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Cento di queste stagioni - David Robinson

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Cento di queste stagioni – David Robinson

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Team Numero Diez

2 titoli NBA, 2 ori e un bronzo alle Olimpiadi, un Mondiale, un oro ai Campionati Americani, un MVP della Regular Season, un Difensore dell’anno, un Rookie dell’anno, miglior marcatore, rimbalzista, stoppatore e qualsiasi altra statistica conosciuta nel basket, 10 convocazioni all’All Star Game e una sfilza di inserimenti in qualsiasi primo, secondo, terzo quintetto dell’anno. C’è abbastanza per aprire un museo.

Sognava di guidare sommergibili (il babbo era un tecnico dei sonar per la U.S. Navy tra le altre cose), smontava e rimontava computer, quando gente della sua età difficilmente ne aveva visto uno, era un fenomeno in matematica e l’idea di giocare a basket non lo sfiorava neanche. Anzi, si dice che durante gli anni dell’high school lo dovevano praticamente pregare per convincerlo a giocare.

Un po’ il fratello maggiore di Tim Duncan prima che arrivasse il resto della triade, Dream Team ’92, una memorabile quadrupla doppia, David “The Admiral” Robinson è stato tutto questo.

Le sliding doors che hanno portato alla dinastia dei texani in nero-argento passano ovviamente anche da lui: partiamo dall’anno 1996-97 dove l’ammiraglio gioca sei partite contate, gli Spurs cambiano coach Boh Hill con Popovich e contestualmente perdono tutto quello che possono perdere.

L’annus horribilis si chiude con la buona sorte della Lottery: prima scelta e Tim Duncan dentro.

Le prospettive della franchigia di San Antonio, abbastanza scure fino a quel momento, cambiano dalla notte al giorno: Duncan è una forza della natura e Robinson è tornato ai livelli che gli competono chiudendo la RS con 22 punti e 10 rimbalzi di media. È partita ufficialmente l’era delle Twin Towers che chiuderà la sua prima avventura in 5 gare contro gli Utah Jazz di Stockton&Malone.

L’anno dopo gli Spurs si ripresentano ai blocchi di partenza con Avery Jackson, Mario Elie, Sean Elliott (che a fine anno si opererà per un trapianto di rene), Tim Duncan e ovviamente il nostro protagonista.

L’inizio non promette assolutamente niente di bello: prime 14 partite segnate da un brutto 6-8, appesantito dal lockout che accorcia brutalmente la stagione a solo 50 partite, culminate con la batosta presa contro i Jazz che li avevano già buttati fuori dai Playoff della stagione precedente prima di schiantarsi contro l’ultimo hurrà dei meravigliosi Bulls di Jordan.

Da lì San Antonio ne perde esattamente 7 in RS e due ai Playoff contro Timberwolves ed i finalisti Knicks, una serie di vittorie impressionanti ed un record di 37-13 che li porta dritti al primo posto della Midwest ed in una buona posizione per andarsi a prendere il primo titolo della loro storia.

Questo forse è il primo anno dove il nostro festeggiato comincia a passare le insegne e la leadership tecnica al caraibico: Robinson ridefinisce in maniera netta il suo gioco per favorire l’esplosione di Tim che in post basso portava a spasso qualsiasi bipede calcasse il parquet mentre David si occupava di gestire il post alto e i pick’n’roll con Elie e Johnson ed, a completare il quintetto titolare c’è Sean Elliott, tornato all’ovile dal suo compare dopo una negativa esperienza ai Pistons, che rinvigorisce e riprende il filo interrotto qualche anno prima tornando ad essere un’ala potente, versatile ed efficace anche da fuori, un embrione di stretch-4 datato circa 20 anni fa.

Ai Playoff gli Spurs marciano come orologi svizzeri: liquidati i Wolves al primo turno per 3-1 (al tempo il primo turno si giocava alla meglio di 5) con David tre volte in doppia doppia (compreso un impressionante 17-18-7 in Gara 3) ed uno sweep ai Lakers di Shaq&Kobe, ancora riccio e con l’8 sulle spalle.

La serie con i Blazers vede il suo punto più alto nel  Memorial Day Miracle, quando Elliott decise di chiudere Gara 2 con una tripla in punta di piedi da casa sua davanti ad un recupero disperato di Rasheed Wallace dando agli speroni il +1 necessario per vincere a 8 secondi dalla fine.

Nel frattempo sull’altra costa, i Knicks qualificati con l’ottavo seeding hanno ragione dei Pacers di Reggie Miller pagando un conto però salatissimo: Pat Ewing out for the season in Gara 2, tendine d’achille in disordine, è la sentenza per il centro da Georgetown.

New York contro San Antonio è l’atto finale.

