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ESCLUSIVA - Valerio Casagrande: “Per il Parma nel presente investimenti e capitale, nel futuro un modello autosostenibile”

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ESCLUSIVA – Valerio Casagrande: “Per il Parma nel presente investimenti e capitale, nel futuro un modello autosostenibile”

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Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare Valerio Casagrande, Chief Financial Officer per il Parma Calcio 1913 e Coordinatore della Commissione Sostenibilità e Licenze Nazionali della Lega Serie B, con il quale abbiamo trattato diverse tematiche: dagli obiettivi del club, passando per la sostenibilità nel calcio di oggi e, chiudendo, con una visione futura della Lega Serie B.

Quali sono gli obiettivi societari del Parma Calcio nel breve e lungo periodo?

Mi piacerebbe innanzitutto evidenziare l’esistenza di obiettivi nel lungo termine e di piani strategici e operativi per poterli realizzare. La programmazione a lungo termine, infatti, non è scontata nel nostro settore. Ritengo che l’adozione di un simile approccio sia un punto di forza della proprietà di Parma Calcio e del nostro gruppo. Nello specifico, i nostri obiettivi sono declinati su quattro pilastri fondamentali: lo stadio, il centro sportivo, lo sviluppo commerciale del brand anche dal punto di vista internazionale e, ultimo ma non meno importante, lo sviluppo dei giovani”.

Ce le può approfondire?

Per quanto riguarda lo stadio, abbiamo l’obiettivo di avviare un’attività di ammodernamento dello Stadio Tardini. Renderlo più godibile e sostenibile dal punto di vista finanziario, ambientale e sociale, garantendo un’esperienza più funzionale per la nostra tifoseria.

Nel centro sportivo, invece, oltre ai campi di allenamenti ci sono anche gli uffici della società. La nostra intenzione è quella di ampliare la struttura, con la costruzione di nuovi campi da calcio, e di migliorare sia le aree destinate al personale amministrativo e gestionale, che quelle dedicate al personale sportivo.

Per quanto riguarda lo sviluppo commerciale, il Parma Calcio vuole puntare tra l’altro sulla visibilità internazionale acquisita nel corso della sua storia. Puntiamo all’ottimizzazione delle linee di ricavo esistenti nonché alla creazione di nuove, sempre rimanendo coerenti con la vocazione della società.

Infine, l’acquisizione, la selezione e lo sviluppo dei giovani è un principio applicabile a tutte le aree del club, in particolare a quella sportiva. I progetti di ammodernamento dello stadio e del centro sportivo sono finalizzati anche a fornire agli atleti le migliori facility possibili, permettendo di allenarsi e svilupparsi nel miglior modo possibile. Sono elementi che riteniamo renderanno il nostro club sempre più attraente per i migliori talenti.

In aggiunta a questi aspetti, vorrei evidenziare il nostro approccio metodologico, basato sull’acquisizione e sull’ analisi dei dati. Ovviamente bisogna bilanciare i due aspetti: la creazione e l’elaborazione dei dati, senza dimenticare le risorse umane, dove gli aspetti psicologici sono molto rilevanti”.

Tra i termini più utilizzati nel calcio di oggi c’è quello di ‘sostenibilità’. Quali sono, secondo lei, i fattori chiave di questo tema, collegati al sistema calcistico?

Mi tolgo momentaneamente il cappello di CFO di Parma Calcio. Ti parlo, dunque, non da un punto di vista soggettivo, ma di sistema, cosa che mi viene abbastanza naturale avendo ricoperto in passato il ruolo di Head of Finance and Control Department della Lega Serie B ed essendo tuttora il Coordinatore della Commissione Sostenibilità e Licenze Nazionali della Lega Serie B. 

Il settore vive, come ben testimoniato ad esempio dal Report Calcio della FIGC, una situazione di acuta tensione finanziaria, con un ammontare di debiti molto significativi. Dal punto mio di vista, è poco plausibile pensare e/o sperare che si affermino in forma diffusa – sottolineo in forma diffusa, perché a livello individuale, invece, si sono consolidate eccezioni di successo – dei modelli di gestione che nel breve periodo determinino un sostanziale turnover rispetto alla situazione attuale.

