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Il countdown dell'Amburgo

Calcio e dintorni

Il countdown dell’Amburgo

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Il tempo: condizione inesorabile, dagli spalti al manto erboso, di una partita di calcio. Può essere sofferenza e tramutarsi in gioia; a volte è noia, ed altrettante è fascino spumeggiante; è, sempre, il protagonista. Ora allargate gli orizzonti ed immaginate che i minuti, da 90 (più eventuale recupero) diventino 28.777.716, con qualche secondo di scarto: una cifra esorbitante, che non conta più nulla.

54 anni, 261 giorni, 0 ore e 36 minuti, che equivalgono esattamente a quei 28.777.716 minuti di cui sopra: è un conteggio celebrato ed osannato tra generazioni, ma che ha perso ogni sua essenza in un pomeriggio di metà maggio 2018, con il sole che faticava inesorabilmente nel tranciare le nubi che coprivano Amburgo. Prima di arrivare a quel sabato 12 maggio, meglio viaggiare con il tempo. Si torna sempre a parlare di lui, del tempo.

ALL’ITALIANA

Fonte immagine: profilo Twitter @UEFAcom_de

La nostra storia parte da un uomo schietto, leale e particolarmente pragmatico.

La palla è rotonda ed una partita dura 90 minuti.

Avete mai sentito questa frase? Probabilmente la risposta è affermativa, ma difficilmente riuscireste a dire chi ne sia stato l’artefice. Una delle massime più famose sul calcio è attribuita a Sepp Herberger, leader incontrastato nella classifica degli anni alla guida di una Nazionale; Óscar Washington Tabárez (14 lune con l’Uruguay) e Vittorio Pozzo (21 con l’Italia) non lo vedono nemmeno da lontano. 28 anni sulla panchina della Germania prima della guerra e della Germania Ovest a conflitto terminato.

Se lo ricordano particolarmente bene i suoi connazionali, perché è grazie a lui se possiamo parlare del Miracolo di Berna: ai Mondiali di Svizzera ’54, l’Ungheria d’Oro di Ferenc Puskás soccombe sotto la rete di Maximilian Morlock e la doppietta di Helmut Rahn. La Germania Ovest è Campione del Mondo. Sì, ma cosa c’entra con le nubi ad Amburgo?

Non è una vittoria né il suo record imbattibile a collocare Herberger nella nostra narrazione a carattere temporale, bensì un pensiero divenuto volontà: il calcio tedesco necessitava di una riforma, giunta come pioggia dal cielo all’indomani dell’eliminazione ai quarti di finale dei Mondiali di Cile ’62. Serviva un girone all’italiana, un campionato che potesse far affrontare le compagini migliori dello Stato in una formula più lineare, coesa e meritocratica: nasce la Bundesliga.

DIE RAUTE

La città che inizia a vivere la rivoluzione calcistica tedesca nel 1963 è profondamente diversa da quella martoriata durante gli anni del conflitto mondiale, ma gli strascichi di quest’ultimo si fanno sentire. Amburgo non ha più 43 milioni di metri cubi di macerie o notti in cui colpi di vento infuocato si generano a 75 metri al secondo, bruciando migliaia di famiglie ed altrettante abitazioni; la Cortina di ferro imposta dopo la fine della guerra, però, ha ridotto notevolmente la superficie cittadina, che ha bisogno di superare psicologicamente gli anni più duri della sua esistenza.

Amburgo si aggrappa al suo porto, il più grande in tutta la Germania, alla sua ampia scena musicale, capace di inglobare l’ambiente rock ‘n roll a quello dell’hip-hop, e, soprattutto, al Die Raute: il diamante.

