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Dove vedere Cremonese-Juventus in TV e streaming

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Dove vedere Cremonese-Juventus in TV e streaming

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Dove vedere Juventus-Monza

DOVE VEDERE CREMONESE-JUVENTUS IN TV E STREAMING – Il conto alla rovescia sta per terminare! Ancora poche ore e la Serie A riaprirà definitivamente i battenti dopo la lunga sosta per i Mondiali. Dopo quasi due mesi di stop, si ripartirà dalla sedicesima giornata. Tra i match di questo turno ci sarà Cremonese-Juventus: il fischio d’inizio è previsto per le 18:30 di mercoledì 4 Gennaio.

COME ARRIVANO LE DUE SQUADRE

La Cremonese, che attualmente occupa la diciottesima posizione in classifica, sta vivendo un ritorno in Serie A molto complicato, con soli 7 punti conquistati e ancora nessuna vittoria. Per puntare alla salvezza, dunque, la formazione grigiorossa dovrà invertire la rotta e fare meglio rispetto a quanto messo in atto fino ad ora.

La Juventus, invece, si trova al terzo posto con 31 punti, ma non ha vissuto certamente un periodo semplice negli scorsi mesi. Nelle ultime partite di campionato, però, la  Vecchia Signora ha mandato segnali di ripresa, mettendo a segno sei vittorie consecutive senza subire gol. Dalla compagine bianconera, dunque, ci si aspetta un grande ritorno.

DOVE VEDERE CREMONESE-JUVENTUS IN TV E STREAMING

Il match tra Cremonese e Juventus, valevole per la 16ª giornata di Serie A, verrà trasmesso in diretta esclusiva su Dazn. Per gli abbonati a Sky, sarà possibile seguire il match sul canale 214, attraverso l’attivazione di “Zona Dazn”.

PROBABILI FORMAZIONI

La Cremonese dovrebbe scendere in campo con un equilibrato 3-5-2. Mister Alvini avrà a disposizione tutta la squadra, eccezion fatta per Vlad Chriches, alle prese con un infortunio muscolare che lo ha costretto a saltare già 10 partite.

Schieramento speculare anche per la formazione di mister Massimiliano Allegri. Ancora indisponibili per infortunio Bonucci, Cuadrado, Kaio Jorge, Pogba e Vlahovic. Non saranno della partita nemmeno Di Maria e Paredes, ancora in vacanza dopo la vittoria del Mondiale. Di seguito vi proponiamo le probabili formazioni di Cremonese-Juventus.

CREMONESE (3-5-2): Carnesecchi; Aiwu, Hendry, Lochoshvili; Sernicola, Meité, Ascacibar, Pickel, Valeri; Dessers, Okereke. Allenatore: Massimiliano Alvini.

JUVENTUS (3-5-2): Szczesny; Danilo, Bremer, Alex Sandro; McKennie, Fagioli, Locatelli, Rabiot, Kostic; Kean, Milik. Allenatore: Massimiliano Allegri.

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Calciomercato

Chi è Martin Baturina, il “nuovo Modric” seguito da mezza Europa

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CHI È BATURINA – Il “nuovo Modric“: così lo chiamano in patria. Forse a sproposito, perché Martin Baturina, calciatore croato classe 2003, è un trequartista puro con spiccate caratteristiche offensive. La classe, però, c’è ed è quella del grande giocatore. Proprio come nel caso del campione in forza al Real Madrid, anche in Baturina, quando lo si osserva, le prime cose che si notano sono la qualità tecnica e l’estro palla al piede. Due realtà completamente diverse, da una parte quella del campionato croato e della Dinamo Zagabria, dall’altra quella della Liga spagnola e del club più vincente al mondo, il Real, ma Baturina può essere davvero il nuovo Modric: andiamo alla scoperta di questo giocatore che, da qualche mese, non sta facendo parlare di sé solo in patria, ma anche lontano da casa.

