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ESCLUSIVA - Il Dott. Casali parla dei falsi "infortuni psicologici"

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ESCLUSIVA – Il Dott. Danilo Casali parla dei falsi “infortuni psicologici”

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calciatore

Abbiamo avuto l’onore di poterci confrontare nuovamente con il Dott. Danilo Casali, esperto di prevenzione infortuni muscolari in ambito sportivo.

Ci ha parlato di quelli che ad oggi sono etichettati impropriamente come “infortuni psicologici” e ci ha portato due esempi lampanti che si sono verificati negli ultimi mesi, ovvero il caso di Nico Gonzalez e quello di Paul Pogba, ma i casi sono molto più frequenti.

Entrambi sono accomunati dal fatto di aver subito un nuovo infortunio muscolare effettivo, dopo che erano state fatte ipotesi di problemi psicologici, mentali, nel loro difficoltoso periodo che li ha tenuti lontani dal campo. Premesso che le implicazioni psicologiche di un individuo che soffre per un problema, sono individuali ed in
rapporto al proprio vissuto, questi riferimenti servono unicamente a far capire come, utilizzando la giustificazione psicologica, ci si allontani dalla ricerca delle cause effettive ancora presenti nel generare infortuni e recidive.

Nello specifico caso di Gonzalez, prima della convocazione per i Mondiali, lo staff e la società avevano ipotizzato un infortunio “mentale” per il loro atleta, insinuando un volontario atteggiamento frenato per non rischiare altri problemi in vista dell’imminente torneo in Qatar.

Il velocista argentino fu convocato ma poi lasciò il ritiro della nazionale prima del Mondiale per un infortunio di secondo grado insorto in allenamento.
Per Pogba, dopo un periodo lungo di assenza per la riabilitazione al ginocchio e quando il suo rientro sembrava imminente, è giunto un nuovo rinvio che ha lasciato perplesso anche l’allenatore. Sulla stampa qualcuno ha ipotizzato un infortunio psicologico anche per il francese, riferendosi a fonti vicine alla squadra.
Purtroppo, il centrocampista bianconero, ha subìto un nuovo infortunio muscolare documentabile con gli esami del caso, ovvero un problema reale tutt’altro che psicologico. Come per N.Gonzalez:

È ampiamente noto che in medicina, quando un individuo lamenta problemi che non trovano conferma negli esami, venga chiamata troppo frettolosamente in causa la sfera psicologica/psicosomatica. Accade per un mal di schiena, per un mal di testa ricorrente e per molti altri disturbi. Il fatto che gli esami non possano “fotografare” certi disturbi funzionali, ovvero perturbazioni sul funzionamento corretto, porta a queste conclusioni molto spesso
totalmente prive di fondamento”.

L’OPINIONE DEL DOTT. CASALI

Un atleta professionista come altri individui è soggetto a problematiche disfunzionali silenti, salvo il fatto che quando deve spingere al massimo in allenamento e competizione, può rilevare
percezioni fastidiose durante qualche movimento o dolori accentuati post-attività, anche a fronte di allenamenti non intensi, che lo inducono a stare in allerta: con netta riduzione delle potenzialità.
In qualsiasi auto moderna, la centralina elettronica inibisce la potenza se rileva qualche dato problematico proveniente dai vari sensori.
Il corpo è dotato degli stessi meccanismi ed un atleta di alto livello, che quotidianamente si allena ascoltandosi, è indubbiamente molto più affidabile nel percepire questi alert. Tutti gli allenamenti neuromuscolari effettuati, oltre alle altre finalità, perfezionano indirettamente questa capacità. E’ quindi paradossale che qualcuno, sicuramente informato dallo staff sanitario/atletico, faccia queste ipotesi quando non riesce a comprendere tutte le cause che incidono nel generare infortuni muscolari frequenti.
Dopo infortuni e ricadute sarebbe normale per chiunque avere quel minimo di timore/paura nel
ritornare in campo, ma le notizie sopra confermano sistematicamente come il problema infortuni
muscolari sia riconducibile non solo ai ritmi intensi imposti dal calendario, ma anche a questa zona d’ombra presente nelle procedure di valutazione medica, alla quale sfuggono le cause biomeccaniche alla base degli infortuni indiretti (senza nessun trauma/contrasto).
Come spiegare altrimenti le recidive che insorgono al ritorno in campo, o durante la stessa fase di
riabilitazione, accadute in questi mesi a più atleti (ad esempio Maignan e Lukaku)? Essendo già stati fermi per il loro recupero, non possono certo essere vittime delle partite ravvicinate”.

