, ma ancora non avevano vinto nulla e non erano i campioni che abbiamo conosciuto. Poi hanno visto la mia serietà dentro e fuori dal campo, la mia esperienza messa al servizio del pianeta Barcellona. Quando arrivi ti dicono che è più di un club. E non intendono una polisportiva, ma è come se fosse la nazionale della Catalogna, entra anche il fattore politico. In sei mesi è successo qualcosa di straordinario: si è creata un’alchimia con i tifosi, i giocatori e la società, che è la stessa di adesso con presidente Joan Laporta. Lo dico per la prima volta: io nelle elezioni precedenti, ho partecipato insieme a Joan Laporta, ma perdiamo contro Bartomeu. Quando sono tornato, lo stesso Bartomeu mi ha detto: “Non so come tu hai fatto: qui sono passati tanti grandi campioni, ma il legame che hai costruito tu con la gente è straordinario”.

Per la tua carriera che giungeva al capolinea, c’era quella di un fuoriclasse che stava spiccando il volo: hai qualche aneddoto sul primo Lionel Messi?

“Il presidente chiede a Leo: “Tu conosci questa persona?”. Lui risponde “Certo, è Albertini”. Poi chiede a me… Mi vergogno a dirlo, ma ho risposto di no. Il presidente poi mi ha rassicurato dicendomi che è bravo, della cantera. Anche se dalla cantera a quello che è diventato ce ne vuole. Poi il giorno dopo te lo ritrovi in allenamento e capisci che è uno che può scrivere la storia. Io di talenti ne ho conosciuti tanti, magari che non hanno fatto ciò che potevano fare. Lui non è un talento, è straordinario. In Spagna si dice “Crack”, in Italia “fuoriclasse”: lui se li merita”.

Dopo il calcio, entri a far parte della FIGC. L’evento più importante in programma è sicuramente l’Europeo del 2032, che si svolgerà in Italia e in Turchia: come ci si sta preparando a ospitare questa manifestazione? Può far tornare la passione per la Nazionale?

“Cambio ruolo, ma rimango sempre nel calcio. L’intento era quello di diventare un dirigente e mi è stata data l’opportunità di entrare in federazione due mesi dopo la mia partita d’addio. Comincia un’esperienza straordinaria, importante e impegnativa come dirigente. Come ci stiamo preparando al 2032: è un lavoro di mesi per dare una candidatura credibile. L’Italia deve prendere questa opportunità per poter intervenire sulle infrastrutture perché siamo molto indietro. Questo ci darà un plus per il rifacimento di tanti stadi. Per l’amore della Nazionale: non c’è meno amore, ma solo meno risultati. La maglia azzurra è speciale e ci unisce, anche nelle critiche”.

Una questione spinosa, quella riguardante il calcioscommesse. Tu avevi già smesso di giocare quando lo scandalo di Calciopoli ha infangato il nome del calcio italiano e, dopo 15 anni circa, ci siamo ricaduti. Più che analizzare di chi sia la colpa, come si può rimediare nel presente e in futuro?

“Si deve cambiare, non riesco a capire perché capita sempre a noi. Calciopoli era un po’ diversa e io ho dovuto gestirla da dirigente: non è stata semplice. Dico una cosa: mi dispiace, perché tante volte si perde di vista quello che uno è. Loro sono delle aziende dentro l’azienda: non si è ancora pronti a essere un’azienda, vuoi essere spensierato. Bisognerebbe fare informazione su un tema delicato come quello delle scommesse. Ne abbiamo parlato per un po’ di anni, abbiamo abbassato la guardia e i giovani ci sono ricascati. Credo sia giusto che uno che sbaglia debba pagare, ma non bisogna generalizzare dicendo che il calcio è malato”.

Quanto ti ha aiutato il calcio nella tua vita da imprenditore?

“Io ho trasferito le regole dello spogliatoio nel mondo dell’imprenditoria. Gestire un gruppo di lavoro, i dipendenti devono sentirsi dei partner, attrarli con qualcosa di poter costruire qualcosa insieme: tutto questo l’ho imparato nello spogliatoio. Ciò che va insegnato è che, oltre alla visione, bisogna avere disciplina per poter raggiungere gli obiettivi. Ora ho istituito una società di sport-marketing che porta il mio nome, con creazione di eventi, comunicazione. Nel frattempo ho investito in dei centri padel. Poter dare lavoro a delle persone mi appaga tantissimo, oltre a impegnarmi tantissimo”.

GIOCO FINALE – RISPOSTA SECCA

Compagno più forte con cui hai giocato? “Van Basten”

Avversario che avresti voluto nella tua squadra? “Zidane”

Allenatore con cui hai creato un legame più importante? “Sacchi”

Maglia scambiata a cui sei più affezionato? “Puyol”

Scambieresti le tre Champions per il Mondiale del ’94? “Solo una (ride, ndr)”

Negli anni, hai individuato un tuo erede? “No, perché non mi piacciono i paragoni”

Figura a cui ti sei ispirato/di riferimento? “Marco Tardelli”

C’è una partita che rigiocheresti? “Quella dell’Europeo del 2000”

Tre aggettivi per descrivere la tua carriera “Straordinaria, appagante, fortunosa”

Dopo il ritiro, fare l’allenatore è mai stata un’ipotesi? “No, perché non voglio avere a che fare con i calciatori (ride, ndr)”.

Soddisfazione più grande post-calcio? “Essere riuscito a cambiare e vivere sempre con degli stimoli, oltre ad aver avuto vicino delle persone che hanno capito le mie esigenze”.

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