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ESCLUSIVA – Massimo Carrera: “Vi svelo il segreto della vittoria della Champions!”
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2 mesi fa:

Behind The Mask è il nuovissimo ed esclusivo format di Numero Diez. Tramite le interviste che contraddistingueranno il genere, disponibili anche in formato video sulla nostra app, andremo a esplorare il lato umano e personale dei nostri ospiti, che si cela dietro la maschera del professionista.
Per un inizio con il botto, si sa, servono però i fuochi d’artificio, e a quelli ci ha pensato Massimo Carrera, special Guest della prima puntata. Massimo al calcio ha dato tutto, prima da calciatore e poi da allenatore, ma ha anche ottenuto altrettanto. Ha indossato le prestigiose maglie di Juventus, Bari, Atalanta e Napoli, ha esordito in Nazionale, conta quasi 300 presenze in Serie A e ha calcato i campi più importanti d’Europa. In carriera ha vinto tutto, letteralmente tutto: con la Juve ha alzato al cielo uno Scudetto, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e, dulcis in fundo, una Coppa Uefa e una Champions League, quella storica del 1995-1996. E siccome non gli bastavano la Coppa Mitropa e la Serie B conquistate con il Bari, Massimo ha deciso anche di vincere un Campionato Russo e una Supercoppa di Russia da allenatore dello Spartak Mosca.
Insomma, per palmares e carriera, Carrera ha tutte le carte in regola per essere il primo perfetto ospite di Behind The Mask.
GAVETTA
Non pensiate, però, che a discapito dei titoli conquistati la vita calcistica di Carrera sia stata tutta rose e fiori. Dopo anni di purgatorio in Serie D, C2, e B con le maglie di Pro Sesto, Russi, Alessandria e Pescara, Massimo accede alle porte del paradiso della Serie A a 25 anni grazie alla promozione nella massima serie del suo Bari.
Il primo vero grande, grandissimo salto della sua carriera arriva però due anni più tardi, quando la Juventus di Giovanni Trapattoni lo chiama in squadra. Quando a Massimo mostriamo una sua foto scattata durante la stagione d’esordio in bianconero, non gli serve nemmeno una domanda per fargli illuminare gli occhi e iniziare a parlare.
“Questo sono io che dopo anni di gavetta riesco ad arrivare dove sognavo giocando alla Juventus, club per il quale sono tifoso. Era un qualcosa a cui ambivo fin da bambino e dopo tanti anni sono arrivato a giocare in un club importante come la Juventus”.
Passare dal Bari e la Juventus è un passo importante, il più grande della tua carriera. Ci racconti le sensazioni provate nell’entrare per la prima volta nello spogliatoio della Juventus? Cosa si prova a condividere lo spogliatoio con campioni del calibro di Baggio e Del Piero?
“Ho provato grandi emozioni, ma non soggezione. Vestivo la maglia della Juventus, una maglia gloriosa e importante, e in me c’era la grande emozione di poter giocare insieme ad altri campioni”.
Sei arrivato alla Juventus a 27 anni, a questo proposito per te è meglio compiere i grandi salti del genere da più giovani? O in base alla tua esperienza credi che sia meglio che queste occasioni arrivino più in avanti?
“Dipende dalla testa che hai. Se da giovane non hai la testa sulle spalle rischi di bruciarti, quindi potrebbe essere pericoloso. Ma se sai quello che vuoi fare della tua vita e sei disposto a fare tanti sacrifici, allora da giovane avrai qualche chances in più“.
TRIONFO EUROPEO
La grande gemma di Massimo Carrera, come abbiamo già anticipato, è il trionfo in Champions League Nel 1995-96. In una squadra stracolma di campioni, lui riesce comunque a ritagliarsi il suo spazio mettendo a referto sette presenze nella competizione. Non potevamo non parlare anche di questo.
“La vittoria della Champions penso sia stato il trionfo più importante della Juventus di quegli anni. Era una coppa che mancava da tanti anni e che manca tutt’ora, io sono stato l’ultimo ad alzarla e quindi credo che sia una cosa molto molto bella“.
Diciamo che in campo europeo, considerando che qualche anno prima avevi vinto anche la Coppa Uefa, sei un esperto! Qual è il segreto che si cela dietro questi successi internazionali e perché secondo te la Juve non è più riuscita in imprese del genere?
“Questo non lo so, in quel periodo eravamo un gruppo molto affiatato ed eravamo quasi una famiglia. Abbiamo avuto la fortuna di arrivare a questi appuntamenti nelle condizioni fisiche e mentali migliori. Non c’erano infortunati ed eravamo tutti al 100% e penso che questo sia il grande segreto. Una volta che arrivi in finale poi devi avere la fortuna di essere nelle condizioni migliori”.
NAPOLI
Nel ping pong tra Nord e Sud Italia, un’altra tappa importante per il percorso di Carrera è stata Napoli. Massimo arriva ai piedi del Vesuvio nel 2003, in un contesto calcistico e sociale molto differente rispetto a tutti gli altri assaporati in precedenza.