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ESCLUSIVA – Luca Marelli si racconta: la sua carriera e il mestiere di arbitro

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Luca Marelli

Luca Marelli ogni settimana entra nei salotti di tutti gli italiani, spiegando gli episodi arbitrali su DAZN. La sua carriera non è iniziata in televisione ma sul terreno di gioco, dove è stato un arbitro che ha diretto partite di tutte le categorie del calcio italiano. L’abbiamo intervistato per il nostro format “Behind the Mask“: ci ha raccontato la sua storia, la sua carriera e qualche aneddoto del mestiere di arbitro.

Come ti sei avvicinato al mondo arbitrale?

“Mio zio era un arbitro da ormai trent’anni nel CSI. Una domenica era venuto a trovare mia mamma, io ero sul divano e mi ha detto: ‘Perché invece di stare qui a fare nulla non vieni con me a provare ad arbitrare?’. Il giorno dopo mi sono iscritto al corso arbitri, poi ho cominciato in una partita di allievi nel calcio a 7. Ho iniziato un po’ per gioco, per evitare di annoiarmi, poi è arrivata la passione: fino a 22 anni sono stato al CSI, sono passato all’AIA abbastanza tardi, con un ritardo di 5 anni rispetto agli altri”.

Da arbitro sei stato testimone di tutte le categorie calcistiche in Italia, cosa cambia maggiormente quando si sale di livello?

“Cambia la qualità dei giocatori, la velocità del gioco, serve una capacità di decidere molto più veloce. Il grande salto c’è tra Serie C e Serie B e poi la Serie A è un altro mondo, da tutti i punti di vista. Io ho smesso 13 anni fa, il mondo del calcio oggi non lo conosco da dentro, ma vedendo la differenza tra Serie A e B oggi mi sembra che si sia ulteriormente amplificata”.

Nel calcio di categorie inferiori hai trovato delle differenze qualitative a livello territoriale? Arbitrare una partita di eccellenza a Milano, è diverso rispetto a Roma o a Palermo?

“Assolutamente sì, il campionato di eccellenza in Lombardia è quello più vicino alla Serie D. Al sud è più complesso, soprattutto a livello ambientale. Anche se promozione ed eccellenza, in realtà, non le ho vissute molto al sud. Ho visto il centro, nella zona di Roma, lì la qualità era leggermente più bassa rispetto alla Lombardia, non me ne vogliano le squadre del Lazio”.

Esordio in Serie A, Lazio-Siena nel 2005, puoi raccontarci le tue emozioni durante quel giorno?

“Questa partita è finita senza ammoniti, espulsi o rigori, nulla in particolare. Ricordo ancora le votazioni il giorno dopo sui giornali, è stata una bella soddisfazione. Il coronamento di una vita arbitrale, ho iniziato a 19 anni, poi ho fatto 11 anni in giro per l’Italia per l’AIA e questa partita arrivò dopo 7 gare di Serie B. Un bellissimo ricordo, ma non è la partita più importante della mia carriera. Non posso descrivere l’esperienza perché andrebbe vissuta, c’erano in campo anche giocatori come Di Canio e Chiesa, era un’altra generazione di calciatori”.

Ci hai accennato della partita più importante della tua carriera, puoi dirci qual è stata e raccontarci i motivi?

“Era la partita più attesa della stagione, forse di tutta la storia della Serie C: la finale dei play-off, Avellino-Napoli. Avevo già arbitrato Napoli-Avellino in campionato con 70.000 spettatori, record della competizione. La partita d’andata della finale era finita 0-0, quindi era ancora tutto aperto. L’ho rivista tante volte quella gara, avevo 33 anni ed ero pieno di speranze”. 

Sei mai stato aggredito durante la direzione di una partita?

