Secondo le associazioni mnemotiche delineate dagli studi psicanalitici, ogni ricordo, un po’ proustianamente, ha una sua immagine corrispondente. E lo stesso succede nel calcio, in particolare con le squadre che raramente si ritrovano sotto gli scintillanti riflettori delle Coppe europee. Per molti italiani l’ultimo ricordo del Celtic di Glasgow può essere un doppio confronto con l’Inter di Mancini del febbraio del 2014, mentre agli altri, l’immagine più nitida degli Hoops in Europa rimane il contropiede con cui Tony Watt ha steso il Barcellona al Parkhead di Glasgow, nella partita passata alla storia per il vincente 11% del possesso palla degli scozzesi contro i catalani. Più difficile trovare riferimenti mnemotici per i Rangers, squadra che non si vede sul suolo italiano dal 2008 quando incontrò ai quarti di Coppa Uefa la Fiorentina di Prandelli vincendo ai rigori.
Eppure, Celtic e Rangers sono due squadre mitiche del calcio mondiale, emblemi non solo di sport ma anche di cultura, identità e rispetto. Quei club che pur non essendo mai troppo forti tecnicamente, per rendere onore al proprio blasone, hanno conquistato l’attenzione dei tifosi avversari grazie ai valori: tifo, anima e senso d’appartenenza. OgniOld Firm di Glasgow è descritto come un evento quasi trascendentale, in cui purtroppo, da quando il club protestante della città scozzese è fallito, ha visto la totale egemonia biancoverde sulla Premiership, con i cugini protestanti arrivati nella massima categoria solo due stagioni fa.
Il momento storico per questi due club è stato cantato durante l’estrazione dei gironi di Europa League, che per la prima volta dalla stagione 2009/2010 ha visto il ritorno univoco di due club scozzesi in una competizione europea. I Rangers sono stati inseriti nel gruppo G con Rapid Vienna, Sparta Praga e Villarreal, il Celtic nel gruppo B con Salisburgo, Lipsia e Rosenborg.
EUROPA
Il senso europeo di Glasgow è innegabile,un città che grazie ai suoi due club è diventata un punto di riferimento calcistico per l’intera Scozia. Il Celtic è stata la prima squadra britannica a vincere un trofeo europeo, e a farlo furono i cantati Lisbon Lions che nel 1967 batterono in finale a Lisbona l’Inter di Facchetti e Mazzola. Eppure, nonostante la partecipazione ad almeno una competizione europea sia stata negli anni una costante, quella Coppa dei Campioni del 1967 è rimasta l’unico titolo internazionale portato in Scozia da uno dei due club di Glasgow. Eroicamente, le altre sono la Supercoppa UEFA e la Coppa delle Coppe vinta da Sir Alex Ferguson con l’Aberdeen nel 1983.
Aberdeen Manager Alex Ferguson discuss team tactics before extra time. Scottish Cup Final 1983. Aberdeen v Glasgow Rangers. Credit: Colorsport
La produzione di talenti scozzesi negli anni è stata notevolmente ostruita dal netto calo del movimento calcistico nazionale, che a causa dell’assenza dei Rangers non ha potuto contare sull’appeal dell’Old Firm e di conseguenza ha necessariamente subito un netto calo degli ascolti televisivi. Un po’ sulla dialettica hegeliana servo-signore, il Celtic ha pesantemente sofferto l’assenza dei cugini protestanti, che gli hanno spianato la strada verso cinque dormienti campionati scozzesi: l’unico senso di difficoltà per le squadre dei vari Lennon, Deila e ora Rodgers sono stati i percorsi europei.
Per gli Hoops il cammino non è stato affatto dei migliori e la continuità più lunga in queste stagioni l’hanno raggiunta nella scorsa stagione con gli ottavi di Europa League (fuori con lo Zenit di Mancini). I Rangers invece mancavano in Europa da ben sei anni, sei stagioni di divisioni ai limiti del professionismo; quando nella scorsa stagione si presentò l’opportunità di tornare a parlare inglese fuori dalla Scozia, i Gers vennero eliminati clamorosamente al primo turno preliminare dal Progres Niedercorn, squadra lussemburghese.