Sul lato delle entrate, è verosimile, infatti, che i ricavi da diritti audiovisivi, la principale fonte economica del calcio italiano, saranno stagnanti almeno per un altro triennio. L’attivazione della crescita di altre fonti di reddito, nuove oppure già esistenti (es. ticketing, naming rights, hospitality), è dipendente, in maniera prevalente, dal rinnovamento degli stadi, per il cui compimento è richiesto generalmente un periodo non inferiore ai 5 anni, anche a causa della complessità dell’iter burocratico richiesto.

Sul lato delle uscite, il settore, anche durante il periodo del Covid, ha fornito pochi segnali di controtendenza rispetto alla costante crescita dei costi, in particolare di quelli connessi al trading player. Ciò premesso, qual è l’elemento che può garantire la sostenibilità finanziaria del calcio italiano? Il capitale.

L’attrazione del capitale, in particolare da parte di investitori esteri, per il calcio italiano è, pertanto, una via obbligata, ma non irrealistica e non priva di opportunità collaterali. I brand dei club italiani continuano ad essere internazionalmente riconosciuti, il livello tecnico dei nostri campionati rimane, a livello globale, elevato – nonostante sia decisamente declinato rispetto a 20 anni fa -, i costi di acquisizione di un club sono relativamente attraenti rispetto ad altri campionati e il mercato è sostanzialmente allineato nel riconoscere ai nostri club una redditività latente che potrebbe essere portata a emersione, nel medio – lungo termine, da gestioni allineate con il moderno sport business.

Tutti gli elementi menzionati rendono i club italiani target attrattivi per gli investitori in particolare esteri, i quali sono quelli che dimostrano in questo periodo storico le maggiori disponibilità economiche. A tal fine, ossia per rimanere attrattivo verso questi soggetti o esserlo ancora maggiormente, per il calcio italiano diventa imperativo preservare credibilità e stabilità delle regole.

La sostenibilità nel lungo periodo passa dal miglioramento dei conti economici, mediante la crescita dei ricavi e/o la diminuzione dei costi mentre, nel breve periodo, dipende passa dal capitale degli investitori”.

Come ha già citato in precedenza, lei ha ricoperto la carica di Head of Finance and Control Department della Lega Serie B. Come vede il futuro della B sotto questo punto di vista?

La Lega di Serie B ha conosciuto un percorso di crescita dei ricavi commerciali nonché in termini di visibilità. Io sono convinto che questo percorso positivo avrà la possibilità di consolidarsi nei prossimi anni. Dal mio punto di vista, un elemento da consolidare per la Serie B è il posizionamento come fucina di talenti, auspicabilmente italiani, che possano essere importanti anche per le nostre nazionali.

Negli ultimi anni il peso dei giocatori stranieri è aumentato. Ci sono degli elementi, dal punto di vista normativo ed economico-finanziario che hanno determinato condizioni favorevoli all’acquisizione di giocatori stranieri rispetto a quelli italiani. Mi riferisco, tra gli altri, al cd. ‘Regime Impatriati’ o Decreto Crescita. Pur essendo condivisibile nel principio, secondo me presenta aspetti decisamente migliorabili, in particolare al fine di eliminarne alcuni elementi distorsivi. L’altro elemento riguarda la cosiddetta ‘Stanza di compensazione della Lega’.

Dal mio punto di vista è necessario un intervento, in particolare sul tema delle fideiussioni, per rendere meno disequilibrata la situazione rispetto al mercato internazionale, nel quale questo sistema non esiste. A parità di condizioni, se tu compri un giocatore dall’estero ti costa meno che comprarlo in Italia, disincentivando la produzione di giocatori in Italia con tutte le relative conseguenze. Infine, ho un’ultima proposta…”.

Prego.

Da quando è stato introdotto il divieto di sponsorizzazioni per le società di betting. Le società sportive sono state penalizzate, in quanto è stato loro precluso l’accesso a introiti considerevoli, visto il budget di cui il settore betting dispone. La mia proposta è di reintrodurre la possibilità di stabilire rapporti commerciali con le società operanti in tale ambito e di destinare i relativi introiti, in tutto o in parte, al settore giovanile.