Senza Ewing a contrastare le Twin Towers, i Knicks si reinventano una squadra da run&gun con un Latrell Sprewell imprendibile, +10 ppg rispetto alla RS portando il suo contributo al tabellino a 26 che ingaggia un’asprissima lotta con Duncan mentre Robinson ancora una volta di più guarda le spalle al compagno, stoppa tutto quello che ha l’ardire di passare davanti al canestro e chiude con 12 rimbalzi a partita di media.

I temi di questa serie si rivelano tantissimi: mentre Duncan si occupa dei suoi classici bankshot, dall’altra parte l’Ammiraglio gestisce la difesa puntando fortemente a mantenere il vantaggio casalingo intatto.

Il risultato è un capolavoro: 87-77 Gara 1 e 80-67 la seconda, con i Knicks che molto spesso non riescono a venire a capo della difesa texana, chiudendo con il 33% dei tiri tentati convertiti e le 9 stoppate prese in faccia dai due lunghi.

La serie si sposta a New York con i tifosi Spurs che cantano “Sweep, sweep!”.

Non avevano fatto i conti con i folli midrange di Allan Houston ed uno Sprewell a tratti onnipotente che mettono alle strette gli avversari facendo muovere le due colonne d’Ercole sotto canestro e trafiggendole fuori dalla loro comfort zone. Risultato finale 89-81 molto più rilassato di quanto dice il tabellino e serie sul 2-1.

Non succederà più.

Gara 4 riprende lo spartito visto in Texas, 9 stoppate totali, un quintetto intero in doppia cifra e due uomini a caso che prendono più rimbalzi di tutta l’altra squadra messa insieme, 35 a 34.

Con questi presupposti si arriva a Gara 5, certamente la più bella e spettacolare di tutta la serie, una battaglia senza quartiere tra Sprewell che tira fuori un repertorio di transizioni offensive e penetrazioni di scuola Michael Jordan e Duncan, che dall’altra parte porta a spasso difensori, arbitri e tifosi tirando fuori l’intero arsenale di finte in post.

Appartengono a questa partita i 5.49 minuti più belli della storia dei Playoff, Duncan contro Sprewell, 14 punti a testa consecutivi, un delirio assurdo chiuso poi da un ancor più assurdo Avery Johnson che lascia tutti sul posto e sigla il 78-77 finale consegnando il titolo agli Spurs.

Questo è un po’ l’anno della liberazione di David, l’anno dove anche l’ultimo pezzo del puzzle perso dentro casa, spunta fuori e completa una carriera semplicemente divina, un giocatore che ha saputo, dopo un decennio passato da uomo franchigia e riferimento emotivo e tattico, condividere la sua sapienza cestistica, la sua energia, la sua esperienza, la sua mentalità con un compagno di squadra che gli rende 10 anni diventando suo mentore, amico, scudiero, corazza, guardaspalle, lasciandolo esprimere in tutto il suo talento e aprendogli la strada per 19  anni magnifici per lui e per noi che lo abbiamo potuto ammirare.

Più della quadrupla doppia, del Dream Team, dei 71 punti, l’eccezionalità di David Robinson risiede nel suo senso di squadra, di leadership, di guida morale in campo, di capitano. Il capitano perfetto, che non si è mai tirato indietro e si è messo al servizio della sua squadra anteponendo un’altra stagione di sfolgoranti statistiche e di All-Star Game alla nascita della dinastia più longeva, silente, cerebrale e meravigliosa dell’NBA.

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Basket

LeBron James, i principali record della sua carriera

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LeBron James

Il record dei 40.000 punti di Lebron James è soltanto la punta dell’iceberg di un giocatore che, a 39 anni (40 a dicembre) fa ancora scuola nell’intera NBA. I suoi Los Angeles Lakers perdono ma LeBron entra, con più forza, nella storia del basket. Quello che impressiona è la costanza in più di vent’anni di carriera. Andiamo a vedere i principali record del Chosen One.

Per capire subito l’entità e la caratura del giocatore, cominciamo proprio dal canestro che lo ha consegnato non alla storia, ma alla leggenda. Infatti, contro i Nuggets, LeBron è diventato l’unico giocatore della storia a segnare 40.000 punti. 

I RECORD DI LEBRON JAMES

Parlavamo di costanza e LeBron è anche l’unico giocatore della storia ad avere almeno 25 punti di media in 19 stagioni consecutive. Nel 2005-2006, poi, entra subito nella storia, a 22 anni, grazie alla vittoria dell’All-Star Game MVP Award. Con i Cleveland Cavaliers quella stagione, fa registrare una media di 31,4 punti a partita e vince il premio nella partita delle stelle diventando il più giovane di sempre a riuscirci. È anche il giocatore più giovane ad aver vinto quattro MVP. Un altro record è l’essere stato il più giovane a segnare 2.000 punti in una stagione, ed essere nominato MVP dell’All-Star Game.