“Dopo sette anni a Bergamo mi arriva la proposta del Napoli a settembre e decido di accettarla. Era una piazza importante con obiettivi importanti, peccato che poi quell’anno la società è fallita e quindi non siamo riusciti a perseguire quello che ci eravamo prefissati (la promozione in Serie A ndr.)“.
Da Bergamo e Torino, quindi, passi a Napoli, città sia territorialmente che calcisticamente, secondo molti, agli antipodi: ma è davvero così? Ci sono differenze nel modo di vivere il calcio?
“Ci sono differenze soprattutto per quanto riguarda i tifosi. Al Sud se ti riconoscono è finita, perché ti vogliono invitare a bere un caffè o a parlare con i loro amici. Al Nord invece puoi anche passare inosservato, se qualcuno non è ferrato può non riconoscerti, al Sud è quasi impossibile perché tutti sanno chi sei“.
ATALANTA
Come avrete potuto leggere in precedenza, Carrera passa sette anni all’Atalanta. La parentesi di Bergamo è forse la più importante per Massimo perché è lì che conosce sua moglie e diventa idolo indiscusso dei suoi tifosi, che addirittura gli dedicano una canzone.
“Considerando che vivo tutt’ora a Bergamo, potremmo dire che ormai sono quasi bergamasco! L’Atalanta è stata una parentesi importante per me perché sono diventato capitano della squadra e insieme abbiamo ottenuto alcune promozioni importanti. Sono arrivato a 32 anni e mi sono ritrovato a giocare con dei ragazzi che venivano quasi tutti dalla Primavera, quindi mi son messo a disposizione facendo da chioccia e dimostrando la mia volontà di continuare a vincere“.
I tifosi si affezionano talmente tanto a te che addirittura ti dedicano una canzone. Mi racconti com’è nata la vicenda? Sapevi che ti sarebbe stata dedicata una canzone?
“No, è nato tutto per caso. Io l’ho scoperto quando ero a Treviso, dopo aver giocato una partita contro l’Albinoleffe: c’era l’autista del pullman che mi conosceva e mi portò questa cassetta con sopra incisa la canzone, è lì che ho conosciuto Bepi (l’autore della canzone ndr.). Dopo la canzone spesso sono andato con lui a fare qualche spettacolo nei teatri e a cantare, è stata una cosa molto divertente e piacevole.
Insomma ti piace cantare?
“Sì, ma non sono tanto intonato! La mia grande passione è sempre stata il calcio, ora mi sono avvicinato agli scacchi. Si basa tutto su tattica e strategia quindi ci avviciniamo comunque al mondo del pallone”.
IN NAZIONALE
Carrera in Nazionale ci è passato due volte a distanza di anni: prima da calciatore, disputando un’amichevole contro il San Marino e poi da collaboratore tecnico di Antonio Conte. Ne abbiamo parlato insieme.
“Sono arrivato in Nazionale con Conte. È uno spiraglio che si è aperto dopo aver lavorato e giocato con lui alla Juventus. Quando Antonio è tornato a Torino da allenatore io collaboravo con il settore giovanile, quando ho saputo che sarebbe tornato l’ho chiamato e gli ho detto che se avesse avuto bisogno io sarei stato disponibile. Alla fine con il suo staff ho fatto tre anni alla Juve e due in Nazionale, ho imparato tantissimo ed è stato come fare una nuova gavetta con dei professori del settore“.
La tua prima volta in Nazionale è datata 1992. Quando hai esordito condividevano lo spogliatoio con te campionissimi del calibro di Baresi, Maldini e Baggio. Una volta tornato con Conte, però, i campioni erano decisamente meno e c’erano calciatori molto più modesti. A cosa è attribuibile questo ridimensionamento secondo il tuo parere?
“Non c’è stato il ricambio generazionale. Quando giocavo io qualsiasi squadra aveva calciatori di livello assoluto perché quella fu una generazione molto fortunata. Erano gli anni nei quali in Italia c’erano pochi stranieri e anche un ragazzo giovane poteva mettersi in mostra. La Nazionale di una volta aveva quindi più scelte, ora è tutto diverso. Quando andavo con Antonio (Conte ndr.) a vedere le partite per scegliere i giocatori da convocare, a volte le squadre avevano anche solo due italiani in campo. Capisci che in quelle condizioni è difficile anche solo costruire una squadra a differenza delle epoche precedenti”.
E i settori giovanili hanno responsabilità?
“Sì, ma non si può dare tutta la colpa a loro. Con l’avvento degli stranieri le società preferiscono dare una chance a loro piuttosto che a ragazzi italiani giovani o che giocano in Serie C che magari sono anche più bravi. Sono dei meccanismi societari che io non capisco“.
L’INIZIO DI UNA NUOVA ERA
È il 2016 quando Massimo decide di staccare il cordone ombelicale che fino a quel momento aveva legato la sua giovane carriera da allenatore ad Antonio Conte. Carrera decide di mettersi in proprio e il primo ruolo da tecnico di ruolo glielo offre lo Spartak Mosca. In Russia fa en plein e in due anni conquista una Supercoppa di Russia insieme ad un titolo da allenatore dell’anno del campionato sovietico, soprattutto, però, Massimo riesce a riportare a Mosca il titolo di Campioni di Russia, che a quelle latitudini mancava da moltissimi anni.
