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ESCLUSIVA - Juan Garcia, giocatore argentino in Ecuador, racconta la protesta per la rimozione dei sussidi ai carburanti

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ESCLUSIVA – Juan Garcia, giocatore argentino in Ecuador, racconta la protesta per la rimozione dei sussidi ai carburanti

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Dal 3 ottobre scorso in Ecuador le tensioni politiche che da mesi attanagliano la presidenza di Lenin Moreno sono sfociate in una rivolta del sindacato dei tassisti e degli autotrasportatori per la rimozione del sussidio statale per il carburante. La decisione, presa dal presidente per risparmiare 1,3 miliardi di dollari dopo gli accordi con la comunità finanziaria internazionale, ha di fatto messo in moto un meccanismo di proteste che ha coinvolto gli studenti della capitale Quito e gli Indios del luogo. In due settimane di proteste l’esito calcolato è di 500 arresti e di due morti in condizioni non esattamente limpide, rendendo una manovra economica motivo di disordini pubblici di altissimo profilo. Oggi il decreto è stato ritirato a seguito di dodici giorni di fuoco che hanno stretto in una morsa di paura e disagio la capitale Quito e le città circostanti in una vittoria del popolo, così come è stata celebrata dagli Indigeni giunti nella capitale. 

ALL OVER THE WORLD

In un momento in cui in tutto il mondo, da Hong Kong alla Catalogna passando per l’Ecuador e la Turchia, la situazione socio politica si sta aggravando rapidamente, noi di Numero Diez siamo riusciti ad intervistare Juan Garcia, calciatore argentino in Ecuador con un passato in Italia, in merito a ciò che sta accadendo nella capitale del paese sudamericano. 

  1. Juan, innanzitutto grazie per il tuo tempo, cosa sta succedendo nella capitale? 

“È un po’ complesso perché la situazione grave è appena terminata, di conseguenza ne parleremo al passato. Il tutto inizia con il presidente Lenin Moreno che decide di rimuovere i sussidi ai carburanti, facendo si che il sindacato degli autotrasportatori si ponga in protesta chiedendo un passo indietro riguardo questa decisione. Insieme agli autotrasportatori si sollevano anche gli indigeni – di cui non so bene gli interessi – ma so che hanno una forza molto importante sulle decisioni politiche e di conseguenza la loro manifestazione ha fatto svoltare la protesta.”

Gli scontri: 

“Sono iniziati così gli scontri con la polizia, soprattutto perché il presidente allo stesso tempo ha lasciato la capitale, andando da Quito a Guayaquil, facendo infuriare gli indigeni che lo volevano nella capitale. Così sempre la confederazione indigena ha cercato di entrare a Guayaquil ma il presidente ha imposto un blocco alla città per tenerli al di fuori della sua nuova roccaforte. Così che sono rimasti a Quito manifestando, con la polizia che voleva fermare queste manifestazioni e sono passati nove – dieci giorni di guerra dentro la città: una battaglia vera e propria.”

La situazione nella nuova capitale e il coprifuoco:

“Qui nella nuova capitale temporanea non si è sentito molto: solo una manifestazione per chiudere con tutto questo e tornare a lavoro. Certa gente della città si è approfittata della situazione, è uscita e ha iniziato a rubare ovunque dai supermercati alle macchine facendo danni dappertutto. Il presidente ha deciso per questo di impostare il coprifuoco in alcune zone della città di Guayaquil – zone di governo e nelle zone di entrata e uscita dalla città – , mentre nel fine settimana passato ha deciso che il coprifuoco sarebbe stato esteso a tutta la capitale di Quito dove vi erano i grandissimi conflitti.”

  1. Oggi le cose sembrano essere tornate alla normalità, sono stati dodici giorni difficili: 

“Le cose ora sono risolte, anche se gli Indios si sono resi protagonisti di due incendi alla sede di un canale televisivo e a la Contraloría General del Estado. Questo fine settimane si è fatta una riunione tra il presidente e i capi delle manifestazioni che ha portato ad un passo indietro sulla rimozione dei sussidi così che la situazione si è normalizzata.”

  1. Parliamo di calcio però: il campionato è stato fermo, questo stato di crisi come ha influito sull’attività sportiva? Siete riusciti ad allenarvi?