“Sì è successo, durante Catanzaro-Acireale, in quel momento erano prima e seconda in classifica. Una partita bellissima, ma molto nervosa. Era stata annullata una rete all’Acireale, sarebbe stata quella del pareggio, alla fine vinse il Catanzaro 1-0. L’assistente segnalò un fuorigioco ed aveva ragione, ma non c’erano VAR e tecnologia. In campo c’era Pulvirenti, all’epoca Presidente dell’Acireale, mi ha dato una spinta tra spalle e petto ma senza farmi nulla. Avevo commesso un errore anche io però, mi sono avvicinato troppo a lui ed in quel momento era troppo nervoso, poi si è scusato prontamente e l’ho apprezzato, ma è stato ugualmente squalificato”.

Ci sono stati altri momenti in cui non ti sei sentito al sicuro in campo?

“No, riprendo una frase di Collina, lui una volta disse di non essere mai stato aggredito perché era stato fortunato, non perché fosse più bravo degli altri. Anche io non ho mai avuto problemi di questo genere, non ho avuto la sfortuna di incontrare dei pazzi, la violenza sugli arbitri è un problema che andrebbe affrontato seriamente. Chi mette le mani addosso ha problemi, se lo fai ad un arbitro devi essere allontanato dallo sport e dal mondo del calcio”.

Quando un arbitro di Serie A sbaglia se ne accorge subito? Se sì come fa a gestire il resto della partita mentalmente lucido?

“Spesso si dice che un arbitro si accorge subito dei propri errori, ma non è sempre così. Ti faccio un esempio: Modena-Juventus in Serie B, una della partite peggiori della mia carriera, c’è un fallo di Del Piero su Campedelli ed io fischio fallo ma non avevo nemmeno visto, sono andato ad intuito. La partita finisce ed io non mi accorgo di nulla, fino a quando non usciamo dallo stadio e ved0 Campedelli uscire in stampelle. Quello era un fallo da espulsione, quello che oggi si chiama vigoria sproporzionata, con tacchetti alti e ginocchio rigido. Mentre stavo uscendo il mio migliore amico mi scrive: ‘Cos’è successo? Qua in televisione stanno facendo un casino’. Quindi ti posso dire che non è sempre così, spesso non ci si accorge subito“. 

Parlando invece di pressione, è oggettivamente più difficile e quanto è più difficile arbitrare in uno stadio come San Siro o l’Olimpico rispetto a campi meno calorosi?

“A quei livelli si è professionali e professionisti, senti il rumore, senti che c’è tanta gente ed eventuali contestazioni, ma alla fine si arbitra. Non riuscirò mai a convincere chi legge che un arbitro non è influenzato, ma è così: in Italia si arriva in Serie A dopo 10/12 anni di percorso, in quel periodo hai imparato a sentire pressioni della squadra con 100, 1.000, 10.000 e poi 70.000 spettatori”.

Nel 2011 hai deciso di dimetterti dall’AIA, puoi raccontarci cosa ti ha portato a prendere una scelta simile?

“Mi sono dimesso perché c’erano stati tanti problemi. Nel 2010 sono stato sospeso per nove mesi, a causa di una faccenda assurda: una frase riportata che io non avevo mai detto. Potevo dimettermi subito dopo ma ho deciso di aspettare la fine della sospensione, cinque giorni dopo quel momento ho dato le dimissioni. L’AIA mi manca tutti i giorni, ma non quell’AIA. In quella attuale probabilmente ci lavorerei, ma adesso faccio altro e sono molto contento. La vita è troppo breve per odiare una persona, però ci sono persone che detesto e con cui non voglio più avere nulla a che fare, in quella dirigenza c’erano persone che detestavo”.

Ad oggi, dopo tanti anni senza stare sul terreno di gioco, cosa ti manca di più dell’essere un arbitro?

“Tutto, la sezione, i colleghi, le trasferte. Mi manca non aver potuto provare l’esperienza del VAR, mi sarebbe piaciuto arbitrare con la tecnologia. Mi manca tutto, per questo tengo viva questa passione in maniera alternativa. Ho creato un gruppo privato su Facebook per arbitri, in modo che anche questi siano liberi di esprimersi. Questo è anche un modo per tenermi a contatto con gli arbitri più giovani, spesso mi chiedono consigli comportamentali e non tecnici, a cui cerco di rispondere attraverso la mia esperienza”.

