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ESCLUSIVA - Tutti i dettagli sulla situazione di Premium Sport e intervista a Ricky Buscaglia

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ESCLUSIVA – Tutti i dettagli sulla situazione di Premium Sport e intervista a Ricky Buscaglia

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Amiche e amici di Premium Sport abbiamo trascorso tre anni bellissimi insieme, ma ora è arrivato il momento di salutarci. Insieme all’enorme ringraziamento per essere stati con noi vi ricordo che per gli abbonati di Mediaset Premium il grande calcio continua grazie all’offerta di DAZN inclusa nel vostro abbonamento

Così, con queste parole semplici e coincise della giornalista Giorgia Rossi racchiuse in video, Premium Sport ha ufficialmente chiuso i battenti. Una notizia che ha di fatto sconvolto non solo molti abbonati, ma anche appassionati di calcio e sport che negli anni si erano affezionati all’emittente milanese.

Nel clamore generale, però, non si è ben capito cosa sia successo ai canali sportivi targati Mediaset e cosa ne sarà del futuro dei giornalisti. Proprio per questo motivo proviamo ora a fare un po’ di chiarezza.

Dal primo agosto, sono stati spenti i canali Premium Sport, fatta specie per Premium Sport 2, che trasmetterà le ultime amichevoli estive del Napoli prima di chiudere. I nuovi abbonati, ora, avranno disponibile un solo pacchetto che include Cinema, Serie TV e Eurosport 1 e 2, che trasmetterà tennis, ciclismo, sport invernali e altro. Gli appassionati di calcio, invece, potranno usufruire dell’offerta Dazn con tre partite in esclusiva ad ogni giornata di campionato.

Cosa sarà delle trasmissioni Premium, così come del futuro dei giornalisti a esso legati, non è ancora dato sapere nulla. L’unica cosa certa al momento è che resterà Sportmediaset, il tg all news, e con esso i giornalisti, tra conduttori e inviati, che ne fanno parte. Confermato per la prossima stagione anche Pierluigi Pardo ed il suo Tiki-taka, in chiaro su Italia Uno. Sempre in chiaro sarà possibile vedere “Pressing“, una nuova trasmissione simile a “Controcampo“, andata in onda dal 1998 al 2012.

In attesa di nuovi aggiornamenti, abbiamo intervistato in esclusiva un ormai ex giornalista di Premium Sport, Ricky Buscaglia, che ci ha parlato della chiusura dell’emittente. La chiacchierata è stata anche l’occasione per approfondire alcuni temi legati al giornalismo e in particolar modo alla telecronaca.

Quali sono le sue impressioni sull’esperienza, appena terminata, presso Premium Sport?

È stata un’avventura, per me di 12 anni, sicuramente emozionante. Ci sono ricordi stupendi, amicizie che si sono create lungo il cammino. Ho anche avuto l’occasione di scoprire i grandi di questo lavoro, quali Piccinini, Pardo, Foroni, Brandi e molti altri, che si sono rilevate persone con tanta dolcezza e umiltà, sempre pronte a dare una mano. Al loro fianco credo di essere cresciuto, oltre che professionalmente, anche umanamente. Dodici anni sono un pezzo di vita importante, di cui conservo solo ricordi positivi.

Quali sono stati, secondo lei, i punti di forza e quelli di debolezza, che inevitabilmente hanno portato alla chiusura, di Premium Sport?

Non so rispondere sui punti di debolezza perchè sono scelte più grandi di noi e le strategie non sono di mia competenza. I punti di forza, invece, sono tanti. Il più importante è stato il costante livello di crescita che abbiamo tenuto. Siamo cresciuti arrivando, alla fine, a offrire un Mondiale da urlo, come testimoniano i dati e i rilevamenti di apprezzamento. Il Mondiale, quindi, è il nostro specchio: noi siamo quelli lì.

Precedentemente ha citato, tra gli altri, Sandro Piccinini, un telecronista importante che fa parte della storia dell’emittente di Cologno Monzese. Qual è il telecronista a cui maggiormente si ispira per il suo lavoro?

Io sono cresciuto con le radiocronache di “Tutto il calcio minuto per minuto”, dunque i miei principali riferimenti restano Sandro Ciotti e Enrico Ameri. Poi, crescendo, ognuno prende la propria strada, anche se bisogna avere la capacità di imparare da tutti.

Quali sono i principali segreti per realizzare una telecronaca di grande livello? C’è tanto studio dietro, ma lei ha un trucco che utilizza particolarmente?