Certificando, con un’attività di rendicontazione a posteriori, che queste somme siano state effettivamente utilizzate per il settore giovanile. Così si destinerebbe un’entrata, che è oggetto di controversia, a un fine meritevole, in un certo senso “riabilitandola”. Ovviamente tale intervento si radica nell’ambito della normativa statale e, dunque, il calcio non è autonomo in tale iniziativa ma deve attivare l’azione del legislatore statale”.

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ESCLUSIVA – Luca Marelli si racconta: la sua carriera e il mestiere di arbitro

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Luca Marelli

Luca Marelli ogni settimana entra nei salotti di tutti gli italiani, spiegando gli episodi arbitrali su DAZN. La sua carriera non è iniziata in televisione ma sul terreno di gioco, dove è stato un arbitro che ha diretto partite di tutte le categorie del calcio italiano. L’abbiamo intervistato per il nostro format “Behind the Mask“: ci ha raccontato la sua storia, la sua carriera e qualche aneddoto del mestiere di arbitro.

Come ti sei avvicinato al mondo arbitrale?

“Mio zio era un arbitro da ormai trent’anni nel CSI. Una domenica era venuto a trovare mia mamma, io ero sul divano e mi ha detto: ‘Perché invece di stare qui a fare nulla non vieni con me a provare ad arbitrare?’. Il giorno dopo mi sono iscritto al corso arbitri, poi ho cominciato in una partita di allievi nel calcio a 7. Ho iniziato un po’ per gioco, per evitare di annoiarmi, poi è arrivata la passione: fino a 22 anni sono stato al CSI, sono passato all’AIA abbastanza tardi, con un ritardo di 5 anni rispetto agli altri”.

Da arbitro sei stato testimone di tutte le categorie calcistiche in Italia, cosa cambia maggiormente quando si sale di livello?

“Cambia la qualità dei giocatori, la velocità del gioco, serve una capacità di decidere molto più veloce. Il grande salto c’è tra Serie C e Serie B e poi la Serie A è un altro mondo, da tutti i punti di vista. Io ho smesso 13 anni fa, il mondo del calcio oggi non lo conosco da dentro, ma vedendo la differenza tra Serie A e B oggi mi sembra che si sia ulteriormente amplificata”.

Nel calcio di categorie inferiori hai trovato delle differenze qualitative a livello territoriale? Arbitrare una partita di eccellenza a Milano, è diverso rispetto a Roma o a Palermo?

“Assolutamente sì, il campionato di eccellenza in Lombardia è quello più vicino alla Serie D. Al sud è più complesso, soprattutto a livello ambientale. Anche se promozione ed eccellenza, in realtà, non le ho vissute molto al sud. Ho visto il centro, nella zona di Roma, lì la qualità era leggermente più bassa rispetto alla Lombardia, non me ne vogliano le squadre del Lazio”.

Esordio in Serie A, Lazio-Siena nel 2005, puoi raccontarci le tue emozioni durante quel giorno?

“Questa partita è finita senza ammoniti, espulsi o rigori, nulla in particolare. Ricordo ancora le votazioni il giorno dopo sui giornali, è stata una bella soddisfazione. Il coronamento di una vita arbitrale, ho iniziato a 19 anni, poi ho fatto 11 anni in giro per l’Italia per l’AIA e questa partita arrivò dopo 7 gare di Serie B. Un bellissimo ricordo, ma non è la partita più importante della mia carriera. Non posso descrivere l’esperienza perché andrebbe vissuta, c’erano in campo anche giocatori come Di Canio e Chiesa, era un’altra generazione di calciatori”.

Ci hai accennato della partita più importante della tua carriera, puoi dirci qual è stata e raccontarci i motivi?

“Era la partita più attesa della stagione, forse di tutta la storia della Serie C: la finale dei play-off, Avellino-Napoli. Avevo già arbitrato Napoli-Avellino in campionato con 70.000 spettatori, record della competizione. La partita d’andata della finale era finita 0-0, quindi era ancora tutto aperto. L’ho rivista tante volte quella gara, avevo 33 anni ed ero pieno di speranze”. 

Sei mai stato aggredito durante la direzione di una partita?