“Il campionato si è fermato per due settimane, perché le squadre non potevano uscire per le strade ed era molto pericoloso. Meglio aver fermato il campionato perché non si poteva giocare in una situazione del genere. È stato un po’ difficile allenarsi perché in alcune ore era pericoloso uscire in strada, ma siamo riusciti ad allenarci tutti i giorni e anche senza problemi. Qualche compagno non è arrivato qualche giorno, perché hanno casa in zone dove i conflitti erano più grandi ma nulla di particolarmente complesso.”

Fonte immagine: profilo IG @JuanGarcia

4. Ora raccontaci del tuo calcio, dove giochi, come ti trovi in Ecuador. 

“Parlando un po’ di calcio penso che questo sia un campionato molto difficile perché un giorno giochi sulla costa, vicino al mare, e la settimana dopo giochi a tremila metri di altezza e di conseguenza il meteo cambia tantissimo. Inoltre, quando sali di quota l’aria non c’è ed è difficilissimo: devi cambiare la tattica per giocare nei loro campi, mentre quando loro scendono nelle nostre zone cambia anche per loro la questione ambientale.”

5. Giochi nel Club Atlético Porteño e hai un passato in Italia, raccontaci un po’ la tua esperienza sportiva: 

“Io qui gioco in una squadra di Serie B con l’ambizione di salire. Ora stiamo lottando per gli obiettivi però siamo ancora in piena battaglia e vedremo come terminerà il campionato. Ho iniziato la mia carriera in Argentina con il Bandield per poi venire a giocare in Italia con l’Andria. Sono tornato in Argentina al Santamarina de Tandil e da inizio anno mi sono spostato in Ecuador. 

Ora ho ventotto anni compiuti il 9 di ottobre, ho giocato tutte le partite fino a questo momento e sto molto bene. Sono tornato a giocare ed è stato un grande anno per me perché sono riuscito a ritrovare il calcio, a sentirmi importante ed è stato un bell’anno positivo . Vorrei crescere e continuare a migliorare, perché sento di poter dare ancora di più in un campionato più competitivo ad un livello più alto. Ho questo in testa per il prossimo anno, sempre crescere e migliorare: obiettivi importanti per noi calciatori.”

Un momento di crisi generalizzata che ci offre la possibilità di confrontarci con realtà diverse tutte richiedenti la medesima cosa: che nel 2019 si arrivi a discutere davanti ad un tavolo delle questioni e che si evitino scontri armati e violenze gratuite sui manifestanti. Juan ci ha offerto la possibilità di avere uno sguardo esclusivo su ciò che è accaduto in Ecuador in un momento difficile per il paese. 

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ESCLUSIVA – Braida: “Pogba-Barça? Ecco cosa non è andato, su Fagioli…”

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Esclusiva Braida

BRAIDA MILAN – Ariedo Braida, uomo mercato del Milan di Berlusconi, ha raccontato in esclusiva la sua vita e tantissimi retroscena di quegli anni all’interno del format Behind The Mask. Il dirigente si è soffermato sulle altre esperienze lontano da Milano, dove ha condotto numerosissime trattative come quella che poteva portare Pogba dalla Juventus al Barcellona nel 2016.

ESCLUSIVA BRAIDA – I VALORI DI UNA CARRIERA

“Ho letto qualche giorno fa un articolo nel quale Spalletti riprendeva i giocatori e portava avanti i valori della Nazionale. Mi sono trovato in pieno in tutto ciò che chiedeva ai suoi ragazzi: basta PlayStation, andiamo alla ricerca dei nostri valori, quelli dell’impegno, della serietà, dell’umiltà, dove noi tutti ci dobbiamo riconoscere. Importante nella vita è avere ben chiaro sapere dove si vuole arrivare. Questo penso sia fondamentale per tutti, soprattutto nello sport dove non è abolito il sacrificio. Per ottenere un certo tipo di traguardo, per vincere, hai bisogno di sacrificarti. Se tutti si sacrificano, vuol dire che c’è stato impegno massimo e può anche arrivare il risultato. Tutti giochiamo per vincere e i valori sono la base fondamentale per poter ottenere vittorie”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL BARCELLONA