Ci sono delle regole che un telecronista deve rispettare, anche se la principale è quella di tener incollato allo schermo il telespettatore. Credo, dunque, che non bisogna assolutamente rovinare una partita stupenda e riuscire a valorizzare un match noioso. Il telecronista poi non deve diventare protagonista, ma semplicemente raccontare la partita, senza mentire al pubblico…

Cosa pensa della particolare tecnica, usata dalla coppia Callegari-Cravero durante il Mondiale, di intervallare la telecronaca con dei rischiosi silenzi per lasciar spazio al sonoro della partita?

È condivisibile perchè, come dicevo prima, il telecronista non deve essere invasivo, piuttosto fare da tramite raccontando la partita, l’elemento che conta. Gli attimi di silenzio permettono di far vivere le emozioni dello stadio.

Come mai, avendo la passione per il giornalismo, da giovane ha scelto, in ambito universitario, la facoltà di Scienze Politiche?

Ho scelto Scienze Politiche perchè, a mio giudizio, era la facoltà che apriva la mente ed, essendo variegata, arricchiva le mie conoscenze. È una facoltà che ti dà una mentalità flessibile, importante per il nostro mestiere perchè bisogna essere aperti e rapidi nel cambiare materia e apprendimento. Questo, però, non significa che scegliendo Scienze Politiche si diventa automaticamente giornalisti. Il giornalismo è un mestiere che si impara facendo, stando sul campo, sporcandosi le mani. Non c’è scuola o facoltà universitaria che insegni a fare il giornalista. La teoria è importante, ma bisogna imparare soprattutto la pratica!

Si ringrazia il giornalista Ricky Buscaglia per la grande disponibilità e le dichiarazioni rilasciate in materia di giornalismo. A lui,  come a tutti gli ex giornalisti di Premium Sport, facciamo un grande in bocca al lupo per il futuro lavorativo.

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Calcio e dintorni

ESCLUSIVA – Errico Porzio: “Il segreto del successo? Dare spazio all’estro, ma con dedizione”

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ESCLUSIVA ERRICO PORZIO – Il tema dell’alimentazione ha spesso generato molti dubbi e polemiche nel suo rapporto con il mondo dello sport, creando molte discussioni su diete sane e bilanciate per mantenere la miglior condizione possibile. Tuttavia, spesso ci si interroga su quale sia la relazione ideale tra cibo ed attività fisica, ma in pochi riescono a fornire una soluzione ben determinata.

La redazione di Numero Diez ha avuto il piacere di affrontare questo argomento con Errico Porzio, grande esperto della sfera alimentare. Porzio è un pizzaiolo campano molto celebre sui social network, sui quali conta complessivamente 1.5 milioni di follower. Oltre ad essere un pizzaiolo molto celebre, è un grande tifoso del Napoli e, ai nostri microfoni, ha espresso le sue sensazioni ed emozioni in merito a questa stagione molto positiva per i partenopei.

L’INTERVISTA AD ERRICO PORZIO

L’alimentazione, per un atleta, è uno step cruciale per avere successo nell’attività fisica. In qualità di figura esperta nel campo alimentare, cosa pensa di tutte quelle leggende e tabù su diete rigorose e sull’imposizione di limiti per il consumo di prodotti come la pizza?

“Oltre che un pizzaiolo io sono stato e sono tuttora uno sportivo. La cosa importante è affidarsi a persone che capiscono davvero di equilibrio alimentare, e non ad improvvisati o appassionati. Io, ad esempio, quando vado in palestra potrei sempre mangiare una pizza. Per chi non fa attività fisica, non si può abusare di carboidrati in generale e bisogna sapersi controllare. Condanno assolutamente chi elimina la pizza dalle diete, e te lo dico da persona che andando in palestra può mangiarla anche 3 volte a settimana”.

I suoi locali hanno mai ospitato dei giocatori? Se sì, c’è qualche aneddoto che vorrebbe raccontarci?

“L’ultimo aneddoto molto curioso riguarda Alessandro Zanoli. È stato mio ospite nel locale sul lungomare di Napoli e mi ha chiesto lui la foto. È stato un episodio molto simpatico, sembrava quasi mi volesse prendere in giro, ma mi ha fatto enormemente piacere. Però in realtà lui già mi conosceva e si era ricordato che ero stato a Castel Volturno qualche giorno prima per seguire gli allenamenti del Napoli. Inoltre abbiamo avuto clienti in passato come Ancelotti, che ordinava da casa, Pepe ReinaGabbiadiniCallejon, che abitava a poche centinaia di metri dalla pizzeria”.

In una sua recente intervista lei ha dichiarato: “Nelle pizze, vale come per il calcio: conta l’estro. Ogni calciatore ha un ruolo diverso, e, allo stesso modo, esistono diversi tipi di pizzaiolo con varie qualità”. Alla luce di questa dichiarazione, quanto è importante, secondo lei, esaltare le capacità individuali di un professionista e farle coesistere con il lavoro di squadra?