CHI È BATURINA – CARATTERISTICHE TECNICHE E CARRIERA

Martin Baturina è un trequartista (che però può destreggiarsi anche da esterno d’attacco) alto 1.72m e di piede destro. Nasce in Croazia, a Spalato, il 16 febbraio 2003. Il ragazzo muove i primi passi nelle giovanili dell’Hajduk, la squadra più importante della sua città, per poi passare, a 12 anni, al vivaio del RNK Split. All’età di 14 anni arriva la chiamata della Dinamo Zagabria: Baturina lascia le rive dell’Adriatico per spostarsi nell’entroterra e inseguire il sogno di diventare un calciatore professionista. Nella capitale croata conclude la trafila delle giovanili, per poi esordire in prima squadra il 16 maggio 2021, nel match contro l’HNK Gorica, e partire titolare sei giorni dopo, nell’ultima di campionato (vinto, ovviamente, dalla Dinamo) con l’HNK Sibenik.

Dopo il primo impatto con i grandi, Baturina trova sempre più spazio nella stagione 2021/22 (13 presenze in campionato, con 2 gol e 5 assist, e 2 in Europa League, 2 in coppa nazionale, 1 in Supercoppa di Croazia e, infine, 1 nelle qualificazioni di Champions League, per un totale di 19 apparizioni), per poi diventare un titolare fisso nella scorsa stagione, quella 2022/23. In questo inizio di anno, Baturina sta continuando a far bene: per lui già 25 presenze tra tutte le competizioni, condite da 3 reti e 2 passaggi vincenti. Il 17 luglio Baturina ha deciso la finale di Supercoppa croata contro il “suo” Hajduk Spalato segnando il gol vittoria. Il 18 novembre, poi, Baturina ha esordito anche con la nazionale maggiore croata, nella sfida di qualificazione a Euro 2024 contro la Lettonia. La Croazia, tra l’altro, sarà avversaria dell’Italia nella fase a gironi dei prossimi Europei in Germania.

CHI È BATURINA – VOCI DI MERCATO

Martin Baturina è ormai pronto per il salto nei massimi campionati Europei. Il suo valore di mercato, secondo il portale Transfermarkt, si aggira attorno ai 15 milioni di euro. Il croato sembrava a un passo dall’Arsenal (un club che, di giovani, se ne intende) già nella scorsa estate, poi la trattativa naufragò. È possibile che i Gunners tentino di nuovo l’approccio già a gennaio o magari in estate, ma sono molte le squadre che hanno messo gli occhi sul talento della Dinamo Zagabria. In Italia, ad esempio, sembra che l’Atalanta segua con molta attenzione il calciatore. Anche le stesse Napoli, Milan e Roma hanno chiesto informazioni. Chi la spunterà? In ogni caso, seguiremo attentamente l’evoluzione di Baturina: sarà davvero il “nuovo Modric”?

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È la settimana di Juventus-Napoli: dove nasce la rivalità tra bianconeri e azzurri?

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Kostic

L’ultima giornata di campionato ha visto ancora confermarsi le prime due classificate della Serie A: la Juventus è riuscita ad uscirne vincitrice dalla trasferta di Monza con il gol di Gatti nei minuti di recupero dopo il momentaneo 1-1 di Valentin Carboni. L’Inter ha invece conquistato con sicurezza i 3 punti con un 3-0 al Maradona contro il Napoli di Mazzarri.

Proprio nel prossimo turno di Serie A ecco che si potrà vedere un altro big match: questa volta sarà la Juventus ad ospitare il Napoli. Il tecnico degli ospiti torna a sfidare i bianconeri sulla panchina azzurra dopo la stagione 2012/2013. Contro Massimiliano Allegri l’ultimo scontro risale invece ad aprile 2022, quando Cagliari e Juventus si sfidarono per la giornata numero 32.

Ma andiamo a scoprire, nonostante una importante storia calcistica differente, quali sono le motivazioni che hanno portato a rendere speciale, soprattutto lato Napoli, questa sfida.

