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ESCLUSIVA-Albanese su Napoli-Juve: "I giocatori più esperti hanno deluso"

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ESCLUSIVA-Albanese su Napoli-Juve: “I giocatori più esperti hanno deluso”

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Alex Sandro juventus

ESCLUSIVA GIOVANNI ALBANESE- La Juventus ha subito venerdì sera una delle più pesanti sconfitte della sua storia. Dopo otto vittorie consecutive senza subire reti, i bianconeri hanno perso 5-1 in casa del Napoli. Questa è una sconfitta che ha fatto parecchio male all’ambiente visto che era dalla stagione 1993 che la Vecchia Signora non subiva una debacle di questo tipo.

In esclusiva ai microfoni di Numero Diez il commento di Giovanni Albanese, giornalista della Gazzetta dello Sport e Sportitalia, inviato della Juventus. Di seguito la breve intervista.

L’INTERVISTA

Qual è stato il problema più grande riscontrato nella pesante sconfitta di venerdì sera?

“Risulta difficile individuare un solo problema. Per analizzare al meglio la partita dell’altro giorno bisogna fare due considerazioni importanti: il Napoli è una squadra consapevole dei propri mezzi a differenza di una Juve ancora alla ricerca della propria identità. Il problema vero rimane il fatto che i giocatori più esperti hanno deluso. È giusto ricordare che in estate la squadra è stata costruita su determinati giocatori che, ancora oggi, non sono disponibili”.

Allegri nel post partita ha dichiarato: “Sono serate che possono capitare”, lei si allinea con il suo pensiero? Quante colpe ha il tecnico?

Alcune scelte tattiche mi hanno convinto poco: una su tutte Di Maria. Sarà anche stato il migliore della Juve ma a me, da sotto punta, non convince. Ogni volta che il Fideo viene schierato da esterno diventa molto più pericoloso. Il pensiero di dover contenere Kvaratskhelia ha inoltre indotto il mister  a sbagliare la scelta su Federico Chiesa, il quale lo avrei schierato a sinistra. Detto questo mi allineo con il pensiero di Allegri: sono serate che durante una stagione possono capitare. Il vero problema rimane che, quando la Juve arriva a determinate serate, si scioglie”.

Un commento sulla prestazione di Bremer: scarsa condizione fisica o vede dell’altro?

“Una cosa che ho notato su Bremer è che quando non è al meglio della condizione perde molte certezze. Non è la prima volta che succede: sotto questo aspetto deve ancora crescere dal punto di vista mentale. Contro un avversario forte come Osimhen la scelta di schierarlo dal 1′ è stata comunque corretta”.

Nei prossimi sette giorni, la squadra dovrà affrontare il Monza in Coppa Italia e l’Atalanta, due sfide delicatissime. Quale tipo di reazione si aspetta dai bianconeri?

” Contro il Monza la Juve ha il dovere di offrire la migliore prestazione possibile. Volendo vincere almeno un trofeo in questa stagione, è chiaro a tutti il fatto che la Coppa Italia sia un obiettivo importantissimo. La partita con l’Atalanta sarà da affrontare con la massima attenzione. La squadra bergamasca, infatti, avrà la possibilità di agganciarci in classifica, mettendo così a rischio il quarto posto: una condizione necessaria per costruire il futuro con Massimiliano Allegri. Le otto vittorie consecutive senza subire reti hanno dato delle certezze importanti ma, c’è ancora da capire che Juve stiamo proponendo. Ho la personale sensazione che il progetto più solido sia quello in costruzione con i giovani in campo, non quello basato sui fuoriclasse pagati fior di milioni“.”.

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ESCLUSIVA – Mister Coppitelli: “Qui a Lecce i tasselli sono tutti al posto giusto, che talento Dorgu”

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esclusiva coppitelli

ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI – Nella scorsa stagione, la selezione Primavera del Lecce ha conquistato la scudetto di categoria con un percorso travolgente. Un titolo nazionale, il terzo per i giallorossi, che mancava da ben 19 anni. Dopo aver mantenuto la testa della classifica per tutta la regular season, i salentini hanno brillato anche nella Fase Finale del campionato Primavera 1 Tim. Dopo aver superato il Sassuolo in rimonta in semifinale, la vittoria contro la Fiorentina ha sancito il trionfo in casa Lecce.

La nostra redazione ha avuto il piacere di intervistare uno dei principali artefici di questo storico successo: Federico Coppitelli, l’allenatore della selezione Primavera del Lecce. Dalla vittoria in campionato fino all’avvio della corrente stagione, passando per l’esperienza fatta in Youth League contro l’Olympiakos. Tanti i temi affrontati nel corso della chiacchierata con mister Coppitelli che ci ha anche parlato di due giovani talenti in rampa di lancio: Patrick Dorgu e Giacomo Faticanti. Di seguito riportato il contenuto dell’intervista esclusiva del tecnico ai nostri microfoni.

ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI: DAL TRIONFO IN CAMPIONATO ALLA CORRENTE STAGIONE

La scorsa annata è stata fantastica. Una grande cavalcata che ha portato il Lecce ad alzare il titolo nazionale in Primavera 1. Quest’anno l’avvio di stagione si è rivelato più complicato per la squadra che si trova attualmente al sedicesimo posto a quota 7 punti. Cosa è cambiato e cosa manca rispetto all’anno scorso?

“Molto semplicemente abbiamo cinque ragazzi che sono andati in prima squadra e un ragazzo che è andato all’estero e altri che sono usciti per età. È una squadra nuova, che ovviamente ha bisogno di tempo per rimettersi a posto. È una squadra che ha qualche ragazzo che è venuto da fuori e ha avuto bisogno di un po’ di tempo in più di ambientamento rispetto a quello che pensavamo. Chiaramente siamo molto contenti della possibilità che hanno avuto tanti ragazzi che avevamo con noi in Primavera l’anno scorso. Poi sono partiti in undici in ritiro con la prima squadra prima di sapere quelle che poi sarebbero state le valutazioni del mister, per poi andare a integrare la rosa. Noi non riusciamo ancora a contare su gruppi dalle categorie inferiori che abbiano una capacità di riuscire a reggere poi la Primavera. Quindi abbiamo fatto qualcosina in ritardo ma lo sapevamo. Siamo consapevoli e non ci creiamo grandi problemi”. 

Il grande campionato con il titolo conquistato nella scorsa stagione ha portato a giocarvi l’accesso in Youth League nel doppio confronto con l’Olympiakos che non è andato bene. Com’è andata l’esperienza? Com’è stato giocarsela in campo europeo su un palcoscenico speciale per lei e i suoi ragazzi?

“Le motivazioni sono fondamentalmente quelle che abbiamo detto in precedenza. Sapevamo che tecnicamente sarebbe stato un esercizio quasi impossibile per il Lecce portare avanti questo tipo di percorso. Tant’è vero che noi siamo andati con mezza squadra della selezione U18 perché per i criteri che richiedeva poi l’UEFA noi avevamo praticamente solo 7-8 giocatori che rientravano in questi parametri. Sapevamo sarebbe stato complicatissimo, però è stato bello perché abbiamo regalato alla nostra società due partite di spessore internazionale contro un avversario di grandissimo valore che ha poi vinto 3-0 e 4-0 le due partite successive. Però è stato bellissimo andare ad Atene. Sono stati giorni fantastici e indimenticabili. Un’esperienza speciale”. 

ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI: DORGU E FATICANTI

Soffermiamoci ora su due ragazzi. Uno è Patrick Dorgu che è stato uno dei trascinatori della passata stagione e che quest’anno si sta ritagliando il suo spazio nelle gerarchie di mister D’Aversa. Che ragazzo è e soprattutto dove può arrivare? Ricordiamo che in si estate si era parlato addirittura di un interessamento da parte del Liverpool per questo giovane talento. 

“Patrick è un ragazzo che ha due tre qualità veramente importanti, anche mentalmente. A tratti è come se fosse inconsapevole del palcoscenico nel quale alle volte si esprime. Io scherzando gli ho fatto una battuta dicendogli – ma hai capito che non sei più in Primavera? – È un talento importante che sa gestire alla grande la pressione. Io al Torino ho allenato Singo, che poteva essere paragonabile a lui come caratteristiche e come ruolo e ho avuto subito un confronto chiaro sul valore di Patrick. Non ho dubbi che abbia di fronte a sé un futuro luminosissimo”. 

A proposito di pressioni, parliamo del secondo ragazzo in questione, arrivato in estate da una piazza, quella di Roma, dove la pressione è tutt’altro che poca: Giacomo Faticanti. Un giovane che qualcuno pensava potesse essere un calciatore pronto per la prima squadra che ha giocato però anche con voi in Primavera. Come sta andando il suo ambientamento a Lecce? 

“Diciamo che Giacomo rimane comunque un giocatore della Prima squadra. Poi lui ha fatto qualche partita con noi, anche perché essendo un nazionale U20 aveva bisogno di un po’ di minutaggio e in accordo con la società noi ci siamo messi ovviamente a disposizione ma rimane comunque un giocatore della Prima squadra. Poi con Giacomo io condivido un percorso tra Frosinone e Roma quindi lo conosco praticamente da sempre. Se farà bene sarò molto contento”. 

ESCLUSIVA MISTER COPPITELLI: IL RAPPORTO CON LA PRIMA SQUADRA

È chiaro che parlare di colleghi non è mai facile ma le chiedo cosa pensa dei ragazzi di D’Aversa. Partenza super, poi un naturale calo di rendimento. Come vede la Prima squadra nel proseguo del campionato?