“Lì c’è un ambiente magico, soprattutto con Messi. Calcisticamente parlando è un calciatore incredibile, straordinario. Ogni tanto le partite erano complicate, si arrivava al 90′ e con lui avevi sempre una speranza grazie alle sue magie e alle sue punizioni incredibili. È un giocatore straordinario, con una capacità di fare gol, che si è portato anche negli Stati Uniti. Li farà sempre, finché giocherà a calcio, fino a 50 anni. Batterà tutti i record perché è un giocatore unico”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL MANCATO ARRIVO DI POGBA

“Ci sono momenti in cui fai una trattativa e pensi di poter arrivare a un giocatore, ma per acquisirne alcuni ci vogliono tante risorse, che non sempre le società hanno. Quindi molte volte ti fermi di fronte al fatto che mancano certe risorse e non riesci a portare a termine ciò che speravi e volevi”.

ESCLUSIVA BRAIDA – LA CREMONESE

“È un piccolo ambiente di provincia, sano, bellissimo, dove si respira un’aria padana, della terra contadina. Io sono nato in Friuli, quindi sono un padano, quindi era come se fossi a casa mia. Trovarsi in mezzo alla campagna, con un duomo bellissimo, un paese bellissimo e una proprietà molto forte. Il patron Arvedi ha dato tanto e sta dando tanto alla Cremonese e lo continuerà a dare. Quindi la Cremonese per me è stata una sfida. Quando l’ho incontrato, il cavaliere Arvedi mi ha chiesto se me la sentivo di ripartire dalla Serie B, con la squadra ultima in classifica. Io gli ho risposto: ‘Voglio una sfida con me stesso, il calcio mi piace. Il Milan è il Milan, ma la Serie B è sempre calcio. Io lo vivo con una passione incredibile e lo vivo ancora, lo vivrò finché vivrò in una maniera intensa. Sono nato giocando e ho vissuto da sempre questo mondo meraviglioso”.

ESCLUSIVA BRAIDA – FAGIOLI ALLA CREMONESE

“L’ho visto come un ragazzo, calciatore e talento. Aveva delle qualità superiori alla norma. Era un ragazzo che mi piaceva calcisticamente parlando. Ora è incappato in questa disavventura e io gli auguro di ritornare a essere un ragazzo semplice, che vive la sua realtà, questo mondo meraviglioso. Lui può dare tanto al calcio e il calcio può dare tanto a lui. Mi auguro che possa tornare presto a giocare”.

ESCLUSIVA BRAIDA – UN’ALTRA SFIDA

“Dipende da chi vuole darmi una possibilità. Sono disponibile perché mi piace, per la passione che mi anima sono convinto di avere ancora molto da dare. L’esperienza non si compra e io ho un’esperienza lunghissima in questo mondo e penso di poterla dare a chi ne avesse bisogno o chi credesse nel sottoscritto”.

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ESCLUSIVA – Boscaglia: “A Trapani ho solo ricordi meravigliosi. Vi racconto Dany Mota…”

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Partito ad allenare dalla Promozione siciliana, Roberto Boscaglia è arrivato fino in Serie B, passando per tutte le categorie in mezzo e raggiungendo grandissimi traguardi. Il tecnico siciliano ha parlato della sua carriera in esclusiva ai nostri microfoni.

L’INTERVISTA COMPLETA A ROBERTO BOSCAGLIA

Nella stagione 2018/2019, lei ha allenato Dany Mota Carvalho alla Virtus Entella. Cosa si ricorda di lui? Ci racconta qualche aneddoto?

“Ci siamo sentiti qualche giorno fa dopo il gran gol a Genova, in un campo che porta bene a lui. Lì ha segnato uno dei rigori della serie finale nel match di Coppa Italia con il Genoa di Juric che abbiamo vinto. Veniva dal settore giovanile e io lo trovai come terzo/quarto attaccante. Era un ragazzo di appena 19 anni che però si è messo subito in luce, l’ho messo titolare alla prima partita ed è rimasto così. Era un giocatore in forte crescita, con forza nelle gambe e con un grande fiuto del gol. Si faceva voler bene dal gruppo”.

