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ESCLUSIVA - Massimo Carrera: "Vi svelo il segreto della vittoria della Champions!"

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ESCLUSIVA – Massimo Carrera: “Vi svelo il segreto della vittoria della Champions!”

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Massimo Carrera

Behind The Mask è il nuovissimo ed esclusivo format di Numero Diez. Tramite le interviste che contraddistingueranno il genere, disponibili anche in formato video sulla nostra app, andremo a esplorare il lato umano e personale dei nostri ospiti, che si cela dietro la maschera del professionista.

Per un inizio con il botto, si sa, servono però i fuochi d’artificio, e a quelli ci ha pensato Massimo Carrera, special Guest della prima puntata. Massimo al calcio ha dato tutto, prima da calciatore e poi da allenatore, ma ha anche ottenuto altrettanto. Ha indossato le prestigiose maglie di Juventus, Bari, Atalanta e Napoli, ha esordito in Nazionale, conta quasi 300 presenze in Serie A e ha calcato i campi più importanti d’Europa. In carriera ha vinto tutto, letteralmente tutto: con la Juve ha alzato al cielo uno Scudetto, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e, dulcis in fundo, una Coppa Uefa e una Champions League, quella storica del 1995-1996. E siccome non gli bastavano la Coppa Mitropa e la Serie B conquistate con il Bari, Massimo ha deciso anche di vincere un Campionato Russo e una Supercoppa di Russia da allenatore dello Spartak Mosca.

Insomma, per palmares e carriera, Carrera ha tutte le carte in regola per essere il primo perfetto ospite di Behind The Mask.

GAVETTA

Non pensiate, però, che a discapito dei titoli conquistati la vita calcistica di Carrera sia stata tutta rose e fiori. Dopo anni di purgatorio in Serie D, C2, e B con le maglie di Pro Sesto, Russi, Alessandria Pescara, Massimo accede alle porte del paradiso della Serie A a 25 anni grazie alla promozione nella massima serie del suo Bari.

Il primo vero grande, grandissimo salto della sua carriera arriva però due anni più tardi, quando la Juventus di Giovanni Trapattoni lo chiama in squadra. Quando a Massimo mostriamo una sua foto scattata durante la stagione d’esordio in bianconero, non gli serve nemmeno una domanda per fargli illuminare gli occhi e iniziare a parlare.

“Questo sono io che dopo anni di gavetta riesco ad arrivare dove sognavo giocando alla Juventus, club per il quale sono tifoso. Era un qualcosa a cui ambivo fin da bambino e dopo tanti anni sono arrivato a giocare in un club importante come la Juventus”.

Passare dal Bari e la Juventus è un passo importante, il più grande della tua carriera. Ci racconti le sensazioni provate nell’entrare per la prima volta nello spogliatoio della Juventus? Cosa si prova a condividere lo spogliatoio con campioni del calibro di Baggio e Del Piero?

“Ho provato grandi emozioni, ma non soggezione. Vestivo la maglia della Juventus, una maglia gloriosa e importante, e in me c’era la grande emozione di poter giocare insieme ad altri campioni”.

Sei arrivato alla Juventus a 27 anni, a questo proposito per te è meglio compiere i grandi salti del genere da più giovani? O in base alla tua esperienza credi che sia meglio che queste occasioni arrivino più in avanti?

Dipende dalla testa che hai. Se da giovane non hai la testa sulle spalle rischi di bruciarti, quindi potrebbe essere pericoloso. Ma se sai quello che vuoi fare della tua vita e sei disposto a fare tanti sacrifici, allora da giovane avrai qualche chances in più“.

TRIONFO EUROPEO

La grande gemma di Massimo Carrera, come abbiamo già anticipato, è il trionfo in Champions League Nel 1995-96. In una squadra stracolma di campioni, lui riesce comunque a ritagliarsi il suo spazio mettendo a referto sette presenze nella competizione. Non potevamo non parlare anche di questo.

“La vittoria della Champions penso sia stato il trionfo più importante della Juventus di quegli anni. Era una coppa che mancava da tanti anni e che manca tutt’ora, io sono stato l’ultimo ad alzarla e quindi credo che sia una cosa molto molto bella“.

