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Che fine hanno fatto? Ezequiel Lavezzi

Che fine hanno fatto?

Che fine hanno fatto? Ezequiel Lavezzi

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Il cuore batte all’impazzata, le tempie pulsano, le mani sono scorticate a furia di applausi e gli occhi sono ricolmi di perle di bellezza uniche.
Sono questi gli effetti che provoca Ezequiel Lavezzi sulla gente. O meglio erano, perché per sopperire a un’infanzia all’insegna del sacrificio, l’argentino si è tuffato in una fontana d’oro che gli ha dato la ricchezza ma l’ha privato della gloria eterna.
Al bivio tra soldi e amore, il “Pocho” ha lasciato che il suo portafoglio strabordasse e che il suo cuore piangesse una storia che sarebbe potuta essere ma che non è stata. Una storia tra un popolo innamorato e un fantasista troppo anormale per continuare. La storia tra Lavezzi e Napoli,  la città che lo ha svezzato e che lo ha visto cambiare strada per inseguire una montagna di soldi. E l’abbandono del Vesuvio è la metafora della sua vita che lo ha portato a giocare in Cina.

LE PRIME AVVENTURE

Ezequiel Ivàn Lavezzi nasce a Villa Gobernador Gàlvez, in provincia di Santa Fe, il 3 maggio 1985. La sua vita è colorata sin dal principio dalla scia del pallone che rotola, poco importa se in qualche strada sgangherata o in campi in erba. Già all’età di quattro anni entra nella squadra di calcio a sette della città, il Sol Naciente. E’ all’età di dodici anni però che inizia a giocare sul serio, nel Coronel Aguirre. Tempo qualche mese e già decide di abbandonare il calcio per un paio d’anni per aiutare la famiglia e perché non sentiva quel mondo adatto a sé. Poi però segue la sua indole naturale e torna ad indossare un paio di scarpini, incanta tutti in una partita amichevole, sempre con la casacca del Coronel e il suo cartellino viene acquistato da un procuratore. Dopo una manciata di settimane, a soli 15 anni, fa il suo esordio in prima squadra.

Quello è stato per lui un periodo particolare, perché la morsa in cui era chiuso, tra la necessità di dare un aiuto a casa e la volontà di inseguire il sogno, lo ha inibito per qualche tempo. Poi però le idee si chiariscono e l’argentino fa all in sul calcio, e dopo un viaggio in Italia per firmare con la Fermana che si conclude con un nulla di fatto a causa di problemi burocratici, torna in Argentina e veste la maglia del Boca Juniors. Una parentesi oscura, breve e problematica che dopo appena qualche mese viene chiusa. Proprio come la sua carriera calcistica. O almeno così pare, perché a 16 anni Lavezzi decide di abbandonare per la seconda volta il calcio per dedicarsi all’attività di elettricista, guadagnando qualche soldo e dando una mano all’economia familiare.

LA SVOLTA

Poi però cambia tutto. Un incontro casuale stravolgerà per sempre la sua vita. Eduardo Rossetto e Alejandro Mazzoni, che è tutt’ora il suo procuratore, fanno leva sul suo orgoglio e lo convincono a rimettersi in gioco, alzando subito la posta in palio: nel 2003 organizzano un provino con l’Estudiantes che va così bene che dopo qualche partita giocata con le giovanili viene trasportato in prima squadra. Il biennio 2003-2004 è stato un trionfo continuo, con l’esordio a 17 anni in terza divisione argentina, sigla 17 reti e riceve la convocazione dall’Under 20. E’ proprio in questo ritiro con la nazionale giovanile dell’Argentina che Lavezzi diventa per tutti il “Pocho”, soprannome coniato quando era piccolo per le strade della sua città, ove un cane di nome Pocholo scorrazzava freneticamente tutto il giorno. A seguito della morte dello stesso cane, gli amici hanno  cominciato a chiamarlo proprio Pocholo. Il caso ha voluto che in quella nazionale Under 20 vi fosse anche un suo vecchio compagno di Villa Gobernador Gàlvez, che ha utilizzato quel nomignolo davanti a tutto il resto della squadra: da quel momento è stato cucito su di lui l’epiteto “Pocho”.

E così la sempre crescente fama lo porta ad essere acquistato per un milione di euro dal Genoa che, al tempo militante in Serie B, decide di “parcheggiarlo” per un anno al San Lorenzo, per poi tornare al Grifone al termine della stagione. Ed effettivamente così è andata, o almeno formalmente, perché nonostante la promozione del Genoa in Serie A, la società di Preziosi è stata retrocessa di due categorie a causa di un illecito sportivo. Dopo la presentazione del giocatore davanti a oltre 20.000 tifosi festanti e parte della preparazione estiva svolta al comando di Guidolin, Lavezzi decide di tornare in Argentina e riabbraccia, a pochi mesi di distanza, il San Lorenzo.

