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ESCLUSIVA – Durante: “Se a Cabral fai giungere la palla è un animale. La Fiorentina arriverà in fondo nelle coppe”

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ESCLUSIVA – Durante: “Se a Cabral fai giungere la palla è un animale. La Fiorentina arriverà in fondo nelle coppe”

In esclusiva per Numero Diez l’intervista a Sabatino Durante che ci dice la sua sulla Fiorentina ed i suoi sudamericani.

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Sabatino Durante

Oggi per Numero Diez abbiamo raggiunto telefonicamente, in Argentina ed in esclusiva, il re del calciomercato sudamericano, Sabatino Durante, il quale ci ha detto la sua sulla Fiorentina, in particolare sui calciatori del Sudamerica che militano nella compagine gigliata.

Ciao Sabatino, allora cominciamo con Dodò: fin qui è stato una delusione. Il tifoso viola deve continuare a crederci?

Allora io ho visto Dodò ad inizio stagione e non stava andando male, poi qualche infortunio ha contribuito a renderlo meno lucido. È un calciatore tecnico ed aggressivo che sopperisce con queste caratteristiche ad un fisico tutt’altro che statuario. Credo che la stagione non positivissima della Fiorentina fin qui possa, poi, aver inciso sulle sue prestazioni.

Lo considero, comunque, un giocatore utile e ne ho ancora un’opinione positiva.

Passiamo ad Igor. Abbiamo saputo dal suo procuratore che la separazione dalla moglie ha inciso sulle prestazioni degli ultimi mesi. Ora però si sta riprendendo: lo consideri un giocatore importante per la nostra Serie A?

Dipende cosa intendi per importante: è sicuramente un giocatore che può fare la Serie A. L’ho visto un pochino in ritardo di preparazione nelle prime partite, appesantito, ma anche qui credo che abbia inciso la stagione della Viola. Per farti un esempio, guarda l’Amrabat della Fiorentina e quello del Mondiale: la diversità nel ruolo in cui lo schierano gli allenatori di Marocco e Viola e l’andamento delle due squadre in generale ha fatto sì che chi segue il calcio abbia notato questa enorme differenza.

Qual è il vero Cabral? Se pensiamo al goal di Napoli dell’anno scorso ed in questo alle reti col Monza e lo Sporting Braga (la prima delle due), arrivi quasi a pensare che sia un fenomeno: tu come lo giudichi?

La Fiorentina gioca con un 4/3/3 che necessita che i centrocampisti riforniscano continuamente e velocemente i due esterni alti, in modo che la punta centrale possa smarcarsi. La lentezza del suo gioco, invece, fa invece sì che il centravanti si ritrovi in mezzo a diversi difensori avversari. Lui è un brasiliano atipico: ha la garra dell’argentino, è un uomo d’area di rigore, è bravo e non straordinario con i piedi diversamente, appunto, da molti dei suoi connazionali. È forte fisicamente, ma va messo in condizione di giocare contro uno o due avversari e non contro tre o quattro. Se gi li fai arrivare i palloni giusti, diventa un animale in area di rigore.

Nico Gonzalez e l’uscita in discoteca dopo la sconfitta contro la Juventus: fosse stato un tuo calciatore lo avresti mandato in tribuna contro lo Sporting Braga?

Per rispondere ad una domanda del genere bisogna conoscere le dinamiche all’interno del mondo gigliato. Io quando ero il dirigente di una squadra di calcio rimproveravo ai calciatori che uscivano la notte una cosa sola: di non avermi invitato! A parte le battute, non sono nella condizione di poter giudicare, sebbene di per sé non lo consideri un episodio così grave.

Martinez Quarta ultimamente è visto poco da Italiano….

Quarta non è inferiore a Milenkovic ed Igor, o meglio gli altri due sono più prestanti fisicamente, mentre lui va meglio di loro in quanto a capacità tecniche. Alla fine, quindi, pur con caratteristiche diverse, i tre calciatori si equivalgono. Uno come lui in Serie A ci sta non bene, ma benissimo.

Chiudiamo con un pronostico sul futuro della Fiorentina: secondo te potrà arrivare in fondo a Coppa Italia e Conference League?