Diciamo che in campo europeo, considerando che qualche anno prima avevi vinto anche la Coppa Uefa, sei un esperto! Qual è il segreto che si cela dietro questi successi internazionali e perché secondo te la Juve non è più riuscita in imprese del genere?

“Questo non lo so, in quel periodo eravamo un gruppo molto affiatato ed eravamo quasi una famiglia. Abbiamo avuto la fortuna di arrivare a questi appuntamenti nelle condizioni fisiche e mentali migliori. Non c’erano infortunati ed eravamo tutti al 100% e penso che questo sia il grande segreto. Una volta che arrivi in finale poi devi avere la fortuna di essere nelle condizioni migliori”.

NAPOLI

Nel ping pong tra Nord e Sud Italia, un’altra tappa importante per il percorso di Carrera è stata Napoli. Massimo arriva ai piedi del Vesuvio nel 2003, in un contesto calcistico e sociale molto differente rispetto a tutti gli altri assaporati in precedenza.

“Dopo sette anni a Bergamo mi arriva la proposta del Napoli a settembre e decido di accettarla. Era una piazza importante con obiettivi importanti, peccato che poi quell’anno la società è fallita e quindi non siamo riusciti a perseguire quello che ci eravamo prefissati (la promozione in Serie A ndr.)“.

Da Bergamo e Torino, quindi, passi a Napoli, città sia territorialmente che calcisticamente, secondo molti, agli antipodi: ma è davvero così? Ci sono differenze nel modo di vivere il calcio?

“Ci sono differenze soprattutto per quanto riguarda i tifosi. Al Sud se ti riconoscono è finita, perché ti vogliono invitare a bere un caffè o a parlare con i loro amici. Al Nord invece puoi anche passare inosservato, se qualcuno non è ferrato può non riconoscerti, al Sud è quasi impossibile perché tutti sanno chi sei“.

ATALANTA

Come avrete potuto leggere in precedenza, Carrera passa sette anni all’Atalanta. La parentesi di Bergamo è forse la più importante per Massimo perché è lì che conosce sua moglie e diventa idolo indiscusso dei suoi tifosi, che addirittura gli dedicano una canzone.

“Considerando che vivo tutt’ora a Bergamo, potremmo dire che ormai sono quasi bergamasco! L’Atalanta è stata una parentesi importante per me perché sono diventato capitano della squadra e insieme abbiamo ottenuto alcune promozioni importanti. Sono arrivato a 32 anni e mi sono ritrovato a giocare con dei ragazzi che venivano quasi tutti dalla Primavera, quindi mi son messo a disposizione facendo da chioccia e dimostrando la mia volontà di continuare a vincere“.

I tifosi si affezionano talmente tanto a te che addirittura ti dedicano una canzone. Mi racconti com’è nata la vicenda? Sapevi che ti sarebbe stata dedicata una canzone?

“No, è nato tutto per caso. Io l’ho scoperto quando ero a Treviso, dopo aver giocato una partita contro l’Albinoleffe: c’era l’autista del pullman che mi conosceva e mi portò questa cassetta con sopra incisa la canzone, è lì che ho conosciuto Bepi (l’autore della canzone ndr.). Dopo la canzone spesso sono andato con lui a fare qualche spettacolo nei teatri e a cantare, è stata una cosa molto divertente e piacevole.

Insomma ti piace cantare?

“Sì, ma non sono tanto intonato! La mia grande passione è sempre stata il calcio, ora mi sono avvicinato agli scacchi. Si basa tutto su tattica e strategia quindi ci avviciniamo comunque al mondo del pallone”.

IN NAZIONALE

Carrera in Nazionale ci è passato due volte a distanza di anni: prima da calciatore, disputando un’amichevole contro il San Marino e poi da collaboratore tecnico di Antonio Conte. Ne abbiamo parlato insieme.

“Sono arrivato in Nazionale con Conte. È uno spiraglio che si è aperto dopo aver lavorato e giocato con lui alla Juventus. Quando Antonio è tornato a Torino da allenatore io collaboravo con il settore giovanile, quando ho saputo che sarebbe tornato l’ho chiamato e gli ho detto che se avesse avuto bisogno io sarei stato disponibile. Alla fine con il suo staff ho fatto tre anni alla Juve e due in Nazionale, ho imparato tantissimo ed è stato come fare una nuova gavetta con dei professori del settore“.