Un trienno magico, scintillante, che conferma al Pocho che la strada intrapresa è realmente quella più adeguata. In 55 match sigla 16 reti, ma soprattutto porta la squadra ai quarti di finale della Coppa Sudamericana e conquista il campionato Clausura 2007. E’ un periodo da Re Mida, perché tutto quello che tocca lo trasforma in oro, fino a quando in una calda giornata napoletana di inizio luglio, il presidente De Laurentiis decide di sborsare circa 6 milioni di euro per accaparrarsi il 22enne. Quel giorno, finalmente, tutti i suoi sforzi diventano oro.

L’INTRICATO AMORE CON NAPOLI

Descrivere la storia tra Lavezzi e il Napoli non è facile, perché è un argomento che trascende il mondo concreto e travalica in una realtà sensibile difficilmente decifrabile. Una realtà dove sono le emozioni a parlare.

Ezequiel viene comprato dal Napoli il 5 luglio 2007, esattamente 23 anni dopo la presentazione al San Paolo di un altro argentino, uno che il calcio non l’ha giocato, ma lo è stato in ogni sua più piccola sfumatura. Quello stesso giorno, 23 anni prima, fu presentato Diego Armando Maradona.

I 5 anni in cui Lavezzi indossa fieramente la casacca del Napoli sono una catena di emozioni vissute dal diretto interessato, da chi gli orbitava attorno e dall’attonito pubblico napoletano che riempiva le iridi con le sue giocate sopraffine. Tanta qualità, un mare di qualità che ha fatto affogare quasi ogni squadra del campionato e che ha portato i partenopei ad alzare la Coppa Italia, proprio nella sua ultima apparizione con la maglia azzurra, il 20 maggio 2011 sconfiggendo la Juventus in finale.

Una storia iniziata con i fuochi d’artificio grazie alla tripletta del giocatore siglata alla seconda partita ai danni del Pisa e proseguita negli anni su livelli sempre elevati, da nobiltà del calcio, anche grazie ai suoi fidi compagni di scorribande Hamsik e Cavani. La furia del trittico offensivo del Napoli gli è valso il soprannome di “I tre tenori”, che con qualità squisite hanno razziato le difese avversarie per anni fino ad ottenere nel 2010-2011 l’accesso alla Champions League che mancava da 10 anni.

E oltre alla sfera sportiva che girava a gonfie vele anche la parte affettiva tra Lavezzi e il Napoli sembrava non conoscere limiti.

L’affetto e la passione dei tifosi napoletani è unico, indescrivibile, pazzesco… bisogna vivere in prima persona una gara al San Paolo perché è impossibile da descrivere a parole”.

E invece l’apparenza ha ingannato tutti. Quell’amore aveva dei limiti, non di natura sentimentale bensì economica, che hanno portato l’argentino a cambiare strada. Quando nell’estate del 2012 il Paris Saint Germain di Al Khelaifi bussa alla porta di De Laurentiis con 30 milioni in mano e 4 a stagione per il giocatore, quel sentimento di affetto e devozione passa in secondo piano. La squadra parigina era al secondo anno della gestione sceicca e aveva in mente un progetto enorme con i soldi del neo proprietario, che tra gli altri quell’anno ha portato sotto la Torre Eiffel, Verratti, Ibrahimovic e Thiago Silva.

Lavezzi era al bivio. Un dubbio amletico tra essere o avere, possedere o continuare a vivere visceralmente la sua vita napoletana. La ricchezza o la gloria eterna.

 

IL PSG E IL TRASFERIMENTO IN CINA

Il 2 luglio del 2012 Lavezzi mette la firma sul suo contratto milionario nella capitale francese. Disputa tre stagioni e mezzo di discutibile intensità. Di anno in anno le prestazioni scendono di livello e il rapporto tra il Pocho e Parigi non ha nulla di speciale, niente a che vedere con l’affetto in cui navigava al San Paolo, una semplice storia tra una società e un proprio giocatore stipendiato. Con le ingenti spese fatte dallo sceicco la squadra si rinnova e arricchisce sempre più, fin quando Lavezzi non diventa un elemento secondario della rosa.