REALTÀ
Con il ritorno in Europa di Celtic e Rangers la Scozia torna a essere rappresentata dai due pesci grossi del suo mare calcistico, i quali, tra l’altro, non sembrano essere messi neanche troppo male. Il nuovo corso del Celtic di Brendan Rodgers è un grido ai giovani e all’innovazione, una squadra che cerca il dialogo palla a terra e che in Patria è una macchina da gol (73 gol nello scorso campionato a dodici squadre). L’attaccante Leigh Griffiths condivide la copertina di squadra con Scott Sinclair e Scott Brown, il capitano del Celtic e della Scozia.
Classe 1989, Scott Sincalir è stato considerato per anni un astro nascente del calcio inglese. Dopo le insufficienti stagioni con Manchester City, QPR e Aston Villa fra gli altri, al Celtic sta trovando una convincente continuità.
I Rangers hanno scommesso per questa stagione sulla prima esperienza come manager in una prima squadra di Steven Gerrard, che attualmente, oltre alla conquista dei gironi di Europa League, ha collezionato cinque punti in tre partite in Premiership. Insieme al capitano Tavernier e all’ex Liverpool Flanagan il potenziale tecnico dei Gers è rappresentato da Jack Rayan e Daniel Candeias, rispettivamente mediano e esterno d’attacco. Gerrard ha ambiziosamente plasmato l’undici su un 4-2-3-1 piacevole da vedere e ben compatto, in cui si intuisce che il genio che era nei piedi dell’ex Diez del Liverpool può essere fortunatamente traslato alla sua nuova avventura da manager.
Prima dei Rangers Steven Gerrard aveva allenato con successo la selezione under 18 del Liverpool.
Il Gerrard alleantore è descrito come una personalità forte, che sa quello che fa e che in mene un’idea di gioco chiara e adatta alle caratteristiche dei suoi giocatori, il cui valore complessivo è di 36,38 milioni di euro (fonte Transfermarkt.it). Dunque quello che ci si chiede a Glasgow è quali saranno effettivamente le chance dei due club di arrivare fuori dai gironi, entrambi molto ostici e con squadre che hanno disputato a buoni livelli la Champions League. Il Celtic è stato certamente meno fortunato dei Rangers con un sorteggio che lo ha accostato al Rosenborg e alle due squadre della Red Bull, ma gli stessi scozzesi sono una squadra la cui presenza in Europa è ultra decennale e non sarà semplice neanche per gli avversari affrontare il gruppo di Rodgers. Gerrard invece ha sì un gruppo leggermente più morbido ma che potrebbe vederli penalizzati in quanto squadra molto poco esperta, anche meno di una formazione come il Rapid Vienna o lo Sparta Praga. Se il Villarreal sembra essere la squadra più attrezzata per vincere il girone G, i protestanti di Glasgow hanno – al pari dei cugini – un imbattibile fattore casa, sofferente da troppi anni l’assenza dalle notti europee. Niente di scontato ma neppure niente di impossibile per la nuova Glasgow europea, tornata finalmente su un palcoscenico degno dei suoi attori. Insieme.
Durante la trasmissione TvPlay, Giuseppe Mascara, ex giocatore del Catania, si è raccontato. In particolare, sono stati trattati dei temi come giocatori e allenatori che ha incontrato nella sua carriera. Tanta emozione nel ricordo di quando Kakà gli diede la sua maglia. Mascara è anche entrato nei radar di due top club europei, ma l’affare non andò in porto.
LE PAROLE DI MASCARA
SU BERARDI –“Lui è uno dei pochissimi che gioca un calcio come quello che piace a me. Fa l’uno contro uno, se lo sbaglia lo rifà”.