La tua prima volta in Nazionale è datata 1992. Quando hai esordito condividevano lo spogliatoio con te campionissimi del calibro di Baresi, Maldini e Baggio. Una volta tornato con Conte, però, i campioni erano decisamente meno e c’erano calciatori molto più modesti. A cosa è attribuibile questo ridimensionamento secondo il tuo parere?

Non c’è stato il ricambio generazionale. Quando giocavo io qualsiasi squadra aveva calciatori di livello assoluto perché quella fu una generazione molto fortunata. Erano gli anni nei quali in Italia c’erano pochi stranieri e anche un ragazzo giovane poteva mettersi in mostra. La Nazionale di una volta aveva quindi più scelte, ora è tutto diverso. Quando andavo con Antonio (Conte ndr.) a vedere le partite per scegliere i giocatori da convocare, a volte le squadre avevano anche solo due italiani in campo. Capisci che in quelle condizioni è difficile anche solo costruire una squadra a differenza delle epoche precedenti”.

E i settori giovanili hanno responsabilità?

“Sì, ma non si può dare tutta la colpa a loro. Con l’avvento degli stranieri le società preferiscono dare una chance a loro piuttosto che a ragazzi italiani giovani o che giocano in Serie C che magari sono anche più bravi. Sono dei meccanismi societari che io non capisco“.

L’INIZIO DI UNA NUOVA ERA

È il 2016 quando Massimo decide di staccare il cordone ombelicale che fino a quel momento aveva legato la sua giovane carriera da allenatore ad Antonio Conte. Carrera decide di mettersi in proprio e il primo ruolo da tecnico di ruolo glielo offre lo Spartak Mosca. In Russia fa en plein e in due anni conquista una Supercoppa di Russia insieme ad un titolo da allenatore dell’anno del campionato sovietico, soprattutto, però, Massimo riesce a riportare a Mosca il titolo di Campioni di Russia, che a quelle latitudini mancava da moltissimi anni.

“Dopo la Nazionale, lo Spartak mi chiamò per andare a collaborare con il primo allenatore aiutandolo nella fase difensiva. Siccome Conte stava andando al Chelsea e non sapeva se avrebbe potuto portare tutto lo staff che aveva in Nazionale, io decisi di accettare subito la proposta“.

Quali sono i pro e i contro del vivere un’esperienza del genere in un paese come la Russia?

“Sicuramente vivere lontano da casa è un sacrificio, ma per fortuna le mie figlie erano già grandi e mia moglie si è trasferita con me. I pro invece sono stati tantissimi: mi sono trovato molto bene, si vive una bella vita e fortunatamente ho vinto. È vero che fa freddo, ma alla fine a dicembre il campionato si ferma e riprende a marzo, quindi il freddo vero in realtà non lo abbiamo mai sentito. Nel complesso sono stati sicuramente più i pro che i contro“.

Tutto sommato quindi è un’esperienza che ti sentiresti di consigliare agli allenatori più giovani?

“Sì, è stata un’esperienza fantastica e non avrei mai potuto immaginare di trovarmi così bene. Pensa che tutt’ora i tifosi mi scrivono, loro mi sono rimasti nel cuore. È stata un’esperienza molto importante anche dal punto di vista della mia carriera da allenatore“.

LONTANO DAGLI OCCHI

Dopo l’esperienza estremamente positiva allo Spartak, però, nessun club italiano ti chiama nell’immediato e tu decidi di fare un’altra esperienza lontano da casa, stavolta in Grecia. Come mai secondo te le squadre del nostro paese sono così restie nel valutare profili che, come te, si formano all’estero? Penso anche a Stramaccioni o altri allenatori italiani.