Rispetto a quando lo allenava lei, in cosa è migliorato Dany Mota? Dove può ancora crescere?

“Dany è migliorato tanto, già in quell’annata con noi. Spesso quando veniva tra le linee aveva un buon primo controllo e poi scopriva la palla, questa era una cosa su cui, anche in quell’anno, abbiamo lavorato. Era un giocatore che prima abbassava un po’ più la testa e giocava meno con i compagni e in quella stagione iniziò a lavorare molto con e per la squadra. È un giocatore che si spende per la squadra e per il proprio reparto. Su questa cosa ha avuto grandissimi miglioramenti”.

Nella rosa del suo Brescia prima e successivamente anche in quella della Virtus Entella era presente Luca Mazzitelli, ora capitano del Frosinone. Cosa ci dice di lui?

“Luca l’ho avuto a Brescia, quando aveva ancora 19 anni. Lui era un giovane, scuola Roma, ma in quell’anno ha fatto un grandissimo campionato. All’Entella invece l’ho voluto io. Veniva da un infortunio e stava giocando poco al Genoa in Serie A. Lo prendemmo e lui fece un bellissimo girone di ritorno con noi. È meraviglioso, un ragazzo stupendo a cui voglio bene e con cui ho un grandissimo rapporto. Si fa voler bene all’interno dello spogliatoio e dà tutto sé stesso, gioca sempre al 101%”.

E su Milan Djuric, attuale centravanti del Monza, che ha avuto al Trapani in Serie B?

“Djuric è un giocatore che ho voluto fortemente al Trapani al primo anno di B. L’ho avuto solo nel girone d’andata, perché poi andò al Cittadella. Era giovane e promettente e lo chiamavamo il gigante buono, era un ragazzo fantastico. È un giocatore molto forte, il classico attaccante con caratteristiche difficili da trovare tutte insieme, perché ha grande copertura della palla, bravo di testa, fisicamente devastante e ha il fiuto del gol”.

A Palermo ha invece avuto Lorenzo Lucca, ora all’Udinese…

“Lorenzo è un ragazzo magnifico, con il quale ho avuto un rapporto quasi da padre a figlio. L’ho avuto in Serie C inizialmente come terzo/quarto attaccante, un po’ come Mota, e invece lui a suon di prestazioni, gol e ottimi allenamenti si è preso la titolarità. Ha fatto grandi cose quell’anno a Palermo. È un ragazzo che non tira mai la gamba indietro e che ci crede su tutti i palloni. È meravigliosamente forte di testa e ha fiuto del gol, ma ha ancora alcuni fondamentali da migliorare. Viene anche a giocare tra le linee e lavora per la squadra, quindi non è solo in area”.

LA SUA CARRIERA

Nella sua carriera da allenatore, Roberto Boscaglia ha portato il Trapani dalla Serie D alla Serie B in 4 anni. Ci può raccontare di questa storica impresa? 

“Sono ricordi meravigliosi, abbiamo fatto 6 anni splendidi. Siamo partiti dalla Serie D con un gruppo che ho portato io e che conoscevo, ma anche con una società straordinaria. C’erano il compianto Presidente Morace, che è stato come un secondo padre, e dirigenti con cui avevo un ottimo rapporto. Voglio sottolineare il contributo di tutti quanti, dalla società ai giocatori ai tifosi”.

“Abbiamo poi coinvolto la città. Siamo arrivati a Trapani con molto scetticismo, erano anni che la squadra non andava tra i professionisti. La tifoseria è stata meravigliosa e ci ha amato subito. Quindi è stato un tutt’uno, è stata un’intera città che ci ha spinto fino al sogno, che era la Serie B, categoria in cui il Trapani non c’era mai stato. Un’intera provincia si è stretta attorno alla squadra. Il vero capolavoro dei 6 anni è stata la stagione 2012/2013: siamo ripartiti dopo aver mancato la promozione in Serie B di poco l’anno precedente e farlo, vincendo il campionato, era difficilissimo. Ma ne siamo stati capaci”.