Certamente sì. Per far tre competizioni servono 22-23 giocatori dello stesso livello, che forse la Fiorentina non ha, ecco quindi le differenze nei tre percorsi. Io punterei di più sulla coppa europea che ti dà maggior prestigio e stimoli, ma in generale io credo che la Fiorentina abbia le carte in regola, se non per vincere le due competizioni, almeno per arrivare in finale, situazione che già rappresenterebbe un ottimo risultato.

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ESCLUSIVA – Luca Ariatti, ex capitano della Fiorentina: “Mi guadagnai la leadership con l’impegno, a Camarda e i giovani consiglio di avere sempre fame”

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Luca Ariatti

Ex giocatore, adesso procuratore sportivo, Luca Ariatti è un volto noto della nostra Serie A, celebre per essere stato tra i leader della Fiorentina tra il 2003 e il 2005. Partito dalla sua Reggiana, ha subito avuto la possibilità di esordire in Serie A, per poi fare la gavetta in C prima con l’Ascoli e poi con la stessa Reggiana, nel frattempo scesa nel terzo livello del calcio italiano. La sua carriera è poi esplosa con la Viola, dalla C fino alla A, diventando leader e capitano di una squadra che ha contato negli anni calciatori del calibro di Giorgio Chiellini, Christian Maggio, Enzo Maresca, Fabrizio Miccoli, Giampolo Pazzini e tanti altri.

Ritiratosi all’età di 33 anni, Luca Ariatti decide poi di restare nello sport come procuratore, Adesso è a capo della sua agenzia, che gestisce tanti calciatori tra cui Michele Collocolo, centrocampista della Cremonese, e Fabrizio Caligara, centrocampista dell’Ascoli ex Cagliari e Juventus. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere la sua carriera da giocatore, e analizzare e approfondire i motivi per cui è poi diventato un agente. 

LE PAROLE DI LUCA ARIATTI

Buonasera Luca, partiamo dalla tua carriera. Esordio alla Reggiana, squadra della tua città, partendo subito dalla Serie A a 19 anni. Giochi le ultime tre partite stagionali, poi la Reggiana retrocede, passi in C all’Ascoli in prestito, poi il ritorno alla Reggiana, nel frattempo, scesa in C. Com’è stato il passaggio da esordire subito in A, a poi dover giocare in C?

“In quegli anni, quando sei molto giovane, pensi solo a giocare e costruirti una carriera e non ti fai troppe domande. Io sono cresciuto in una Reggiana che in quegli anni lottava per alti livelli, c’era un club organizzato, una grande tradizione in città e una tifoseria molto calda. Quando ho esordito in A io facevo ancora la quinta superiore, ed è stato una sorpresa. Poi col senno di poi ho capito che quel momento è stato fine a sè stesso. Mi sono dovuto costruire una carriera nei campi della Serie C, fino a che ho avuto l’opportunità di andare alla Florentia Viola, e poi lì è partita la mia carriera”.

Possiamo dire che sei il re delle promozioni. Dalla Fiorentina, che in tre anni dalla C sale fino in Serie A. L’Atalanta, dalla Serie B alla A. E anche con il Lecce poi, dalla B alla A. Qual’è il segreto?

“La scalata con la Fiorentina mi ha portato ad essere un giocatore di livello, dandomi anche un valore sul mercato. Ho sempre fatto scelte intelligenti, puntando su squadre organizzate, conoscendo i giocatori e il livello di quella squadra e se realisticamente si poteva puntare a vincere il campionato. Avrei potuto avere 100 presenze in più in A, ma l’ho lasciata tre volte per andare a vincere la Serie B, e sono contento di averlo fatto. Tutte le volte che lasciavo la Serie A, mi chiedevo sempre se sarei ritornato ma, fortunatamente, ho sempre portato a casa l’obiettivo stagionale, assumendomi anche responsabilità e leadership”.

Diventi capitano della Fiorentina, capitano di una squadra che contava gente di grande qualità e spessore. Anche Stefano Colantuono, che ti ha allenato all’Atalanta, ti definì “leader naturale”. Ti sentivi un leader già ai tempi? Com’è stato esserlo?