“Questo sinceramente non lo so, forse credono che non abbiamo abbastanza esperienza nel calcio italiano. Anche io non riesco a capire i motivi, come hai detto te dopo la Russia ho aspettato una squadra in Italia per un anno, ma poi sono finito in Grecia. Anche dopo Atene ho aspettato e l’unica proposta che ho avuto è stata quella del Bari in Serie C, lì non ci ho pensato due volte. Per me è stata più una scelta di cuore, considerando che a Bari ci ho giocato anche cinque anni. Volevo restituire alla città e ai tifosi tutto quello che avevo ricevuto da giovane”.

FUTURO

Concludiamo con una domanda semplice. Visto che abbiamo parlato di passato e di presente mi piacerebbe esplorare anche il futuro. Dove ti vedi tra 5 anni e quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

Il primo obiettivo è sicuramente quello di tornare ad allenare. Mi piacerebbe mettermi alla prova in Italia, partendo possibilmente da inizio stagione. Alla fine sono sempre subentrato, quindi ho sempre ereditato una squadra costruita da altri”.

 

 

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ESCLUSIVA – Braida: “Vi racconto il Milan che ha scritto la storia”

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BRAIDA MILAN – Ariedo Braida, uomo mercato del Milan di Berlusconi, ha raccontato in esclusiva la sua vita e tantissimi retroscena di quegli anni all’interno del format Behind The Mask. Ha parlato anche di alcune trattative che hanno caratterizzato le sue stagioni in rossonero, come quelle di Rijkaard e Shevchenko, oltre ai rapporti con Berlusconi e Galliani.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL RAPPORTO CON GALLIANI

“Abbiamo un rapporto fraterno, più profondo dell’amicizia. Con lui ho condiviso esperienze meravigliose: prima a Monza e poi al Milan per quasi 28 anni”. 

“L’unica volta che siamo andati insieme a guardare un calciatore era per Shevchenko. Siamo andati a Kiev insieme, ma quella sera Shevchenko non era in forma o ben predisposto e aveva giocato una partita sottotono. Adriano non era convinto di questo giocatore perché chiaramente non aveva avuto una buona impressione. Io però l’avevo visto in precedenza e mi era sembrato un giocatore con delle qualità, importante, potente, con una capacità di arrivare al gol in una maniera straordinaria. Capiva il gioco, aveva l’intuizione e nel calcio è fondamentale: 2+2 non fa 4, ma l’intuizione è fondamentale, quindi lui arrivava al posto giusto al momento giusto. A me era piaciuto per questo: poi comunque l’ho convinto, è arrivato al Milan e ha fatto 176 gol, diventando il secondo capocannoniere della storia del Milan dopo Nordhal”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL RAPPORTO CON BERLUSCONI

“Berlusconi era una persona straordinaria, un visionario. Alla prima convention che abbiamo fatto appena arrivato al Milan, lui ha detto una cosa importantissima: ‘Dobbiamo essere la squadra più forte del mondo. Più forti dell’invidia, delle ingiustizie e della sfortuna’. Questa è una cosa che non ho mai dimenticato e non dimenticherò mai. Da lì si capiva che tipo di intuizione aveva questo uomo: una capacità straordinaria e bisognava pensare in grande. La sua storia parla chiaro di imprenditore e di grande presidente del Milan”.

“Io ho sposato la causa. Quando abbiamo iniziato l’avventura sembrava una cosa impossibile, poi il sogno è diventato realtà”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL SUO RUOLO NEL MILAN

“Il mio ruolo era quello di stare vicino alla squadra, di vedere e cercare i giocatori. Avevo un rapporto bellissimo con una persona che negli anni ’90 aveva un impianto satellitare dove registrava le cassette di tutto il mondo. Io riuscivo a vedere in anticipo alcuni giocatori, cosa non facile a quei tempi e quindi vedevo e valutavo eventuali possibilità. Se mi piacevano, li andavo a vedere o mandavo qualcuno a osservare e poi andavo io. Così arrivavamo prima degli altri perché avevamo queste informazioni in anticipo. Oggi si arriva facilmente a tutto, basta aprire un computer e troviamo tutto ciò che vogliamo, mentre all’epoca non era così facile”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL CONTRATTO DI RIJKAARD NEI PANTALONI