Fonte immagine: profilo Twitter @EmiStorace

Impossibile non riconoscerlo: il bianco e il nero si riferiscono ad una delle due compagini antiche della città, lo Sport-Club Germania, mentre lo sfondo blu è un richiamo al Blue Peter, uno degli innumerevoli segnali marittimi che ricordano la vocazione marinara della città. È al diamante che si affidano i sogni dei bambini e dei propri genitori, che dalla seconda metà degli anni ’70 iniziano a vedere i frutti delle sofferenze passate: l’Amburgo inizia a vincere, a vincere e a vincere ancora.

ORGOGLIO E DISONORE

L’istantanea chiave di quel rullino fotografico di successi è il pallonetto di Felix Magath a Dino Zoff nella finale di Coppa dei Campioni 1983: la Juventus di Giovanni Trapattoni cade come i troiani in un’Atene che porta in trionfo gli achei in maglia rossa, con il Die Raute poco sotto la spalla sinistra. È un 1-0 firmato dalla guida tecnica, il leggendario Ernst Happel, e dai suoi giocatori, capaci di ribaltare il pronostico della vigilia, che dava i bianconeri già con il trofeo in mano.

Fonte immagine: profilo Twitter @futbollokali

Sono l’orgoglio tedesco, la squadra a cui ambire e da cui prendere spunto, la compagine che nessuno vorrebbe affrontare. Non tutti in città, però, vogliono schierarsi dalla parte del migliore; in uno dei distretti che compongono il sobborgo urbano, viene ad attuarsi una separazione dal cordone ombelicale di matrice diamantata: è il quartiere di St. Pauli, dove si tifa per qualcosa che va oltre il singolo successo in campo.

A dirla tutta, negli anni d’oro dell’Amburgo, le due compagini della città si erano abituate a coltivare un sostanziale rispetto reciproco. Poi, però, è nata una frattura a stampo politico.

Fonte immagine: profilo Twitter @milkkore

In un’Amburgo dominata dal fenomeno capitalistico della società del diamante, entra a gamba tesa la comunità di tifosi del St. Pauli, con il suo vero e proprio fenomeno kult. Il Millerntor-Stadion viene spostato nel bel mezzo del Reeperbahn, il quartiere a luci rosse della città: liberalismo ed anti-capitalismo la fanno da padrone, con l’attitudine ribelle e progressista che si condensa nel simbolo della squadra, il Jolly Roger dei pirati, nato grazie all’iniziativa di Doc Mabuse, un tifoso con il rock e la trasgressione nelle vene.

È l’altro lato della medaglia, quello che contrappone l’umiltà e l’aiuto verso il prossimo alle campagne acquisti faraoniche dei cugini in città. Con il passare del tempo, però, la distanza inizia ad assottigliarsi: Amburgo e St. Pauli si assomigliano sempre di più nelle loro differenze e si distinguono in maniera altrettanto evidente nei loro punti di contatto.

(QUASI) DECLINO

Dopo le stagioni gloriose tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, l’Amburgo oscilla in un’altalena con la mediocrità a fare da ago della bilancia: la squadra si barcamena in un mare d’inefficienza, senza gioie né dolori. Piovono campionati disputati a metà classifica, lontani in egual misura sia dalla gloria che dal disonore.

Le due semifinali consecutive in Coppa UEFA ed Europa League, tra il 2009 ed il 2010, sembrano preannunciare un ritorno ai fasti di un tempo, ormai tiepidi ricordi nelle menti delle generazioni passate; in realtà, è l’inizio della fine. L’Amburgo è una miccia dalla quale propagare il più letale degli incendi dolosi, con la situazione che peggiora di anno in anno.

Chiedo scusa ai nostri tifosi, che non si meritano di pagare per questa merda. È stato un disastro, una prestazione oscena da parte di tutti noi.

Parola dell’estremo difensore Rene Adler, all’indomani del 1-5 subito contro l’Hoffenheim nell’agosto 2013. Punteggi simili sono all’ordine del giorno, specialmente se l’avversario si chiama Bayern Monaco; tra il 2011 ed il 2018, arriva una valanga di goleade subite: tre 5-0, due 6-0, due 8-0 ed un 9-2.