“Sì è successo, durante Catanzaro-Acireale, in quel momento erano prima e seconda in classifica. Una partita bellissima, ma molto nervosa. Era stata annullata una rete all’Acireale, sarebbe stata quella del pareggio, alla fine vinse il Catanzaro 1-0. L’assistente segnalò un fuorigioco ed aveva ragione, ma non c’erano VAR e tecnologia. In campo c’era Pulvirenti, all’epoca Presidente dell’Acireale, mi ha dato una spinta tra spalle e petto ma senza farmi nulla. Avevo commesso un errore anche io però, mi sono avvicinato troppo a lui ed in quel momento era troppo nervoso, poi si è scusato prontamente e l’ho apprezzato, ma è stato ugualmente squalificato”.

Ci sono stati altri momenti in cui non ti sei sentito al sicuro in campo?

“No, riprendo una frase di Collina, lui una volta disse di non essere mai stato aggredito perché era stato fortunato, non perché fosse più bravo degli altri. Anche io non ho mai avuto problemi di questo genere, non ho avuto la sfortuna di incontrare dei pazzi, la violenza sugli arbitri è un problema che andrebbe affrontato seriamente. Chi mette le mani addosso ha problemi, se lo fai ad un arbitro devi essere allontanato dallo sport e dal mondo del calcio”.

Quando un arbitro di Serie A sbaglia se ne accorge subito? Se sì come fa a gestire il resto della partita mentalmente lucido?

“Spesso si dice che un arbitro si accorge subito dei propri errori, ma non è sempre così. Ti faccio un esempio: Modena-Juventus in Serie B, una della partite peggiori della mia carriera, c’è un fallo di Del Piero su Campedelli ed io fischio fallo ma non avevo nemmeno visto, sono andato ad intuito. La partita finisce ed io non mi accorgo di nulla, fino a quando non usciamo dallo stadio e ved0 Campedelli uscire in stampelle. Quello era un fallo da espulsione, quello che oggi si chiama vigoria sproporzionata, con tacchetti alti e ginocchio rigido. Mentre stavo uscendo il mio migliore amico mi scrive: ‘Cos’è successo? Qua in televisione stanno facendo un casino’. Quindi ti posso dire che non è sempre così, spesso non ci si accorge subito“. 

Parlando invece di pressione, è oggettivamente più difficile e quanto è più difficile arbitrare in uno stadio come San Siro o l’Olimpico rispetto a campi meno calorosi?

“A quei livelli si è professionali e professionisti, senti il rumore, senti che c’è tanta gente ed eventuali contestazioni, ma alla fine si arbitra. Non riuscirò mai a convincere chi legge che un arbitro non è influenzato, ma è così: in Italia si arriva in Serie A dopo 10/12 anni di percorso, in quel periodo hai imparato a sentire pressioni della squadra con 100, 1.000, 10.000 e poi 70.000 spettatori”.

Nel 2011 hai deciso di dimetterti dall’AIA, puoi raccontarci cosa ti ha portato a prendere una scelta simile?

“Mi sono dimesso perché c’erano stati tanti problemi. Nel 2010 sono stato sospeso per nove mesi, a causa di una faccenda assurda: una frase riportata che io non avevo mai detto. Potevo dimettermi subito dopo ma ho deciso di aspettare la fine della sospensione, cinque giorni dopo quel momento ho dato le dimissioni. L’AIA mi manca tutti i giorni, ma non quell’AIA. In quella attuale probabilmente ci lavorerei, ma adesso faccio altro e sono molto contento. La vita è troppo breve per odiare una persona, però ci sono persone che detesto e con cui non voglio più avere nulla a che fare, in quella dirigenza c’erano persone che detestavo”.

Ad oggi, dopo tanti anni senza stare sul terreno di gioco, cosa ti manca di più dell’essere un arbitro?

“Tutto, la sezione, i colleghi, le trasferte. Mi manca non aver potuto provare l’esperienza del VAR, mi sarebbe piaciuto arbitrare con la tecnologia. Mi manca tutto, per questo tengo viva questa passione in maniera alternativa. Ho creato un gruppo privato su Facebook per arbitri, in modo che anche questi siano liberi di esprimersi. Questo è anche un modo per tenermi a contatto con gli arbitri più giovani, spesso mi chiedono consigli comportamentali e non tecnici, a cui cerco di rispondere attraverso la mia esperienza”.