“Eravamo a Lisbona con gli uffici che erano sotto le tribune dello stadio dello Sporting. La trattativa era già conclusa e la stavano riprendendo alla televisione. Un gruppo di tifosi, che non volevano che Rijkaard venisse ceduto, sono arrivati e hanno scardinato una porta degli uffici. Sono entrati, i dirigenti dello Sporting sono scappati e noi eravamo sbalorditi nel vedere tutto questo. Il contratto era rimasto sul tavolo, io l’ho preso e me lo sono infilato nei pantaloni pensando: ‘Qui sicuramente non lo prenderà nessuno’. E così è stato (ride, ndr). Le cose poi sono andate come tutti conosciamo: è arrivato qua da noi, è stato un grandissimo giocatore che ha contribuito a scrivere la storia del Milan di quegli anni”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL MANCATO ARRIVO DI TOTTI

“Totti era un ragazzo quando avevamo l’intenzione di portarlo al Milan. Abbiamo tentato di prenderlo, però lui ha preferito rimanere con massimo rispetto da parte nostra per la sua scelta. Lui romano e romanista, con la sua squadra nel cuore, ha preferito rimanere a Roma. Ogni tanto, quando successivamente l’ho incontrato, alla fine della sua carriera, gli ho detto: ‘Se però fossi venuto da noi, avresti potuto vincere il Pallone d’Oro’. E lui rispondeva: ‘Forse sì’. Comunque non è un rammarico, è la vita che porta alcune cose e altre no”.

ESCLUSIVA BRAIDA – LA CHIUSURA CON IL MILAN

“Come tutte le cose, c’è un inizio e una fine. Io pensavo di essere immortale e di rimanere sempre al Milan. Avrò sempre questa squadra nel cuore, è come fossi sempre partecipe. Quando vivi una realtà come l’ho vissuta io per quasi 28 anni, non si può chiedere altro. Fa parte della mia vita, è stata una grandissima parte della mia vita il Milan. Ora continuo a seguirlo, sono un grandissimo tifoso del Milan e sarà sempre nel mio cuore”.

“Ora spero che giochi bene, sia sempre competitivo sia in campionato che in Champions. In questo momento è un pochino al di sotto, ma mi auguro che piano piano recuperi questo gap e che ritorni a essere il Milan che ha scritto la storia degli ultimi 35 anni”.

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ESCLUSIVA – Braida: “Pogba-Barça? Ecco cosa non è andato, su Fagioli…”

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BRAIDA MILAN – Ariedo Braida, uomo mercato del Milan di Berlusconi, ha raccontato in esclusiva la sua vita e tantissimi retroscena di quegli anni all’interno del format Behind The Mask. Il dirigente si è soffermato sulle altre esperienze lontano da Milano, dove ha condotto numerosissime trattative come quella che poteva portare Pogba dalla Juventus al Barcellona nel 2016.

ESCLUSIVA BRAIDA – I VALORI DI UNA CARRIERA

“Ho letto qualche giorno fa un articolo nel quale Spalletti riprendeva i giocatori e portava avanti i valori della Nazionale. Mi sono trovato in pieno in tutto ciò che chiedeva ai suoi ragazzi: basta PlayStation, andiamo alla ricerca dei nostri valori, quelli dell’impegno, della serietà, dell’umiltà, dove noi tutti ci dobbiamo riconoscere. Importante nella vita è avere ben chiaro sapere dove si vuole arrivare. Questo penso sia fondamentale per tutti, soprattutto nello sport dove non è abolito il sacrificio. Per ottenere un certo tipo di traguardo, per vincere, hai bisogno di sacrificarti. Se tutti si sacrificano, vuol dire che c’è stato impegno massimo e può anche arrivare il risultato. Tutti giochiamo per vincere e i valori sono la base fondamentale per poter ottenere vittorie”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL BARCELLONA

“Lì c’è un ambiente magico, soprattutto con Messi. Calcisticamente parlando è un calciatore incredibile, straordinario. Ogni tanto le partite erano complicate, si arrivava al 90′ e con lui avevi sempre una speranza grazie alle sue magie e alle sue punizioni incredibili. È un giocatore straordinario, con una capacità di fare gol, che si è portato anche negli Stati Uniti. Li farà sempre, finché giocherà a calcio, fino a 50 anni. Batterà tutti i record perché è un giocatore unico”.