I problemi, però, non arrivano solo nel weekend. La polveriera Amburgo genera un valzer continuo di allenatori, una rissa tra compagni di squadra (Ivo Ilicevic con una testata su Michael Gregoritsch), svariati alterchi con gli ultras, l’ingaggio di uno psicologo per superare i traumi delle sconfitte e, soprattutto, il celeberrimo “Backpack gate“.

Peter Knäbel, direttore sportivo dei biancoblu, aveva dimenticato in un parco cittadino il proprio zaino, contenente decine di fascicoli privati della società. Un cittadino, trovato l’oggetto smarrito, si era reso conto della presenza dei documenti, così aveva chiamato la sede della società; pensando che fosse uno scherzo, la sua chiamata non venne presa sul serio, così l’uomo mandò tutto ai giornali tedeschi. Lo scandalo fu la classica goccia che fece traboccare il vaso, il quale, però, non si svuotò del tutto.

Nonostante fosse sprofondato nelle sabbie mobili della Bundesliga, in qualche modo il Die Raute riusciva comunque a rimanere aggrappato all’unica ambizione che gli era rimasta. Ricordate l’inesorabile scorrere del tempo? È il conto della storia sullo Stadionuhr, l’orologio del Volksparkstadion, la casa dell’Amburgo. Il tempo non si ferma, con i biancoblù che vedono aumentare sempre più la loro permanenza in Bundesliga: dall’idea di Sepp Herberger, non hanno mai abbandonato l’Olimpo del calcio tedesco. Sono gli unici superstiti e la leggenda li tiene a galla.

Si salvano nei play-off 2014 contro il Greuther Fürth e la spuntano anche l’anno successivo, quando Marcelo Díaz insacca una punizione dai 16 metri al fotofinish nel ritorno contro il Karlsruher. Poi, in un pomeriggio di metà maggio, il tempo si ferma.

COUNTDOWN

Fonte immagine: profilo Twitter @hassanscorner

Prima che l’orologio si fermi, vi cercheremo per tutta la città.

Diretti e concisi: era l’ultimatum degli ultras ai giocatori dell’Amburgo, che a dieci giornate dal termine del campionato erano ultimi a pari merito con il Colonia, inchiodati a 17 punti. La sedicesima posizione, valida per i play-off, distava sette lunghezze. Ma il tempo non aveva intenzione di ultimare il suo scorrimento così presto: si decideva tutto all’ultima giornata, in casa, sotto il passare dei minuti dello Stadionuhr.

L’orologio continua a scorrere se e solo se avviene un duplice allineamento astrale: l’Amburgo deve vincere in casa contro un Borussia Mönchengladbach che non ha più nulla da dire al campionato, mentre il già retrocesso Colonia deve battere un Wolfsburg che si gioca la salvezza.

Al 71′, la tensione inizia a sgretolare le speranze dei 57.000 presenti al Volksparkstadion: i beniamini di casa stanno conducendo per 2-1, ma il Wolfsburg si è appena portato sul 3-1. La città è divisa a metà: a nord-ovest vedono l’inferno, mentre a St. Pauli, nel centro, non vedono l’ora di accoglierli nelle fiamme. E poi, la fine, con rabbia e sconforto che assumono le stesse forme degli inferi che li aspettano: fuoco e fiamme salutano un’incisione storica negli annali del calcio tedesco.

Per ultimare la tragedia calcistica con la più amara delle ciliegine sulla torta, i tifosi del Borussia Mönchengladbach espongono uno striscione con un orologio: il tempo, però, non avanza. È un countdown destinato, come tutti, a finire con uno sciame di zeri.

Fonte immagine: profilo Twitter @FootyAccums

Da quel weekend meteorologicamente incerto, la città vive di un’animosità raramente provata in precedenza: ad ogni nuovo incontro in Zweite Liga tra i conservatori in biancoblù ed i progressisti in marrone, il Reeperbahn diventa un campo di battaglia dal quale è complesso uscire integri.