Cosa vorresti trasmettere agli arbitri più giovani?

“Vorrei fargli capire la responsabilità che hanno, questa esperienza gli cambierà la vita. Non voglio nascondermi, se non avessi svolto l’attività arbitrale quest’intervista non avrei mai potuto sostenerla. Io ero timidissimo, quando parlavo con le persone non le guardavo nemmeno negli occhi. L’attività da arbitro ti aiuta, ogni settimana ti interfacci con tantissime persone che non hai mai visto prima. La realtà è che uno su tremila riesce ad arrivare in Serie A: arrivarci è un grande risultato personale, però rimane a tutti una grande passione e un patrimonio personale da portare avanti”.

Oggi ricopri un ruolo molto utile in televisione, alla luce di questo, pensi che un arbitro debba poter parlare alla fine della partita e giustificare le proprie scelte?

No, torniamo all’episodio di Modena-Juventus. Se quella partita si fosse svolta ieri io sarei dovuto andare in sala stampa senza sapere niente, anche se quello sarebbe diventato l’episodio della partita. Dovrei parlare con decine di giornalisti che mentre io mi stavo sistemando nello spogliatoio hanno discusso e rivisto l’episodio, mentre io non saprei nemmeno di cosa si stesse parlando. Nemmeno negli sport più evoluti degli Stati Uniti gli arbitri parlano dopo la partita, perché non ci sarebbe l’opportunità di conoscere a fondo quello che è successo. Sono d’accordo che gli arbitri debbano parlare nei giorni successivi, l’attenzione sull’episodio sarebbe in calo ma non ci deve interessare. L’arbitro deve pensare a diffondere una cultura nuova dell’episodio, si può sbagliare e ci saranno sempre errori perché siamo esseri umani”. 

Vedendo gli errori commessi in Serie A nelle ultime stagione, ci sono dei miglioramenti che apporteresti al protocollo?

Il protocollo così è perfetto, l’interpretazione ci sarebbe anche se fosse differente. Non è un caso che non sia mai stato modificato in sette anni, rimarrà questo e giustamente: ci sono dei paletti piuttosto rigidi che lo rendono uno strumento utile e necessario per gli episodi importanti. Non deve diventare una moviola in campo, trasformando il terreno di gioco in una tribuna sportiva come quelle che vediamo in televisione: queste sono utili, ma il campo deve rimanere il campo”.

In una tua vecchia intervista hai detto: “Gli arbitri sono professionisti ma non sono riconosciuti come tali”. Puoi spiegarci meglio questo concetto? Dal tuo punto di vista è un problema economico o di gestione del lavoro?

“Si tratta di un problema di gestione. A livello economico non si guadagna male, un arbitro come Orsato guadagna parecchie decine di migliaia di euro lordi all’anno. In Serie A e in Serie B però, in Serie C non si vive facendo l’arbitro. Il problema è proprio questo: con un contratto di un anno non si dà nessuna sicurezza economica, a quel punto diventa anche difficile avere sicurezze tecniche. Si ha sempre la paura di commettere quell’errore che ti porta ad essere dismesso, perdendo tutto quello che hai costruito in 15 anni di attività. Il professionismo è necessario ma se ne parla poco, forse perché fa bene così a tanti, ma per gli arbitri è un bel problema: avere un contratto di un anno che scade il 30 giugno significa lavorare tutti gli anni per farsi rinnovare il contratto. Nessun giocatore, tranne quelli a fine carriera, accetterebbero un contratto di un anno”.

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ESCLUSIVA – Qual è la reale situazione Sportiello-Milan? Firma ancora lontana

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Si sono fatte sempre più insistenti in queste ultime ore le voci di un accordo fra Marco Sportiello e il Milan. Il portiere dell’Atalanta, cercato dai rossoneri anche nell’ultima sessione di calciomercato, è il profilo preferito da Maldini per il ruolo di vice Maignan. Stando da quanto appreso dalla nostra redazione, però, le due parti sarebbero ancora ben lontane dall’accordo.