Cosa vorresti trasmettere agli arbitri più giovani?

“Vorrei fargli capire la responsabilità che hanno, questa esperienza gli cambierà la vita. Non voglio nascondermi, se non avessi svolto l’attività arbitrale quest’intervista non avrei mai potuto sostenerla. Io ero timidissimo, quando parlavo con le persone non le guardavo nemmeno negli occhi. L’attività da arbitro ti aiuta, ogni settimana ti interfacci con tantissime persone che non hai mai visto prima. La realtà è che uno su tremila riesce ad arrivare in Serie A: arrivarci è un grande risultato personale, però rimane a tutti una grande passione e un patrimonio personale da portare avanti”.

Oggi ricopri un ruolo molto utile in televisione, alla luce di questo, pensi che un arbitro debba poter parlare alla fine della partita e giustificare le proprie scelte?

No, torniamo all’episodio di Modena-Juventus. Se quella partita si fosse svolta ieri io sarei dovuto andare in sala stampa senza sapere niente, anche se quello sarebbe diventato l’episodio della partita. Dovrei parlare con decine di giornalisti che mentre io mi stavo sistemando nello spogliatoio hanno discusso e rivisto l’episodio, mentre io non saprei nemmeno di cosa si stesse parlando. Nemmeno negli sport più evoluti degli Stati Uniti gli arbitri parlano dopo la partita, perché non ci sarebbe l’opportunità di conoscere a fondo quello che è successo. Sono d’accordo che gli arbitri debbano parlare nei giorni successivi, l’attenzione sull’episodio sarebbe in calo ma non ci deve interessare. L’arbitro deve pensare a diffondere una cultura nuova dell’episodio, si può sbagliare e ci saranno sempre errori perché siamo esseri umani”. 

Vedendo gli errori commessi in Serie A nelle ultime stagione, ci sono dei miglioramenti che apporteresti al protocollo?

Il protocollo così è perfetto, l’interpretazione ci sarebbe anche se fosse differente. Non è un caso che non sia mai stato modificato in sette anni, rimarrà questo e giustamente: ci sono dei paletti piuttosto rigidi che lo rendono uno strumento utile e necessario per gli episodi importanti. Non deve diventare una moviola in campo, trasformando il terreno di gioco in una tribuna sportiva come quelle che vediamo in televisione: queste sono utili, ma il campo deve rimanere il campo”.

In una tua vecchia intervista hai detto: “Gli arbitri sono professionisti ma non sono riconosciuti come tali”. Puoi spiegarci meglio questo concetto? Dal tuo punto di vista è un problema economico o di gestione del lavoro?

“Si tratta di un problema di gestione. A livello economico non si guadagna male, un arbitro come Orsato guadagna parecchie decine di migliaia di euro lordi all’anno. In Serie A e in Serie B però, in Serie C non si vive facendo l’arbitro. Il problema è proprio questo: con un contratto di un anno non si dà nessuna sicurezza economica, a quel punto diventa anche difficile avere sicurezze tecniche. Si ha sempre la paura di commettere quell’errore che ti porta ad essere dismesso, perdendo tutto quello che hai costruito in 15 anni di attività. Il professionismo è necessario ma se ne parla poco, forse perché fa bene così a tanti, ma per gli arbitri è un bel problema: avere un contratto di un anno che scade il 30 giugno significa lavorare tutti gli anni per farsi rinnovare il contratto. Nessun giocatore, tranne quelli a fine carriera, accetterebbero un contratto di un anno”.

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ESCLUSIVA – Qual è la reale situazione Sportiello-Milan? Firma ancora lontana

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Si sono fatte sempre più insistenti in queste ultime ore le voci di un accordo fra Marco Sportiello e il Milan. Il portiere dell’Atalanta, cercato dai rossoneri anche nell’ultima sessione di calciomercato, è il profilo preferito da Maldini per il ruolo di vice Maignan. Stando da quanto appreso dalla nostra redazione, però, le due parti sarebbero ancora ben lontane dall’accordo.