È una rivalità riscoperta, con il St. Pauli abituato di rado a bazzicare nei salotti della massima competizione tedesca: ora, però, il mutuo per l’inferno lo pagano in due. In attesa che il diamante possa continuare a veder scorrere i minuti: è il countdown per il ritorno alla normalità, in un’Amburgo che di ordinario ha ben poco.

Fonte immagine in evidenza: profilo Twitter @Maksee_

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Calcio e dintorni

Dal Real Madrid alla NASA: Antonio Pintus studia la preparazione atletica degli astronauti

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PINTUS – Antonio Pintus è una delle figure “di secondo piano” tra le più note del calcio mondiale. L’italiano ricopre attualmente l’incarico di preparatore atletico del Real Madrid, apice della sua carriera professionale dopo una lunga avventura nello staff di mister Conte. Le sue metodologie di allenamento hanno stupito tutti per l’intensità e per l’efficacia derivata da esse, come sottolineato da Jude Bellingham ad inizio stagione. La sua tecnica ha incuriosito gli esperti di vari campi lavorativi, anche lontani dal rettangolo verde.

Infatti, secondo quanto riportato da RelevoPintus è stato convocato dalla NASA, l’organo spaziale statunitense, per approfondire la preparazione atletica degli astronauti. D’altro lato, invece, i responsabili dell’azienda amministrativa hanno studiato la metodologia del diretto interessato. In questo modo, l’obiettivo è acquisire i migliori segreti per incrementare la prestanza fisica degli astronauti. Si tratta di una collaborazione insolita, ma a testimonianza della grande ammirazione nei confronti di uno dei migliori professionisti nel suo ruolo.

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ESCLUSIVA – La ‘Brigata Mai 1 Gioia’ di San Marino raccontata dai suoi partecipanti

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San Marino

Sembrerà strano a dirsi, ma – alla fine di questa pausa – la nazionale del San Marino vive uno dei momenti migliori della sua storia recente. È vero: i biancazzurri hanno concluso il loro gruppo di qualificazione ad Euro 2024 con nove sconfitte su nove partite giocate, ma nelle ultime tre gare del girone (contro Danimarca, Kazakistan e Finlandia) San Marino ha realizzato altrettanti gol, segnando a tutte e tre le compagini affrontate. Un vero e proprio record, considerando che non era mai successo nella storia della nazionale.

Ad essere felici, quindi, non sono solo i componenti dello staff tecnico e i giocatori, ma anche e soprattutto i tifosi del San Marino che, spoiler, sì, esistono. Ma non solo, la nazionale può vantare addirittura di un gruppo di tifosi organizzato, la ‘Brigata Mai 1 Gioia’, composta da appassionatissimi che da anni seguono le avventure della squadra anche all’estero. Abbiamo voluto conoscere meglio questo simpaticissimo gruppo intervistando Daniele Davide, membri ormai navigati della Brigata.

POPOLARI LONTANO DA CASA

Proprio in virtù delle diverse trasferte, la Brigata si è fatta conoscere ed apprezzare fuori da San Marino e l’Italia, prendendo in simpatia tante tifoserie straniere, oltre che la stampa estera. Una cosa che ha tenuto subito ad evidenziare Daniele, l’attuale leader del gruppo.

“Effettivamente è molto strano. Le testate internazionali ci hanno cercato in ogni modo, ieri per esempio ero sul DailyMail, ma mi hanno chiamato anche BBC e altre testate di un certo livello. In Italia invece c’è gente che si domanda ancora cosa esista a fare San Marino e non ne comprendo il motivo. A conti fatti il nostro gruppo è quasi più conosciuto all’estero che in patria e spero che le cose possano cambiare e si capisca perché tifiamo San Marino. Il risultato non c’entra nulla, è una filosofia radicata”.