IL PASSATO

Le ragioni di una rivalità accesa nella storia recente del campionato italiano partono soprattutto dagli anni ’80, anni in cui la Serie A stava iniziando a primeggiare sui restanti campionati europei (dagli anni ’90 il vero dominio anche grazie alle conquiste delle Coppe europee). Tutto coincide con l’arrivo di Diego Maradona al Napoli, che con il Diez argentino inizia a diventare una squadra competitiva, e l’arrivo di Le Roi Michel Platini alla Juventus qualche anno prima. Ci troviamo dunque in un contesto dove i due giocatori più forti al mondo giocano nello stesso campionato, in contrapposizione fra due squadre di una importante geografica, culturale e sociale. Questi fattori hanno portato ad accendere in qualcosa di più che in una semplice sfida fra due club.

Dopo la Coppa dei Campioni macchiata dal ricordo del disastro dello stadio Heysel del 1985, la Juventus si attrezza per riportare il titolo di Campione d’Italia dopo che nella stessa stagione il Verona conquista il suo primo e unico scudetto della storia. La Vecchia Signora porta a casa l’obiettivo, ma è dalla stagione 1986/1987 che il duello Napoli-Juventus inizia per la conquista al titolo. Nel mentre, già nella stagione precedente Maradona aveva già saputo lasciare il segno con la sua punizione divina per la vittoria con il risultato di 1-0 al San Paolo.

Nel 1986/1987 il primo segnale arriva dal Napoli, ed è importante: dopo 28 anni gli azzurri trionfano al Comunale di Torino e portano a casa una vittoria fondamentale (1-3), che gli lancia in testa alla classifica dopo che, con 8 giornate disputate, condividevano la prima posizione con i bianconeri. Ma è nel marzo del 1987 che arriva il colpo decisivo: in un San Paolo mai così teso la Juventus passa prima in vantaggio con Serena, ma i padroni di casa riescono a rimontare con Renica e Bagni. A fine anno sarà scudetto. Questa è la prima volta che Napoli è Juventus vengono poste a serio confronto, ed è qui che nascerà un vero e proprio conflitto che si trascinerà fino ai giorni attuali.

IL PRESENTE

I motivi per cui ancora oggi troviamo una rivalità (soprattutto da parte del Napoli) probabilmente è per via della prime e accese sfide per gli storici scudetti azzurri sotto il segno di Maradona nel 1987 e 1990. Ma è anche per le recenti battaglie nei campionati passati e di alcuni passaggi di mercato che hanno portato i tifosi partenopei a sentire ancora di più la sfida con Madama. Prima il ritorno in Serie A, entrambe nel 2007. Per entrambe le uscite da un inferno chiamato Calciopoli da una parte e Serie C dall’altra. Infatti il Napoli, passato nella mani di Aurelio De Laurentiis, riuscirà consecutivamente a vincere prima in Serie C il proprio girone con Edy Reja sulla panchina e a risalire nel massimo campionato italiano grazie alla seconda posizione in Serie B nel 2006/2007, dietro alla Juventus di Deschamps.

Entrambe le squadre tornano ad essere a competitive (bianconeri subito in Champions League nel 2007/2008) ma è la Juventus che torna di nuovo vincitrice e lo farà per 9 anni consecutivi dal 2011/2012. In questi anni, è anche il Napoli la seconda forza del campionato. Nel 2012/2013 con Mazzarri, poi ancora con Sarri nel 2015/2016 dove per un lungo periodo visto l’inizio difficoltoso per la Juventus riesce a primeggiare in campionato.

Poi, ecco arriva l’acquisto che accenderà ancor di più la tensione fra le squadre: Gonzalo Higuain, dopo tre stagioni al Napoli ed un record di 36 gol, passa alla Juventus dopo il pagamento della clausola rescissoria di 94 milioni. Saranno anni in cui il Pipita verrà bersagliato dai suoi ex tifosi, con l’argentino che spesso riuscirà a lasciare il segno contro il Napoli. Nel 2017/2018 arriva poi il campionato dove la formazione di Sarri riesce ad essere più competitiva, vincendo anche allo Stadium per 1-0 nei minuti finali con Koulibaly. A nulla però serviranno gli sforzi dopo la sconfitta per 3-0 con la Fiorentina.