Giuseppe Riso, agente di Sportiello, ha dichiarato che le voci su un accordo quasi raggiunto sono infondate. Il procuratore del portiere atalantino, infatti, non si sarebbe ancora incontrato con la dirigenza dei rossoneri per discutere dell’eventuale accordo. Le parti devono ancora, dunque, sedersi al tavolo delle trattative e per la firma ci sarà ancora molto da lavorare.

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Calciomercato

ESCLUSIVA – Milan, silenzio sul rinnovo di Messias

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Junior Messias è stato, suo malgrado, uno dei protagonisti della doppio euroderby conclusosi ieri sera con l’eliminazione del Milan dalla Champions League. L’attaccante brasiliano è arrivato in rossonero nel 2021 dopo essere stato uno dei trascinatori del Crotone durante la stagione 20/21, e adesso il suo contratto è prossimo alla scadenza, fissata per il 2024.

Secondo quanto raccolto dalla nostra redazione non sarebbero ancora iniziati i dialoghi per un eventuale rinnovo di Messias, anche se la volontà del giocatore sarebbe quella di rimanere in rossonero.

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ESCLUSIVA – Volpecina: “Il Napoli può rivincere lo scudetto”

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Napoli

È con grande piacere che Numero Diez ha avuto l’onore di intervistare in esclusiva Giuseppe Volpecina, ex calciatore del Napoli e vincitore del primo scudetto azzurro, nella stagione 1986/87. In questa occasione il campione napoletano ha commentato ai nostri microfoni la conquista dello scudetto da parte del Napoli in questa stagione, ma non solo. Durante l’intervista, abbiamo avuto modo di rivivere insieme a Volpecina alcune delle più grandi glorie del calcio partenopeo, ma anche di esplorare le aspettative per il futuro della squadra azzurra.

L’INTERVISTA

All’inizio della stagione si aspettava che questo Napoli potesse vincere lo scudetto?

“Veramente avevo dei dubbi, specialmente a causa gli addii di Koulibaly e Insigne: erano due titolari, due giocatori molto importanti. Poi sono andati via anche Mertens, anche se nell’ultimo anno stava giocando di meno, Fabian Ruiz e il portiere (Ospina, ndr). I nuovi arrivati erano un punto interrogativo, perché non si conoscevano bene. Devo essere sincero, avevo dei dubbi. Non pensavo che addirittura potessimo vincere lo scudetto in modo così netto e con così tanto vantaggio, dimostrando di essere praticamente i più forti in assoluto senza nessun dubbio”.

Come ex terzino sinistro del Napoli, qual è il suo giudizio sulle prestazioni dei terzini Olivera e Di Lorenzo in questa stagione? Crede che abbiano svolto un ruolo importante nella vittoria dello scudetto?

“Anche Mario Rui ha fatto un ottimo campionato. Diciamo che i tre terzini hanno davvero fatto molto bene. Sono stati determinanti come gli altri, perché tutti quanti hanno fatto un gran lavoro, grande sacrificio, ottima qualità. La forza di questo Napoli è stato il gioco di squadra, l’affiatamento, grande condizione fisica, organizzazione di gioco. É  stato tutto un insieme. Poi Kvaratskhelia metteva la ciliegina sulla torta e Osimhen concretizzava il gioco della squadra: loro sono stati un di più. É  tutta l’organizzazione di gioco che è stata perfetta e impeccabile, a parte un piccolo periodo in cui c’è stata una carenza fisica.

I ragazzi hanno condotto tutto il campionato a mille all’ora, solo nel periodo in cui abbiamo avuto le tre partite contro il Milan non siamo riusciti ad essere brillanti come al solito. Però, nonostante tutto, la qualificazione ce l’hanno un po’ strappata in modo regolare, perché siamo incappati in due giornate negative degli arbitri, sia all’andata che al ritorno. La bilancia poteva pendere dalla nostra parte, invece ci sono stati due errori gravi degli arbitri. Poi siamo stati sfortunati perché abbiamo giocato con due giocatori squalificati e, dopo pochi minuti, anche due infortunati. In più Osimhen rientrava dall’infortunio dopo tanto tempo e all’andata abbiamo giocato addirittura senza attaccante. Quindi sono state tante piccole cose a farci perdere la qualificazione ed è stato un peccato perché era un’ottima occasione, almeno per arrivare in finale”. 