“Dopo la Nazionale, lo Spartak mi chiamò per andare a collaborare con il primo allenatore aiutandolo nella fase difensiva. Siccome Conte stava andando al Chelsea e non sapeva se avrebbe potuto portare tutto lo staff che aveva in Nazionale, io decisi di accettare subito la proposta“.
Quali sono i pro e i contro del vivere un’esperienza del genere in un paese come la Russia?
“Sicuramente vivere lontano da casa è un sacrificio, ma per fortuna le mie figlie erano già grandi e mia moglie si è trasferita con me. I pro invece sono stati tantissimi: mi sono trovato molto bene, si vive una bella vita e fortunatamente ho vinto. È vero che fa freddo, ma alla fine a dicembre il campionato si ferma e riprende a marzo, quindi il freddo vero in realtà non lo abbiamo mai sentito. Nel complesso sono stati sicuramente più i pro che i contro“.
Tutto sommato quindi è un’esperienza che ti sentiresti di consigliare agli allenatori più giovani?
“Sì, è stata un’esperienza fantastica e non avrei mai potuto immaginare di trovarmi così bene. Pensa che tutt’ora i tifosi mi scrivono, loro mi sono rimasti nel cuore. È stata un’esperienza molto importante anche dal punto di vista della mia carriera da allenatore“.
LONTANO DAGLI OCCHI
Dopo l’esperienza estremamente positiva allo Spartak, però, nessun club italiano ti chiama nell’immediato e tu decidi di fare un’altra esperienza lontano da casa, stavolta in Grecia. Come mai secondo te le squadre del nostro paese sono così restie nel valutare profili che, come te, si formano all’estero? Penso anche a Stramaccioni o altri allenatori italiani.
“Questo sinceramente non lo so, forse credono che non abbiamo abbastanza esperienza nel calcio italiano. Anche io non riesco a capire i motivi, come hai detto te dopo la Russia ho aspettato una squadra in Italia per un anno, ma poi sono finito in Grecia. Anche dopo Atene ho aspettato e l’unica proposta che ho avuto è stata quella del Bari in Serie C, lì non ci ho pensato due volte. Per me è stata più una scelta di cuore, considerando che a Bari ci ho giocato anche cinque anni. Volevo restituire alla città e ai tifosi tutto quello che avevo ricevuto da giovane”.
FUTURO
Concludiamo con una domanda semplice. Visto che abbiamo parlato di passato e di presente mi piacerebbe esplorare anche il futuro. Dove ti vedi tra 5 anni e quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
“Il primo obiettivo è sicuramente quello di tornare ad allenare. Mi piacerebbe mettermi alla prova in Italia, partendo possibilmente da inizio stagione. Alla fine sono sempre subentrato, quindi ho sempre ereditato una squadra costruita da altri”.
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ESCLUSIVA – Brambati: “Conte in preda allo sconforto al Tottenham. Futuro? Lo vedrei bene alla Juve”
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4 ore fa:
Marzo 28, 2023
La notizia dell’addio anticipato di Antonio Conte al Tottenham ha colto di sorpresa un weekend all’insegna del calcio, giocato dalle nazionali e tutti gli appassionati al mondo del pallone. Questo grande shock, però, adesso segue una domanda molto chiara e dalla risposta, per il momento, sconosciuta: quale sarà il prossimo approdo dell’allenatore leccese? Per provare a indagare sul suo futuro, la redazione di Numero Diez ha deciso di intervistare Massimo Brambati, attuale procuratore e opinionista, nonchè amico di Antonio Conte. L’ex calciatore ha voluto analizzare le cause del suo addio agli Spurs, a cui potrebbe seguire un ritorno al futuro in grande stile. Di seguito, proponiamo il contenuto integrale dell’intervista.
Si aspettava una rottura immediata del rapporto tra Conte e il Tottenham?
“Non è che non me lo aspettassi. La verità è che conosco molto bene lui, la sua ambizione e anche la sua bravura. È logico che, stando in una squadra che dimostra, nella proprietà, nella dirigenza e nei giocatori, di non avere la stessa fame dell’allenatore, Antonio si sia fatto prendere dallo sconforto. E lo capisco“.
Non è la prima volta che Conte fa un passo indietro rispetto alle proprie precedenti avventure in panchina. Queste dimissioni erano necessarie a questo punto della stagione, visto che il Tottenham si sta giocando l’accesso diretto alla prossima Champions League?
“Questa è una valutazione talmente personale che riguarda lui e il presidente; pertanto, non mi permetto di giudicare, anche perchè non sono perfettamente a conoscenza della dinamica di quello che può essere successo tra le due parti“.
Conte ha sempre detto di sposare un progetto laddove vedeva quel barlume di possibilità di vittoria. Era così anche con il Tottenham?