Una cosa confermata anche da Davide, che ci ha detto:

“A Belfast (contro l’Irlanda del Nord ndr.) i tifosi volevano conoscerci e fare foto con noi. È stato molto bello, alcuni addirittura ci mettevano di fianco i loro bambini per scattare fotografie di ricordo, incredibile. In Italia ci considerano quasi degli appestati!”.

UN GRUPPO NATO PER GIOCO

Chiaramente, per raccontare e conoscere meglio la storia della Brigata mai 1 gioia, abbiamo dovuto far luce sulle sue origini e sulle ragioni che l’hanno spinta a nascere. A spiegarci tutto nei dettagli è stato ancora una volta Daniele.

Il gruppo è nato 11 anni fa da un’idea di Massimo, il suo fondatore. Per curiosità andò a vedere un match a San Marino e allo stadio si accorse che tutti gli spettatori erano seduti, esattamente come al teatro, e nessuno cantava. Questa cosa gli mise un po’ di tristezza e per gioco decise di fondare un gruppo che con il tempo si è espanso. Ora siamo circa in 30 e i nostri membri vengono da tutt’Italia, ma anche da paesi esteri come Germania e Austria”.

Sì, perché è importante specificare che dei circa trenta membri della Brigata, in pochi vengono da San Marino. Gli stessi Daniele e Davide non sono sammarinesi: il primo viene dalla Toscana e vive a Modena, il secondo è originario di Salerno. Doveroso, allora, chiedergli i motivi per i quali si sono avvicinati alla causa biancazzurra.

Mi piace il calcio pulito, quello in cui non ci si picchia ma si fa amicizia, potremmo definirlo quasi un ‘calcio rugbistico’. San Marino è un unicum: incontri tifosi delle altre nazionali all’inizio e alla fine della partita, li conosci, ci scambi le sciarpe e magari ci vai anche a prendere una birra. È come se ci fosse un habitat incontaminato, dove tra l’altro è possibile conoscere anche i membri della nazionale. A Belfast per esempio abbiamo conosciuto tutti e sono diventato amico di Dante Rossi (calciatore della rappresentativa sammarinese ndr.). Contro la Finlandia, poi, abbiamo avuto modo di parlare anche con il CT, che ci ha raccontato come stessero lavorando e cosa era successo nella partita precedente in Kazakistan. È un clima irripetibile, chiaramente è impossibile fare questo con l’Italia o con qualsiasi altra nazionale: a San Marino trovi qualcosa che non si può fare da nessun’altra parte e questo mi ha spinto ad appassionarmi”.

Per quanto riguarda Davide, invece:

“Da anni mi piace il calcio sammarinese, per me la Champions League inizia a giugno con i turni preliminari, e non a settembre con i gironi. Diversi anni fa trovai la pagina della Brigata su Facebook e iniziai a seguirla perché la trovavo una bella iniziativa. Nel 2019, poi, mentre studiavo a Bologna, sul gruppo scrissero che c’era un posto disponibile per andare a vedere una partita e mi ci fiondai. In quella gara il San Marino riuscì anche a segnare un gol, così i membri della Brigata pensarono che portassi fortuna e mi inclusero immediatamente nel loro gruppo. In realtà da allora il San Marino non ha mai vinto e uno dei pochi pareggi mi ha fatto anche perdere una schedina perché avevo scommesso sulla sconfitta! Fu comunque un’esperienza molto divertente che mi ha fatto entrare in un gruppo di amici”.

L’AIUTO DELLA FEDERAZIONE

Quella della Brigata, insomma, è una realtà piccola ma vivace che, peraltro, nell’organizzazione di viaggi e nell’acquisto dei biglietti, ha potuto anche contare sulla federazione sammarinese. Come anticipato da Davide, a volte i membri del gruppo possono accedere a fasi di vendita anticipata dei biglietti, soprattutto contro gli avversari di lustro internazionale. Ancora una volta Daniele ci ha chiarito la questione.