“Una squadra che sta facendo sicuramente un bellissimo percorso. Questa è un po’ una mia battaglia che vale per tutte le categorie. Non ci si deve fossilizzare su come vengono distribuiti i punti ma bisogna guardare ai risultati finali. Purtroppo il calcio è bruttissimo sotto questo aspetto, perché giochi un giorno ogni sette e ci sono sei giorni in cui rimugini sui risultati. È chiaro che spesso il momento o l’ultimo risultato funge un po’ da bacchetta magica che in un modo o nell’altro ti fa sembrare tutto brutto o tutto bello. Penso che la Prima squadra stia facendo molto bene. Sono molto contento, così come lo sono tutti i tifosi del Lecce. Soprattutto se sei in una posizione ottima e hai anche magari qualche rimpianto, vuol dire che si sta facendo molto bene. Sono una squadra che mi fa piacere anche andare a vedere”.

Prendendo in esempio il caso di Faticanti, nel calcio di oggi ci sono tanti ragazzi che oscillano tra Prima squadra e Primavera. Ci può raccontare come funziona nel quotidiano il rapporto e il confronto tra un allenatore di una selezione Primavera e quello di una squadra di Serie A? Vedendo da fuori il lavoro che state facendo a Lecce, anche grazie al contributo di una figura a tratti leggendaria come quella di Pantaleo Corvino, l’impressione che emerge è quella di una vera unione di intenti tra le selezioni giovanili e quello che viene poi portato in Prima squadra e noi ci teniamo a farvi i complimenti.

“Una bella domanda. Io faccio la Primavera da sette anni e quello che posso dire è che con ogni allenatore, ogni società e ogni gestione viene definita dalle persone che poi effettivamente la fanno. Qui a Lecce il nostro responsabile è il direttore Corvino. È con lui che io e il mister della Prima squadra triangoliamo. Molto passa dalla sua organizzazione. In altre realtà può essere diverso. Ricordo che quando ero al Torino creai un rapporto con mister Mazzarri anche umano e gestivamo entrambi tutto in prima persona. Dipende dai diversi contesti. È chiaro che rispetto a prima la Primavera 1 è diventato un campionato di valore molto più alto. I risultati sono molto importanti, ci sono le retrocessioni e puoi giocare una volta ogni quattro giorni. Prima giocavi ogni sabato e ti trovavi contro squadre anche di Serie B o C nel girone. Ora è diverso e non è facile per i ragazzi stessi stare in un contesto molto più organizzato. Da un lato molto spesso ci si aspetta che questi ragazzi arrivino e risolvano i problemi ma non è assolutamente semplice. Tutte le squadre sono organizzate e non è scontato andare a creare un determinato tipo di rapporto con gruppi di ragazzi che cambiano continuamente. La gestione, come dicevo prima, dipende certamente dalle persone con cui ci si interfaccia . Per me ognuno degli ultimi sette anni è stato differente ma ho sempre avuto esperienze positive. A prescindere dallo Scudetto conquistato l’anno scorso, ci tengo a dire che qui a Lecce i tasselli sono tutti al posto giusto: una proprietà illuminata, un direttore davvero leggendario per certi versi. Poi, come in cucina, non tutti i piatti escono sempre perfetti però se gli ingredienti sono quelli giusti ci sono buone probabilità che le cose siano fatte bene. Questo aspetto mi ha sorpreso molto quando sono arrivato l’anno scorso. Non credevo ci fosse questà qualità sul piano delle idee e per ciò che riguarda le persone”.

 

Fonte immagine in evidenza: profilo Instagram U.S. Lecce

 

 

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ESCLUSIVA – Il dott. Danilo Casali spiega i tanti infortuni del Milan

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Infortuni Milan

INFORTUNI MILAN – Il Milan continua ad avere l’infermeria piena, a causa di continui infortuni, soprattutto muscolari, che continuano a falcidiare la squadra di Stefano Pioli. Per comprendere le possibili motivazioni degli stop, che sono saliti a 25 stagionali con quello di Thiaw contro il Borussia Dortmund, abbiamo intervistato il dottor Danilo Casali, esperto di prevenzione infortuni in ambito sportivo. Di seguito l’intervista rilasciata a Numero Diez.

IL CASO INFORTUNI-MILAN

“Quando una squadra subisce un numero così rilevanti di infortuni, è fondamentale ampliare il modello di analisi nella valutazione delle cause. Diversamente non è possibile per nessuno trovare una logica, un denominatore comune che permetta di capire e rafforzare l’efficacia della prevenzione. Se potessimo analizzare l’operato dello Staff nei dettagli, è pressoché certo che i professionisti che lo compongono abbiano attuato strategie e programmi adeguati, convalidati anche da altri colleghi. Ma determinate cause sono comunque identificabili, anche se occorre fornire spiegazioni tecniche per le quali chiedo uno sforzo ad ognuno di voi interessato a questo particolare e controverso argomento”.

ZONA D’OMBRA SU CUI SI DEVE INTERVENIRE

“In questi casi viene messo sul banco degli imputati lo Staff atletico, ma il problema è una zona d’ombra, non coperta da ciò che viene attuato per la prevenzione. Non solo al Milan.