“Penso che leadership in spogliatoio l’ho sempre ottenuta perchè mi allenavo sempre con intensità, ero sempre a disposizione di mister e compagni. A volte ho avuto giocatori più forti, con una carriera più importante, ma riuscivo sempre a ottenere il rispetto da tutti anche come mi approcciavo al mestiere che facevo. Mi tenevo sempre bene fisicamente, non saltavo mai un allenamento, mi mettevo a disposizione del mister anche giocando in più ruoli. Questo credo sia la vera leadership, anche rispetto a chi porta la fascia da capitano”.

Ti ritiri a 33 anni, e decidi di diventare procuratore e nel 2014 fondi la tua società. Avevi già in mente durante la carriera di calciatore di diventare procuratore? C’è un motivo per cui hai preferito diventare un procuratore?

“Quando ero alla Fiorentina avevo deciso di iscrivermi all’Università, un ramo manageriale. Ho da sempre, dunque, avuto confidenza con le lingue, ero sempre la figura nello spogliatoio che interagiva con i giocatori stranieri, imparando dalla loro cultura e le loro esperienze passate. Facendo l’Università mi son tracciato una strada per il post carriera, volevo fare l’agente o il dirigente, volevo un lavoro manageriale. Appena ho avuto l’infortunio al ginocchio a Pescara, mi sono accorto che con ogni probabilità non sarei tornato ai livelli che volevo (Serie A/alta Serie B ndr), quindi ho deciso di essere un giovane agente più che un vecchio calciatore. Mi si era già spostato il focus, ai tempi preferivo guardare partite delle giovanili per guardare giovani promettenti, più che pensare alla squadra in cui giocavo. Alla fine l’ho comunicato anzitempo alla società che mi sarei ritirato, per poi fare a fine stagione l’esame da agente”.

Un tema d’attualità, Camarda e il suo esordio al Milan a 15 anni. Tu hai fatto l’esordio in A prestissimo. Cosa consiglieresti a Camarda? Sicuramente dopo questo bruciare le tappe il rischio è montarsi la testa.

“Ogni tempo ha il suo contesto. Oggi il calcio è diverso, lo spogliatoio è fatto di giocatori sempre meno esperti, e l’interesse delle società nei giovani è molto più grande. Le opportunità per i giovani oggi sono molte di più ma, allo stesso tempo, se ti dà tanto può toglierti tanti in maniera ancora più veloce. Il mio consiglio a Camarda e i giovani in generale è il godersi tutte le opportunità e comodità che ti da il calcio oggi, tra cura dell’immagine, atmosfera e l’organizzazione della società che oggi è maggiore. Al contempo consiglio di tenere la parte ambiziosa, di impegno, autocritica e fame che c’era nella mia generazione. Questo sarebbe il mix perfetto. A volte alcuni si sentono arrivati troppo velocemente, ci vuole sempre fame perchè il calcio poi può aprire diverse possibilità, sia economici sia di prestigio, che poi ti porti per tutta la vita”.

 

                                                                                                                     Fonte immagine di copertina: Facebook Luca Ariatti 

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Calcio e dintorni

ESCLUSIVA – Lo sviluppo dei nuovi talenti di adidas studiando Bellingham

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La crescita e la formazione di nuovi talenti è da sempre uno dei punti cardini all’interno del progetto adidas. Il brand, infatti, ha fatto della crescita e l’accompagnamento verso i propri obiettivi di giovani calciatori una propria prerogativa. L’ultima importante iniziativa del Team Football Italia è stata quella di proporre un viaggio nella dimensione Real Madrid per studiare da vicino l’ambiente in cui lavora quello che al momento è il giovane più forte al mondo: Jude Bellingham. Sette giovanissimi calciatori seguiti dal brand, sono partiti alla volta della capitale spagnola per poi immergersi in un clima da grande calcio. Dalla visita al Bernabeu e al museo del club, fino ad assistere alla gara di Champions League Real Madrid-Napoli. Una vera e propria esperienza a 360 gradi, per arricchire il proprio bagaglio culturale oltre che calcistico.

Di seguito la lista completa dei giovani calciatori che ne hanno preso parte:
Jacopo De Vincenzo, Lazio
Lorenzo Hallidri, Verona
Francesco Paesanti, SPAL
Marco Damioli, Atalanta
Samuel Prendi, Atalanta
Gabriel Masullo, Monza
Gabriele Borsa, Milan

Noi di Numero Diez abbiamo intervistato lo Scouting Manager di adidas Kevin Cauet, che compone il team football SPOMA con Alfredo Freda, Senior Manager del brand tedesco. Siamo entrati nei particolari di quella che è stata questa importante esperienza, approfondendo il tema della crescita calcistica e soprattutto personale di questi ragazzi: dallo stile di vita sano alla mental health, indispensabili per raggiungere traguardi importanti. Di seguito l’intervista.