“Anzitutto, io credo che la società giustamente avesse delle aspettative sull’allenatore, il quale, a sua volta, aveva delle aspettative sui giocatori. Credo che, in questo caso, i giocatori siano stati un po’ una delusione. È chiaro che, per arrivare a vincere, non passa un solo mese od otto mesi o, magari, neanche un anno o un anno e mezzo. Alla Juventus e al Chelsea ha vinto al termine della prima stagione. All’Inter ha vinto dopo due annate. A volte si presentano dei percorsi diversi, che portano una squadra a crescere in tempi diversi. Evidentemente lui ha capito che questa crescita non c’era. Questo lo ha capito anche attraverso i risultati, che non quelli che lui si attendeva”.
Adesso ci si interroga sul suo futuro: ci sono possibilità di rivederlo in Italia?
“Io me lo auguro per il calcio italiano. Il calcio italiano ha i migliori allenatori in circolazione: lui è uno dei principali esponenti di questa fazione, se non il principale. A mio modo di vedere, arricchirebbe, più in generale, il nostro campionato e, in particolare, la squadra in cui andrebbe ad allenare. Sono convinto che la squadra che lo prenderà, andrebbe sicuramente a vincere“.
Le faccio i nomi di quattro squadre potenzialmente interessate al suo profilo: queste sono l’Inter, la Juventus, il Milan e la Roma. Quale delle compagini citate farebbe più al caso di Conte?
“Sono tutte squadre importanti e club prestigiosi, ma, se devo dire la mia, io vedrei bene un suo ritorno alla Juve. In ogni caso, se fossi il dirigente di una di queste quattro società, mi farei in mille per portarmelo a casa“.
Ha fatto il nome della Juventus. Focalizzando un attimo l’attenzione sui bianconeri, cosa pensa del lavoro, svolto da Allegri in più di un anno e mezzo di guida tecnica?
“È sotto gli occhi di tutti il valore del suo lavoro. La Juventus è una squadra abituata a vincere. Se non vinci, hai fallito. Non lo dico io, lo dice la storia della Juventus. È stato esonerato un allenatore come Sarri, che ha vinto lo scudetto ed è stato mandato via Pirlo, che ha vinto la Supercoppa e la Coppa Italia. Allegri non ha vinto niente fino a questo momento. È vero che ha il credito dei cinque scudetti, vinti durante la sua prima esperienza in bianconero, però, va detto che i crediti finiscono. Io credo che, se la Juventus non dovesse vincere niente anche quest’anno, sarebbe un’altra stagione deludente, al netto della penalizzazione e delle vicende societarie. Alla Juventus, arrivare secondi non è un vanto: è una sconfitta“.
Quanto contributo in più apporterebbe Conte rispetto a quello garantito da Allegri fino a questo momento?
“Ci siamo portati già un po’ avanti nelle eventualità…Dico solo che quando gli metti del materiale sufficientemente buono, ti porta a casa sicuramente qualcosa. È certo che ci deve una predisposizione al lavoro e al sacrificio per raggiungere un obiettivo a ogni costo, mettendo prima l’interesse del gruppo e, poi, quello del singolo. Questo è un suo credo. Così ha vinto quasi dappertutto sia in Italia, dove sottolineerei anche le vittorie dei campionati di Serie B con il Bari e il Siena, e anche all’estero“.
ESCLUSIVE
ESCLUSIVA – Buriani: “Napoli-Milan? Difficile fare un pronostico”
Pubblicato
1 giorno fa:
Marzo 27, 2023
Il derby italiano dei quarti di finale di Champions League tra Napoli e Milan fa tornare alla mente tanti ricordi legati al periodo in cui le squadre della nostra penisola trionfavano nell’Europa che conta. Inter, Juventus e i rossoneri stessi hanno portato in alto il nome dell’Italia in giro per l’Europa, conquistando trofei e riconoscimenti iridati. Vedere finalmente tre squadre tra le migliori otto per la coppa dalle grande orecchie fa sicuramente ben sperare, nonostante appunto una tra Milan e Napoli sia destinata a fermarsi qui. Sono stati tanti i giocatori che hanno militato per entrambe le compagini nella storia del calcio e noi di Numero Diez abbiamo provato a contattarli per sapere la loro su questo scontro tutto italiano che coinvolgerà un paese intero.
Il primo intervistato è Ruben Buriani, ex centrocampista che oltre alle due squadre sopracitate ha giocato anche in altre squadre importanti come SPAL, Cesena, Monza e Roma. Una carriera di alto livello, condividendo lo spogliatoio con giocatori di assoluto livello come Gianni Rivera e Diego Armando Maradona. Una persona che si è contraddistinta anche fuori dal campo, rivelatasi tale anche per l’enorme disponibilità e gentilezza che ha dimostrato nei nostri confronti. Con lui abbiamo parlato appunto della sfida tra Milan e Napoli, ma anche dei percorsi intrapresi nelle ultime stagioni, il lavoro fatto da Pioli e Spalletti e alcuni aneddoti e rivelazioni legati alla sua carriera.