ESCLUSIVA BRAIDA – IL MANCATO ARRIVO DI POGBA

“Ci sono momenti in cui fai una trattativa e pensi di poter arrivare a un giocatore, ma per acquisirne alcuni ci vogliono tante risorse, che non sempre le società hanno. Quindi molte volte ti fermi di fronte al fatto che mancano certe risorse e non riesci a portare a termine ciò che speravi e volevi”.

ESCLUSIVA BRAIDA – LA CREMONESE

“È un piccolo ambiente di provincia, sano, bellissimo, dove si respira un’aria padana, della terra contadina. Io sono nato in Friuli, quindi sono un padano, quindi era come se fossi a casa mia. Trovarsi in mezzo alla campagna, con un duomo bellissimo, un paese bellissimo e una proprietà molto forte. Il patron Arvedi ha dato tanto e sta dando tanto alla Cremonese e lo continuerà a dare. Quindi la Cremonese per me è stata una sfida. Quando l’ho incontrato, il cavaliere Arvedi mi ha chiesto se me la sentivo di ripartire dalla Serie B, con la squadra ultima in classifica. Io gli ho risposto: ‘Voglio una sfida con me stesso, il calcio mi piace. Il Milan è il Milan, ma la Serie B è sempre calcio. Io lo vivo con una passione incredibile e lo vivo ancora, lo vivrò finché vivrò in una maniera intensa. Sono nato giocando e ho vissuto da sempre questo mondo meraviglioso”.

ESCLUSIVA BRAIDA – FAGIOLI ALLA CREMONESE

“L’ho visto come un ragazzo, calciatore e talento. Aveva delle qualità superiori alla norma. Era un ragazzo che mi piaceva calcisticamente parlando. Ora è incappato in questa disavventura e io gli auguro di ritornare a essere un ragazzo semplice, che vive la sua realtà, questo mondo meraviglioso. Lui può dare tanto al calcio e il calcio può dare tanto a lui. Mi auguro che possa tornare presto a giocare”.

ESCLUSIVA BRAIDA – UN’ALTRA SFIDA

“Dipende da chi vuole darmi una possibilità. Sono disponibile perché mi piace, per la passione che mi anima sono convinto di avere ancora molto da dare. L’esperienza non si compra e io ho un’esperienza lunghissima in questo mondo e penso di poterla dare a chi ne avesse bisogno o chi credesse nel sottoscritto”.

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ESCLUSIVA – Boscaglia: “A Trapani ho solo ricordi meravigliosi. Vi racconto Dany Mota…”

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Partito ad allenare dalla Promozione siciliana, Roberto Boscaglia è arrivato fino in Serie B, passando per tutte le categorie in mezzo e raggiungendo grandissimi traguardi. Il tecnico siciliano ha parlato della sua carriera in esclusiva ai nostri microfoni.

L’INTERVISTA COMPLETA A ROBERTO BOSCAGLIA

Nella stagione 2018/2019, lei ha allenato Dany Mota Carvalho alla Virtus Entella. Cosa si ricorda di lui? Ci racconta qualche aneddoto?

“Ci siamo sentiti qualche giorno fa dopo il gran gol a Genova, in un campo che porta bene a lui. Lì ha segnato uno dei rigori della serie finale nel match di Coppa Italia con il Genoa di Juric che abbiamo vinto. Veniva dal settore giovanile e io lo trovai come terzo/quarto attaccante. Era un ragazzo di appena 19 anni che però si è messo subito in luce, l’ho messo titolare alla prima partita ed è rimasto così. Era un giocatore in forte crescita, con forza nelle gambe e con un grande fiuto del gol. Si faceva voler bene dal gruppo”.

Rispetto a quando lo allenava lei, in cosa è migliorato Dany Mota? Dove può ancora crescere?

“Dany è migliorato tanto, già in quell’annata con noi. Spesso quando veniva tra le linee aveva un buon primo controllo e poi scopriva la palla, questa era una cosa su cui, anche in quell’anno, abbiamo lavorato. Era un giocatore che prima abbassava un po’ più la testa e giocava meno con i compagni e in quella stagione iniziò a lavorare molto con e per la squadra. È un giocatore che si spende per la squadra e per il proprio reparto. Su questa cosa ha avuto grandissimi miglioramenti”.