L’INTERVISTA A KEVIN CAUET, SCOUTING MANAGER ADIDAS

Quali sono i criteri utilizzati per la scelta dei talenti da seguire?

“È molto complesso. Fino a 17/18 anni si fa una valutazione prettamente calcistica: aspetto tecnico, tattico, fisico e mentale. In più di quello che può essere l’ambiente di crescita del ragazzo: famiglia, stile di vita ecc. Arrivati a una certa età ci dobbiamo ricordare che siamo un brand sportivo e non un club. Dobbiamo fare una selezione molto stringente: non solo di chi arriverà in Serie A, ma anche di chi un giorno potrà arrivare a vestire la maglia della Nazionale italiana o di un top club mondiale. Per quello è fondamentale valutare anche la realtà in cui cresce il ragazzo, il suo percorso di crescita e il progetto intorno a lui. Ci sono tantissimi aspetti di cui tenere conto”.

Anche Francesco Camarda è tra i talenti della scuderia di adidas Italia. Che idea si è fatto del suo avvicinamento alla prima squadra del Milan e il traguardo di più giovane esordiente di sempre in Serie A?

“Innanzitutto se lo merita. È un ragazzo d’oro, che viene da una famiglia spettacolare. Per lui ci sono dei presupposti di crescita importanti. Avere un quadro sano extra-calcistico è decisivo. Così il ragazzo può lavorare tranquillo, va a scuola e non è vittima dell’ossessione di arrivare. Lui sta vivendo questo momento a modo suo. È un ragazzo mentalmente molto preparato per la sua età. Tecnicamente, credo salti all’occhio di tutti, è a un livello molto avanzato se lo si paragona ai suoi coetanei. E anche tatticamente direi che ha una comprensione del gioco importante. Sa quello che può fare – e lo fa molto bene – e quello che non può fare. Ha ancora 15 anni e deve ancora formarsi dal punto di vista fisico: chiaro che, rispetto a quando giochi in Primavera, in prima squadra gli avversari sono molto più grossi e forti fisicamente. Lui però è un giocatore molto intelligente e lo sta facendo vedere: così riesce a compensare”.

Tornando sulla spedizione a Madrid e l’immersione nel mondo del Real Madrid: come nasce l’idea del viaggio e quali sono gli obiettivi dell’iniziativa?

È un’iniziativa in generale del Team Football, non solo in italiana. In tutto il mondo, Europa compresa, cerchiamo sempre di coinvolgere i nostri ragazzi con questo tipo di iniziative. L’idea è quella di dare a questi ragazzi un’esperienza extracalcistica. Questo viaggio non è né una selezione tra i nostri talenti né una ricompensa ai migliori. È semplicemente un viaggio, un’opportunità in più per i ragazzi di adidas per arricchirsi di un’esperienza, che li possa fare crescere dal punto di vista personale, facendoli lavorare sulla propria maturazione psicologica ed emotiva. Io credo che oggi questi ragazzi vengano considerati troppo presto come giocatori di calcio, quando hanno ancora 13 o 14 anni. Talvolta ci si dimentica che oltre a sapere giocare con i piedi, per essere professionisti c’è bisogno di una certa stabilità mentale. Per questo il tema di mental health è molto importante. A 13 anni sappiamo che siamo sempre condizionati dalle nostre emozioni, quindi ci si apre al mondo, si vedono altre culture, lingua diversa e si respira anche un calcio diverso. Non a caso siamo andati a vedere lo stadio, il museo e abbiamo conosciuto tante persone diverse. Quello che facciamo sulla nostra Next Gen è un progetto che permette di lavorare sulle attitudini individuali del ragazzo in termini di adattamento, prese di decisione, apertura mentale, tolleranza. Aspetti che servono nel calcio ma anche nella vita. E proprio per questo colgo l’occasione per ringraziare i club che hanno messo a disposizione i loro ragazzi, garantedogli la possibilità di vivere questo viaggio: non è una cosa scontata”.

