E alla fine è arrivato l’esonero di Mourinho dal Manchester United, il secondo licenziamento di fila dopo quello incassato con il Chelsea il 17 dicembre 2015. Al suo posto Ole Gunnar Solskjær, conosciutissimo in patria ma quasi misterioso all’estero. Allenatore o traghettatore? Ma soprattutto, chi è?
CARRIERA
Aver militato per anni nel Manchester United ti rende una bandiera, non un allenatore di calcio. È per questo che i 12 anni in maglia Red Devils, dal 1996 al 2008, dopo aver indossato la casacca del Molde – il club che l’ha svezzato -sono solo alcuni incipit di una competenza calcistica che da calciatore ad allenatore cambia, eccome.

Attaccante. Classe 1973. Freddo sotto porta come la sua nazionalità – norvegese – richiede. Di goal ne ha segnati Solskjær, e parecchi. Molti nei minuti di recupero, una peculiarità che l’ha reso famoso insieme all’abilità di subentrare a partita in corso e diventare decisivo. Meno tempo aveva a disposizione e più lasciava il segno. Se l’equazione “calciatore=allenatore” è vera, allora Solskjær risulta l’allenatore perfetto per questo United, perché il tempo a disposizione a Manchester, sponda Reds, attualmente è proprio quello che manca.

Definito “riserva di lusso”, a Solskjær si ricorda particolarmente la finale di Champions League del 1998-99, vinta grazie ad un suo gol siglato nei minuti di recupero contro il Bayern Monaco: 2-1, rete al 93’ e trofeo al Manchester
Il tempo, per fare risultati, è scarso. Il tempo, per provare a sovvertire l’umore e la critica della piazza, è ancor di più limitato. Perché per alcuni tifosi, Solskjær è solo un traghettare di uno United al momento in alta marea. Gli stessi tifosi, però, si augurano che il norvegese sappia navigare nelle cattive e agitate acque di Manchester.
PERCHÉ È STATO SCELTO
I Red Devils si sono subito mossi per cercare un traghettatore fino a giugno, con il compito di cercare di compiere il miracolo di portare in Champions una squadra sesta in Premier, con 10 punti di ritardo sul Liverpool. Perché è così che l’ha lasciata Mourinho, con scarsi risultati – soltanto il trittico Coppa di Lega, Europa League e Community Shield nel 2017 – e con una spesa complessiva di 450 milioni di euro per arruolare undici calciatori dal 2016 sino alla scorsa estate.

Il rapporto tra l’allenatore portoghese e la società di Manchester è sempre stato inclinato, specie sul finire di questa avventura. Una curiosità a riguardo: Mourinho a Manchester da allenatore dello United ha deciso di vivere in Hotel, con un conto salato di 537 mila sterline per 895 giorni di permanenza. Ci ha messo del suo, quindi, Josè, per rafforzare la tesi di uno stato di perenne precarietà tra lui e società
Allenare una squadra per la quale si è stato bandiera da calciatore aiuta nel rapporto con i tifosi, perché ti permette di partire da una base di affetto già ben sopra la media – e Solskjær, qui, parte in vantaggio rispetto al predecessore.
I nomi a cui affidare la panchina dello United si sono sprecati in questi giorni: Conte, Blanc, Pochettino. Ma alla fine ha prevalso il buon senso, facendo ricadere le attenzioni di Ed Woodward – l’amministratore delegato del club – sul norvegese. Una scelta conservativa, che dilata i tempi di rivoluzione dello United per guarire quelli attuali: ricucire il rapporto con i tifosi, rimettere al centro del villaggio Paul Pogba – che con Mourinho aveva più volte battibeccato – e soprattutto fare risultati. Ne ha bisogno il club, per risalire la china. Ne ha bisogno il neoallenatore, per togliersi di dosso pregiudizi di inesperienza come tecnico.
A Manchester non c’è il mare, ma Solskjær deve comunque saper navigare in acque agitate.