Nella rosa del suo Brescia prima e successivamente anche in quella della Virtus Entella era presente Luca Mazzitelli, ora capitano del Frosinone. Cosa ci dice di lui?

“Luca l’ho avuto a Brescia, quando aveva ancora 19 anni. Lui era un giovane, scuola Roma, ma in quell’anno ha fatto un grandissimo campionato. All’Entella invece l’ho voluto io. Veniva da un infortunio e stava giocando poco al Genoa in Serie A. Lo prendemmo e lui fece un bellissimo girone di ritorno con noi. È meraviglioso, un ragazzo stupendo a cui voglio bene e con cui ho un grandissimo rapporto. Si fa voler bene all’interno dello spogliatoio e dà tutto sé stesso, gioca sempre al 101%”.

E su Milan Djuric, attuale centravanti del Monza, che ha avuto al Trapani in Serie B?

“Djuric è un giocatore che ho voluto fortemente al Trapani al primo anno di B. L’ho avuto solo nel girone d’andata, perché poi andò al Cittadella. Era giovane e promettente e lo chiamavamo il gigante buono, era un ragazzo fantastico. È un giocatore molto forte, il classico attaccante con caratteristiche difficili da trovare tutte insieme, perché ha grande copertura della palla, bravo di testa, fisicamente devastante e ha il fiuto del gol”.

A Palermo ha invece avuto Lorenzo Lucca, ora all’Udinese…

“Lorenzo è un ragazzo magnifico, con il quale ho avuto un rapporto quasi da padre a figlio. L’ho avuto in Serie C inizialmente come terzo/quarto attaccante, un po’ come Mota, e invece lui a suon di prestazioni, gol e ottimi allenamenti si è preso la titolarità. Ha fatto grandi cose quell’anno a Palermo. È un ragazzo che non tira mai la gamba indietro e che ci crede su tutti i palloni. È meravigliosamente forte di testa e ha fiuto del gol, ma ha ancora alcuni fondamentali da migliorare. Viene anche a giocare tra le linee e lavora per la squadra, quindi non è solo in area”.

LA SUA CARRIERA

Nella sua carriera da allenatore, Roberto Boscaglia ha portato il Trapani dalla Serie D alla Serie B in 4 anni. Ci può raccontare di questa storica impresa? 

“Sono ricordi meravigliosi, abbiamo fatto 6 anni splendidi. Siamo partiti dalla Serie D con un gruppo che ho portato io e che conoscevo, ma anche con una società straordinaria. C’erano il compianto Presidente Morace, che è stato come un secondo padre, e dirigenti con cui avevo un ottimo rapporto. Voglio sottolineare il contributo di tutti quanti, dalla società ai giocatori ai tifosi”.

“Abbiamo poi coinvolto la città. Siamo arrivati a Trapani con molto scetticismo, erano anni che la squadra non andava tra i professionisti. La tifoseria è stata meravigliosa e ci ha amato subito. Quindi è stato un tutt’uno, è stata un’intera città che ci ha spinto fino al sogno, che era la Serie B, categoria in cui il Trapani non c’era mai stato. Un’intera provincia si è stretta attorno alla squadra. Il vero capolavoro dei 6 anni è stata la stagione 2012/2013: siamo ripartiti dopo aver mancato la promozione in Serie B di poco l’anno precedente e farlo, vincendo il campionato, era difficilissimo. Ma ne siamo stati capaci”.

Lei ha raggiunto la Promozione con la propria squadra ben 5 volte. Dall’Eccellenza con l’Alcamo e il Nissa, dalla Serie D con il Trapani e dalla Serie C con ancora il Trapani e la Virtus Entella. Quale è l’ingrediente necessario per raggiungere questo tipo di traguardi?

“Ci sono molte componenti che si devono incastrare. L’identificarsi in una terra, capendo cosa significa la maglia per la gente della città, è determinante. Il giocatore deve capire in che realtà sta giocando. E l’allenatore deve essere bravo a calarsi subito nella mentalità, a vivere la gente e farsi conoscere come persona”.

