La carriera di Adem Ljajic potrebbe essere descritta come un loop di cadute e risalite, di promesse non mantenute e di errori inesorabilmente sempre uguali. Una carriera costretta in un continuum spazio-temporale che lo porta a rivivere, costantemente, la stessa situazione. Uno squallido cliché hollywoodiano che ben si addice ad uno dei più grandi talenti inespressi del nostro campionato, all’attore non protagonista per eccellenza. Un nastro che si è riavvolto lunedì sera, quando Adem è finito in tribuna contro la Lazio per motivi comportamentali. Ma stavolta al suo posto ha giocato Berenguer, e ha segnato, e il Torino ha vinto. Così Ljajic rischia di uscire dal loop, ma dalla parte sbagliata.

ENNESIMA OCCASIONE
Di lui si diceva a Firenze che fosse destinato alla gloria. Il suo arrivo creò molta eccitazione a Roma, curiosità a Milano, speranza a Torino. Inutile dire come poi alle aspettative non sia seguita la realtà dei fatti, se non sporadicamente. Quel talento, immenso, Ljajic l’ha mostrato molto spesso, come anche però il lato difficile del suo carattere. Quello che gli è costato la lite con Delio Rossi, quello che ha incrinato il rapporto coi tifosi giallorossi. Quello che ora rischia di costargli anche la stima dell’uomo che più di ogni altro crede in lui: il suo mentore Sinisa Mihajlovic.
La tribuna di lunedì sera rischia di essere davvero l’ennesima occasione sprecata. Il loop ha seguito Ljajic anche a Torino, dove sembrava che il serbo avesse trovato un po’ di pace. Una dimensione che gli calzava a pennello, più leggera e calzabile, meno impegnativa e maggiormente sopportabile per uno come lui che di spalle grosse purtroppo non è dotato. Ma, appena si è alzata l’asticella e il vento ha cominciato a fare bufera, Adem è crollato, scomparendo piano piano nel suo loop, che lunedì sera l’ha risucchiato di nuovo.
Una stagione approcciata bene, ma piano piano abbandonata. Col passare delle giornate Ljajic si è spento, non trovando più la giocata, nè la posizione in campo, complici i cambiamenti tattici di Miha. Si è trovato di nuovo buttato a sinistra, dopo aver fatto vedere cose buone al centro del campo. Ha perso pericolosità e a pagare è stata la squadra, che senza il suo faro, e senza i gol del gallo, si è offuscata, diventando una brutta copia di ciò che poteva essere. Ljajic ha finito per risucchiare tutta la squadra nel suo loop.

NUOVE GERARCHIE
Via Ljajic, dentro il Toro. Questo ha detto il match di lunedì sera. Col serbo in tribuna i granata giocano una delle migliori partite stagionali, coadiuvata senz’altro dall’arbitraggio scellerato di Giacomelli, ma comunque aveva figurato benissimo anche fino all’espulsione di Immobile. Per Ljajic ora si fa dura, perché la fiducia di Miha non è cieca e i risultati sono sempre uno scoglio ostico da sconfessare.
Di sicuro non basta un match per togliere il posto al giocatore più talentuoso della squadra. Ljajic tornerà titolare, ma ora sa che non può sbagliare. Alle sue spalle ha dei pescecani affamati, davanti un’oceano di possibilità. Deve solo nuotare in linea retta, senza farsi attrarre dai vortici che risparmiano la fatica, ma costano tempo e sicurezza. È facile lasciarsi trasportare, vivere nel loop, ma è più bello essere artefici del proprio destino. Il 10 del Toro ha le capacità per essere il dio di sé stesso, lo ha dimostrato più volte, ed è ora che cresca. Questo loop va spezzato, Ljajic deve vincerlo e superarlo, però dal lato giusto.

PUNTO DI SVOLTA
La sensazione è che comunque Ljajic sia arrivato ad un punto di svolta. Stavolta può uscire veramente dal loop, ma da due parti contrapposte. Può farlo dalla parte sbagliata, continuando a darla vinta alla sua testa calda e perdendo quella che forse è l’ultima opportunità per diventare grande. Può farlo dalla parte giusta, prendendo in mano le redini della propria carriera e della sua squadra, facendo prevalere il talento sulla brutte abitudini. Non è più un bambino Adem, non ha più altre chances. Ora deve scrivere il proprio destino.
Il loop è il vortice a cui Ljajic si è spesso abbandonato nella sua carriera. La facilità di lasciare andare la testa, di abbandonarsi all’impulso. La dimensione nervosa ha sempre avuto la meglio. Ma questo non va bene per uno col talento di Ljajic. Assolutamente.