Ogni atleta viene sottoposto a tests e monitoraggi meticolosi per quello che riguarda le performance muscolari, la nutrizione, l’idratazione. Parametri di facile rilevamento che consentono allo Staff di avere quella certezza, nero su bianco, di aver operato in maniera corretta e secondo le linee guida. Ma ciò non basta per un motivo ben specifico: la funzionalità biomeccanica di ogni singolo atleta, ovvero la risposta strutturale del sistema alle forze che coinvolgono le articolazioni in relazione al suolo, non è monitorabile da quanto sopra. Con troppo superficialità molti addetti ai lavori credono che sviluppare la forza muscolare ed il miglior coordinamento neuromotorio (controllo muscolare performante nelle innumerevoli situazioni di gioco), seppure imprescindibili, coprano totalmente le necessità per la prevenzione.

A questa affermazione molti potrebbero fare obiezione, precisando che i programmi di prevenzione sono molto più ampi, poiché comprendono anche esercizi di scarico, posture di allungamento muscolare, la criosauna ed altri soluzioni, ma rimane il fatto che il background disfunzionale in seno alla biomeccanica del singolo non può essere gestito con un approccio di gruppo, in cui tutti fanno gli stessi programmi. Il codice biomeccanico disfunzionale ha componenti differenti nell’atleta A, B o C…“.

DALLA PREVENZIONE AL LOOP PROBLEMATICO

“Quando iniziano ad insorgere più infortuni di tipo muscolare, è teoricamente normale che per la squadra vengano proposti più esercizi/programmi mirati alla prevenzione, ma non dobbiamo dimenticare che gli stessi comportano un’attività muscolare che può divenire un ulteriore motivo di sollecitazione e carico, mal recepito se il sistema muscolo-scheletrico del singolo o di più individui hanno una funzionalità perturbata, in rapporto alle forze che imprime e subisce.

Abbiamo quindi giocatori  in perfetta forma atletica (forza, resistenza, ecc.) nel cui sistema muscolo-scheletrico si crea un sovraccarico relativo, che genera il terreno fertile vari problemi muscolari e non solo. In pratica, il muscolo in cui si manifesta l’infortunio non corrisponde alle cause del problema latente.

Perdere la miglior funzionalità biomeccanica equivale ad avere una riduzione del range di movimento degli ammortizzatori di una moto. A parità di percorso e con il funzionamento compromesso, il pilota riceverà più sollecitazioni: per mantenere la gestione della moto, dovrà attuare un lavoro muscolare maggiore nel senso stabilizzante”.

Per capire meglio:

https://www.youtube.com/watch?v=9q5tHoX23FQ/

“Nel calcio e rispetto al nostro esempio, abbiamo una tipologia/ampiezza di sollecitazioni radicalmente diversa, ma la sommatoria dei carichi subiti in allenamenti e competizioni creano un sovraccarico relativo su qualche distretto muscolare, fino a generare stiramenti o lesioni vere e proprie.

Senza la riarmonizzazione della funzionalità biomeccanica individuale di ogni singolo atleta, con il progredire della stagione, molte squadre potranno subire questo tipo di infortuni. Quando poi le lesioni interessano il tendine e la giunzione mio-tendinea, dopo aver sviluppato programmi per rafforzare intensamente quei muscoli sui quali vorremmo ottenere una prevenzione, occorre una seria riflessione che interessi tutti gli addetti ai lavori, in ogni squadra“.

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Calcio Internazionale

ESCLUSIVA – Demetrio Albertini a 360°: Mondiale ’94, Milan e Messi

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ESCLUSIVA ALBERTINI

ESCLUSIVA ALBERTINI – Calciatore di Milan, Atletico Madrid, Lazio, Atalanta e Barcellona, ora Presidente del Settore Tecnico in FIGC e imprenditore: semplicemente, Demetrio Albertini. L’ex rossonero ha scelto di raccontarsi a Numero Diez all’interno del format Behind The Mask, per svelare inediti retroscena riguardanti la sua carriera e la sua vita post-calcio.

L’oratorio è probabilmente il posto più importante per te e i tuoi fratelli: lì avete iniziato a coltivare la passione per lo sport. Tu ti sei realizzato in quell’ambito, mentre tuo fratello Alessio ha scelto la via ecclesiastica. Si può dire che le rinunce fatte da te come calciatore siano paragonabili a quelle fatte da tuo fratello per seguire la sua vocazione?

