Territorialità. Un elemento all’apparenza ininfluente e di poco conto quando si parla di calcio. Ma nel quadro sportivo delineatosi in particolare negli ultimi anni il fattore geopolitico diventa protagonista di una doverosa riflessione.
La simbolica diatriba di paese fra Nord e Sud diventa il focus dell’analisi in questione. Quella di un Mezzogiorno orfano di squadre, mezzi e strutture per rappresentare un centro d’appeal significativo. Un esodo, quello delineatosi nel tempo da Meridione a Settentrione, figlio di un ventaglio di cause permeatesi nel tempo.

UN PAESE SPACCATO
Nonostante sulla carta quello sportivo sia un livello che nulla ha a che fare con le sfere di sviluppo dello Stato, il destino del calcio è parallelo a quello del disallineamento geografico visibile nel Bel Paese. Si delinea infatti un Nord in evoluzione e all’avanguardia coi tempi, sempre più integrato nell’influenza economica tedesca. L’altra faccia della medaglia rivela invece un Sud lasciato al proprio destino economico e sociale.
In quest’ottica, il deficit sportivo si manifesta su più livelli. In primis in quello degli investimenti economici. Come detto in precedenza, economia e sport costituiscono un tandem da molti ritenuto discordante ma che rappresenta in realtà una catena essenziale nel processo di evoluzione sportiva.
Il Meridione in questo aspetto non riesce a tenere il passo col Nord. I grandi gruppi aziendali raramente decidono di investire in Italia e quando questo avviene si verifica per lo più sopra il Po. Le capitalizzazioni hanno dirette conseguenze nell’economia delle società calcistiche. Basta fare un veloce salto in Premier League, dove un’infinita catena di investimenti su strutture e organizzazione dei club sta alla base del successo mediatico e sportivo che rende grande l’Oltremanica calcistica.

Una breve parentesi con uno sguardo all’Inghilterra. Se da un lato il Sud non riesce a tenere il passo col Nord, a livello più generale l’Italia non riesce a tenere il passo coi ricavi della Premier League inglese. Nella tabella in questione vengono riportati i ricavi televisivi riversati direttamente nelle casse dei club d’Oltremanica.
Investimenti che vanno di pari passo col benessere di un territorio e della popolazione. Laddove infatti il flusso di denaro porta benessere alle aziende può derivare un effetto a catena che porta vantaggi anche ad altre sfere. Politica sociale, quindi sportiva, grazie a finanziamenti e partnership con società sportive, all’incremento e alla miglioria di infrastrutture preesistenti e di nuove. In un circolo che porta al bene dei club, delle città e del pubblico pagante. Contenti tutti insomma.
Nel momento invece in cui quella sportiva è una realtà lasciata fine a se stessa è difficile che possa esprimere tutto il suo potenziale. Ne consegue un quadro non solo calcistico ma nel suo insieme sportivo incapace di stare al passo dei movimenti europei più avanzati. Realtà che prosperano grazie alla fiducia e ai conseguenti flussi di denaro da parte di quei gruppi aziendali che vedono nel calcio un veicolo di marketing e business.
CERCASI INFRASTRUTTURE ALL’ALTEZZA
Un altro spunto d’analisi parte dall’impiantistica nel nostro paese. Stadi basati su logistiche spesso e volentieri non rispettate per via di standard strutturali sempre più esigenti dagli enti nazionali ed europei.
L’Italia non vanta certo un ampio ventaglio di stadi nuovi e all’avanguardia. Nel momento poi in cui si considerano le strutture migliori, queste si trovano soprattutto a Nord. Dall’Allianz Stadium a Torino a San Siro nel capoluogo lombardo – seppur con i suoi problemi -, passando per la rinnovata Dacia Arena di Udine e il Luigi Ferraris a Genova.

La mancanza dei dovuti finanziamenti unita a un iter burocratico infinito limita e blocca la possibilità di vedere impianti moderni nel vero senso del termine. Specie nel Mezzogiorno, nonostante alcuni piccoli passi sono attualmente in atto. Napoli è l’unica big del Meridione che sta cercando di cambiare le cose grazie ad un ammodernamento del San Paolo. Il neo promosso Lecce, addirittura, dovrà scongiurare il rischio di doversi spostare a Crotone per giocare le proprie partite. Il tutto a causa dell’ennesimo impianto non all’altezza.

