44 anni dopo il Perù ce l’ha fatta. Dopo oltre quattro decadi di sofferta attesa, la notte di Porto Alegre ha consegnato al cuore e alla determinazione degli Incas la finale di Copa América. Il dominio della blanquirroja in campo nel divenire dell’incontro ha chiuso in una morsa le speranze del Cile campione uscente, decretandone la netta sconfitta per 3-0.

Fonte: profilo instagram @guerrero9
Le firme dei gol arrivano da Flores, Yotun e dal leader di questa squadra. Paolo Guerrero ha fatto del carisma la sua arma vincente nel Perù dei miracoli. Una squadra che grazie alla figura del Depredador continua a credere nel sogno di conquistare la terza Copa América della sua storia. Un obiettivo che può prendere forma grazie all’apporto decisivo di quelle figure che rendono grandi le squadre. Personalità, appunto, come quella di Guerrero, quel fattore tecnico e psicologico in più nello scacchiere di Ricardo Gareca.
L’ostacolo più grande è rappresentato adesso dalla finale, da quel Brasile che fa del fattore casa e della qualità dei suoi campioni assoluti dei fattori insormontabili sulla carta. Ma il cuore del calcio e delle sue leggende può trasformare l’impossibile realizzabile di fatto, giocandosi il tutto e per tutto in 90 appassionanti minuti.
EL DEPREDADOR
Uno dei tratti tipicamente folcloristici della dimensione sudamericana consiste nel soprannome, nel nome d’arte che accompagna l’immaginario collettivo a ogni giocata sul rettangolo di gioco. Più di un semplice epiteto, esso rappresenta un dogmatico battesimo che segna per sempre la vita dei calciatori, dentro e fuori dal campo. Un’investitura a tutti gli effetti da parte dell’elemento che rende il calcio tale: il pubblico.

10 realizzazioni col Bayern Monaco, 37 con l’Amburgo, quindi 23 col Corinthians e 15 col Flamengo. Una carriera più che dignitosa la sua a livello di club, che si eleva a leggenda nella dimensione della blanquirroja, nazionale della quale è leader assoluto. Fonte: profilo instagram @guerrero9
In questo discorso Paolo Guerrero non fa certo eccezione. Nonostante la sua parabola europea racconti di un professionista fra i molti all’insegna di una carriera ordinaria e (per certi versi) dimenticabile è nella sua terra che l’attaccante ha trovato e vive tuttora nella sua dimensione ideale. Un rapporto, quello col suo Perù, appassionante e unico, tanto da essere definito da Antenor Guerra Garcià-Campos (storiografo d’eccezione del calcio peruviano) il “rappresentante del Rinascimento del calcio peruviano“.
I risultati conseguiti con la blanquirroja parlano da sè del resto. El Depredador ha letteralmente trascinato gli Incas a due terzi posti in Copa América, rispettivamente nel 2011 e nel 2015, figurando tra l’altro come capocannoniere in entrambe le occasioni. E lo ha fatto grazie al gol, l’essenza che rende tale un attaccante con la A maiuscola. Quella contro il Cile è stata la sua 37esima realizzazione in 99 presenze col Perù, divenendone tra l’altro capocannoniere.

In occasione del gol del 3-0 contro il Cile. Guerrero (evidenziato in azzurro) a tu per tu con Arias lo supera in dribbling e ribadisce in rete. Spegnendo definitivamente le poche speranze rimaste per il Cile nell’agguantare i supplementari. Nell’incontro coi Campioni uscenti ha letteralmente fatto reparto da solo, risultando decisivo nell’accompagnare la manovra offensiva e soprattutto nell’incidere nel risultato.
Un bomber di razza camaleontica sul rettangolo di gioco. Tanto ordinario come tanti fuori dalla sua terra quanto unico e inimitabile con la sua nazionale. Non soltanto a livello di movimenti, che lo rendono un attaccante di spessore tale da riuscire a reggere da solo il peso offensivo degli Incas. Quanto nel cuore a chiudere l’azione delle blanquirroja con gol e preziose sponde per il movimento dei compagni.
IMMORTALE
Sì, immortale. Un termine delicato da attribuire, specie nel gioco del calcio. Ma quando la grandezza del tuo nome viene legittimata dal tifo e dal consenso di milioni di tifosi che impazziscono per le sue giocate allora sei riuscito nell’obiettivo, meritandoti un titolo del genere. Basti pensare che il 13esimo gol in Copa permette al Depredador di raggiungere un certo Batistuta. All’attaccante ora non resta che agguantare Norberto Mendez e Zizinho a 17 centri, con Saverino Varela e Teodoforo Fernandez invece a quota 15.

Fonte: profilo instagram @guerrero9
Immortale poi nel superare le avversità cui è andato incontro. Dalla bottiglietta lanciatagli in faccia da un suo “tifoso” che gli urlava di tornarsene in Perù dopo una brutta gara alla pena scontata in carcere per possesso di droga. Passando quindi per uno dei momenti più bui della sua carriera. Quel controllo antidoping fallito nel 2017 con l’Argentina che lo ha tenuto lontano dal rettangolo di gioco per ben 500 giorni. Salvo poi ritornare in campo col suo Flamengo e cancellare quel lasso di tempo nel breve spazio di un colpo di testa, che è valsa la vittoria sul Palestino in Copa Libertadores.
Questione di carisma e di cuore la sua. Il Perù conta sul suo capitano come baluardo simbolo di una rinascita calcistica nel segno della sua leggenda. Verso un traguardo lontano 44 anni e distante un solo incontro, una sola vittoria. Un risultato che coronerebbe appieno la carriera di un grande del calcio sudamericano, capace con l’intensità del proprio carisma di infiammare il cuore del popolo calcistico nel suo insieme.
(Fonte immagine di copertina: profilo instagram @tufpfoficial)