“Poi ci vogliono competenza, lavoro e sacrificio ed è difficile capire quale è la più importante. Una squadra ha bisogno anche della propria società. Avere la possibilità di essere in una città che ti accoglie e che ti ama è un’altra componente importante. Non c’è un vero ingrediente decisivo, ma diverse cose si devono incastrare per indirizzarti sulla strada del successo”.

Lei è partito dalla Promozione ed è arrivato fino alla Serie B. Quali differenze ha notato tra le categorie?

“Le emozioni e le motivazioni sono uguali, ci sono differenze di qualità. Tra dilettanti e professionisti ci sono tipi di calcio differenti, ma anche tra Serie C e Serie B ci sono cose diverse. In C c’è un calcio meno tecnico e qualitativo e con meno agonismo. In B si corre tanto come in C, ma bisogna farlo con qualità. Devi avere abilità tecniche importanti in cadetteria. Poi c’è una differenza ambientale tra categorie. Le categorie sono comunque così diverse che le squadre che retrocedono fanno fatica a ripartire. Non è facile abituarsi al nuovo livello, anche inferiore”.

Lei ha parlato del legame con la città di Trapani. Quanto è importante la spinta dei propri tifosi?

“L’appoggio dei tifosi è determinante. A Palermo c’è una piazza spettacolare. Trapani è stato meraviglioso, ma anche Brescia e Foggia hanno curve bellissime. A Chiavari invece siamo stati bravi a trascinare una città. I tifosi sono stati con noi fino alla fine e insieme abbiamo raggiunto la promozione. Quando vai in una squadra devi vivere la città e i tifosi, il loro apporto dà qualcosa in più ai giocatori. Il tifoso diventa il dodicesimo uomo in campo”.

Boscaglia ha poi concluso parlando del futuro:

“Ho moltissima voglia di tornare ad allenare. Chi mi chiama in questo momento fa un affare perché ho tanta voglia di rimettermi in gioco. In questo periodo ho visto diverse partite, mi sono aggiornato e ho girato un po'”.

 

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ESCLUSIVA – Dal mancato trasferimento a gennaio al futuro incerto (in Serie A?): la situazione su Saldanha

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Matheus Saldanha, giocatore del Partizan Belgrado - Superliga, Coppa di Serbia, Supercoppa di Serbia, Champions League, Europa League

Tra i nomi finiti sul taccuino dei dirigenti del Torino per la scorsa sessione invernale di calciomercato va segnalato quello di Matheus Saldanha. Sul giovane attaccante in forza al Partizan Belgrado si è scatenata una vera e propria “ressa”, con Siviglia e Fenerbahce interessate al suo profilo. In particolare i turchi avevano formulato un’offerta da sei milioni di euro al club serbo che però l’avrebbe gentilmente fatta rispedire al mittente. Il Partizan Belgrado avrebbe fissato il prezzo del suo cartellino intorno tra gli 11 e i 12 milioni di euro e non era stato disposto a cedere il suo gioiellino per un prezzo inferiore. Ma non c’è solo questa forbice importante tra domanda e offerta che avrebbe fatto saltare il suo trasferimento.

Allo stesso tempo i serbi non avrebbero avallato la sua cessione per un altro semplice motivo. Infatti il Partizan Belgrado è in piena lotta per il campionato e privarsi di uno dei suoi pilastri, per il quale la scorsa estate ha fatto un investimento cospicuo per le casse del club da 1.5 milioni, sarebbe stato controproducente. La situazione è però in continuo evolversi. Già per la prossima estate sono previsti rilevanti aggiornamenti con alcuni importanti club europei, tra cui quelli citati, che potrebbero tornare alla carica per Saldanha. Tuttavia, ciò avverrà a patto che il brasiliano non si operi a seguito dell’infortunio rimediato al flessore. La variabile relativa a questo stop giocherebbe quindi un ruolo fondamentale per la sua futura cessione. Nel caso non dovesse operarsi, infatti, il giocatore potrebbe salutare il Partizan Belgrado e cominciare un’altra importante tappa della sua carriera.

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