E allora altro giro, altra firma milionaria su un contratto. Stavolta le cifre sono folli, perché a gennaio 2016 l’Hebei Fortune gli offre 2,3 milioni al mese, ovvero 27 milioni l’anno circa, per due anni, cifre che lo fanno schizzare al primo posto tra i giocatori più pagati al mondo. Una pazzia che l’argentino ha colto al volo, decidendo consapevolmente di scivolare verso l’oblio ma con una quantità di denaro in tasca inimmaginabile.

Il bilancio della sua prima stagione cinese è ignobile: 10 presenze, di cui nove da titolare e zero reti all’attivo. Un crollo fisico dovuto dalla mancanza di stimoli mentali che lo hanno portato inevitabilmente ad uscire dal giro della nazionale albiceleste, nella quale aveva esordito nel lontano 18 aprile 2007, quando il Times parlava di lui come uno dei 50 prospetti più interessanti al mondo (era 14° nella graduatoria).

La stagione successiva, la 2016-2017 è relativamente soddisfacente, perché con le 20 reti siglate vince il titolo di capocannoniere della Chinese Super League.

Oggi Lavezzi gioca ancora all’Hebei Fortune e si diverte a corricchiare sulla trequarti del campionato cinese, sfoggiando con un’attitudine malinconica le innate qualità che lo hanno portato ad uscire dalla miseria e ad entrare dalla porta principale della ricchezza.

Però chissà, se a quel bivio avesse scelto di continuare a circondarsi dell’amore napoletano, deliziando il mondo intero con le sue giocate, oggi staremmo parlando di altro.

Staremmo parlando di un giocatore così forte da esser chiamato “il nuovo Maradona”.

Un giocatore troppo forte per seguire un percorso normale.

Ma Lavezzi è semplicemente il Pocho, che nella sua unicità sarà ricordato come quello che sarebbe potuto essere, ma non è stato.

 

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Calcio e dintorni

Torino, l’ex portiere è nella bufera: l’accaduto e le conseguenze!

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Cairo

Vi ricordate di Lyn Gomis? Colui che si è fatto conoscere in Serie A per via del suo passato al Torino, sale alla ribalta della cronaca sportiva per un gesto davvero poco nobile.

Attualmente rientrante nella rosa del Genola, formazione appartenente alla seconda categoria piemontese, l’estremo difensore senegalese si è reso protagonista di un episodio riprovevole; nel corso della partita di campionato contro il Langa Calcio, disputata domenica, questi ha aggredito l’arbitro del match sia fisicamente, prendendolo per il collo, sia verbalmente, attraverso offese, esclamate sia in campo che negli spogliatoi. Questa condotta violenta gli è costata una lunghissima squalifica, che scadrà soltanto il 13 ottobre 2023. Di seguito, riportiamo il testo del comunicato, redatto dal Giudice Sportivo:

Nello specifico, dopo la convalida della rete del 3 a 3, il portiere del Genola, Sig. Gomis Lys, raggiungeva di corsa l’arbitro che si dirigeva a centro campo e lo afferrava per il collo, provocandogli dolore, oltre ad insultarlo ripetutamente. Intervenivano in difesa del direttore di gara alcuni giocatori di ambo le compagini. Al termine della partita mentre l’arbitro raggiungeva gli spogliatoi scortato dai Dirigenti della squadra ospite nonché da giocatori di entrambe le Società, dopo aver subito ulteriore aggressione fisica da un altro tesserato del Genola, il Sig. Gomis continuava a insultarlo e minacciarlo, con una tale veemenza da indurlo a richiedere l’intervento di una volante dei Carabinieri, ai quali veniva esposto l’accaduto

Dal canto proprio, il portiere non ci sta a subire questo contraccolpo, che, di fatto, potrebbe costringerlo a chiudere ingloriosamente la sua carriera, dati i suoi 32 anni d’età. Le parole, espresse a La Stampa, dichiarano un pronto ricorso, di concerto con la società. E la motivazione è semplice: in sedici anni di carriera, non si è mai reso protagonista di episodi come quello per cui è stato accusato e squalificato:

I fatti non sono andati così. Con la società faremo presto ricorso. Non sono un violento. In 16 anni di carriera professionistica, non ho mai avuto e creato problemi

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Calcio e dintorni

Un Chelsea mondiale: dove sono finiti i Blues del 2012?

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Ziyech

Oggi pomeriggio alle 17.30 il Chelsea affronta il Palmeiras nella finale della Coppa del Mondo per Club. Per la squadra londinese, vincitrice dell’ultima edizione di Champions League, è la seconda occasione nei suoi 117 anni di storia per sollevare il trofeo istituito nel 2000 dalla FIFA.