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Perchè la Fiorentina non è pronta per giocare con le due punte

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Vincenzo Italiano - Fiorentina

FIORENTINA, HA DAVVERO SENSO PRETENDERE LE DUE PUNTE? – Sebbene sia arrivato, su rigore, il primo gol in Serie A di Beltran in casa Fiorentina continuano a tenere banco le discussioni sulla questione prima punta.

La mancanza di gol da parte delle punte (e in realtà anche dell’intero reparto offensivo) della Viola ci presenta una condizione assolutamente paradossale: da una parte abbiamo una squadra che crea una mole di gioco spaventosa, dall’altra un reparto attaccanti che se non fosse per Nico Gonzalez avrebbe dei numeri impietosi.

QUALCHE NUMERO

Tra coppa e campionato, Beltran e Nzola hanno racimolato in totale soli 5 gol (di cui due segnati su rigore). Il solo Nico Gonzalez nelle due competizioni è a quota 9, quasi il doppio.

Realtà assolutamente ai limiti dell’inverosimile, e che pone un grosso punto interrogativo sul reparto attaccanti di questa stagione, completamente rivoluzionato rispetto all’anno scorso e urgentemente bisognoso di una quadra.

LE COLPE DI ITALIANO

Parte delle responsabilità del poco rendimento della coppia di attaccanti è senza dubbio imputabile a Vincenzo Italiano. Nella sua politica di gestione della rosa, è noto il continuo switch di interpreti nella quasi totalità dei ruoli, con eccezion fatta per un paio di intoccabili (vedi il già citato Gonzalez o il capitano Biraghi).

Approccio che presenta senza dubbio dei benefici, quali per esempio la responsabilizzazione di tutti i componenti della rosa, ma d’altra parte può portare a delle problematiche dal punto di vista della “sicurezza” e della fiducia in sé di alcuni interpreti.

Soprattutto nel delicato ruolo della prima punta la continuità è fondamentale, ed è importante che (ovviamente nei limiti) questa non senta troppo la pressione della concorrenza e la necessità di far gol per esser confermata negli undici titolari.

La continua alternanza porta ad una sfiducia nei propri mezzi del giocatore, e specificatamente per il numero 9 la continua discussione della propria titolarità può realizzarsi poi in prestazioni caotiche e inquiete, più predisposte al gol a tutti i costi che a un gioco lucido finalizzato alla collettività.

C’è da aggiungere inoltre che Beltran e Nzola sono due attaccanti con caratteristiche molto diverse e impostare la stessa tipologia di gioco su entrambi senza differenziarla a seconda di chi è titolare potrebbe in definitiva non valorizzare nessuno dei due.

L’IDEA DEL CAMBIO MODULO

Per risolvere l’annosa questione più volte si è letta da parte dei media e una frangia della tifoseria la proposta di cambiare modulo e impostare un attacco che preveda l’utilizzo di entrambe le due punte. L’idea potrebbe anche avere un suo senso, d’altronde Nzola e Beltran sono assolutamente compatibili e hanno le caratteristiche perfette per giocare insieme. Ma ciò potrebbe portare a delle problematiche importanti, che cercheremo adesso di sviscerare.

Partiamo da un punto fondamentale. I moduli che plausibilmente Italiano dovrebbe utilizzare per coinvolgere i suoi due pivot sarebbero due: il 4-3-1-2 o il 4-4-2 (moduli con difesa a 3 non sarebbero sostenibili per caratteristiche tattiche e scarso numero di difensori a disposizione).

