LaLiga, Messi, squadre, amici e un pizzico di fortuna, quella che ti consente di segnare un gol dopo che la palla ha baciato la traversa. Si potrebbe riassumere così la chiacchierata con Gabriele Giustiniani, telecronista di DAZN che ha parlato in esclusiva a Numero Diez.
L’INTERVISTA
La tua storia si avvicina a quella di Sandro Piccinini che, in un’intervista rilasciata qualche giorno fa, ha detto: “Io volevo essere uno dei pupazzetti in campo, non quello che raccontava”, facendo riferimento al subbuteo. Potrebbe iniziare così anche il tuo racconto?
“Volevo essere il primo pupazzetto, perché giocando in porta si tratta del primo visto dall’esterno. Avevo anche un provino in programma con la Lazio, che poi è saltato. Onestamente non credo che sarei arrivato in Serie A, ma sono una persona che si mette sempre in discussione quando sa di poter dare qualcosa in più. Apprezzo il lato competitivo dello sport, perché anche nell’ambito in cui lavoro si possono creare amicizie profonde, ma è comunque presente una sana competizione”.
Com’è stato ricevere la chiamata di Sky, quando prima avevi lavorato solo in una redazione locale?
“La chiamata di Sky è stata incredibile. Era giugno, io avevo mandato il curriculum, ma non ricevevo nessuna risposta. Ricordo quando squillò il telefono e mi chiesero di andare a Milano per una sostituzione estiva. Mi dissero che il tutto sarebbe iniziato il giorno dopo. Finita la telefonata, iniziò il delirio per trovare una soluzione. Presi il treno alle sei del mattino del giorno dopo da Roma e arrivai a Milano in redazione alle dieci, con tanto di valigia, per firmare il contratto. Sono stato anche fortunato, perché sono entrato a Sky con un contratto estivo di tre mesi in un momento in cui bisognava coprire le Olimpiadi di Londra 2012. Per questa occasione, rispetto al solito avevano bisogno di molti più ragazzi da aggiungere al roster. Con molti di loro mi sono anche poi ritrovato in varie esperienze: già all’epoca ero in redazione con Riccardo Mancini, per esempio”.
Hai detto che svariare su molti campionati è fondamentale per coloro che svolgono il tuo mestiere. LaLiga spagnola, però, è quello che ti sta più a cuore: com’è nata questa passione?
“Per una sorta di congiunzione astrale. Fin dalle radio locali ero appassionato di calcio spagnolo e avevo una piccola rubrica in cui davo un’infarinatura su questo campionato. All’epoca avevo come punto di riferimento le telecronache di Trevisani. Lui mi aveva fatto entrare nella prospettiva del calcio spagnolo e, inoltre, all’epoca c’era la trasmissione Mondo Gol che aveva aumentato questo interesse. Mi piace il tipo di calcio: il campionato inglese è bellissimo, ma a livello tecnico e di qualità del palleggio quello spagnolo sia ancora il numero uno in Europa. Quando sono arrivato a Fox Sports nel 2014, il caso mi ha assistito: una delle prime partite, se non addirittura la prima, fu una del Siviglia. L’idea di commentare un match di calcio spagnolo su una TV nazionale mi rendeva il bambino più felice del mondo”.
Che emozione hai provato a vedere e commentare Messi dal vivo?
“La prima volta che l’ho visto dal vivo sono stato fortunato. Fui mandato insieme a Marcolin per commentare dal posto Valencia-Barcellona (stagione 2017/18, ndr). Il fatto di essere al Mestalla e non al Camp Nou è stato un vantaggio nel vedere il gioco. Sia per la grandezza dello stadio, che a Valencia è molto più ridotta rispetto al Camp Nou, ma anche per la vicinanza con il campo. Vedere come Messi si muove e come pensa la giocata prima è straordinario. Quando riceveva il pallone e lanciava, pensavi: “Ma lì non c’è nessuno”. Invece, poi, vedevi Jordi Alba arrivare come un treno per prendere questo lancio. Mi ha lasciato veramente impressionato. L’ho commentato anche altre volte, ma in quell’occasione ebbi la fortuna di avere la postazione molto vicina al campo e notai tutto“.
Seguendo questa competizione, c’è un giovane che ti ha particolarmente impressionato e che in Italia è ancora poco conosciuto?
“Avevo puntato molto su Isak, che ora è andato a giocare in Premier. Uno che recentemente mi ha colpito è dell’Atletico Madrid, si chiama Pablo Barrios. Ha 19 anni, ha già segnato 2 gol in Coppa del Re e molti lo reputano come l’erede di Koke. La sua storia è incredibile perché fu scartato dal Real Madrid e poi è diventato capitano della Juvenil A dell’Atletico. Ha esordito dal 1′ contro il Barcellona, ma io l’avevo già seguito e mi dà l’idea di essere un ragazzo con le caratteristiche giuste”.
La Serie A negli ultimi anni è tornata a essere molto aperta e combattuta. Quest’anno, credi che il Napoli possa fuggire in solitaria, anche grazie alla vittoria con la Juventus e ribaltare questo trend?
“È un campionato diverso perché il Napoli sta scrivendo una storia diversa. C’è stato anche il Mondiale di mezzo ed è la prima volta che la vincitrice in carica non parte come favorita. I punti delle altre non sono così distanti da quanto avevano fatto nelle altre annate. Credo che si sia creata un’empatia tale, grazie a giocatori giovani e con fame e che non sentono troppo la pressione della piazza, che è difficile spazzar via tutto. Inoltre, c’è una serenità dirigenziale importante rispetto agli anni passati. Giuntoli si è dimostrato finalmente un fuoriclasse. E poi, non ricordo un giocatore che ha avuto un impatto come quello di Kvaratskhelia sia in campionato sia in Champions. In questo momento, lo Scudetto lo può perdere solo il Napoli“.
Tornando sul tuo lavoro: consiglieresti il tuo percorso ai giovani che hanno intenzione di intraprendere questa strada? Quali suggerimenti hai per loro?
“La verità non c’è. Non esiste un modo delineato per arrivare in un’azienda top in questo mondo. Io ci sono arrivato con un percorso tutto mio, fatto di coincidenze e fortuna, perché conta anche quella. Dipende tutto da te, perché ognuno traccia il suo percorso. Il mio consiglio è quello di fare tanta pratica, partendo dall’audio nella cameretta o con la PlayStation. Provavo spesso in radio oppure mi mettevo nella mia camera, toglievo l’audio originale di Sky e lasciavo solo gli effetti dello stadio. Mi creavo uno studio da solo. La voglia di costruirsi nasce da lì: mia madre a fine primo tempo mi prendeva per pazzo perché gridavo da solo“.