SU POLITANO – “Un altro così è Matteo Politano. Forse un altro che si avvicina è Zaccagni della Lazio. Tutta gente che sulla fascia puntano l’uomo. Berardi farebbe bene anche alla Juve, se uno è forte si porta dietro le sue qualità anche nelle grandi squadre”.
SU SIMEONE – “Si vedeva che il Cholo avrebbe fatto strada. Preparava le partite calcolando nei minimi particolari tutto quello che poteva succedere sia quando hai la palla che quando non ce l’hai. Nel 2011 era già avanti coi tempi”.
IL RICORDO DI MASCARA AL NAPOLI –“Ero arrivato a 32 anni e volevo rimanere a Catania. Il contratto era in scadenza e la proposta per il rinnovo non arrivava, oggi domani, oggi domani… e alla fine ho accettato di andare al Napoli. In quegli anni avevo ricevuto diverse offerte ma sono sempre voluto rimanere a Catania. Non ho nessun rammarico verso i dirigenti però. Nel 2009, stagione in cui feci 14 gol. ebbi varie proposte, anche dal Manchester City e dal PSG, che non erano le squadre che sono oggi, ma pur sempre club blasonati. Anche il Bayer Leverkusen. Alla fine non andarono in porto. In Italia sono stato vicino alla Lazio”.
LA MAGLIA DI KAKÀ – “Ho avuto la fortuna di affrontare diversi campioni ma tra tutti gli aneddoti quello che ricordo con più affetto riguarda Kakà. Gli chiesi la maglia a Milano dopo un Milan-Catania e lui senza nessun problema me l’ha data, poi al ritorno fu lui a venire da me per chiedermela”.
La Fiorentina di Vincenzo Italiano ha vinto per 2-1 contro il Genk e ha archiviato la questione qualificazione. L’allenatore della viola ha parlato ai microfoni di Sky Sport dopo il match. Di seguito, le parole di Italiano.
UNA VITTORIA IMPORTANTE – “Grandissimo secondo tempo. All’intervallo abbiamo detto che stavamo lasciando qualche situazione di troppo a loro. Abbiamo concesso un gol, ma abbiamo reagito subito e poi nel secondo tempo abbiamo giocato bene. Il secondo gol è arrivato su una giocata corale. Dobbiamo ancora giocare l’ultima, per chiudere primi nel girone”.
PRESTAZIONE DI BELTRAN – “Ai ragazzi dico sempre: o si gioca o si subentra, nessuno è dimenticato e tutti devono dare il massimo. Oggi sono entrati tutti bene e sono contento, perché ho visto davvero un bel secondo tempo”.
PARISI FUORI RUOLO – “Oggi mettere insieme Mina e Kayode con pochi minuti nelle gambe non me la son sentita. Ho messo Yerri, per poi sfruttare Kayode a gara in corso. La strategia ci ha dato ragione, bravo Kayo nel farsi trovare pronto sulla palla di Beltran e va ringraziato Parisi perché si sta adattando da quella parte”.
IL GOAL SUBITO – “Parisi era in inferiorità e non doveva muoversi. Mina doveva avvicinarsi e, ogni volta che commettiamo un mezzo errore, subiamo sempre gol. C’è da lavorare su queste cose”.
COME MIGLIORARE LA SQUADRA – “Soprattutto su situazioni come sul gol preso e sbloccando i nostri attaccanti. Dobbiamo lavorare su questo, dopo essere andati in Ungheria perché è importante arrivare primi”.
La Roma ha pareggiato per 1-1 contro il Servette fuori casa, e l’allenatore José Mourinho si è presentato ai microfoni di Sky Sport per niente soddisfatto, con una vena molto critica verso alcuni giocatori. Di seguito, le sue parole:
LE PAROLE DI MOURINHO
PERSA UN’OPPORTUNITÀ –“E’ stata un’occasione importante ma è anche importante l’inizio del secondo tempo. E’ una cosa che succede spesso. Un peccato che non ci sia una camera vostra all’intervallo perchè io martello sempre su questa situazione di entrare nella ripresa contro una squadra che perde 1-0, che gioca in casa e che attaccherà sotto i suoi tifosi. Logico che nel secondo tempo c’è questo atteggiamento dell’avversario e noi siamo stati superficiali nel modo di interpretare questi momenti della partita. Ci sono anche giocatori che hanno perso un’opportunità”.