L’ultima partita giocata dai Blues in questo torneo risale al 2012. Gli allora Campioni d’Europa guidati da Rafa Benitez, subentrato all’esonerato Roberto Di Matteo, si arresero in finale contro il Corinthians a Yokohama. Il gol di Paolo Guerrero al 69° regalò ai Brasiliani la vittoria.
Oggi, dieci anni dopo quella deludente sconfitta, dove sono i giocatori di quel Chelsea?

Petr Čech nella sala dei bottoni

Nonostante la sconfitta in Coppa del Mondo, il leggendario portiere ceco aiutò il Chelsea a vincere l’Europa League quella stagione.
Dopo  aver lasciato i Blues, Petr Čech chiuse la sua carriera all’Arsenal prima di tornare al Chelsea come membro dello staff tecnico di Frank Lampard.
Lampard durò un anno e mezzo sulla panchina della squadra londinese ma l’ex portiere rimane una figura molto importante al fianco della mano destra di Roman Abramovich, Marina Granovskaia.

Non solo calcio per Čech, dato che nell’ottobre 2019 ha giocato come portiere per i Guildford Phoenix, squadra di hockey su ghiaccio della quarta divisione del campionato hockeistico inglese.

Chelsea-Liverpool solo andata

Nonostante la sconfitta contro il Corinthians, per Frank Lampard la stagione 2012-2013 si concluse con un record positivo. Con il gol alla penultima giornata di campionato contro l’Aston Villa, Lampard diventò il miglior marcatore nella storia dei Blues.

L’ultima tappa prima del ritiro dello storico capitano inglese sarà al New York City FC prima di andare ad allenare il Derby County.
Dopo la brutta esperienza sulla panchina del Chelsea, Lampard è da qualche settimana l’allenatore dell’ Everton.

Last dance in Derby

Altro ex del Chelsea ora nello staff tecnico dell’ Everton è Ashley Cole. L’esterno inglese lascia il Chelsea nel 2014 per affrontare quella che si rivelerà essere una deludente esperienza con la maglia della Roma. Nel 2016 Cole vola in America e gioca con i Los Angeles Galaxy.
Prima di ritirarsi, il vecchio amico Lampard gli chiede una mano al Derby County e Ashley Cole si mette a disposizione per l’ultima danza della sua carriera da calciatore professionista.

Metà Niño, metà torero

Arrivato a Londra con tante aspettative, Fernando Torres non fu in grado di replicare le incredibili giocate con la maglia del Liverpool.
Nonostante questo El Niño contribuì con un gol alla vittoria nella finale di Europa League contro il Benfica prima di lasciare il Chelsea nell’estate del 2014 per andare al Milan.

Prima del ritiro Torres ha giocato per qualche stagione nell’Atletico Madrid, la sua squadra del cuore, e ora allena il Juvenil A, l’Under-19 dei Colchoneros.

Hazard o Marin?

Non tutti i calciatori di quel Chelsea hanno appeso gli scarpini al chiodo.
Dopo aver segnato 110 gol in 353 partite con il Chelsea, Eden Hazard si trasferirà al Real Madrid. I vari infortuni hanno però reso l’avventura spagnola del belga un vero e proprio incubo fino a questo momento.

Altro giocatore ancora in attività, seppur lontano dai radar del calcio europeo, è Oscar.
Il brasiliano si presentò sul palcoscenico della Champions League con due gol contro la Juventus nel 2012.
Oscar diventa un perno del centrocampo di Mourinho ma l’arrivo di Conte nel 2016 lo mette ai margini del progetto e lo porta a trasferirsi in Cina allo Shangai Port con il quale ha giocato quasi 150 partite e vinto un campionato cinese.

Meteora di quel Chelsea fu Marko Marin. Arrivato dal Werder Brema con l’etichetta di “Messi Tedesco”, Marin deluse in Inghilterra e girò il Vecchio Continente in lungo e in largo come prestito.
Dopo un esperienza in Arabia Saudita, Marin gioca adesso a Budapest con il Ferencvaros.

Una colonna basca al Chelsea

Non tutti i calciatori di allora hanno lasciato il Chelsea. Chi è rimasto è Cesar Azpilicueta, che nel frattempo è diventato una colonna dei Blues giocando da jolly nella retroguardia.
Con la maglia del Chelsea Azpilicueta ha vinto di tutto e negli ultimi tre anni è stato il capitano della squadra della quale è diventato una colonna portante.

Adesso, con il contratto in scadenza questa estate, Cesar è in cerca della sua prossima avventura.

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Calcio Internazionale

Il presidente del Lille rivela: “Un big può tornare da noi!”