Giuseppe Riso, agente di Sportiello, ha dichiarato che le voci su un accordo quasi raggiunto sono infondate. Il procuratore del portiere atalantino, infatti, non si sarebbe ancora incontrato con la dirigenza dei rossoneri per discutere dell’eventuale accordo. Le parti devono ancora, dunque, sedersi al tavolo delle trattative e per la firma ci sarà ancora molto da lavorare.

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Calciomercato

ESCLUSIVA – Milan, silenzio sul rinnovo di Messias

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Junior Messias è stato, suo malgrado, uno dei protagonisti della doppio euroderby conclusosi ieri sera con l’eliminazione del Milan dalla Champions League. L’attaccante brasiliano è arrivato in rossonero nel 2021 dopo essere stato uno dei trascinatori del Crotone durante la stagione 20/21, e adesso il suo contratto è prossimo alla scadenza, fissata per il 2024.

Secondo quanto raccolto dalla nostra redazione non sarebbero ancora iniziati i dialoghi per un eventuale rinnovo di Messias, anche se la volontà del giocatore sarebbe quella di rimanere in rossonero.

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ESCLUSIVA – Volpecina: “Il Napoli può rivincere lo scudetto”

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Napoli

È con grande piacere che Numero Diez ha avuto l’onore di intervistare in esclusiva Giuseppe Volpecina, ex calciatore del Napoli e vincitore del primo scudetto azzurro, nella stagione 1986/87. In questa occasione il campione napoletano ha commentato ai nostri microfoni la conquista dello scudetto da parte del Napoli in questa stagione, ma non solo. Durante l’intervista, abbiamo avuto modo di rivivere insieme a Volpecina alcune delle più grandi glorie del calcio partenopeo, ma anche di esplorare le aspettative per il futuro della squadra azzurra.

L’INTERVISTA

All’inizio della stagione si aspettava che questo Napoli potesse vincere lo scudetto?

“Veramente avevo dei dubbi, specialmente a causa gli addii di Koulibaly e Insigne: erano due titolari, due giocatori molto importanti. Poi sono andati via anche Mertens, anche se nell’ultimo anno stava giocando di meno, Fabian Ruiz e il portiere (Ospina, ndr). I nuovi arrivati erano un punto interrogativo, perché non si conoscevano bene. Devo essere sincero, avevo dei dubbi. Non pensavo che addirittura potessimo vincere lo scudetto in modo così netto e con così tanto vantaggio, dimostrando di essere praticamente i più forti in assoluto senza nessun dubbio”.

Come ex terzino sinistro del Napoli, qual è il suo giudizio sulle prestazioni dei terzini Olivera e Di Lorenzo in questa stagione? Crede che abbiano svolto un ruolo importante nella vittoria dello scudetto?

“Anche Mario Rui ha fatto un ottimo campionato. Diciamo che i tre terzini hanno davvero fatto molto bene. Sono stati determinanti come gli altri, perché tutti quanti hanno fatto un gran lavoro, grande sacrificio, ottima qualità. La forza di questo Napoli è stato il gioco di squadra, l’affiatamento, grande condizione fisica, organizzazione di gioco. É  stato tutto un insieme. Poi Kvaratskhelia metteva la ciliegina sulla torta e Osimhen concretizzava il gioco della squadra: loro sono stati un di più. É  tutta l’organizzazione di gioco che è stata perfetta e impeccabile, a parte un piccolo periodo in cui c’è stata una carenza fisica.

I ragazzi hanno condotto tutto il campionato a mille all’ora, solo nel periodo in cui abbiamo avuto le tre partite contro il Milan non siamo riusciti ad essere brillanti come al solito. Però, nonostante tutto, la qualificazione ce l’hanno un po’ strappata in modo regolare, perché siamo incappati in due giornate negative degli arbitri, sia all’andata che al ritorno. La bilancia poteva pendere dalla nostra parte, invece ci sono stati due errori gravi degli arbitri. Poi siamo stati sfortunati perché abbiamo giocato con due giocatori squalificati e, dopo pochi minuti, anche due infortunati. In più Osimhen rientrava dall’infortunio dopo tanto tempo e all’andata abbiamo giocato addirittura senza attaccante. Quindi sono state tante piccole cose a farci perdere la qualificazione ed è stato un peccato perché era un’ottima occasione, almeno per arrivare in finale”. 