Lei ha raggiunto la Promozione con la propria squadra ben 5 volte. Dall’Eccellenza con l’Alcamo e il Nissa, dalla Serie D con il Trapani e dalla Serie C con ancora il Trapani e la Virtus Entella. Quale è l’ingrediente necessario per raggiungere questo tipo di traguardi?

“Ci sono molte componenti che si devono incastrare. L’identificarsi in una terra, capendo cosa significa la maglia per la gente della città, è determinante. Il giocatore deve capire in che realtà sta giocando. E l’allenatore deve essere bravo a calarsi subito nella mentalità, a vivere la gente e farsi conoscere come persona”.

“Poi ci vogliono competenza, lavoro e sacrificio ed è difficile capire quale è la più importante. Una squadra ha bisogno anche della propria società. Avere la possibilità di essere in una città che ti accoglie e che ti ama è un’altra componente importante. Non c’è un vero ingrediente decisivo, ma diverse cose si devono incastrare per indirizzarti sulla strada del successo”.

Lei è partito dalla Promozione ed è arrivato fino alla Serie B. Quali differenze ha notato tra le categorie?

“Le emozioni e le motivazioni sono uguali, ci sono differenze di qualità. Tra dilettanti e professionisti ci sono tipi di calcio differenti, ma anche tra Serie C e Serie B ci sono cose diverse. In C c’è un calcio meno tecnico e qualitativo e con meno agonismo. In B si corre tanto come in C, ma bisogna farlo con qualità. Devi avere abilità tecniche importanti in cadetteria. Poi c’è una differenza ambientale tra categorie. Le categorie sono comunque così diverse che le squadre che retrocedono fanno fatica a ripartire. Non è facile abituarsi al nuovo livello, anche inferiore”.

Lei ha parlato del legame con la città di Trapani. Quanto è importante la spinta dei propri tifosi?

“L’appoggio dei tifosi è determinante. A Palermo c’è una piazza spettacolare. Trapani è stato meraviglioso, ma anche Brescia e Foggia hanno curve bellissime. A Chiavari invece siamo stati bravi a trascinare una città. I tifosi sono stati con noi fino alla fine e insieme abbiamo raggiunto la promozione. Quando vai in una squadra devi vivere la città e i tifosi, il loro apporto dà qualcosa in più ai giocatori. Il tifoso diventa il dodicesimo uomo in campo”.

Boscaglia ha poi concluso parlando del futuro:

“Ho moltissima voglia di tornare ad allenare. Chi mi chiama in questo momento fa un affare perché ho tanta voglia di rimettermi in gioco. In questo periodo ho visto diverse partite, mi sono aggiornato e ho girato un po'”.

 

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ESCLUSIVA – Dal mancato trasferimento a gennaio al futuro incerto (in Serie A?): la situazione su Saldanha

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Matheus Saldanha, giocatore del Partizan Belgrado - Superliga, Coppa di Serbia, Supercoppa di Serbia, Champions League, Europa League

Tra i nomi finiti sul taccuino dei dirigenti del Torino per la scorsa sessione invernale di calciomercato va segnalato quello di Matheus Saldanha. Sul giovane attaccante in forza al Partizan Belgrado si è scatenata una vera e propria “ressa”, con Siviglia e Fenerbahce interessate al suo profilo. In particolare i turchi avevano formulato un’offerta da sei milioni di euro al club serbo che però l’avrebbe gentilmente fatta rispedire al mittente. Il Partizan Belgrado avrebbe fissato il prezzo del suo cartellino intorno tra gli 11 e i 12 milioni di euro e non era stato disposto a cedere il suo gioiellino per un prezzo inferiore. Ma non c’è solo questa forbice importante tra domanda e offerta che avrebbe fatto saltare il suo trasferimento.

Allo stesso tempo i serbi non avrebbero avallato la sua cessione per un altro semplice motivo. Infatti il Partizan Belgrado è in piena lotta per il campionato e privarsi di uno dei suoi pilastri, per il quale la scorsa estate ha fatto un investimento cospicuo per le casse del club da 1.5 milioni, sarebbe stato controproducente. La situazione è però in continuo evolversi. Già per la prossima estate sono previsti rilevanti aggiornamenti con alcuni importanti club europei, tra cui quelli citati, che potrebbero tornare alla carica per Saldanha. Tuttavia, ciò avverrà a patto che il brasiliano non si operi a seguito dell’infortunio rimediato al flessore. La variabile relativa a questo stop giocherebbe quindi un ruolo fondamentale per la sua futura cessione. Nel caso non dovesse operarsi, infatti, il giocatore potrebbe salutare il Partizan Belgrado e cominciare un’altra importante tappa della sua carriera.