La verifica di conformità della struttura dello stadio Via del Mare di Lecce serve all’ottenimento della licenza di iscrizione al campionato di serie A 2019-2020. Dopo le dovute verifiche relative all’impianto la società salentina si potrà muovere in due modi. Il primo consiste nel partecipare al bando per ottenere lo stadio per trent’anni e investire 11 milioni per rendere la struttura più accogliente. Il secondo invece ritenere la stima troppo alta e procedere con i lavori necessari per ottenere la licenza di iscrizione. L’alternativa sarebbe rappresentata dallo stadio Ezio Scida di Crotone.
Ma ancora non è abbastanza per aumentare il proprio appeal. Un fattore che si ripercuote anche nel discorso Nazionale Italiana. Basti pensare che l’ultima partita giocata dagli Azzurri al Sud è stata più di 2 anni fa. Un Italia-Albania giocato in occasione delle qualificazioni ai Mondiali di Russia dell’anno successivo, vinto dai nostri col risultato di 2-0. La partita si giocò al Renzo Barbera di Palermo. Da allora sono stati 10 gli incontri casalinghi giocati al Nord in strutture più all’altezza del palcoscenico. Lo stesso discorso vale per la Nazionale Under 21. La fase finale degli Europei di categoria si è giocata nelle realtà di Bologna, Cesena, San Marino, Reggio Emilia e Udine.
IL RISULTATO? TROPPE POCHE SQUADRE
L’insieme di questi e molti altri fattori genera una spaccatura fra i due poli geografici del nostro paese. Una frattura ben evidente nel numero di squadre presenti in Serie A. Quest’anno sono state 19 (18 se si vuole considerare Cagliari come città del Sud) le formazioni provenienti dal Centro-Nord, con la sola Napoli a rappresentare il Meridione. Nonostante l’imminente arrivo nella massima serie di Lecce e forse, in base al verdetto dei playoff, del Benevento, il dato rimane eloquente.

Anche nel capitolo scudetti la differenza fra le parti è abissale. Dal 1898 a questa parte il campionato è stato infatti vinto solamente in due occasioni da una squadra del Sud. Due volte dal Napoli nella stagione 1986-1987 e 1989-1990 e una volta dal Cagliari anni prima, nel 1969-1970.
La retrocessione nel tempo di importanti realtà del Meridione conduce al quadro attuale. Dalla doppia caduta dalla A alla C del Catania di poche stagioni fa alla retrocessione di squadre come Crotone e Benevento negli ultimi anni. Per non parlare poi del Bari, scomparso dai radar della massima serie per poi fallire lo scorso anno. Infine, ecco il più recente scandalo che ha investito il Palermo, condannando l’ottimo lavoro svolto sul campo dai giocatori (qualificati ai Playoff) alla Serie C.
UN ASSIST DAL GOVERNO
Nell’analisi del momento calcistico nel Meridione un aiuto arriva direttamente dalla politica. Più precisamente dal “Decreto crescita” approvato recentemente dal governo.
Per fare un quadro più esaustivo occorre fare chiarezza. Il decreto in questione, nelle sue varie parti, diventa interessante nell’analisi in questione in merito alle agevolazioni fiscali di lavoratori rientranti dall’estero e all’abbassamento dal 70% al 30% del reddito totale sul quale calcolare l’IRPEF. La legge in un discorso di partenza dovrebbe quindi agevolare il rientro di capitali dall’estero per essere direttamente reinvestiti nelle economie locali, fra le quali quelle del Sud – che in merito hanno delle agevolazioni fiscali.

Ma l’elemento determinante non è solo questo. In alcune regioni del Sud (nello specifico Molise, Campagna, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna) l’imponibile IRPEF scende ulteriormente del 10% passando così al 20%. Un fattore molto agevole in ottica fiscale, dove lo sport, società calcistiche e calciatori non fanno eccezione. La diretta conseguenza del Decreto in materia sportiva è dunque quello di favorire l’afflusso di capitale economico (soldi e investimenti) e umano (allenatori e calciatori di livello). Un’occasione per ripartire con gli investimenti in Italia e in particolar modo al Sud. La minore tassazione sui redditi lordi percepiti dai calciatori diviene dunque un fattore decisivo di aumento del potere contrattuale della Serie A nel suo insieme.