Nel primo caso sorgerebbero due incognite: la posizione di Nico Gonzalez e il fatto che questo modulo non preveda il ruolo dell’esterno. Per quanto l’argentino classe ’98 potrebbe sicuramente adeguarsi al ruolo di trequartista dietro le due punte (nonostante ami giocare in zone più defilate del campo), la totale assenza di slot per i numerosi esterni che la Fiorentina ha a disposizione è un problema non di poco conto. Giocatori come Sottil, Kouame, Ikone o Brekalo si ritroverebbero in totale smarrimento e non vi sarebbe un ruolo adatto in cui possano rendere con efficacia.

In più, la viola non ha in rosa giocatori che possano effettivamente sostituire Beltran e Nzola, e nel caso in cui uno dei due debba rifiatare l’unica soluzione plausibile sarebbe quella di adattare in quel ruolo un ala d’attacco, dinamica che però snaturerebbe del tutto l’equilibrio tattico della squadra.

Nel caso invece di un 4-4-2 si aprirebbe un grattacapo di enorme valore: a chi rinunciare tra Bonaventura e Arthur? Dati i due soli slot disponibili a centrocampo, è chiaro che per mere questioni di fisicità Italiano sarebbe costretto a rinunciare con grande amarezza a uno dei due, per favorire la presenza di un interditore (che potrebbe essere Duncan o Mandragora).

La domanda sorge spontanea: val davvero la pena rinunciare a uno dei due giocatori più qualitativi della rosa solo per favorire la presenza delle due punte?

Si apre poi un tema, se vogliamo anche filosofico, che è legato al duro lavoro svolto dal tecnico in questi tre anni per imporre un gioco così di alta qualità a questa squadra.

Non è detto che Italiano sia disposto a snaturare l’anima della sua formazione solo per favorire la presenza delle due punte. Questo vorrebbe dire infatti rivoluzionare il suo dogmatico 4-3-3 e scendere a compromessi tattici a cui l’allenatore ex Spezia non è costretto a giungere, col rischio tra l’altro di dover affrontare una rivoluzione tattica nel bel mezzo della stagione.

LE COLPE DELLA DIRIGENZA

Impossibile non citare le responsabilità da parte della dirigenza, che almeno dal punto di vista offensivo nella sessione di mercato estiva poteva sicuramente far di più.

Se infatti è doveroso dedicare un gran plauso per l’arrivo a Firenze di giocatori di qualità come Arthur o Parisi, lo stesso non si può dire sulle scelte riguardo il centro dell’attacco fiorentino, che non vede interpreti di valore dall’era Vlahovic.

Dopo il serbo, si son susseguiti giocatori mediocri o comunque poco funzionali al gioco di Italiano, due tra tutti Cabral (oggi riserva del Benfica) e Jovic (in gran difficoltà al Milan), oltre che la dimenticabile parentesi Piątek.

L’ultima sessione di mercato estiva poteva esser sfruttata per puntare su una punta di alto rango, ma la società ha deciso invece di virare su Beltran, classe 2001 con gran potenziale ma più adatto a compiti di rifinitura che di finalizzazione, e Nzola, con caratteristiche più affini alle richieste del tecnico ma storicamente molto discontinuo dal punto di vista prestazionale.

Per l’acquisto di entrambi la Fiorentina ha speso quasi 40 milioni di euro, cifra che poteva probabilmente esser investita per portare a Firenze una sola punta, ma che potesse dare garanzie sia sotto il profilo realizzativo che di funzionalità.

Ad oggi invece la squadra di Italiano si ritrova ancora offensivamente irrisolta, e per la seconda stagione consecutiva senza un attaccante di riferimento che possa dare certezze all’ambiente.