Passando ai record di anzianità, bisogna mettere in conto che LeBron è il più vecchio di sempre ad aver completato una tripla doppia da 30 punti e avere una media di 30 punti in una stagione. Infine ultimo, per darvi solo alcuni highlights di quello che è ed è stato il percorso di LeBron in NBA, è il giocatore più vecchio ad aver messo a segno 25+ punti in 11 partite consecutive.

È l’unico giocatore ad aver vinto il premio MVP delle Finals con tre squadre diverse (Miami Heat, Cleveland Cavaliers e Los Angeles Lakers). Detiene la striscia attiva più lunga di partite consecutive con almeno 10 punti segnati: 1.205, nel 2018 ha superato Michael Jordan, attuale secondo in classifica, che è fermo a 866. Ancora attiva anche la striscia di 280 partite consecutive ai play-off con almeno un punto: 280, di cui 278 con almeno 10 punti segnati. Ai play-off è anche l’unico giocatore ad avere tre triple doppie da almeno 40 punti: nessun altro ne ha più di una.

Nelle Finals 2016 contro GSW è diventato l’unico giocatore a guidare entrambe le squadre per punti, rimbalzi, assist, stoppate e recuperi in una serie intera. E ci sono ancora tantissimi altri record, di minore importanza, che sottolineano l’incredibile carriera di LeBron James.

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Harden imita Beckham: vuole una stella per i suoi Houston Dynamo

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James Harden, cestista statunitense che ha vestito la maglia dei Philadelphia 76ers nell’ultima stagione, ha deciso di acquistare qualche tempo fa alcuni azioni degli Houston Dynamo. Harden ha trascorso ben nove anni in Texas e ha deciso quindi di investire sulla squadra di calcio di Houston che disputa la MLS. Ora, con l’arrivo di Lionel Messi all’Inter Miami di proprietà di David Beckham, il play americano sogna un colpo simile per la sua squadra. Ha infatti rilasciato recentemente alcune dichiarazioni a USA Today Sports: Cerchiamo un campione che venga a Houston. Sappiamo tutti quanto incredibile è Messi, che a Miami insieme alla sua famiglia si sta trovando bene. Anche noi cerchiamo qualcuno che venga nella nostra franchigia e siamo sicuri che lo troveremo. Non me ne occupo io direttamente, ma il club è al lavoro”.

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Clamoroso Lebron James, le sue parole sul possibile ritiro: “Ci devo pensare”

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Lebron

Nella nottata italiana i Los Angeles Lakers di Lebron James sono stati battuti, e eliminati per 4 a 0, dai Denver Nuggets per 111-113. Lakers che non riescono a riaprire la serie e che manda i Nuggets alle Finals aspettando la vincente di Miami-Boston.

Oltre che per la sonora sconfitta sulle 4 partite, il mondo del NBA è rimasto scosso per le dichiarazioni di Lebron James nel post partita, che lasciano pensare ad un possibile ritiro:

“Ho molto su cui pensare a livello personale sulla possibilità di proseguire con il basket, devo riflettere a fondo”

Dichiarazioni bomba del 4 volte campione NBA, che nonostante abbia ancora 2 anni di contratto, con l’ultimo opzionale, non pare più cosi certo di voler continuare a calcare i parquet della NBA. L’idea a cui tutti pensavano era quelli che il “Re” avrebbe aspettato il draft del figlio Bronny, per giocare una stagione insieme a lui. Ha poi confermato alla domanda sul possibile ritiro ai microfoni di un giornalista ESPN.

Poco prima, sempre nella conferenza stampa post partita, si è espresso così su una domanda riguardante la sua visione sulla prossima stagione:

Vedremo cosa succede… non lo so. Non lo so. Ho molto a cui pensare a dire il vero. Personalmente, quando si tratta di basket, ho molto a cui pensare. Penso che sia andata bene, anche se non mi piace dire che è stato un anno di successo perché non sto giocando per nient’altro che vincere titoli in questa fase della mia carriera. Non mi diverto solo a fare una finale di Conference. L’ho giocata molte volte. E non è divertente per me non essere in grado di fare una finale di campionato”.

 

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Basket

[VIDEO] Finale di Basket islandese: parte un coro contro la Juventus

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juventus

Simpatico siparietto quello avvenuto sabato durante la finale Scudetto del campionato islandese di basket.
Durante un momento di pausa del match tra Valur Reykjavik e Tindastoll, lo speaker del palazzetto ha fatto partire la celebre canzone dei Ricchi e Poveri, “Sarà perché ti amo”.

Fino a qui nulla di strano, ma durante il ritornello, il pubblico si lancia nel celebre coro (di matrice milanista) contro la Juventus, proprio sulle note della canzone.

Un episodio che ha già fatto il giro del mondo e che ha strappato un sorriso a molti in Italia, anche ai tifosi bianconeri.

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