“Il rapporto con la Federazione c’è sempre stato anche se siamo un gruppo indipendente che, in base alle situazioni, può anche criticare. Dallo scorso settembre, comunque, il nostro rapporto è passato dall’essere confidenziale a ufficiale. C’è stato un incontro tra i tifosi, il presidente federale, il segretario generale e il CT. È stata l’occasione per sederci ad un tavolo e iniziare a collaborare, i nostri obiettivi come gruppo sono affini a quelli della federazione e lo scopo è quello di portare gente allo stadio. Quando possibile loro cercano di aiutarci con i biglietti: chiaramente andare a vedere il San Marino non è gratis, ma si cerca di agevolare i tifosi che vengono più spesso. Anche per l’organizzazione logistica delle trasferte spesso parliamo e ci organizziamo con la federazione stessa, siamo entità distinte ma non estranee e anche questa è una cosa che non puoi trovare altrove”.

UN’ESPERIENZA DA PROVARE

Alla fine della nostra intervista, abbiamo voluto chiedere ai due ragazzi se si sentissero di consigliare l’esperienza di entrare a far parte della Brigata mai 1 gioia e quali fossero i lati positivi del tifare una squadra che, risultati alla mano, non vince da quasi vent’anni. Ci hanno risposto così.

“Tifare San Marino”, ci dice Daniele, “non è come tifare una qualsiasi altra squadra. Bisogna cambiare il punto di vista: chiaramente se si pensa solo al lato calcistico si vedrà una nazionale che, piuttosto che a vincere, ambisce a perdere con dignità, e questo non è chiaramente il massimo per una persona che guarda esclusivamente al campo. Si deve guardare al pacchetto completo: se si vuole sfruttare il calcio per fare nuove amicizie e portare valori allo stadio, allora l’esperienza è consigliatissima“.

“Nella battaglia tra Davide e Golia noi siamo Davide, personalmente sarebbe troppo facile tifare una squadra che vince sempre. Noi pensiamo ai ragazzi che scendono in campo: anche in caso di sconfitta, se alzano lo sguardo trovano gente pronta ad applaudirli e a riconoscere il merito di ragazzi come noi che hanno il coraggio di affrontare professionisti dieci volte più forti di loro. Sfido tutti i leoni da tastiera che attaccano con cattiveria il San Marino a giocare in uno stadio di 40 mila persone contro gente del calibro di Hojlund ed Eriksen, per me è un atto quasi eroico e va riconosciuto”.

Per quanto riguarda Davide, invece:

Tifare San Marino non è per tutti ed è un’esperienza che consiglio solo a chi nella vita sa accettare bene le sconfitte. Sicuramente però è un qualcosa di molto costruttivo che, anche al di fuori del calcio, insegna a vivere in maniera più rilassata e a godere anche delle piccole cose. So che sembra esagerato, ma trovarsi nella Brigata può essere anche terapeutico e renderci delle persone migliori“.

Si ringraziano Davide e Daniele per la loro gentilezza e disponibilità.

 

 

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Calcio e dintorni

ESCLUSIVA – Il dott.Pazzona approfondisce la psicologia in ambito sportivo

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Psicologia dello sport

PSICOLOGIA DELLO SPORT – Il ruolo dello psicologo dello sport è spesso sottovalutato. L’aspetto mentale è fondamentale, infatti, nel rendimento di un atleta. Ma quanto incide la psicologia nel calcio? Lo abbiamo chiesto al dott. Riccardo Pazzona, psicologo dello sport, che ha approfondito dettagliatamente l’argomento in questione.

QUANTO INCIDE LA PSICOLOGIA SUL CALCIO?

