L’Italia è tornata a vincere in una gara ufficiale e lo ha fatto con più di un gol di scarto, cosa che non accadeva da giugno 2017 (contro il Liechtenstein, quando finì 5-0). Il cammino degli azzurri verso la qualificazione ad Euro 2020 è iniziato con un 2-0 alla Finlandia figlio dei gol di Nicolò Barella e Moise Kean. Una vittoria che ha premiato e confermato il buon lavoro di Roberto Mancini su squadra e singoli, soprattutto i più giovani. Anche se il match ci ha detto molto su ciò che, ancora, si può e si deve migliorare.
DIFESA, SOLITO PUNTO FERMO
Polonia, Portogallo, Stati Uniti e Finlandia: questi gli ultimi quattro avversari affrontati dalla nazionale azzurra, contro cui sono stati ottenuti 4 clean sheet. Numeri che non si vedevano da giugno 2016, quando il ct era Antonio Conte. Se c’è un punto fermo di questa nazionale è il reparto arretrato e anche Mancini, al netto del livello degli avversari, ne sta beneficiando. Sta beneficiando del Chiellini forse ai massimi livelli raggiunti in carriera, non solo quando si deve fare a sportellate e mettere i tacchetti ma anche quando c’è da giocare il pallone in avanti. Sta beneficiando della sua quasi decennale intesa con Bonucci, che a parte qualche saltuaria nota da matita rossa (come la marcatura persa nei confronti di Pukki che stava per costare l’1-1 nel match di ieri) si conferma elemento imprescindibile. I palloni passano spesso dai suoi raffinatissimi piedi, in una squadra che ancora fatica a trovare la verticalizzazione vincente nei tempi e nelle misure.
Sulle corsie, invece, siamo ancora alla ricerca della coppia che scoppia. Senza Florenzi, infortunato, e con uno Spinazzola con ancora pochi giri nel motore, Mancini ieri ha optato per Biraghi e Piccini. I due laterali si sono limitati ad una partita di ordine, senza sbavature in difesa ma dimostrando eccessiva timidezza in fase offensiva. Un compitino che si fa difficilmente apprezzare soprattutto alla luce della modestia dell’avversario, che imponeva un maggiore spirito d’intraprendenza. Nonostante Mancini abbia tentato di lasciar loro molto spazio accentrando maggiormente Bernardeschi e Kean in alcune fasi di gara, i due hanno offerto pochissima spinta. Senza infamia e senza lode.
CENTROCAMPO: DUE PROMOSSI, UN BOCCIATO, UN RIMANDATO
Il terzetto riproposto da Mancini ha dato risposte complessivamente positive. Innanzitutto è una conferma dell’idea che sta alla base di questa nascente nazionale: dominio del possesso palla, ricerca degli scambi stretti e veloci, aggressività organizzata nel recupero.
In questo centrocampo “si è fatto uomo” Marco Verratti, che ieri ha fatto registrare il proprio record personale di palloni toccati in una partita della nazionale (140). Il pescarese ha dimostrato una volta di più la tanto attesa crescita mentale che sta vivendo sotto la guida di Mancini, a cui ha seguito la messa in mostra di tutto il suo repertorio tecnico. Ha preso in mano più volte le redini della manovra, sovrapponendosi con un troppo remissivo Jorginho, e dai suoi piedi sono partite alcune delle migliori iniziative degli azzurri. Un paio di pregevoli verticalizzazioni dirette a Immobile meritavano di essere tramutate in assist. In fase difensiva, poi, non ha fatto mancare la sua solita tempra e la sua abnegazione. Insomma, un vero leader del reparto: a quasi 27 anni, è giusto che sia così.
Chi continua a fare passi indietro è Jorginho, unico punto interrogativo del trio di centrocampo. Tanti passaggi orizzontali, poca voglia di rischiare e un paio di errori di troppo su gestioni semplici, che potevano risultare ben più fatali. Forse soffre troppo la sovrapposizione con Verratti, ma proprio per questo non è da escludere un arretramento dell’ex Pescara da vertice basso. Aggiungere una mezz’ala più fisica e offensiva al reparto (come Zaniolo, che ha dimostrato di poter fare tutto), darebbe maggiore densità in area e, probabilmente, una produzione offensiva maggiore. Dell’altra mezz’ala, invece, non c’è di cui preoccuparsi. Nicolò Barella incarna perfettamente lo spirito di questa nazionale: gioventù, carattere, qualità e sacrificio. Il suo gol, il primo di un giocatore cagliaritano nella storia della nazionale, ha indirizzato subito la partita permettendo una gestione in scioltezza e spalancando delle praterie sulle ripartenze. In un altro paio di occasioni ha lanciato Kean in solitaria con delle verticalizzazioni a fendere l’intero reparto difensivo finlandese. E poi la solita corsa, la solita garra, per utilizzare un termine in voga. Vale davvero più di 50 milioni di euro, come dichiarato da Giulini? La classe di altri colleghi di reparto forse non l’avrà mai, ed è vero che la conclusione in porta è da affinare. Ma quel che è certo è che Barella, nei fatti, sta dando prova di meritare attenzioni e posto in nazionale.