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ESCLUSIVA – Cardoni: “Il Lussemburgo sogna EURO 2024. Georgia? Tutto può accadere”

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Manuel Cardoni, direttore tecnico del Lussemburgo

“Dat ass eis Land, wou mir alles géifen don”, ovvero “Questa è la nostra terra, per cui sacrificheremmo tutto”. Queste parole, impresse nell’inno nazionale, risuonano come un imperativo nel cuore dei cittadini del Lussemburgo, nazione in cui il patriottismo scorre profondo come le acque dell’Alzette e del Sûre. In questo contesto di fervente dedizione verso la propria terra, il Lussemburgo si appresta ad illuminare il palcoscenico calcistico internazionale, in occasione dei play-off per la qualificazione ad EURO 2024.

UN SOGNO CHIAMATO EURO 2024

Il Lussemburgo, inserito nel gruppo J delle qualificazioni per i prossimi Europei, ha seguito un percorso sorprendente. Affrontando avversari come Portogallo, Slovacchia, Islanda, Bosnia e Liechtenstein, la piccola nazione ha dimostrato grande determinazione. Dopo sei giornate, ha chiuso al terzo posto con 17 punti, dietro al Portogallo, primo con 30 punti, e alla Slovacchia di Francesco Calzona, seconda con 22 punti.

Con questo insperato posizionamento nel girone, il Lussemburgo ha guadagnato l’accesso ai play-off. Il prossimo 21 marzo, i Roud Léiwen affronteranno la Georgia, priva dello squalificato Khvicha Kvaratskhelia. La vincitrice di questo incontro si qualificherà per la finale, in una gara secca, contro una tra Grecia e Kazakistan. Questo match sarà cruciale per ottenere il pass per gli Europei in Germania.

In vista della delicata sfida contro la Georgia, ai microfoni di Numero Diez è intervenuto Manuel Cardoni, direttore tecnico del Lussemburgo.

L’INTERVISTA

Come descriverebbe l’attuale situazione calcistica lussemburghese?

“In questo momento siamo ad un livello che non abbiamo mai raggiunto nella nostra storia. Solo nel 1963 abbiamo raggiunto una sorta di quarto di finale, ma non era ancora il campionato europeo come lo intendiamo oggi. Parlo comunque di più di 60 anni fa. Ora siamo nel momento più interessante della nostra storia perché abbiamo la possibilità di qualificarci per un campionato europeo. Anche per quanto riguarda il vivaio, abbiamo dei giovani molto interessanti, che hanno suscitato gli interessi di squadre come Bayern Monaco e così via. Siamo in un momento interessante e importante per il calcio lussemburghese, siamo molto contenti. Giocheremo il match contro la Georgia da underdog. Per noi già partecipare è una grande vittoria. Ovviamente vorremmo andare avanti perché è un’occasione unica e non possiamo sapere se avverrà nuovamente”.

Quali sono i fattori che hanno contribuito a questa crescita esponenziale?

“In questo momento siamo all’85° posto nel ranking FIFA. Per raggiungere questo importante piazzamento abbiamo investito sul vivaio. Circa 20 anni fa, abbiamo costruito delle infrastrutture per una scuola calcio che centralizza i migliori talenti. 11/12 anni fa abbiamo preso un direttore tecnico che ha creato anche strutture e metodologie incentrate sulla crescita individuale dei calciatori. Da lì è partito tutto il progetto. Per quanto riguarda me, sono qui da 10 anni: prima ero in under-21 e under-19, ora mi occupo della direzione tecnica. Stiamo provando a creare una formazione basata sul gioco, pensiamo di sviluppare i giocatori in questo modo. In occasione dell’ultima partita vinta in casa, contro la Bosnia, sui 23 calciatori convocati, 15 sono usciti dal nostro centro sportivo.