NAPOLI-MILAN, UNO SCONTRO CHE RIPERCORRE LA SUA CARRIERA
Per lei che ha militato sia nel Napoli che nel Milan, come vede questo scontro? C’è una favorita?
“Guardando il campionato non c’è sfida, ma in campo internazionale può succedere di tutto. In questo momento il Napoli sta dimostrando una forza che nessun’altra squadra ha, anche in campo europeo. In Champions League ha fatto paura a tutti ma in due partite secche così magari chi è più abituato a farle ha più vantaggio, nonostante il Milan negli ultimi tempi non ne abbia giocate tante. Nello stesso tempo però è difficile fare un pronostico tra due squadre di questo tipo. Sicuramente i partenopei, anche per quello che stanno facendo in campionato, partono leggermente favoriti“.
Secondo lei è meglio trovare una squadre dello stesso campionato in una fase così avanzata della competizione?
“È meglio da un lato perché magari si conoscono molto bene, è peggio perché purtroppo una delle due va fuori adesso. Il sorteggio è stato questo, è chiaro che è bello vederle insieme a questo livello ma una dovrà uscire. Come dicevo anche prima, il Napoli per la continuità e la forza dimostrato parte una spanna avanti per raggiungere le semifinali. Il Milan quest’anno sta trovando alcune difficoltà, ma sicuramente non sarà una sfida facile per i partenopei”.
UN MILAN LONTANO DA QUELLO VISTO LO SCORSO ANNO
Proprio sulle difficoltà del Milan in questa stagione, l’operato di Pioli inizia ad essere messo in dubbio da tifosi e addetti ai lavori. Cosa ne pensa? Come valuta il suo operato?
“L’anno scorso ha vinto, e anche bene. Quest’anno alcuni giocatori, come Leao e Hernandez, al rientro dal mondiale non erano gli stessi. Han pagato questo scotto, sono due che fanno la differenza. Quando mancano loro si sente, c’è poco da fare. Nonostante questo il lavoro di Pioli in questi due anni è stato buono, ha riportato il Milan in Champions, vincendo il campionato e arrivando anche ai quarti quest’anno. È chiaro che poi il lavoro di un allenatore viene valutato in base ai risultati, ma non sempre questi rispecchiano l’intero lavoro fatto. La mancanza di risultati risalta all’occhio dei tifosi soprattutto, ma ritengo che Pioli abbia fatto un lavoro produttivo e si merita la conferma anche per i prossimi anni. Ovvio che se la cosa dovesse continuare il primo a pagarne sarebbe lui, come succede spesso, vedi Conte. Ogni allenatore ha la propria storia e i risultati ne fanno parte in modo decisivo, c’è poco da fare”.
IL LAVORO DI SPALLETTI PER UN NAPOLI DA RICORDARE
Nonostante l’addio di Insigne e Koulibaly il Napoli si è ripreso immediatamente, con un cammino, almeno per il momento, incredibile. Cosa ne pensa del lavoro di Spalletti e della dirigenza partenopea?
“A inizio stagione è sempre difficile fare delle valutazioni, ma è chiaro che l’anno scorso il percorso sia stato ben diverso, nonostante la presenza di Koulibaly e Insigne. La dirigenza è stata super, chi è andato via è stato sostituito in modo egregio. Visto è considerato cosa stanno facendo Kvaratskhelia e Kim Min-Jae va dato un plauso a chi si è occupato di seguirli e prenderli. Hanno fatto una campagna acquisti incredibile, hanno trovato una solidità e una forza che non avevano gli scorsi anni. Il merito va alla dirigenza e all’allenatore, una lunghezza nella rosa di questo tipo non si vedeva da parecchio tempo”.
Proprio la lunghezza della rosa è uno degli elementi fondamentali nel percorso del Napoli. Ne è la prova la stessa partita di campionato tra Milan e Napoli, decisa proprio da un gol di Simeone, una riserva decisiva in più occasioni quest’anno. È d’accordo?
“Si si assolutamente, hanno una rosa competitiva in tutti sensi. Come manca uno, entra un altro, senza che la squadra ne risenta. Chiaramente che per chi rimane fuori non fa piacere, ma visti i tanti impegni tutti hanno avuto tanto spazio. Chi ha operato per portare a Spalletti una squadra così va solo che elogiato, visti i risultati e il calcio che gioca”.
LA CARRIERA DI RUBEN BURIANI
Lei ha avuto la fortuna di giocare sia per il Napoli che per il Milan, in due stadi importanti come il San Paolo e San Siro. Quali sono state le differenze che ha riscontrato? La tifoseria?
“Milano è una città un po’ più fredda a differenza di Napoli, un clima più frenetico. Diciamo anche che ai miei tempi il calcio veniva visto in modo diverso. Adesso ognun può vedere tutte le partite che vuole, per intero. Prima invece era diverso, c’era solo Novantesimo minuto che in sessanta secondi ti faceva vedere tutto. I tifosi affezionati erano quelli che ti guardavano allo stadio, adesso c’è anche chi da lontano si lega a una squadra. Comunque si tratta di due città diverse, una molto più calda dell’altra. Anche durante gli allenamenti, a Milanello c’era poca gente mentre a Napoli le persone venivano a vederti a centinaia. Il tifo adesso però credo sia cambiato, la televisione ha portato molta più gente ad avvicinarsi al mondo del pallone”.