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Calcio Internazionale

Preferisco la Coppa: Coppa dei Campioni 1979/80

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Il 29 agosto 1979 prende il via la Coppa dei Campioni 1979/80, con l’ormai consueto turno preliminare, visto il numero dispari (33) di squadre partecipanti alla competizione.
La sfida sorteggiata per dare inizio al torneo, però, assume sin dal sorteggio un’aura di tensione e pericolo, visto che le squadre sono Dundalk e Linfield, rispettivamente Campioni d’Irlanda e Irlanda del Nord.
Inutile rivangare il momento storico che vivono i due paesi, perennemente in lotta tra di loro per motivi religiosi e politici; tutto fa pensare, però, che per due serate la situazione possa rimanere tranquilla, ma non sarà così.

LA BATTAGLIA DI ORIEL PARK

Il match d’andata si gioca ad Oriel Park, teatro delle partite casalinghe del Dundalk, in un ambiente blindato, con le due società che si sono immediatamente attrezzate per evitare scontri tra le tifoserie.
Le misure di sicurezza, però, non riescono ad arginare il terribile pomeriggio che la città irlandese sta per passare, con i tifosi del Linfield che entrano in contatto per le strade della città con quelli del Dundalk e poi proseguono nello scontro sugli spalti dell’impianto.
Le scene a cui assistono i poliziotti antisommossa e tutti i presenti sono terribili, la mega rissa, che poi passerà alla storia come The Battle Of Oriel Park rappresenta uno dei momenti più sanguinosi mai visti in terra irlandese a margine di un evento sportivo.
Dopo che la squadra del Linfield, guidata dal proprio allenatore, Roy Coyle, entra in campo e fa appello ai propri sostenitori per fermare la mattanza e per far svolgere regolarmente la partita.
L’incontro, dopo un primo tempo senza emozioni, con le due squadre ancora scosse dalle scene viste sugli spalti, vede gli ospiti, a sorpresa, in vantaggio ad inizio ripresa grazie al gol di Feeney.
Il vantaggio calma ulteriormente i tifosi del Linfield e la partita sembra scorrere via senza altri problemi, fino al gol del pareggio del Dundalk, siglato all’80’ da Devine, che riaccende gli animi.
Gli ultimi minuti della partita, di fatto, non si giocano, con le due squadre che decidono di chiudere così e rimandare tutto al ritorno, mentre sugli spalti continuano gli scontri.
Dopo una gara d’andata giocata in un clima del genere, la UEFA decide di multare il Dundalk per le pessime misure di sicurezza adottate, mentre con il Linfield sceglie la mano pesante.
Il club nordirlandese, infatti, non potrà giocare a Belfast le due successive partite in campo europeo e dovranno indennizzare il Dundalk per i danni causati e per le spese che avrebbero sostenuto per il viaggio verso il ritorno.
Sette giorni più tardi, il 5 settembre, la sfida di ritorno si gioca all’Harleem Stadium, in Olanda, visti i buoni rapporti tra il Linfield e la squadra locale.
L’incontro viene giocato in uno stadio praticamente deserto, con meno di mille spettatori presenti e viene vinto agevolmente dal Dundalk, grazie alla doppietta di Muckian.

IL TONFO DEL MILAN

Dopo un preliminare così intenso, soprattutto sugli spalti, la Coppa dei Campioni 1979/80 può finalmente iniziare, con subito molte sorprese nel primo turno.
Come nella scorsa edizione, il Liverpool esce ai sedicesimi, questa volta contro la Dinamo Tbilisi, ormai presenza fissa della rubrica.
I Reds vincono 2-1 ad Anfield, ma vengono clamorosamente surclassati al ritorno con un 3-0 che non ammette repliche.
Se il Liverpool esce mestamente, l’Ajax torna prepotentemente tra le candidate al titolo, rifilando un sontuoso 16-2 ai poveri finlandesi dell’HJK Helsinki.
Vincono i loro confronti agevolmente anche i Campioni in carica del Nottingham Forest (3-1 all’Östers e il Real Madrid (3-0 al Levski Sofia), ma la vera sorpresa arriva da San Siro, dove il Milan cade contro il Porto.
I rossoneri, con Massimo Giacomini in panchina, iniziano la loro avventura europea all’Estádio das Antas, riuscendo a contenere le offensive dei padroni di casa e portando a casa uno 0-0 prezioso in vista del ritorno.
Due settimane dopo, però, il Milan è irriconoscibile e sciupone, mentre il Porto capitalizza al meglio una delle poche occasioni avute, con Duda che buca Albertosi (non perfetto) su calcio di punizione.
Il risultato non cambia più e per i rossoneri la Coppa dei Campioni è già finita, tra l’incredulità generale.
Purtroppo per il Milan questa non sarà la notizia peggiore della stagione, visto che, in seguito allo Scandalo del TotoNero i rossoneri verrano retrocessi d’ufficio in Serie B, per la prima volta nella loro storia.

