ESCLUSIVA CONDÒ – Tra pochi giorni ripartirà la Champions League, che metterà di fronte Milan e Napoli nella partita che più riguarda la Serie A. Partendo da questa partita, abbiamo voluto affrontare alcuni aspetti della stagione in corso, virando anche su qualche aspetto strutturale del calcio nostrano assieme a Paolo Condò, noto giornalista di Sky e de La Repubblica, votante italiano per l’assegnazione del Pallone d’Oro.
Tra pochi giorni ci sarà la tanto attesa sfida Champions tra Milan e Napoli: il 4-0 in favore dei rossoneri arrivato in campionato riequilibra il pronostico o il Napoli rimane comunque la grande favorita per il passaggio del turno?
“Sicuramente cambia le carte in tavola, perché un risultato del genere dà sicurezza al Milan e porta qualche certezza al Napoli. La squadra di Spalletti ha reagito contro il Lecce dal punto di vista del risultato, ma ha sofferto molto e vinto in maniera anche fortunosa grazie ad un errore di Falcone. Mi sembra poi di aver visto molti dei giocatori che non sono più nel picco del proprio rendimento: Kvaratskhelia in queste ultime partite è stato leggermente al di sotto del suo livello, ma può essere un fattore. Inoltre, sulla scelta di non schierare Osimhen ci vedo molta pre-tattica e secondo me lo vedremo regolarmente in campo mercoledì. Dall’altra parte, per il Milan il pareggio con l’Empoli ha buttato una secchiata d’acqua sugli entusiasmi derivati dal 4-0 al Maradona, e ha dimostrato ancora una volta che oltre ai titolari c’è ben poco: Rebic, Origi e Ibrahimovic hanno fatto 6 gol in tre. Deve dunque sperare che i vari Leao, Giroud e Brahim Diaz stiano bene“.
Dopo un paio di stagioni in cui la lotta Scudetto è stata quanto meno avvincente fino alle ultime giornate, quest’anno il Napoli diventerà Campione d’Italia con largo anticipo: si è dato una spiegazione del ritmo blando delle inseguitrici in questa stagione?
“Da due anni si verifica una cosa inusuale, ovvero che la squadra che vince lo Scudetto viene indebolita dal mercato. Solitamente chi vince il campionato, vuoi per l’entusiasmo, vuoi per i maggiori incassi, punta a rinforzarsi. Invece l’Inter dopo lo Scudetto ha perso Hakimi, Eriksen e Lukaku, mentre il Milan ha perso Kessié e ormai possiamo dire che De Ketelaere fino a questo momento si è rivelato un acquisto sbagliato, almeno per quanto riguarda questa stagione. Ad aumentare il distacco c’è anche il fatto che il Napoli ha centrato la stagione perfetta, perché non nascondo che io in primis avevo molti dubbi dopo gli addii di Mertens, Koulibaly, Insigne e Fabian Ruiz. Inoltre c’è anche il merito di aver trovato un fattore determinante come Kvaratskhelia, che nessuno poteva pensare così forte, e che ha contribuito a far lievitare di conseguenza tutto il Napoli portando beneficio anche allo straordinario Osimhen di quest’anno. Credo quindi che Inter, Milan e le altre inseguitrici a un certo punto abbiano un po’ mollato quando hanno capito che questo Napoli non si poteva prendere, e la conseguenza è il distacco di punti, persi soprattutto in corrispondenza dei match delle coppe europee. In più, nel Milan e nell’Inter soprattutto, può essersi insidiato il pensiero che con la penalizzazione della Juventus la qualificazione in Champions fosse quasi automatica, portando un ulteriore calo di attenzione“.
A proposito di Juventus: a partire dall’anno prossimo si vedrà un cambio netto di gestione da parte della società a partire dal mercato. Se lei fosse all’interno della dirigenza, cambierebbe anche Allegri in panchina per ripartire totalmente da capo o lo confermerebbe per avere almeno un elemento di continuità?
“Dipende fondamentalmente da quello che sarà il futuro extra-campo della Juventus: se la situazione non dovesse aggravarsi con multe e penalità tali da consentire di mantenere l’ossatura della squadra da lotta per il primato, Allegri è l’allenatore giusto perché sa gestire gruppi importanti. Se invece dovessero arrivare altre sanzioni economiche che costringano all’addio qualche giocatore importante e a dover quindi ripartire da una squadra di giovani, prenderei un allenatore differente, che possa impostare un lavoro di crescita improntato al futuro anziché al vincere subito“.