AOUAR IL PROBLEMA? – “Non parlo di Aouar. Parlo di giocatori in generale. Ci sono anche giocatori che sono partiti dalla panchina e in campionato chi parte dalla panchina hanno una buona concentrazione, in queste partite specialmente fuori casa la gente non sia abituata a stare in panchina e quando entra non riesce a migliorare la squadra. Non penso sia un dramma giocare i playoff, è difficile ma è una motivazione giocare una partita contro una squadra che viene dalla Champions. Ci sarà un’altra partita all’Olimpico esaurito, non voglio fare di questo secondo posto un dramma. Per me è molto più drammatico un’altra opportunità di qualche giocatore persa e un atteggiamento che si ripete quando entriamo in campo nel secondo tempo e stiamo vincendo”.
UNA SPIEGAZIONE – “Non la capisco. Ho giocato 150 partite di Champions, che sono più (fra virgolette) importanti di queste e la motivazione di giocare queste partite è altissima. Sembra che ci sia gente che non ha una grande storia in Europa e gioca queste partite in modo superficiale. C’è gente che è sempre lì, sono sempre gli stessi, novanta minuti di concentrazione e poi c’è gente che è un po’ superficiale”.
CRISTANTE IN DIFESA – “Sì, ma se manca uno gioca lui. Lui è un grande esempio per gli altri a questo livello, gioca con una concentrazione altissima. Paredes ha fatto un’altra partita molto seria, è un campione del Mondo, gioca qui senza superficialità, poi c’è gente che si sente confortata con questa superficialità”.
CHI PAGHERÀ DELLA SITUAZIONE – “Da noi non puoi far pagare, lo può fare Guardiola, da noi c’è solo l’allenatore che può martellare… io continuerò a martellare su questa gente. Il gruppo è fantastico, gente buona, gente seria, che ama la Roma, ma sono in una zona di conforto. Se in casa riusciamo a instillare questa mentalità nella squadra, fuori casa è più difficile, ovviamente potevamo vincere lo stesso”.
L’IMPORTANZA DEI GIOCATORI NOMINATI – “Abbiamo questi ragazzi ma anche gente superficiale. E’ poca responsabilità di dirmi che vogliono giocare. Hanno perso un po’ la voce. Se qualcuno bussa alla porta del mio ufficio e mi dice che vuole giocare di più, gioca di più quando gli altri sono morti. Perchè la gente che risponde è sempre la stessa”.
Ieri, prima del match tra Real Madrid e Napoli, Aurelio de Laurentiis, ha parlato delle varie possibilità relative possibile nuovo stadio dei partenopei.
La prima opzione è sicuramente quella di acquistare il Maradona e ristrutturarlo a spese della società di ADL. Se il comune non permetterà ciò, allora si virerebbe verso una tra Pompei e Caserta. Di seguito, le sue parole a Radio Goal, un programma di Kiss Kiss Napoli.
NUOVO STADIO –“Abbiamo un complesso sportivo che non è mai stato completato, De Laurentiis lo conosce anche. E’ adiacente al confine con gli scavi. Sarebbe, naturalmente, un piacere, ma non ne ho mai parlato con De Laurentiis”.
DISPONIBILITÀ VERSO IL NAPOLI –“Siamo accoglienti e disponibili con tutti e lo saremo anche con De Laurentiis e i tifosi del Napoli. C’è un area di 100mila metri quadrati, ma la sede del campo è già realizzata. Non fu completato quel campo perché stavamo facendo una manifestazione d’interesse. Se ADL è interessato siamo disponibili a riceverlo”.
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