“L’oratorio è stato un punto d’incontro con i miei fratelli. In un paese di 1200 abitanti, l’oratorio diventa un fulcro e punto di ritrovo per tutta la comunità dei più giovani. Il passaggio era quasi obbligato e poi da lì abbiamo coltivato le nostre passioni, che sono per tutti e tre quelle calcistiche prima di tutto. Le nostre strade si sono un po’ divise dopo perché io e Alessio siamo usciti di casa molto presto, mentre Gabriele, il più piccolo, è rimasto lì. Io avevo 17 anni quando sono andato a vivere a Milanello, dove ho concluso gli studi mentre giocavo, Mio fratello Alessio, invece, è andato in seminario a 14 anni e ci siamo trovati dopo, dato che il seminario era molto vicino a Milanello. Gabriele è il presidente della Pro Sesto: anche lui ha fatto una carriera calcistica e ora ne sta facendo una dirigenziale importante”.

Cosa significa per te tornare lì? E quanto è stato importante sentire l’affetto della tua gente dopo la finale di Pasadena?

“Ho la mamma lì e vado spesso a trovarla. Tante volte diventa un punto d’incontro con la mamma e qualche amico che è ancora lì. Dopo 2 o 3 giorni rispetto alla finale di Pasadena abbiamo organizzato una partita in oratorio tra quelli della mia leva, ovvero quelli del ’71, contro il resto del paese. In quell’occasione fu una festa per celebrare un concittadino che ha giocato a calcio in televisione. C’erano 2000/2500 persone all’oratorio, numeri che si vedono in mesi”.

A Pasadena eri il più giovane della spedizione italiana. Nonostante questo hai calciato il rigore, segnandolo: cosa significa calciare un rigore in finale di Coppa del Mondo?

“Ero il più giovane, perché ero nato nel secondo semestre del mese, mentre Dino Baggio era nato nel primo. Avevo 22 anni ed è stata un’esperienza meravigliosa. Tirare il calcio di rigore, nel vissuto comune, è un gesto molto facile: lì, però, devi gestire l’emotività, più che calcolare il gesto tecnico. E le emozioni in una finale mondiale non le puoi preparare, dato che capita molto raramente di tirare un rigore così importante. Ci sono volute incoscienza, dovuta anche all’età, e consapevolezza, perché quando sai di aver fatto tutto nel modo giusto, vai con serenità a calciare nel modo corretto”.

Si può dire che sia stata l’esperienza più memorabile della tua carriera?

“Nello sport si dice spesso che alcuni siano più fortunati di altri: la fortuna serve, ma credo sia più corretto parlare di meritocrazia. Il treno passa e bisogna essere pronti a salire su quel treno, anche se non sai quando passerà. Può passare come per me a 17 anni, mentre per altri a 22/23. L’importante è essere preparati. Queste sono esperienze che ti porti per tutta la vita. Quando, da dirigente, vedevo ragazzi delle giovanili arrivare nelle finali, dicevo sempre: “Il calcio ti regala esperienze meravigliose. Spetta a voi tornare a casa dagli amici e raccontare di un’esperienza meravigliosa o di vittorie”. Male che vada rimane un’esperienza stupenda”.

Una vita da “metronomo” del Milan: qual è il miglior ricordo quegli anni?

“Mi viene la pelle d’oca perché il Milan è stata la mia seconda famiglia. Non penso solo ai risultati, ai tifosi, ma parlo di famiglia perché mi ha fatto crescere. Io firmo il primo cartellino al Milan a 10 anni, appena finita la quinta elementare, e ne esco a 32/33 anni. Ho vissuto quindi a braccetto con le persone e i valori che compongono la società per tantissime fasi della mia vita. Mi porto le vittorie, alcune rinunce – non sacrifici perché li ho sempre fatti con il cuore. La partita d’addio racchiude bene ciò che sono stato nello spogliatoio. C’erano otto Palloni d’Oro in campo e 45000 persone allo stadio. In quel momento, Van Basten viene da me in mezzo al campo e mi dice: “Demetrio, solo tu potevi raggrupparci tutti qui”. In campo vinci ma insieme agli altri, nello spogliatoio sei te stesso”.

Avresti voluto un addio diverso?

“Il mio sogno sarebbe stato quello di finire la mia carriera al Milan, ma se tornassi indietro rifarei tutto ciò che ho fatto. Dopo il Milan sono andato all’Atletico con un’esperienza incredibile. Vado tuttora a Madrid e sono accolto come uno di loro da società e tifosi. Sono andato alla Lazio e ho vinto l’ultima coppa che mi mancava: la Coppa Italia. All’Atalanta ho conosciuto tante persone legate al territorio e alla maglia con obiettivi diversi da quelli del Milan. Poi finisco la carriera al Barcellona: non vincevano da cinque anni, vinciamo LaLiga e da lì inizia il ciclo della squadra che ha segnato la storia del calcio mondiale. Avrei vissuto la mia carriera al Milan, coronando un sogno, ma avrei perso tante esperienze, sia come uomo che come giocatore”.

Rijkaard ti chiama al Barcellona, dopo un periodo all’Atalanta, per un progetto totalmente diverso: in poco tempo, hai lasciato tantissimo a società e tifosi, creando un legame indelebile prima del ritiro. Come ci sei riuscito?