LA RISCOSSA DELLE BIG

I Dragoes escono al turno successivo, gli ottavi, quando il Real Madrid di Vujadin Boskov riesce a superare i portoghesi con il brivido.

I Blancos escono sconfitti dall’Estádio das Antas per 2-1, ma la rete siglata da Cunningham nella ripresa lascia aperto uno spiraglio in vista del ritorno al Bernabeu.
Il 7 novembre 1979 basta un gol di Benito ad un quarto d’ora dalla fine agli spagnoli per superare il turno.
Il Real non è l’unica big europea che, nella Coppa dei Campioni 1979/80 sembra decisa a tornare a splendere, visto che anche l’Ajax sembra essere tornato ai fasti di inizio decennio.
I Lancieri, dopo aver superato l’HJK Helnsiki pescano i ciprioti dell’Omonia Nicosia agli ottavi.
Il match d’andata si gioca il 24 ottobre, il giorno prima dell’arrivo, nelle sale italiane, di “Alien”, uno dei capolavori della filmografia di Ridley Scott e dell’intera cinematografia mondiale.
La doppia sfida tra Ajax e Omonia è senza storia, con gli olandesi che vincono addirittura 10-0 all’andata, sospinti da un magistrale Søren Lerby, autore di 5 reti. Al ritorno i ciprioti vinceranno 4-0 contro un Ajax in versione decisamente soft.
Le due corazzate passano anche i quarti di finale, con i Lancieri che rifilano un secco 4-0 allo Strasburgo, mentre il Real Madrid fatica più del dovuto contro il rivitalizzato Celtic, che vince 2-0 in Scozia all’andata, facendo correre più di un brivido lungo la schiena dei Blancos.
Gli spagnoli, però, ribaltano tutto al Bernabeu, con una prestazione splendida chiusa con un 3-0 firmato da Santillana, Stielike e Juanito.
Dunque Ajax e Real Madrid raggiungono le semifinali e non finiscono accoppiate assieme, facendo già pensare ad un epico scontro nella finalissima che si giocherà proprio nella tana degli spagnoli…

POTENZA TEDESCA

Il Real Madrid fa il suo dovere all’andata delle semifinali, quando supera per 2-0 l’Amburgo grazie a una doppietta di Santillana nel finale.
Il vantaggio ottenuto in casa fa pensare ai madrileni già in finale, ma i tedeschi hanno piani ben diversi.
Cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, l’Amburgo può contare su una formazione di tutto rispetto, con alcuni giocatori ormai in pianta stabile della Die Mannschaft, come Manfred Kaltz e Horst Hrubesch, oltre al talentoso Felix Magath, fantasista della squadra.
Oltre ai talenti locali, i tedeschi possono contare anche sulla qualità di Kevin Keegan, ex fenomeno del Liverpool di inizio anni ’70.
È proprio l’inglese, il 23 aprile 1980, a guadagnarsi il calcio di rigore che sblocca il match al ritorno, dopo dieci minuti di gioco. Dal dischetto Kaltz batte senza problemi Garcia e porta avanti i tedeschi.
La spinta dell’Amburgo alla ricerca della rimonta è incessante e dopo qualche minuto arriva il 2-0 con Hrubesch che riceve un bel cross di Reimann e mette in rete di testa.
A questo punto, con il punteggio in perfetta parità, il Real ha l’unico sussulto della sua partita, con Cunningham che sfrutta un’uscita decisamente maldestra del portiere tedesco Kargus e realizza il 2-1 con un delicato pallonetto. La rete subita spezzerebbe le gambe a molte squadre, specie dopo l’avvio magnifico messo in atto dal’Amburgo, invece i padroni di casa continuano ad attaccare e capitalizzano al meglio le occasioni create.
Al 37’ Kaltz si regala un’altra gioia con un siluro dalla distanza, mentre poco prima del duplice fischio tocca a Hrubesch realizzare la propria doppietta, ancora di testa, su cross di Memering.
Il secondo tempo è una pura formalità per l’Amburgo, che trova anche il 5-1 con lo stesso Memering nel finale.
Dunque l’Amburgo è la prima finalista, mentre la seconda verrà fuori dalla sfida tra l’Ajax e i campioni uscenti del Nottingham Forest.