Lavorando anche in paesi diversi, ha riscontrato differenze significative con l’Italia nel modo di rapportarsi ai giovani calciatori?

“Io credo che ogni Paese abbia il suo modo. Ogni paese ha una propria cultura, l’importante è capirne le caratteristiche e lavorarci sopra. Sarebbe presuntuoso e non da intenditore dire che dobbiamo allenare i ragazzi o le ragazze tutti allo stesso modo. I bambini e le bambine vanno capiti, ognuno di noi è fatto a modo suo e sta’ a noi farlo. È un dovere non solo nostro che siamo sponsor ma spetta ai club, alla scuola, ai genitori… ognuno deve trovare le chiavi di questi ragazzi per farli crescere nel miglior modo possibile. Sicuramente io ritrovo differenze nella metodologia non solo calcistica, ma anche nell’apprendimento scolastico. Io arrivo dal settore francese e quindi noto grande differenza da questo punto di vista. Da noi per esempio si cerca di trasmettere degli strumenti che permettano ai ragazzi di poter essere autonomi il più presto possibile. Quindi di prendere delle decisioni, avere la capacità di ragionare per quello che può essere l’ambiente che ci circonda, per arrivare all’obiettivo e trasmettere un certo stile di vita. Qui abbiamo un approccio diverso, perché siamo più su una metodologia direttiva. Con questo viaggio invece si cerca di far capire che possiamo comunque raggiungere obiettivi e fare cose ottimali senza per forza dover seguire un sistema solo, ma prendere il meglio da tanti sistemi e tante metodologie per creare qualcosa che arricchisca il proprio bagaglio. Sulle attività che organizziamo c’è sempre un fine: l’obiettivo in questo caso è veramente quello di creare un percorso per questi ragazzi e dargli la possibilità di crescere sotto tutti questi punti di vista. Altro esempio: recentemente, nell’ambito di un evento adidas è intervenuto Alessandro Nesta, un’icona del nostro calcio. Abbiamo deciso di affiancargli sul palco un difensore del domani, come Marco Palestra dell’Atalanta. Non c’era nessun intento pubblicitario, ma solo l’obiettivo di farli interagire. Il fatto che un aspirante calciatore possa confrontarsi con una leggenda come Nesta, chiedere consigli, imparare a parlare in pubblico: è una gran cosa. Esercitarsi nel public speaking aiuta a gestire lo stress ed è una skill che serve per la vita, non solo da calciatore”.

Il viaggio a Madrid ha permesso di studiare da vicino quello che probabilmente è il giovane calciatore più forte al mondo: Jude Bellingham? C’è un nome che secondo lei potrà ripercorrere le orme dell’inglese?

In questo caso faccio fatica a fare un nome. Parliamo di ragazzi giovanissimi e le variabili sono infinite. Prendiamo la storia di Bellingham: arriva al Real Madrid dopo un percorso calcistico realizzato in vari paesi. Parte dal Birmingham, poi va al Borussia Dortmund per poi arrivare al Real. Un viaggio. Ed è proprio questa la connessione che voglio fare con l’esperienza dei ragazzi a Madrid. Prendere un aereo significa sperimentare, in Italia ma anche all’estero. Ci permette di vedere come funziona il calcio altrove, di capire come si lavora cercando di migliorarsi tutti i giorni. Questa predisposizione, abbianata alla continuità mentale che Bellingham ha sempre avuto, è l’inizio del percorso. Quello che sta facendo Bellingham è qualcosa di eccezionale. Tra i nostri atleti ce ne sono diversi di grandissimo talento, con ottime predisposizioni; ma da qui ad arrivare a 18 anni passa tanto tempo. Ci vogliono tranquillità, umiltà e tanto lavoro. Questo è il mio consiglio più che dare un nome”.

Qual è il suo obiettivo con adidas per il futuro?