Cosa, secondo lei, è mancato alle altre squadre per stare al passo del Napoli?

“Si sono subito perse per strada. Si sono alternate: mentre il Milan faceva delle buone cose, si fermava l’Inter; riprendeva l’Inter e si fermava il Milan. La Juve ha sempre avuto problemi. Poi le dirette avversarie hanno perso molte partite. Poi con il doppio impegno campionato-Champions qualche punto lo perdi. Invece il Napoli è stato veramente bravissimo a tenere sempre la concentrazione alta e un grande ritmo. Sia in campionato che in coppa, ha sempre avuto un ritmo alto e una bella freschezza atletica. Le altre, quando hanno giocato e c’era il doppio impegno, hanno pagato molto e hanno fatto turnover.

Noi, invece, abbiamo una rosa un po’ più ampia: ad esempio, quando mancavano Kvaratskhelia e Osimhen, Simeone e Raspadori hanno dato il loro contributo, hanno fatto gol e ci hanno dato punti importanti. Noi siamo stati più completi in tutti i sensi, sia come prestazione fisica che come rosa. Quando rischiavamo di perdere punti a causa dei tanti impegni, non li abbiamo persi perché avevamo più qualità. Le altre, invece, hanno subito qualche battuta d’arresto e noi ne abbiamo approfittato”.

Qual è stata la differenza principale tra il Napoli di questa stagione e quello degli anni precedenti?

“É difficile dire delle differenze perché sono passati tanti anni, soprattutto dal primo scudetto. Avevamo tanti giocatori forti e, soprattutto, avevamo Diego (Maradona, ndr) che non fa testo. Nell’87’ ci abbiamo messo la stessa grinta, la stessa voglia e la stessa fame perché volevamo vincere e non era mai successo prima. In quella formazione eravamo più di dieci campani, quindi c’era un qualcosa in più. Eravamo assatanati, assetati e affamati: volevamo vincere a tutti i costi. E abbiamo vinto. I ragazzi del Napoli attuale hanno avuto le stesse cose. Io ritengo che gli avversari dei miei tempi, senza togliere nessun merito al Napoli perché è nettamente la squadra più forte di tutti, fossero più forti degli avversari di adesso.

Sono passati tanti anni, il calcio è cambiato molto ed è difficile fare questi paragoni. Io sono più che convinto che il Milan attuale non valga il Milan di Baresi, Tassotti, Maldini, Van Basten, Gullit e Rijkaard. Io tutti questi giocatori forti ora non li vedo. La stessa cosa vale per l’Inter, per la Juve e per la Roma, che aveva ottimi giocatori. Lo stesso per quanto riguarda la Sampdoria di Vialli e Mancini, che hanno vinto anche lo scudetto.

Nel 1987 c’erano 5/6 squadre alla pari del Napoli. Infatti in sette di Maradona al Napoli abbiamo vinto solo due volte, poi i vincitori dello scudetto si sono alternati: abbiamo trionfato noi, poi il Milan, poi l’Inter, poi di nuovo il Napoli, la Sampdoria, la Juve… Non c’è stata una continuità di vittorie come negli scorsi anni, in cui la Juve ha vinto 9 campionati consecutivi: prima era impensabile. Spesso si vinceva il campionato all’ultima partita, con pochi punti di vantaggio.

Le attuali avversarie del Napoli non le vedo fortissime come ai miei tempi. C’è un po’ di crisi economica, c’è anche una crisi di qualità: oggi, per esempio, non vedo un Roberto Baggio, un Mancini, un Totti, un Maldini, un Baresi. Non ci sono questi giocatori, non ci illudiamo. Infatti, soffriamo anche con la Nazionale. Faccio un esempio per quanto riguarda i terzini sinistri. Io non sono mai arrivato a vestire la maglia dell’Italia, con Cabrini, Maldini, Francini, De Agostini, Nela.

C’erano terzini fortissimi, ma Cabrini li chiudeva tutti. Oggi in Nazionale siamo costretti a chiamare un ragazzo bravo, ma brasiliano. Oppure Spinazzola che è forte ma è destro. Stessa cosa per gli attaccanti, abbiamo avuto molti problemi a fare gol e non ci siamo qualificati per due volte ai Mondiali. Questo dimostra che in Italia tantissimi calciatori di qualità come Baggio, Baresi o Bruno Conti non ci sono. Queste credo sia la grande differenza. Bisognerebbe coltivare di più il talento”.