La Juventus ha iniziato ad avere un’espressione anche esteticamente più apprezzabile nel momento in cui sono entrati in pianta stabile nei titolari dei giovani come Miretti e Fagioli, mentre specie nella prima parte di campionato, quando le responsabilità erano dei giocatori più blasonati, la squadra ha fatto molta fatica. Come ha interpretato questo aspetto?
“Credo che la Juventus abbia pagato moltissimo la collocazione temporale anomala del Mondiale in Qatar, giocato in inverno nel bel mezzo della stagione. Ha mandato molti giocatori alla Coppa del Mondo, e tanti di questi in squadre che sono arrivate molto avanti nella competizione, e credo che molti dei giocatori si siano risparmiati in vista dell’impegno con la propria nazionale. Di Maria è l’esempio più lampante: il cambio di rendimento tra pre e post Mondiale è troppo evidente, e il motivo è che, per lui come per tanti altri, l’obiettivo del Qatar ha inciso sulla testa dei giocatori, che sono stati attenti a non farsi male o che comunque non erano focalizzati al 100% sulla stagione con la Juventus vista l’importanza dell’appuntamento di dicembre. Ma credo che il problema principale della Juventus sia stato di tipo medico: i bianconeri sono stati falcidiati da infortuni anche molto gravi, come quello di Chiesa. È rientrato formalmente a gennaio, ma dopo quattro mesi è ancora in dubbio per ogni partita perché continua ad avere fastidi. Allegri è stato bravissimo a saper dare spazio e fiducia ai giovani come Miretti e Fagioli, che sono venuti molto in aiuto della Juventus viste tutte queste dinamiche e che si sono rivelate delle armi in più probabilmente a cui pochi pensavano ad inizio stagione“.
Parlando del sistema in generale, perché la Serie A è così restia al cambiamento per innalzare il proprio livello? Non si potrebbe copiare ciò che funziona negli altri campionati e importarlo anche da noi?
“Secondo me a bloccare l’evoluzione c’è il fatto che tra le squadre che compongono la Serie A, quasi nessuna riesce a pensare a lungo termine, ma ognuna misura il proprio tornaconto immediato. A mio avviso bisognerebbe tornare a un campionato a 18 squadre, per migliorare la qualità media del campionato e la competitività che ne conseguirebbe anche in Europa. Ci sono però un sacco di squadre che negli ultimi anni hanno fatto avanti e indietro tra Serie A e Serie B che sono preoccupati dalla cosa, per paura di essere loro a dover retrocedere per cambiare il format. Ad esempio, contro la riduzione a 18 squadre continua a votare l’Atalanta, anche se ormai è da più stagioni che è stabilmente una squadra che si qualifica alle coppe, ma a causa del proprio passato nelle zone basse continua ad essere contraria. Un altro problema è stato l’applicazione del Decreto Crescita per le squadre di calcio, che non promuove i giocatori italiani perché economicamente conviene di più prendere degli stranieri, che porta danni anche alla Nazionale che ha un ventaglio di opzioni sempre più ristretto. L’emendamento Nannicini secondo me andava nella giusta direzione, ovvero nel porre una soglia limite intorno ai 2 milioni di euro: cioè se un giocatore costa almeno 2 milioni, quindi ha un valore comprovato, allora ci sono agevolazioni, ma se il valore del giocatore è al di sotto di questa soglia le agevolazioni non spettano. Molti si opposero perché si diceva che questa soluzione permetteva solo alle grandi squadre di beneficiare di agevolazioni per i giocatori esteri. Ma per come la vedo io in ogni caso le “piccole” non competono con le grandi, e quindi è importante che facciano come sta facendo per esempio l’Empoli, che costruisce dal proprio vivaio i talenti che poi manda in prima squadra. Se anche le piccole hanno convenienza nel prendere giocatori dall’estero, tra l’altro di dubbio valore, piuttosto che valorizzare i ragazzi italiani, non si avrà mai un miglioramento in questo senso“.