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Hazard può tornare al Lille

L’avventura con la camiseta blanca di Eden Hazard stenta a decollare. Il classe 1991 è stato il colpo ad effetto dell’estate 2019 del Real Madrid, che intendeva far dimenticare la cessione di Ronaldo, avvenuta 12 mesi prima. Ma, di fatto, l’unica cosa in cui il belga ha sostituito il portoghese è il nome soprastante la maglia numero 7.

Complici gli infortuni, una forma fisica non sempre ottimale e l’esplosione dei due millenials brasiliani, Vinicius Jr e Rodrygo, Hazard è sempre più ai margini del progetto galáctico. Questi fattori lo hanno iscritto nella lista dei possibili partenti dalla Casa Blanca già a gennaio. La cifra richiesta è pari a 40 milioni; tuttavia, si può aprire anche al prestito.

In quest’ultimo senso, la suggestione dell’ultima ora porterebbe Hazard di nuovo dove tutto è incominciato. Al Lille del presidente Olivier Letang.

È AS a dare forma a tale ipotesi. Ipotesi suggestiva, il cui impulso deriva dall’intervista del presidente del club francese all’Equipe du Soir:

Un ritorno di Hazard al Lille? Non è impossibile vederlo qui”, ha affermato Letang. “Può sembrare impossibile, ma non lo è. Ovviamente Hazard è un giocatore incredibile, con grandi qualità. In questo momento, è un giocatore del Real Madrid, ma in futuro le cose potrebbero cambiare“.

Affinché il trasferimento vada in porto, è necessario che i blancos abbassino le richieste. I 40 milioni di euro rappresentano una pretesa economica troppo elevata per le casse del club francese, pronto a perseguire anche la strada del prestito. A patto che Florentino Pérez sia disposto ad accettare di accollarsi grande parte di un lauto stipendio, di cui vorrebbe liberarsi.

Immagine in evidenza presa da Wikimedia Commons con diritti Google Creative Commons

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Calcio Internazionale

Bayern Monaco, un ex portiere fa successo all’estero

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Bayern Monaco

Tutto inizia con la maglia del Bayern Monaco. Lukas Raeder, portiere tedesco classe 1993, viene aggregato alla squadra della Baviera a soli 19 anni. Per lui si prospetta un futuro da campione in Germania. Sulle orme di tanti altri illustri predecessori.

Tuttavia, la carriera di Raeder come portiere del Bayern Monaco, in realtà, non spicca mai. Un po’ per demeriti suoi. Un po’ perchè, nel 2012, quando Lukas Raeder approda ai bavaresi, in porta c’è già Manuel Neuer. Due anni alle spalle dell’attuale portiere del Bayern Monaco sono stati duri da sostenere, per un giovanissimo prospetto che vuole dimostrare il suo valore. E così, nell’estate del 2014, Raeder va via a parametro zero dal Bayern Monaco e dalla Germania. Destinazione Portogallo.

Il Vitória Setúbal è la sua seconda squadra, ma anche con i portoghesi il minutaggio scarseggia. Totalizza solo 27 gare in tre stagioni. Per cui il percorso di Raeder è costretto a proseguire in Inghilterra con la maglia del Bradford City, prima di fare rientro in patria, nelle serie minori: ad attenderlo si presentano in ordine di tempo il Rot-Wein Essen e il Lubecca.

Ora il suo presente si chiama Lokomotiv Plovdiv, squadra appartenente al massimo campionato bulgaro. A 27 anni, Raeder ha ancora voglia di mettersi in mostra e di sognare le competizioni europee. Il terzo posto in campionato, infatti, garantisce la possibilità di arrivare in Conference League. Tuttavia, al di là delle soddisfazioni che può regalare il rettangolo verde, è al di fuori del campo che Raeder ottiene il successo maggiore.

Unico calciatore tedesco in Bulgaria e con la fama di calciatore che ha annusato grandi palcoscenici, il tedesco è diventato una vera e propria star. Come, del resto, lo dimostra questa dichiarazione.

Come portiere tedesco, sono molto concentrato sulla Bulgaria. I portieri tedeschi hanno una reputazione particolarmente buona qui ed è per questo che ricevo molta attenzione. Mi parlano spesso in tedesco gli avversari o anche i tassisti. Il Bayern è totalmente presente qui e spesso me lo chiedono. Abbiamo uno o due tifosi del Bayern nella squadra e anche nella dirigenza.Tutti qui conoscono ‘Mia san mia“.

Immagine in evidenza presa da pixabay con diritti Google Creative Commons

 

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