LO SCHERZO CONTINUA…

Il 9 aprile 1980 al City Ground va in scena l’andata della semifinale tra i Tricky Trees e i Lancieri, in un match che solo pochi anni prima sarebbe stato totalmente assurdo vista la storia dei due club.
Gli inglesi di Clough dimostrano di non avere nessun timore reverenziale nei confronti degli olandesi e partono a spron battuto, trovando il vantaggio poco dopo la mezz’ora con Francis, ben appostato durante un corner dalla sinistra.
La partita è a senso unico e solo l’imprecisione del Nottingham permette all’Ajax di rimanere a galla, fino al 61’, quando un’uscita spericolata di Schrijvers su Francis induce l’arbitro a concedere un rigore ai padroni di casa, trasformato da Robertson.
Due settimane dopo in Olanda l’Ajax tenta di rientrare in partita, ma riesce solamente a trovare uno striminzito 1-0, firmato da Søren Lerby.
Nonostante l’uscita dei Lancieri, il danese si porta a quota 10 reti in Coppa dei Campioni e si laurea capocannoniere della competizione.
Al fischio finale è festa per il Nottingham, che per la seconda volta consecutiva è in finale.

DUE SU DUE

28 maggio 1980, da cinque giorni i cinema proiettano uno dei più grandi film horror di sempre, “Shining” che mette in luce uno strepitoso e incontenibile Jack Nicholson, diretto dal genio di Stanley Kubrick.
Al Santiago Bernabeu di Madrid va in scena la finale della Coppa dei Campioni 1979/80, tra Amburgo e Nottingham Forest.
Purtroppo per gli appassionati entrambe le formazioni sono prive dei loro bomber, infatti Horst Hrubesch, soprannominato “Testa di Mostro”, vista la sua proverbiale e letale capacità nel realizzare gol di testa è costretto in panchina da un fastidioso problema fisico, mentre Trevor Francis, l’uomo che aveva deciso la finale dell’edizione precedente, è ai box dopo la rottura del tendine d’achille, il primo di una lunga serie di infortuni che mineranno la carriera del centravanti inglese, che giocherà anche in Serie A con Sampdoria e Atalanta.
La partita è decisamente dimenticabile, visto che Brian Clough ha deciso di giocare un match difensivo, visto il potenziale delle bocche di fuoco dell’Amburgo.
Nonostante l’atteggiamento remissivo sono proprio gli inglesi ad aprire le marcature al 20’, con Robertson che chiude un triangolo con Birtles e fulmina Kargus dal limite.
L’1-0 regge per tutto l’incontro, coronando per la seconda volta consecutiva il Nottingham Forest come Campione d’Europa, unica squadra ad aver vinto più Coppe dei Campioni che campionati nazionali.

Dopo l’exploit doppio dei Tricky Trees è tempo di tornare a ruggire per le big europee, che cannibalizzeranno la Coppa dei Campioni 1980/81. Appuntamento tra tre settimane per la prossima puntata.

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