“In sei mesi a Barcellona sono successe due cose: ero il veterano della squadra e quello che aveva vinto un po’ di più. Lì c’erano Xavi, Iniesta, Puyol, Messi, ma ancora non avevano vinto nulla e non erano i campioni che abbiamo conosciuto. Poi hanno visto la mia serietà dentro e fuori dal campo, la mia esperienza messa al servizio del pianeta Barcellona. Quando arrivi ti dicono che è più di un club. E non intendono una polisportiva, ma è come se fosse la nazionale della Catalogna, entra anche il fattore politico. In sei mesi è successo qualcosa di straordinario: si è creata un’alchimia con i tifosi, i giocatori e la società, che è la stessa di adesso con presidente Joan Laporta. Lo dico per la prima volta: io nelle elezioni precedenti, ho partecipato insieme a Joan Laporta, ma perdiamo contro Bartomeu. Quando sono tornato, lo stesso Bartomeu mi ha detto: “Non so come tu hai fatto: qui sono passati tanti grandi campioni, ma il legame che hai costruito tu con la gente è straordinario”.

Per la tua carriera che giungeva al capolinea, c’era quella di un fuoriclasse che stava spiccando il volo: hai qualche aneddoto sul primo Lionel Messi?

“Il presidente chiede a Leo: “Tu conosci questa persona?”. Lui risponde “Certo, è Albertini”. Poi chiede a me… Mi vergogno a dirlo, ma ho risposto di no. Il presidente poi mi ha rassicurato dicendomi che è bravo, della cantera. Anche se dalla cantera a quello che è diventato ce ne vuole. Poi il giorno dopo te lo ritrovi in allenamento e capisci che è uno che può scrivere la storia. Io di talenti ne ho conosciuti tanti, magari che non hanno fatto ciò che potevano fare. Lui non è un talento, è straordinario. In Spagna si dice “Crack”, in Italia “fuoriclasse”: lui se li merita”.

Dopo il calcio, entri a far parte della FIGC. L’evento più importante in programma è sicuramente l’Europeo del 2032, che si svolgerà in Italia e in Turchia: come ci si sta preparando a ospitare questa manifestazione? Può far tornare la passione per la Nazionale?

“Cambio ruolo, ma rimango sempre nel calcio. L’intento era quello di diventare un dirigente e mi è stata data l’opportunità di entrare in federazione due mesi dopo la mia partita d’addio. Comincia un’esperienza straordinaria, importante e impegnativa come dirigente. Come ci stiamo preparando al 2032: è un lavoro di mesi per dare una candidatura credibile. L’Italia deve prendere questa opportunità per poter intervenire sulle infrastrutture perché siamo molto indietro. Questo ci darà un plus per il rifacimento di tanti stadi. Per l’amore della Nazionale: non c’è meno amore, ma solo meno risultati. La maglia azzurra è speciale e ci unisce, anche nelle critiche”.

Una questione spinosa, quella riguardante il calcioscommesse. Tu avevi già smesso di giocare quando lo scandalo di Calciopoli ha infangato il nome del calcio italiano e, dopo 15 anni circa, ci siamo ricaduti. Più che analizzare di chi sia la colpa, come si può rimediare nel presente e in futuro?

“Si deve cambiare, non riesco a capire perché capita sempre a noi. Calciopoli era un po’ diversa e io ho dovuto gestirla da dirigente: non è stata semplice. Dico una cosa: mi dispiace, perché tante volte si perde di vista quello che uno è. Loro sono delle aziende dentro l’azienda: non si è ancora pronti a essere un’azienda, vuoi essere spensierato. Bisognerebbe fare informazione su un tema delicato come quello delle scommesse. Ne abbiamo parlato per un po’ di anni, abbiamo abbassato la guardia e i giovani ci sono ricascati. Credo sia giusto che uno che sbaglia debba pagare, ma non bisogna generalizzare dicendo che il calcio è malato”.

Quanto ti ha aiutato il calcio nella tua vita da imprenditore?

“Io ho trasferito le regole dello spogliatoio nel mondo dell’imprenditoria. Gestire un gruppo di lavoro, i dipendenti devono sentirsi dei partner, attrarli con qualcosa di poter costruire qualcosa insieme: tutto questo l’ho imparato nello spogliatoio. Ciò che va insegnato è che, oltre alla visione, bisogna avere disciplina per poter raggiungere gli obiettivi. Ora ho istituito una società di sport-marketing che porta il mio nome, con creazione di eventi, comunicazione. Nel frattempo ho investito in dei centri padel. Poter dare lavoro a delle persone mi appaga tantissimo, oltre a impegnarmi tantissimo”.