Tra i centrocampisti ci aggiungiamo anche Bernardeschi, alla sua prima con la numero 10. Pur partendo come esterno alto a sinistra, l’ex viola ha esteso il suo raggio d’azione praticamente in ogni zona di campo dalla trequarti in poi. Il rendimento (motivo per cui si può giudicare come rimandato) è andato a sprazzi, pur con la sua indistinguibile qualità. Le migliori iniziative sono arrivate a giochi in procinto di chiudersi, con un cross dalla sinistra e una verticalizzazione a cercare, in entrambi i casi, Quagliarella. Ad impedire di diventare un assist a referto ci ha pensato il portiere finlandese Hradecky, nel primo caso, e la traversa nel secondo. Proprio perché la sua partita è stata una continua ricerca della posizione ideale, il futuro di Bernardeschi in questa nazionale potrebbe proprio essere più sulla trequarti che sulla fascia. O addirittura come interno di centrocampo, a scambiarsi con Barella come accaduto più volte contro la Finlandia. Lui stesso, qualche giorno fa, ha dichiarato:
“Tuttocampista? Mi piacerebbe avere un ruolo alla De Bruyne, sia in nazionale che nella Juve. Finora ho giocato in diversi ruoli, e adesso sto lavorando da mezz’ala, posso farlo tranquillamente”.
TRE UOMINI E UN POSTO
Anche le punte hanno dato segnali differenti. Immobile non è riuscito a scrollarsi di dosso l’inspiegabile Kryptonite che lo affligge quando indossa la maglia azzurra. Oltre ai numeri (1 gol nelle ultime 15 partite della nazionale) ci sono da registrare le prestazioni, forse anche il frutto di un gioco che non valorizza le sue migliori qualità. Come da consueto l’attaccante della Lazio è riuscito a rendersi pericoloso nel momento in cui sono stati premiati adeguatamente i suoi attacchi in profondità alle spalle dei difensori, ma eccezion fatta per alcune situazioni (non sfruttate, peraltro, con lucidità), è stato praticamente un’ombra. Vale la sufficienza in pagella l’assist a Kean, non a caso frutto di una situazione di contropiede in campo aperto. Dove Ciro dà il meglio di sé.
Decisamente più pimpante è stato proprio Moise Kean, che alla prima da titolare in azzurro ha trovato subito il gol e infranto altri record: è il primo 2000 a segnare un gol in azzurro e il 2° giocatore più giovane a segnare un gol in nazionale (19 anni e 23 giorni), dietro al solo Bruno Nicolé (18 anni e 258 giorni). Ma oltre al gol, che già di per sé vale l’encomio, l’attaccante della Juve ha dato tutto per calarsi nella parte dell’esterno destro, nel tridente completato da Immobile e Bernardeschi (anche se poi come detto, la posizione in campo dei singoli ha mutato lo schieramento). Qualche giocata estemporanea, ottimi movimenti alle spalle della difesa (che con un pizzico di precisione nell’ultimo passaggio potevano portare all’assist per un compagno) e una buona propensione al sacrificio nella seconda metà del secondo tempo, quando l’Italia ha dovuto respirare per alcuni minuti e pensare più a contenere. Il ruolo, si vede, non è propriamente il suo ma, considerando i soli 182 minuti giocati in stagione, Kean ha dimostrato un’applicazione davvero ragguardevole. L’impressione è che, tra lui e Immobile, quello di troppo sia l’attaccante della Lazio.
Nota di merito per l’eterno Fabio Quagliarella, tornato in campo dopo più di 8 anni dall’ultima volta (17 novembre 2010). Qualche giro di orologio e si è procurato due grandi occasioni su due iniziative di Bernardeschi: prima, incornando perfettamente di testa verso l’angolino basso, con Hradecky a dirgli di no; poi, scaricando un destro micidiale da posizione defilata che si è stampato sulla traversa. Senza voler eccedere nella critica, il 36enne di Castellammare di Stabia ha prodotto più di quanto non abbia fatto il suo conterraneo nei precedenti 80 minuti. Quel che è certo è che il parco attaccanti a disposizione di Mancini rimane ricco di elementi (tra chi è stato chiamato e chi no) in grado di fornire qualcosa di buono.
Altrettanto evidente è il cambio di clima attorno a questa nazionale. La fase del progetto è ancora embrionale, la competizione non è ancora nel vivo e c’è tanto da lavorare su singoli e collettivo. Roberto Mancini però ha un primo grande merito: ha restituito entusiasmo. Non ci distaccheremo mai dall’idea che la pausa per le nazionali sia un intralcio alla nostra prima vera fede. L’evoluzione di questa squadra, però, è tutta da assaporare.