A livello mentale, Luciano Spalletti cos’ha dato ai suoi ragazzi?

“A livello mentale Spalletti ha portato tranquillità, serenità e convinzione dei propri mezzi. Ha rivalutato tanti ragazzi che negli anni scorsi hanno avuto difficoltà. Un esempio può essere Lobotka: quest’anno era sicuro, tranquillo, dirigeva il gioco con grande personalità. Quando è arrivato mi sembrava spaesato, non convinto, un po’ perso e non stava nemmeno tanto bene fisicamente. Quando c’è un allenatore che ti dà tranquillità, sicurezza e ti dà responsabilità, il giocatore rende di più. Non si sente sotto esame, si sente tranquillo, sente che può anche sbagliare e, quindi, il ragazzo sbaglia poco. Invece, quando il calciatore sa che non può commettere errori, sbaglia di più perché c’è più tensione, più nervosismo.

Spalletti è riuscito a trasmettere massima tranquillità a tutti ed è stato bravo a tenere concentrati e sul pezzo i suoi giocatori. É  successo anche a me, perché ho avuto la fortuna di giocare oltre 30 partite in Coppa UEFA: facevo grandi partite in Europa, ma la domenica ci mettevo tanto impegno e volontà ma non riuscivo a ripetere la prestazione. Non è facile. Spalletti, invece, è stato bravo a tenere sempre carichi e concentrati i suoi giocatori ogni tre giorni. Credo che questo sia stato determinante”.

Crede che ci saranno dei cambiamenti all’interno della squadra e della dirigenza?

“Ora è difficile stabilirlo con certezza. All’interno del gruppo squadra, il presidente ha detto che vuole puntare anche alla Champions e quindi rinforzerà la formazione. Però io temo che cominceranno problemi, perché arriveranno richieste importanti dai giocatori. Osimhen, per esempio, è accostato già a tante squadre fortissime in Europa. Quando cominceranno ad arrivare queste richieste e offerte contrattuali notevoli, inizieranno i veri problemi. Non sempre si riesce a trattenere questi giocatori. Poi se arriva qualche offerta irrinunciabile, il Napoli non può farci molto. In caso di grandi somme di denaro, però, si può costruire una squadra altrettanto importante.

Adesso è prematuro fare questo discorso, bisogna vedere se la società riuscirà a resistere alle tentazioni e alle richieste. Io credo che tutti i giocatori avranno desideri importanti, e non solo Osimhen e Kvaratskhelia. Sono tutti calciatori di alta qualità e possono giocare in grandi squadre europee. La società avrà un gran bel da fare. Per quanto riguarda i dirigenti, le voci dicono che il direttore sportivo (Cristiano Giuntoli, ndr) partirà. Per il momento, però, sono tutte chiacchiere. Bisognerà capirlo un po’ più in là, anche perché si sta ancora giocando il campionato”.

Come pensa che il Napoli debba affrontare la prossima stagione, dopo la vittoria dello scudetto?

“Il segreto sta nell’affrontare le partite sempre con la stessa intensità, cattiveria agonistica e con la fame. Questo non è facile, perché quando una squadra ha fame e si sazia, poi diventa difficile. Se, però, la squadra e l’allenatore riescono ad avere la stessa voglia e determinazione, io credo che possiamo aprire un ciclo perché la formazione è forte.

Le altre non credo possano colmare tutto questo gap che c’è con il Napoli in vista della prossima stagione. Tutte quante le altre compagini di Serie A hanno difficoltà economiche. Non possono fare grandi investimenti, a meno che non siano così bravi e fortunati ad acquistare 3/4 giovani che rendono alla grande, come abbiamo fatto noi. Se così dovesse essere, potranno creare problemi, ma attualmente noi abbiamo un grande vantaggio. Se nella prossima stagione abbiamo la stessa voglia, la stessa fame e la stessa determinazione di quest’anno, possiamo ripetere l’impresa. Non credo con lo stesso vantaggio e così nettamente, ma possiamo tranquillamente rivincere lo scudetto”.

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