È partito tutto 10 anni fa: con molta pazienza e tante idee, abbiamo costruito qualcosa di importante. Secondo me, siamo a metà strada del nostro percorso di crescita. Ora i margini di miglioramento sono differenti, considerando che solo 10 anni fa eravamo ai livelli di Lichtenstein e San Marino. Dobbiamo lavorare sui dettagli. Abbiamo qualche problema per quanto riguarda la fascia d’età di 17-22 anni, in cui perdiamo giocatori che non riescono a giungere nel calcio che conta. Abbiamo delle difficoltà, non solo nel Paese, ma anche guardando i giocatori che sono all’estero. Secondo me sono ancora troppi i talenti lussemburghesi che non riescono a raggiungere il grande calcio”.

Quali sono i vostri punti di forza e come pensate di affrontare la Georgia?

“Noi abbiamo un allenatore (Luc Holtz, ndr) che punta molto sul gioco. Però il mister sa anche che, se puntiamo troppo sul gioco, rischiamo di prendere batoste. Questo è successo due volte contro il Portogallo. Secondo me, se siamo compatti, possiamo giocarcela con tutte le squadre dal numero 10 al numero 50 del ranking. Sulla giornata possiamo giocarcela. Abbiamo un centrocampo molto forte. In attacco ci sono tanti giocatori importanti, che inventano e sanno risolvere le partite con delle giocate: questo è un punto di forza. L’allenatore punta molto sul calcio di possesso, però è una persona calcisticamente molto intelligente.

Sappiamo ancora chi siamo, sappiamo ancora che siamo il Lussemburgo. Se giochiamo una partita all’estero, non partiamo favoriti. Accadrà con la Georgia, che giocherà davanti a 50.000 persone. Sappiamo che non partiamo favoriti, dunque toccherà indossare gli abiti da lavoro e sudare.

Ma non si sa mai, d’altronde in difesa siamo bravi e abbiamo anche un centrocampo molto forte. Abbiamo Leandro Barreiro, Mathias Olesen e Christopher Martins: secondo me sono all’altezza della Serie A. In retroguardia abbiamo un difensore esperto come Maxime Chanot, che ha giocato con Pirlo al New York City. Se loro sono in forma, possiamo creare qualcosa di interessante. Giocare all’estero è sempre molto difficile. Qui in Lussemburgo, nel nuovo stadio, si è creata un’atmosfera che prima non c’era. Dal punto di vista tattico, penso che punteremo su un 4-3-3 che diventerà un 4-5-1: questo schema è stata la base delle ultime prestazioni soddisfacenti”.

Che aria si respira in Lussemburgo in vista dei play-off per la qualificazione ad Euro2024?

“Anche se non sembra, il Lussemburgo è un paese calcistico, c’è grande interesse verso questo sport. Qui è molto seguita la Bundesliga. Ogni settimana partono tanti bus per andare a vedere partite a Colonia, Düsseldorf, Monaco, Mainz, a Francoforte… Prima, però, i lussemburghesi non erano grandi tifosi della nazionale. Ora l’aria è cambiata: tante persone seguono le nostre partite e in giro si vedono moltissime maglie della nazionale. Prima tutti indossavano le divise di altre formazioni, soprattutto quelle del Paese d’origine. Ora, invece, tutti indossano i nostri colori. Tre anni fa abbiamo avuto un nuovo stadio con 10mila posti: lì si respira aria di grande gioia. C’è grande speranza di farcela. Tutto ciò è bellissimo, non abbiamo mai vissuto nulla di simile”.

La nazionale lussemburghese è composta da una grande varietà etnica: che impatto ha questo, in termini calcistici?

“Il calcio unisce. Nel vivaio, ad esempio, abbiamo calciatori che provengono dal Nepal, Eritrea, Camerun, Portogallo, ex Jugoslavia, Finlandia, e così via. Ovviamente ci sono anche ragazzi originari del Lussemburgo. Dentro lo spogliatoio, però, tutti parlano lussemburghese perché il calcio unisce. I nostri calciatori, nonostante le differenze etniche, non hanno pregiudizi. Tra i nostri ragazzi non ci sono discussioni, si parla solo la lingua del calcio, che è quella unisce. Questo è un altro punto di forza della nostra Nazionale”.