Cosa, secondo lei, è mancato alle altre squadre per stare al passo del Napoli?

“Si sono subito perse per strada. Si sono alternate: mentre il Milan faceva delle buone cose, si fermava l’Inter; riprendeva l’Inter e si fermava il Milan. La Juve ha sempre avuto problemi. Poi le dirette avversarie hanno perso molte partite. Poi con il doppio impegno campionato-Champions qualche punto lo perdi. Invece il Napoli è stato veramente bravissimo a tenere sempre la concentrazione alta e un grande ritmo. Sia in campionato che in coppa, ha sempre avuto un ritmo alto e una bella freschezza atletica. Le altre, quando hanno giocato e c’era il doppio impegno, hanno pagato molto e hanno fatto turnover.

Noi, invece, abbiamo una rosa un po’ più ampia: ad esempio, quando mancavano Kvaratskhelia e Osimhen, Simeone e Raspadori hanno dato il loro contributo, hanno fatto gol e ci hanno dato punti importanti. Noi siamo stati più completi in tutti i sensi, sia come prestazione fisica che come rosa. Quando rischiavamo di perdere punti a causa dei tanti impegni, non li abbiamo persi perché avevamo più qualità. Le altre, invece, hanno subito qualche battuta d’arresto e noi ne abbiamo approfittato”.

Qual è stata la differenza principale tra il Napoli di questa stagione e quello degli anni precedenti?

“É difficile dire delle differenze perché sono passati tanti anni, soprattutto dal primo scudetto. Avevamo tanti giocatori forti e, soprattutto, avevamo Diego (Maradona, ndr) che non fa testo. Nell’87’ ci abbiamo messo la stessa grinta, la stessa voglia e la stessa fame perché volevamo vincere e non era mai successo prima. In quella formazione eravamo più di dieci campani, quindi c’era un qualcosa in più. Eravamo assatanati, assetati e affamati: volevamo vincere a tutti i costi. E abbiamo vinto. I ragazzi del Napoli attuale hanno avuto le stesse cose. Io ritengo che gli avversari dei miei tempi, senza togliere nessun merito al Napoli perché è nettamente la squadra più forte di tutti, fossero più forti degli avversari di adesso.

Sono passati tanti anni, il calcio è cambiato molto ed è difficile fare questi paragoni. Io sono più che convinto che il Milan attuale non valga il Milan di Baresi, Tassotti, Maldini, Van Basten, Gullit e Rijkaard. Io tutti questi giocatori forti ora non li vedo. La stessa cosa vale per l’Inter, per la Juve e per la Roma, che aveva ottimi giocatori. Lo stesso per quanto riguarda la Sampdoria di Vialli e Mancini, che hanno vinto anche lo scudetto.

Nel 1987 c’erano 5/6 squadre alla pari del Napoli. Infatti in sette di Maradona al Napoli abbiamo vinto solo due volte, poi i vincitori dello scudetto si sono alternati: abbiamo trionfato noi, poi il Milan, poi l’Inter, poi di nuovo il Napoli, la Sampdoria, la Juve… Non c’è stata una continuità di vittorie come negli scorsi anni, in cui la Juve ha vinto 9 campionati consecutivi: prima era impensabile. Spesso si vinceva il campionato all’ultima partita, con pochi punti di vantaggio.

Le attuali avversarie del Napoli non le vedo fortissime come ai miei tempi. C’è un po’ di crisi economica, c’è anche una crisi di qualità: oggi, per esempio, non vedo un Roberto Baggio, un Mancini, un Totti, un Maldini, un Baresi. Non ci sono questi giocatori, non ci illudiamo. Infatti, soffriamo anche con la Nazionale. Faccio un esempio per quanto riguarda i terzini sinistri. Io non sono mai arrivato a vestire la maglia dell’Italia, con Cabrini, Maldini, Francini, De Agostini, Nela.

C’erano terzini fortissimi, ma Cabrini li chiudeva tutti. Oggi in Nazionale siamo costretti a chiamare un ragazzo bravo, ma brasiliano. Oppure Spinazzola che è forte ma è destro. Stessa cosa per gli attaccanti, abbiamo avuto molti problemi a fare gol e non ci siamo qualificati per due volte ai Mondiali. Questo dimostra che in Italia tantissimi calciatori di qualità come Baggio, Baresi o Bruno Conti non ci sono. Queste credo sia la grande differenza. Bisognerebbe coltivare di più il talento”.