Quanto incide la psicologia sulla difficoltà di ambientamento di un calciatore, come ad esempio De Ketelaere, che ha deluso le aspettative al Milan e che è stato costantemente attaccato dalla tifoseria milanista?
“Sicuramente l’aspetto psicologico incide tantissimo nella prestazione. La prestazione è composta da 4 pilastri; se noi immaginiamo questi pilastri come le gambe di un tavolo, se una di questi cade, ecco che allora ci sono una serie di ripercussioni che vanno ad influire sulla prestazione come nel caso di De Ketelaere che adesso sta rendendo meglio all’Atalanta. Nel caso di una nuova realtà, una persona con difficoltà di ambientamento non riesce ad esprimersi al meglio”.

 

Spesso si sente parlare di giocatori che scendono in campo nonostante non abbiano una condizione mentale adatta: crede che un calciatore che non è sereno debba evitare di scendere in campo?
“Possiamo rispondere in due modi. O in base a come sta il giocatore, si decide se farlo scendere in campo o meno; oppure se vogliamo pensarla in maniera più strutturata, in funzione del suo stato d’animo e delle sue sensazioni, noi professionisti possiamo intervenire sulla regolazione emotiva. Per far ciò, è necessario monitorare una serie di parametri in prossimità della gara, e sulla base di essi, si interviene con specifiche tecniche”.

 

Parliamo del ritorno di Ibrahimovic al Milan: lo svedese è un grande motivatore, d’altra parte i rossoneri stanno vivendo un periodo negativo. Quanto potrebbero incidere la grinta e il carisma di Ibra al Milan?
“Certo, perché comunque parliamo di un leader tecnico e carismatico. All’interno di un contesto in cui si trovava fino a poco tempo fa, sicuramente avrà un bell’impatto. Il suo ruolo sarà presumibilmente quello di un trascinatore”.

 

Capitolo calcioscommesse: Fagioli e Tonali hanno subìto una squalifica piuttosto lunga. Quanto può incidere psicologicamente nella loro carriera?
“Non possiamo saperlo allo stato attuale. Quello che possiamo fare noi, da psicologi dello sport, è quello di gestire il momento, accompagnarli emotivamente in questo percorso complesso, ridefinendo gli obiettivi, perché ovviamente ci sarà un ritorno in campo e bisogna farsi trovare pronti”.

 

Abbiamo sentito parlare molte volte di “infortuni psicologici”, come nel caso di Nico Gonzalez quando fu accusato da Italiano di infortunarsi per problemi psicologici. Quanto effettivamente il fattore mentale può influire su un infortunio?
“A livello di probabilità di insorgenza di un infortunio, l’aspetto mentale incide in relazione allo stress che l’atleta sta sperimentando. Dal punto di vista del recupero dell’infortunio l’aspetto mentale pesa tantissimo ma, purtroppo, spesso non viene preso in considerazione. Un calciatore, infatti, per rientrare in campo, oltre ad essere pronto fisicamente, deve esserlo anche psicologicamente, perché l’infortunio è un vero e proprio trauma anche a livello emotivo. Questo può portare ad essere più limitati in campo magari per paura di farsi male”.

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Il Monza si schiera contro la violenza sulle donne: l’iniziativa contro il Torino

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Dove vedere Monza-Reggiana in tv e streaming

MONZA VIOLENZA SULLE DONNE – Il Monza, che stasera scenderà in campo contro il Torino in un match valido per la 12esima giornata di Serie A, ha deciso di giocare un ruolo importante sulla scena sociale.

Infatti, i brianzoli indosseranno una divisa speciale in occasione della partita odierna, posizionandosi attivamente nella battaglia contro la violenza sulle donne. I giocatori guidati da mister Palladino mostreranno una scritta particolare sul front delle loro maglie da gioco, riportanti la frase:

“Era l’uomo dei miei sogni, oggi è il mio incubo”.

L’iniziativa, volta a ricordare la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che cadrà il 25 novembre, avrà un importante valore non solo morale, ma anche economico. Pertanto, i biancorossi doneranno in beneficienza le divise al termine della gara per supportare le vittime coinvolte in questo grave fenomeno.

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