Se le dico una data, 6 novembre 1977, cosa le torna in mente?
“Beh, diciamo che è una data che rimarrà impressa per sempre nella mia testa. Un ragazzo alla prima stagione in Serie A, in un derby così sentito come quello di Milano e vicino a grandissimi campioni si sentiva abbastanza in apprensione. Poi la partita diciamo che si è messa nel verso giusto e segnare quella doppietta è stato qualcosa di incredibile. La Serie A è un campionato difficile e riuscire a fare carriera lo è ancora di più. Arrivare ai massimi livelli vuol dire fare tanti sacrifici, ma è ancora più arduo riuscire a tenere certi ritmi per tanti anni. Bisogna lavorare quotidianamente per mantenere certi obiettivi che ti permettono poi di fare una carriera lunga e di toglierti certe soddisfazioni personali”.
LA FIGURA DI GIANNI RIVERA
Condividere lo spogliatoio con un campione come Gianni Rivera deve essere qualcosa che ti segna dentro. C’era qualcosa che la colpiva di lui?
“Era incantevole vederlo giocare, ma la cosa che mi colpiva di più era l’uomo fuori dal campo. Era un campione incredibile e lo dimostrava ogni giorno, a ogni singola sessione di allenamento. Ti permetteva anche di avere una tranquillità che non riuscivi ad avere con altri giocatori, passavi la palla a lui ed era come metterla in cassaforte. Stare quotidianamente con un campione di questo tipo ti spinge anche a lavorare di più, a cercare di raggiungere i più alto livello possibile, migliorandoti giorno per giorno”.
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ESCLUSIVA – Il Dott. Danilo Casali parla dei falsi “infortuni psicologici”

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2 giorni fa:
Marzo 26, 2023
Abbiamo avuto l’onore di poterci confrontare nuovamente con il Dott. Danilo Casali, esperto di prevenzione infortuni muscolari in ambito sportivo.
Ci ha parlato di quelli che ad oggi sono etichettati impropriamente come “infortuni psicologici” e ci ha portato due esempi lampanti che si sono verificati negli ultimi mesi, ovvero il caso di Nico Gonzalez e quello di Paul Pogba, ma i casi sono molto più frequenti.
Entrambi sono accomunati dal fatto di aver subito un nuovo infortunio muscolare effettivo, dopo che erano state fatte ipotesi di problemi psicologici, mentali, nel loro difficoltoso periodo che li ha tenuti lontani dal campo. Premesso che le implicazioni psicologiche di un individuo che soffre per un problema, sono individuali ed in
rapporto al proprio vissuto, questi riferimenti servono unicamente a far capire come, utilizzando la giustificazione psicologica, ci si allontani dalla ricerca delle cause effettive ancora presenti nel generare infortuni e recidive.
Nello specifico caso di Gonzalez, prima della convocazione per i Mondiali, lo staff e la società avevano ipotizzato un infortunio “mentale” per il loro atleta, insinuando un volontario atteggiamento frenato per non rischiare altri problemi in vista dell’imminente torneo in Qatar.
Il velocista argentino fu convocato ma poi lasciò il ritiro della nazionale prima del Mondiale per un infortunio di secondo grado insorto in allenamento.
Per Pogba, dopo un periodo lungo di assenza per la riabilitazione al ginocchio e quando il suo rientro sembrava imminente, è giunto un nuovo rinvio che ha lasciato perplesso anche l’allenatore. Sulla stampa qualcuno ha ipotizzato un infortunio psicologico anche per il francese, riferendosi a fonti vicine alla squadra.
Purtroppo, il centrocampista bianconero, ha subìto un nuovo infortunio muscolare documentabile con gli esami del caso, ovvero un problema reale tutt’altro che psicologico. Come per N.Gonzalez:
“È ampiamente noto che in medicina, quando un individuo lamenta problemi che non trovano conferma negli esami, venga chiamata troppo frettolosamente in causa la sfera psicologica/psicosomatica. Accade per un mal di schiena, per un mal di testa ricorrente e per molti altri disturbi. Il fatto che gli esami non possano “fotografare” certi disturbi funzionali, ovvero perturbazioni sul funzionamento corretto, porta a queste conclusioni molto spesso
totalmente prive di fondamento”.
L’OPINIONE DEL DOTT. CASALI
“Un atleta professionista come altri individui è soggetto a problematiche disfunzionali silenti, salvo il fatto che quando deve spingere al massimo in allenamento e competizione, può rilevare
percezioni fastidiose durante qualche movimento o dolori accentuati post-attività, anche a fronte di allenamenti non intensi, che lo inducono a stare in allerta: con netta riduzione delle potenzialità.