Tra i calciatori in possesso di passaporto lussemburghese c’è Dany Mota: c’è mai stata la concreta possibilità di vederlo nella vostra Nazionale?

“Ovviamente siamo molto interessati a Dany Mota. Sono andato due volte a trovarlo. L’ho incontrato, insieme al CT, prima a Sassuolo, quando militava nella Primavera neroverde; poi sono andato a Chiavari, quando giocava alla Virtus Entella. Successivamente ha giocato la finale dell’Europeo under-21 con il Portogallo. Quando allenavo il Lussemburgo under-21, avevamo già preso i biglietti per averlo in rosa per una partita. Parlo di 5/6 anni fa, quando era nella prima squadra dell’Entella. Tutto saltò per ragioni sportive: la dirigenza biancoceleste non era d’accordo e Dany temeva di perdere il posto in squadra.

Da quel momento, non ha più voluto venire a giocare con noi. Qualche mese fa, la Federazione ha avuto dei contatti con il fratello e con il suo procuratore. A noi farebbe molto comodo perché gioca in Serie A, però non ha cambiato idea, non vuole giocare per il Lussemburgo. Il suo sogno è giocare per il Portogallo: magari un giorno ci riuscirà, anche se non è semplice considerando il livello dei calciatori in rosa. Ha preso la sua scelta e va rispettata”.

Quali sono gli obiettivi a lungo termine della federazione?

“Io credo nel lavoro, nelle idee e nel gioco. Dobbiamo continuare sulla strada che abbiamo intrapreso negli ultimi anni, in termini di gioco e di crescita dei giovani. Abbiamo dei nuovi metodi di allenamento anche per i giovani: giochiamo 3 contro 3, 4 contro 4, 6 contro 6, 8 contro 8. Li alleniamo in varie situazioni di gioco, soprattutto per migliorare il possesso palla. Puntiamo molto anche sulla formazione dei allenatori, soprattutto nel settore giovanile. Ovviamente vogliamo dei risultati, ma ci focalizziamo soprattutto sul come raggiungere determinati obiettivi. Vogliamo puntare sul gioco e avere pazienza.

Noi crediamo nel nostro processo di crescita, che faremo a piccoli passi. Sul lungo termine, ci vuole un po’ di fortuna nel sorteggio. È necessario crescere come gruppo e creare interazione tra i giocatori. Per ottenere questi risultati, dobbiamo formare i calciatori: in questo senso, partiamo dalle basi. In Lussemburgo, contrariamente a quanto si pensa, c’è veramente tanto talento. Il nostro obiettivo è rientrare tra i migliori 50 del ranking FIFA: è il mio sogno, ma sognare non è proibito”.

Che effetti avrebbe la qualificazione ad EURO 2024 sul Lussemburgo, sia a livello nazionale che internazionale?

“Sarebbe una pubblicità enorme per il nostro Paese. Siamo spesso visti come un paese finanziario basato sulle banche, dove si vive bene economicamente. Oltre a questo, però siamo un Paese come tutti gli altri, dove si vive abbastanza bene e sul piano sociale c’è una pace abbastanza importante. La pubblicità che ne deriverebbe sarebbe impagabile, abbatterebbe tutti gli stereotipi. Ne gioverebbero, ovviamente, anche singoli: il mercato dei nostri giocatori aumenterebbe enormemente. Ci sarebbe uno sguardo ancora più approfondito sulla nostra accademia. Già ora tante squadre italiane sono interessate al calcio lussemburghese. Lo è ancora di più la Germania e anche un po’ la Francia. Belgio e Francia formano tanto i giovani, invece la Germania li acquista soprattutto.

Andare agli Europei, dunque, per i nostri giocatori sarebbe una grande pubblicità. Per il settore amministrativo della Federazione, però, sarebbe un tsunami, perché non siamo ancora del tutto pronti. A livello di comunicazione, gestione e team management, non siamo pronti. In questo momento, solo sei allenatori sono full-time, mentre tutti gli altri sono part-time. In poche parole, il 95% lavora part-time. Però questi sono problemi che risolveremo più avanti, sperando di avere la necessità di trovare delle soluzioni”.

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