GIOCO FINALE – RISPOSTA SECCA

Compagno più forte con cui hai giocato? “Van Basten”

Avversario che avresti voluto nella tua squadra? “Zidane”

Allenatore con cui hai creato un legame più importante? “Sacchi”

Maglia scambiata a cui sei più affezionato? “Puyol”

Scambieresti le tre Champions per il Mondiale del ’94? “Solo una (ride, ndr)”

Negli anni, hai individuato un tuo erede? “No, perché non mi piacciono i paragoni”

Figura a cui ti sei ispirato/di riferimento? “Marco Tardelli”

C’è una partita che rigiocheresti? “Quella dell’Europeo del 2000”

Tre aggettivi per descrivere la tua carriera “Straordinaria, appagante, fortunosa”

Dopo il ritiro, fare l’allenatore è mai stata un’ipotesi? “No, perché non voglio avere a che fare con i calciatori (ride, ndr)”.

Soddisfazione più grande post-calcio? “Essere riuscito a cambiare e vivere sempre con degli stimoli, oltre ad aver avuto vicino delle persone che hanno capito le mie esigenze”.

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ESCLUSIVA – Salvione (CdS): “Il Napoli ritroverà le ripartenze. Post-Mou? L’asso nella manica…”

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Napoli

Domani, a Bergamo, comincerà la seconda avventura sulla panchina del Napoli di Walter Mazzarri. Proprio in vista del nuovo esordio del tecnico toscano noi di Numero Diez abbiamo avuto il piacere di intervistare Pasquale Salvione, coordinatore della redazione del Corriere dello Sport, che qualche settimana fa ha ritirato presso il Salone d’Onore del CONI, a Roma, il “Premio Giornalistico Manlio Scopigno 2023″ (Premio Stampa).

Con lui, che segue da vicino le vicende dei partenopei, abbiamo provato ad analizzare quale sarà la strada della formazione azzurra senza tralasciare qualche spunto tattico. Ci siamo soffermati poi sui temi d’attualità che vedono protagoniste le altre due squadre che il quotidiano romano tratta maggiormente, per l’appunto Roma e Lazio.

Ritieni che la scelta di Mazzarri, reduce da qualche esperienza negativa, sia giusta per risollevare le sorti del Napoli in questa stagione?

In questo momento il Napoli deve ritrovare alcune certezze che aveva perso in questi 4 mesi dopo un momento di felicità pazzesca. È una squadra che ha dato 16 punti alle avversarie e azzerare tutto questo vantaggio è stato difficile, quindi al Napoli serviva una scelta per ritrovare qualche punto fermo. Sicuramente è una scelta particolare, un allenatore che al Napoli ha comunque lasciato un buon ricordo. In questo momento serviva dare qualche certezza in più al gruppo, alla squadra e Mazzarri è un allenatore che sicuramente con il gruppo e la squadra stabilisce un buon rapporto quindi i presupposti sono buoni, vediamo però quello che succederà in campo”.

Tra Atalanta, Inter, Juventus, le prossime tre avversarie del Napoli in campionato, quanti punti dovrà fare la squadra azzurra per un primo bilancio positivo del ritorno di Mazzarri?

Mi sembra complicato ragionare sulle quattro partite (ndr, comprendendo quella con il Real Madrid in Champions). Io dal punto di vista di Mazzarri mi accontenterei di partire bene a Bergamo perchè poi passo dopo passo può costruire sicuramente questa sua avventura. Fare risultato a Bergamo, al debutto, o almeno trovare un risultato attraverso una prova convincente può essere sicuramente la migliore partenza possibile per Mazzarri. Quantificare in punti questi primi tre impegni è complicato perchè sono tre impegni difficili e lo sarebbero stati anche per il Napoli travolgente di Spalletti”.

Quali giocatori apparsi un po’ in difficoltà sotto la guida Garcia, come ad esempio Elmas e Lindstrom, potrebbero beneficiare del cambio di allenatore?

Io sono convinto che un aspetto accomuna Mazzarri a Spalletti, cioè quello di portare a rendere al massimo della possibilità tutta la rosa. Spalletti lo ha fatto in maniera eccezionale l’anno scorso e credo che Mazzarri lo possa fare anche quest’anno. Hai citato Elmas, che è stato il miglior dodicesimo uomo dello scorso campionato, sempre decisivo quando è entrato, è stato sempre il primo cambio di Spalletti e si è fatto trovare pronto anche quando ha giocato dall’inizio. Io credo che però Mazzarri possa rivalutare anche giocatori che hanno fatto i titolari e che finora sono stati irriconoscibili e mi riferisco a Rrahmani, Kvaratskhelia, in parte anche a Lobotka, perchè Mazzarri è capace di tirare fuori il meglio dai suoi giocatori. Quindi avendo le stesse manie di Spalletti, anche nella preparazione tattica delle partite, io credo che possa portare alcuni elementi a ritrovarsi”.

Il Napoli rispetto a 10 anni fa è cambiato parecchio, anche nel modo di giocare, però c’è qualcosa del primo Napoli di Mazzarri che ora potremo rivedere?