“L’obiettivo è continuare così come stiamo facendo. In Serie A è stato fatto un grande lavoro in termini di share of voice. Anche in ambito di Nazionale maggiore direi che siamo messi molto bene: è stato fatto qualcosa di davvero importante da parte del team football, e mi riferisco a Giacomo Zerella e Alfredo Freda, che hanno aumentato il portfolio dei calciatori per il nostro Paese selezionando tanti ottimi profili. Nello scouting vogliamo andare ad arricchire il nostro gruppo di giocatori con grande potenziale. Questo è qualcosa a cui tengo particolarmente: siamo una grande famiglia. Ci sono tanti ragazzi che fanno tutti parte di questo progetto e noi vogliamo ovviamente cercare quelli che arriveranno a questo livello qui. Ma con calma e pazienza, perché prima di tutto deve rimanere un piacere e non un’ossessione. Un altro esempio è Wisdom Amey, che ha esordito prima di Camarda e deteneva il record di più giovane debuttante di sempre in A. Bisogna continuare sempre a lavorare con questi ragazzi e far sì che arrivino a realizzare i propri obiettivi accompagnandoli tutti i giorni. La qualità del servicing, della famiglia, delle persone per adidas è sempre stata un must”.

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ESCLUSIVA – Bruscolotti: “Con Mazzarri un miglioramento, ma il Napoli subisce troppi gol”

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Bruscolotti

Tra il 1972 e il 1988 la carriera di Giuseppe Bruscolotti si è legata a doppio filo con il Napoli. Vincitore del primo scudetto della storia degli azzurri e volto del Napoli degli anni ’70 e ’80, Bruscolotti ha lasciato a Napoli un ricordo indelebile. Lo dimostra il suo soprannome, “Palo ‘e fierro“, che sottolineava la sua stazza statuaria e il suo modo arcigno e roccioso di giocare. Ma che sottolinea anche l’affetto che lui, nativo di Sassano in provincia di Salerno, ha ricevuto dalla città partenopea. Lo dimostra, soprattutto, l’impegno nel sociale che sta perseguendo da presidente della Scuola Calcio Bruscolotti, situata nella città di San Sebastiano al Vesuvio, in cui ha deciso di proporre lo sport come alternativa alla delinquenza che attira molti ragazzi sin dalla giovanissima età.

Lo abbiamo intervistato in relazione al momento di forma che sta vivendo il Napoli attuale. Un Napoli double face, che fatica a ritrovare le posizioni alte di classifica, ma che è reduce dal successo dello scorso anno, con il terzo tricolore della sua storia cucito sul petto.

LE PAROLE DI BRUSCOLOTTI

Buongiorno Signor Bruscolotti. Ieri c’è stato il Gran Galà del Calcio e ovviamente c’è stato ovviamente un grande numero di giocatori del Napoli che sono stati premiati per la scorsa stagione. La squadra dell’anno scorso ha qualcosa che assomiglia alla squadra con cui lei ha vinto lo scudetto?

I paragoni non si possono fare a distanza di anni. Ogni cosa a suo tempo. È stata una grande squadra come è stata la nostra però…fare dei paragoni non è bello.

La situazione attuale del Napoli non è, almeno dal punto di vista dei risultati, ideale. Il cambio di allenatore pensa che possa dare quella spinta che è mancata con Garcia?

Ecco, qualcosa già si è vostro, tenendo presente che poi Mazzarri non è che abbia avuto molto tempo a disposizione per lavorare. Quindi diciamo che Napoli un po’ è cresciuto. Quello che la prestazione, l’agonismo e tutto ciò sta migliorando. Però, comunque bisogna per lavorarci perché è una squadra che prende molti gol. Una squadra deve risalire alla classifica non può prendere tanti gol, 17 gol fino a questo momento sono tanti.

Cosa ne pensa di Di Lorenzo come capitano?

È un ottima scelta, una persona per bene, ragazzo e un professionista molto serio e quindi, credo che c’è poco da dire, nel senso che uno che dimostra insomma la sua personalità, il suo modo di essere ogni giorno.

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ESCLUSIVA – L’agente di Ikwuemesi: “Si sta adattando alla Serie A, la Salernitana sta lavorando nella giusta direzione”

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La Salernitana sta affrontando un periodo delicato, in piena lotta per la permanenza in Serie A. Nell’ultima giornata di campionato, i granata sono usciti sconfitti dal Franchi perdendo 3-0 contro la Fiorentina. Nonostante la sconfitta anche abbastanza netta, però, i campani sono reduci da un momento anche abbastanza positivo. A risollevare il morale infatti sono il pareggio preziosissimo in casa del Sassuolo e, soprattutto, la prima vittoria in campionato arrivata all’Arechi contro la Lazio.