A livello mentale, Luciano Spalletti cos’ha dato ai suoi ragazzi?

“A livello mentale Spalletti ha portato tranquillità, serenità e convinzione dei propri mezzi. Ha rivalutato tanti ragazzi che negli anni scorsi hanno avuto difficoltà. Un esempio può essere Lobotka: quest’anno era sicuro, tranquillo, dirigeva il gioco con grande personalità. Quando è arrivato mi sembrava spaesato, non convinto, un po’ perso e non stava nemmeno tanto bene fisicamente. Quando c’è un allenatore che ti dà tranquillità, sicurezza e ti dà responsabilità, il giocatore rende di più. Non si sente sotto esame, si sente tranquillo, sente che può anche sbagliare e, quindi, il ragazzo sbaglia poco. Invece, quando il calciatore sa che non può commettere errori, sbaglia di più perché c’è più tensione, più nervosismo.

Spalletti è riuscito a trasmettere massima tranquillità a tutti ed è stato bravo a tenere concentrati e sul pezzo i suoi giocatori. É  successo anche a me, perché ho avuto la fortuna di giocare oltre 30 partite in Coppa UEFA: facevo grandi partite in Europa, ma la domenica ci mettevo tanto impegno e volontà ma non riuscivo a ripetere la prestazione. Non è facile. Spalletti, invece, è stato bravo a tenere sempre carichi e concentrati i suoi giocatori ogni tre giorni. Credo che questo sia stato determinante”.

Crede che ci saranno dei cambiamenti all’interno della squadra e della dirigenza?

“Ora è difficile stabilirlo con certezza. All’interno del gruppo squadra, il presidente ha detto che vuole puntare anche alla Champions e quindi rinforzerà la formazione. Però io temo che cominceranno problemi, perché arriveranno richieste importanti dai giocatori. Osimhen, per esempio, è accostato già a tante squadre fortissime in Europa. Quando cominceranno ad arrivare queste richieste e offerte contrattuali notevoli, inizieranno i veri problemi. Non sempre si riesce a trattenere questi giocatori. Poi se arriva qualche offerta irrinunciabile, il Napoli non può farci molto. In caso di grandi somme di denaro, però, si può costruire una squadra altrettanto importante.

Adesso è prematuro fare questo discorso, bisogna vedere se la società riuscirà a resistere alle tentazioni e alle richieste. Io credo che tutti i giocatori avranno desideri importanti, e non solo Osimhen e Kvaratskhelia. Sono tutti calciatori di alta qualità e possono giocare in grandi squadre europee. La società avrà un gran bel da fare. Per quanto riguarda i dirigenti, le voci dicono che il direttore sportivo (Cristiano Giuntoli, ndr) partirà. Per il momento, però, sono tutte chiacchiere. Bisognerà capirlo un po’ più in là, anche perché si sta ancora giocando il campionato”.

Come pensa che il Napoli debba affrontare la prossima stagione, dopo la vittoria dello scudetto?

“Il segreto sta nell’affrontare le partite sempre con la stessa intensità, cattiveria agonistica e con la fame. Questo non è facile, perché quando una squadra ha fame e si sazia, poi diventa difficile. Se, però, la squadra e l’allenatore riescono ad avere la stessa voglia e determinazione, io credo che possiamo aprire un ciclo perché la formazione è forte.

Le altre non credo possano colmare tutto questo gap che c’è con il Napoli in vista della prossima stagione. Tutte quante le altre compagini di Serie A hanno difficoltà economiche. Non possono fare grandi investimenti, a meno che non siano così bravi e fortunati ad acquistare 3/4 giovani che rendono alla grande, come abbiamo fatto noi. Se così dovesse essere, potranno creare problemi, ma attualmente noi abbiamo un grande vantaggio. Se nella prossima stagione abbiamo la stessa voglia, la stessa fame e la stessa determinazione di quest’anno, possiamo ripetere l’impresa. Non credo con lo stesso vantaggio e così nettamente, ma possiamo tranquillamente rivincere lo scudetto”.

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