In qualsiasi auto moderna, la centralina elettronica inibisce la potenza se rileva qualche dato problematico proveniente dai vari sensori.
Il corpo è dotato degli stessi meccanismi ed un atleta di alto livello, che quotidianamente si allena ascoltandosi, è indubbiamente molto più affidabile nel percepire questi alert. Tutti gli allenamenti neuromuscolari effettuati, oltre alle altre finalità, perfezionano indirettamente questa capacità. E’ quindi paradossale che qualcuno, sicuramente informato dallo staff sanitario/atletico, faccia queste ipotesi quando non riesce a comprendere tutte le cause che incidono nel generare infortuni muscolari frequenti.
Dopo infortuni e ricadute sarebbe normale per chiunque avere quel minimo di timore/paura nel
ritornare in campo, ma le notizie sopra confermano sistematicamente come il problema infortuni
muscolari sia riconducibile non solo ai ritmi intensi imposti dal calendario, ma anche a questa zona d’ombra presente nelle procedure di valutazione medica, alla quale sfuggono le cause biomeccaniche alla base degli infortuni indiretti (senza nessun trauma/contrasto).
Come spiegare altrimenti le recidive che insorgono al ritorno in campo, o durante la stessa fase di
riabilitazione, accadute in questi mesi a più atleti (ad esempio Maignan e Lukaku)? Essendo già stati fermi per il loro recupero, non possono certo essere vittime delle partite ravvicinate”.
ESCLUSIVE
ESCLUSIVA – Valerio Casagrande: “Per il Parma nel presente investimenti e capitale, nel futuro un modello autosostenibile”

Pubblicato
3 giorni fa:
Marzo 26, 2023
Abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistare Valerio Casagrande, Chief Financial Officer per il Parma Calcio 1913 e Coordinatore della Commissione Sostenibilità e Licenze Nazionali della Lega Serie B, con il quale abbiamo trattato diverse tematiche: dagli obiettivi del club, passando per la sostenibilità nel calcio di oggi e, chiudendo, con una visione futura della Lega Serie B.
Quali sono gli obiettivi societari del Parma Calcio nel breve e lungo periodo?
“Mi piacerebbe innanzitutto evidenziare l’esistenza di obiettivi nel lungo termine e di piani strategici e operativi per poterli realizzare. La programmazione a lungo termine, infatti, non è scontata nel nostro settore. Ritengo che l’adozione di un simile approccio sia un punto di forza della proprietà di Parma Calcio e del nostro gruppo. Nello specifico, i nostri obiettivi sono declinati su quattro pilastri fondamentali: lo stadio, il centro sportivo, lo sviluppo commerciale del brand anche dal punto di vista internazionale e, ultimo ma non meno importante, lo sviluppo dei giovani”.
Ce le può approfondire?
“Per quanto riguarda lo stadio, abbiamo l’obiettivo di avviare un’attività di ammodernamento dello Stadio Tardini. Renderlo più godibile e sostenibile dal punto di vista finanziario, ambientale e sociale, garantendo un’esperienza più funzionale per la nostra tifoseria.
Nel centro sportivo, invece, oltre ai campi di allenamenti ci sono anche gli uffici della società. La nostra intenzione è quella di ampliare la struttura, con la costruzione di nuovi campi da calcio, e di migliorare sia le aree destinate al personale amministrativo e gestionale, che quelle dedicate al personale sportivo.
Per quanto riguarda lo sviluppo commerciale, il Parma Calcio vuole puntare tra l’altro sulla visibilità internazionale acquisita nel corso della sua storia. Puntiamo all’ottimizzazione delle linee di ricavo esistenti nonché alla creazione di nuove, sempre rimanendo coerenti con la vocazione della società.
Infine, l’acquisizione, la selezione e lo sviluppo dei giovani è un principio applicabile a tutte le aree del club, in particolare a quella sportiva. I progetti di ammodernamento dello stadio e del centro sportivo sono finalizzati anche a fornire agli atleti le migliori facility possibili, permettendo di allenarsi e svilupparsi nel miglior modo possibile. Sono elementi che riteniamo renderanno il nostro club sempre più attraente per i migliori talenti.
In aggiunta a questi aspetti, vorrei evidenziare il nostro approccio metodologico, basato sull’acquisizione e sull’ analisi dei dati. Ovviamente bisogna bilanciare i due aspetti: la creazione e l’elaborazione dei dati, senza dimenticare le risorse umane, dove gli aspetti psicologici sono molto rilevanti”.
Tra i termini più utilizzati nel calcio di oggi c’è quello di ‘sostenibilità’. Quali sono, secondo lei, i fattori chiave di questo tema, collegati al sistema calcistico?
“Mi tolgo momentaneamente il cappello di CFO di Parma Calcio. Ti parlo, dunque, non da un punto di vista soggettivo, ma di sistema, cosa che mi viene abbastanza naturale avendo ricoperto in passato il ruolo di Head of Finance and Control Department della Lega Serie B ed essendo tuttora il Coordinatore della Commissione Sostenibilità e Licenze Nazionali della Lega Serie B.