Uno dei volti di quest’ultimo periodo in casa Salernitana, è sicuramente Chukwubuikem Ikwuemesi. Arrivato quest’estate dagli sloveni del Celje, l’attaccante nigeriano sotto la gestione Inzaghi sta trovando spazio ed anche i primi gol della sua avventura italiana. Per scoprirne di più sul classe 2001, noi della redazione di Numero Diez abbiamo intervistato Thaddeus Kennedy Idama, agente del calciatore facente parte del KCG Sporting Management.

Di seguito, la nostra intervista ESCLUSIVA.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA A THADDEUS KENNEDY IDAMA, AGENTE DI IKWUEMESI

Parto chiedendole la sua opinione sul momento attuale di Ikwuemesi alla Salernitana.

“Sta provando a dare il massimo. Essendo calciatore giovane, che proviene da un campionato non molto noto in Europa, sta cercando di adattarsi. Credo farà meglio sul lungo termine”.

Crede che la Salernitana riuscirà a centrare l’obiettivo salvezza?

“Siamo in attesa di scoprirlo, perché la Salernitana è una buona squadra, staff e dirigenti hanno il compito di gestire la situazione e lo stanno facendo molto bene. Il club non sta ottenendo il miglior risultato, ma spetta all’organismo che lo rappresenta fare la cosa giusta. Credo siano nella giusta direzione“.

Di recente Ikwuemesi ha segnato il suo primo gol in Serie A, contro il Sassuolo. Quali sono state le sensazioni a riguardo?

È stato un bel momento. A Sassuolo erano partiti molto bene, andando in vantaggio per 0-2. È stato comunque un buon risultato per la squadra. È un momento in cui hanno ripreso il controllo e hanno realizzato di poter tornare ad una situazione normale. Io so che chi è ai vertici della società sta facendo molto per assicurarsi di mettere i calciatori sulla buona strada. Poi vincere le partite (contro la Lazio, n.d.r.) è un sollievo per la squadra“.

Con l’arrivo di Inzaghi in panchina sembrerebbe esserci stata una svolta: 5 presenze da titolare e 2 gol in 7 partite. Com’è il rapporto con il tecnico granata?

“Gli dico che dipende tutto dall’impostazione professionale. Il ragazzo è un professionista e conosce i suoi obblighi in campo. L’allenatore è stato un professionista di altissimo livello da calciatore. Sono contento perché metterà Ikwuemesi nelle condizioni migliori e lo preparerà per le partite. Inzaghi è stato un giocatore di punta, un top player. Quando giocava, ai suoi tempi, io tifavo la Juventus e lo guardavo tanto. L’ho guardato tanto all’Atalanta quando ha segnato 15 gol in Serie A prima di trasferirsi alla Juventus. Quindi lo conosco molto bene. Quando un’ex attaccante allena il tuo calciatore, che è anche lui un attaccante, secondo me è una cosa positiva. Sono felice di vedere Inzaghi fare le cose giuste da allenatore. Poi il calciatore ha l’obbligo di rispettarlo. È questa la sua responsabilità quando scende in campo”.

Tornando invece alla trattativa che ha portato Ikwuemesi alla Salernitana: com’è nata? Ci sono retroscena?

“Per me non c’è stato nessun aspetto negativo. Eravamo tutti d’accordo nel fargli accettare questa nuova sfida. Sapevamo che non sarebbe stato facile, ma quando un giocatore focalizza la mente su qualcosa è possibile. Quindi io penso che abbia deciso di andare in Serie A e noi, dopo, siamo andati a cogliere la sfida. Sapevamo che fosse  piuttosto impegnativa, ma finora tutto bene. Si abituerà a questa situazione e, a lungo termine, otterrà risultati”.

Qual è invece il sogno per il futuro?

“Ogni giocatore ha un sogno per il futuro. Noi li lasciamo a loro. Lui ha l’ambizione di diventare un top player, di giocare club famosi. Al momento siamo concentrati prima sulla Salernitana, e poi dopo lui pensa al suo meglio. Poi lasciamo che il futuro svolga il suo ruolo”. 

Fonte immagine in evidenza: profilo Instagram kcg_project

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