Secondo me la voglia di non mollare mai sarà un elemento che accomunerà questo Napoli a quello vecchio. Perchè anche i gol che arrivano all’ultimo, come nel caso del vecchio Napoli, sono un segnale di una squadra che ha voglia di non mollare mai. Io credo che un altro tratto che possa essere simile sia quello delle transizioni veloci e delle ripartenze perchè al Napoli piace palleggiare e avere sempre il possesso palla, quindi nella maggior parte dei casi affronta sempre squadre e difese schierate, hanno poca intenzione di dare campo a Osimhen. Io però credo che questo Napoli con Mazzarri riuscirà a sfruttare al meglio le poche occasioni che avrà in ripartenza. Perchè Mazzarri con quel Napoli lo faceva con Lavezzi, Cavani, Hamsik e credo che in questo potrà crescere anche questo Napoli, che spesso ha preferito il palleggio e avere il controllo totale del gioco”.

Fuori dal campo, continua a tenere banco la questione del rinnovo di Osimhen. In quale periodo potrebbero esserci delle novità sul rinnovo, che sembrava cosa fatta prima che nelle ultime settimane la situazione si raffreddasse un po’?

Di rinnovi in ballo ce ne sono diversi. Io credo che il momento complicato della squadra abbia un po’ frenato qualsiasi tipo di trattativa. Se il Napoli riuscisse a trovare un po’ di risultati per rasserenare l’ambiente, tifosi, squadra, allenatore, presidente, società e tutti, io credo possano tornare d’attualità i rinnovi. C’è quello di Osimhen, c’è quello di Kvara, il cui stesso agente ha detto che potrebbe essere ritoccato a breve, c’è quello di Zielinski, che ha rinunciato ai soldi arabi per restare a Napoli e adesso è in scadenza e deve trovare un accordo per non potersi ritrovare libero di firmare con un’altra squadra a gennaio”.

Negli ambienti romani quali sensazioni circolano sulla situazione di Smalling: potrebbe rientrare per il ciclo di partite di dicembre o credi che il suo 2023 rischia di essere già concluso?

È una domanda da cento milioni di dollari perchè nessuno sa quando possa tornare Smalling. È una domanda che si fa anche Mourinho, che non ha capito quanto possa finire questo incubo. Il rischio che Smalling possa tornare l’anno prossimo c’è e il fatto che la Roma cerchi un difensore sul mercato è un segnale evidente dei dubbi che ci sono a Trigoria”.

La cessione di Smalling a gennaio è uno scenario concreto e fattibile? E quali sono i nomi che circolano con più insistenza per la difesa della Roma?

Io faccio fatica a immaginare un presidente di un club che si presenti dai Friedkin con dei soldi contanti per un giocatore che non ha giocato nemmeno mezzo minuto finora. Quindi, dovessi fare un pronostico faccio fatica a pensare che ci possa essere un’offerta interessante per la Roma per Smalling a gennaio. Uno dei nomi che è circolato con più insistenza è quello di Pablo Marì, però il mercato può riservare anche altre sorprese. Sicuramente la Roma sta monitorando il mercato, cerca soluzioni a basso costo se non in prestito”.

Qualora Mourinho decidesse di non rinnovare il contratto, quali sono i nomi più accreditati per la panchina della Roma per la prossima stagione?

Non credo che la Roma stia già valutando il possibile sostituto di Mourinho. I nomi che intrigano sono sicuramente quelli di Thiago Motta e Palladino, però poi i Friedkin hanno sempre dimostrato che possono tirare fuori l’asso dalla manica. Io penso che il caso Mourinho, quello di Dybala e quello di Lukaku hanno in comune la voglia della società di tirar fuori sempre un asso dalla manica. Magari, a giugno, se Mourinho dovesse andar via, chissà che non faranno un’altra sorpresa”.

Chi, in casa Lazio, tra i vari Pedro, Felipe Anderson e Zaccagni è il più vicino al rinnovo con la Lazio?

Pedro non so se è destinato a restare o no perchè c’è quest’ipotesi suggestiva del ritorno in Serie A di Insigne. Sul futuro di Pedro ho qualche dubbio. Vediamo quello che succederà con Zaccagni e Kamada perchè anche la situazione contrattuale di Kamada è molto particolare. Quindi è un bel rebus perchè con la Lazio non c’è mai la certezza di quello che succede perchè le situazioni sono sempre protratte a lungo da Lotito che probabilmente ha anche una tecnica operativa che porta a prolungare sempre i tempi su qualsiasi operazione, sia di mercato che di rinnovo”.

Quante possibilità ci sono per il trasferimento a gennaio di Insigne alla Lazio?

Se riusciranno a far quadrare tutte le caselle io credo che sia un’operazione che possa anche andare in porto. La sua voglia tornare in Italia mi sembra chiara dopo la mossa di aver cambiato gli agenti di recente, di essersi affidato peraltro agli stessi di Luis Alberto, di Fabian Ruiz, quindi se si riuscirà a trovare una quadra sull’ingaggio e riuscirà ad arrivare in prestito o addirittura a liberarsi dal Toronto, io credo che sia una soluzione abbastanza possibile”.

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