Il settore vive, come ben testimoniato ad esempio dal Report Calcio della FIGC, una situazione di acuta tensione finanziaria, con un ammontare di debiti molto significativi. Dal punto mio di vista, è poco plausibile pensare e/o sperare che si affermino in forma diffusa – sottolineo in forma diffusa, perché a livello individuale, invece, si sono consolidate eccezioni di successo – dei modelli di gestione che nel breve periodo determinino un sostanziale turnover rispetto alla situazione attuale.
Sul lato delle entrate, è verosimile, infatti, che i ricavi da diritti audiovisivi, la principale fonte economica del calcio italiano, saranno stagnanti almeno per un altro triennio. L’attivazione della crescita di altre fonti di reddito, nuove oppure già esistenti (es. ticketing, naming rights, hospitality), è dipendente, in maniera prevalente, dal rinnovamento degli stadi, per il cui compimento è richiesto generalmente un periodo non inferiore ai 5 anni, anche a causa della complessità dell’iter burocratico richiesto.
Sul lato delle uscite, il settore, anche durante il periodo del Covid, ha fornito pochi segnali di controtendenza rispetto alla costante crescita dei costi, in particolare di quelli connessi al trading player. Ciò premesso, qual è l’elemento che può garantire la sostenibilità finanziaria del calcio italiano? Il capitale.
L’attrazione del capitale, in particolare da parte di investitori esteri, per il calcio italiano è, pertanto, una via obbligata, ma non irrealistica e non priva di opportunità collaterali. I brand dei club italiani continuano ad essere internazionalmente riconosciuti, il livello tecnico dei nostri campionati rimane, a livello globale, elevato – nonostante sia decisamente declinato rispetto a 20 anni fa -, i costi di acquisizione di un club sono relativamente attraenti rispetto ad altri campionati e il mercato è sostanzialmente allineato nel riconoscere ai nostri club una redditività latente che potrebbe essere portata a emersione, nel medio – lungo termine, da gestioni allineate con il moderno sport business.
Tutti gli elementi menzionati rendono i club italiani target attrattivi per gli investitori in particolare esteri, i quali sono quelli che dimostrano in questo periodo storico le maggiori disponibilità economiche. A tal fine, ossia per rimanere attrattivo verso questi soggetti o esserlo ancora maggiormente, per il calcio italiano diventa imperativo preservare credibilità e stabilità delle regole.
La sostenibilità nel lungo periodo passa dal miglioramento dei conti economici, mediante la crescita dei ricavi e/o la diminuzione dei costi mentre, nel breve periodo, dipende passa dal capitale degli investitori”.
Come ha già citato in precedenza, lei ha ricoperto la carica di Head of Finance and Control Department della Lega Serie B. Come vede il futuro della B sotto questo punto di vista?
“La Lega di Serie B ha conosciuto un percorso di crescita dei ricavi commerciali nonché in termini di visibilità. Io sono convinto che questo percorso positivo avrà la possibilità di consolidarsi nei prossimi anni. Dal mio punto di vista, un elemento da consolidare per la Serie B è il posizionamento come fucina di talenti, auspicabilmente italiani, che possano essere importanti anche per le nostre nazionali.
Negli ultimi anni il peso dei giocatori stranieri è aumentato. Ci sono degli elementi, dal punto di vista normativo ed economico-finanziario che hanno determinato condizioni favorevoli all’acquisizione di giocatori stranieri rispetto a quelli italiani. Mi riferisco, tra gli altri, al cd. ‘Regime Impatriati’ o Decreto Crescita. Pur essendo condivisibile nel principio, secondo me presenta aspetti decisamente migliorabili, in particolare al fine di eliminarne alcuni elementi distorsivi. L’altro elemento riguarda la cosiddetta ‘Stanza di compensazione della Lega’.
Dal mio punto di vista è necessario un intervento, in particolare sul tema delle fideiussioni, per rendere meno disequilibrata la situazione rispetto al mercato internazionale, nel quale questo sistema non esiste. A parità di condizioni, se tu compri un giocatore dall’estero ti costa meno che comprarlo in Italia, disincentivando la produzione di giocatori in Italia con tutte le relative conseguenze. Infine, ho un’ultima proposta…”.
Prego.
“Da quando è stato introdotto il divieto di sponsorizzazioni per le società di betting. Le società sportive sono state penalizzate, in quanto è stato loro precluso l’accesso a introiti considerevoli, visto il budget di cui il settore betting dispone. La mia proposta è di reintrodurre la possibilità di stabilire rapporti commerciali con le società operanti in tale ambito e di destinare i relativi introiti, in tutto o in parte, al settore giovanile.
Certificando, con un’attività di rendicontazione a posteriori, che queste somme siano state effettivamente utilizzate per il settore giovanile. Così si destinerebbe un’entrata, che è oggetto di controversia, a un fine meritevole, in un certo senso “riabilitandola”. Ovviamente tale intervento si radica nell’ambito della normativa statale e, dunque, il calcio non è autonomo in tale iniziativa ma deve attivare l’azione del legislatore statale”.
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