“È davvero importante. Io feci il paragone con una squadra di calcio, in cui trionfa il gioco di squadra, però è anche normale che al suo interno si esaltino le singole qualità. In questa stagione, per esempio, il Napoli ha avuto Osimhen come finalizzatore, Kvaratskhelia che faceva la differenza, Lobotka Anguissa che a centrocampo sono stati maestosi. Quindi, oltre al gioco di squadra bisogna dare sempre spazio all’estro e alla personalità. Anche nel caso del pizzaiolo, saper ascoltare ed individuare chi all’interno di un gruppo può fare la differenza e affidargli determinate responsabilità, altrimenti saremmo tutti uguali. Invece, c’è il personaggio più conosciuto, il più veloce, quello bravo a fare la pizza, quello veloce a fare gli impasti…

La cosa perfetta sarebbe trovare colui che, a prescindere da tutto, si intravede abbia qualità importanti, per dargli sicuramente più spazio e permetterti di fare la differenza all’interno di un locale. Ovviamente questo discorso vale per ogni lavoro di squadra, è una caratteristica generale della vita. Io uso sempre l’espressione “s’adda sape’ fa'” per esprimere questo concetto ed è riferito a qualsiasi elemento della vita. Se c’è qualcuno che ha estro e si applica con spirito di sacrificiodedizione passione, allora sicuramente può aiutare. Quindi, oltre alla bravura serve anche molta dedizione per fare bene”.

Nelle ultime settimane lei ha girato per tutta Italia a causa di eventi importanti a cui ha partecipato, come a Milano. Che atmosfera si respirava in città in attesa della finale di Champions League che affronterà l’Inter?

“Io sono stato a Milano il giorno del ritorno dell’euroderby. Già in quel momento c’era un umore ottimista da parte dei tifosi dell’Inter, meno da parte dei tifosi del Milan, che si erano già rassegnati dopo lo 0-2 dell’andata. Da parte interista, ovviamente, c’è grande entusiasmo e soprattutto consapevolezza che dall’altro lato c’è una squadra che ha battuto l’altra probabile finalista, che era il Real Madrid. Il caso ha voluto che si sono scontrate in una semifinale, ma in realtà si pensava che una vera finale fosse stata proprio quella. E non c’è stata partita”. 

La finale è una partita secca e fa storia a sé. Un episodio può indirizzarla verso una o l’altra strada, ma tutti siamo consapevoli che dall’altro lato c’è il Manchester City, una squadra di un livello superiore. Se dovessimo parlare di percentuali, personalmente direi 70% Manchester City 30% Inter. Il calcio, come dicevamo prima, è un gioco di squadra, però effettivamente i Citiziens, oltre che la squadra, hanno 15/16 fenomeni“.

Lei è un grande tifoso del Napoli, come attestato dalla produzione di giacche personalizzate per lei e il suo staff, oltre alla pizza inedita per celebrare la vittoria del campionato di Serie A. Ci racconta come ha vissuto i festeggiamenti e i momenti più belli della stagione?

“Sembrerà strano, ma uno dei momenti più belli della stagione è stato Napoli-Liverpool del girone di UCL. Fino a quel momento il Napoli macinava vittorie e bel gioco, ma fino a quel momento non aveva mai avuto un rivale di alto livello. Dopo quella partita, mi sono auto-convinto che il Napoli avrebbe vinto lo scudetto. Registrai un video con un membro del mio staff tifoso del Milan in cui dicevo che il Napoli avrebbe vinto il campionato con un mese o due mesi di anticipo sarebbero arrivato tra le prime 4 di Champions. Mi sono sbagliato solo in quest’ultimo caso, ma ci siamo andati molto vicini, anche a causa della sfortuna nelle due partite contro il Milan. Comunque, Napoli-Liverpool mi diede la consapevolezza che il Napoli quest’anno sarebbe stato inarrivabile.

Il titolo non è mai stato in discussione ed era solo questione di tempo. Abbiamo vinto con 5 giornate d’anticipo, ma già 6 giornate prima era tutto fatto, anche in caso di eventuale spareggio contro la Lazio, se le avesse vinte tutte. La vittoria molto anticipata ha fatto sì che i festeggiamenti ci fossero tutte le settimane, già dopo Juventus-Napoli 0-1, ben 7 giornate prima della fine del campionato, e si impazziva. Io ero all’aeroporto tra i 10/15mila tifosi ad accogliere la squadra rientrante e c’era aria di festa, si gridava, si cantava. Ho vissuto tutti i 3 scudetti del Napoli: il primo non si scorda mai, ma l’ultimo appena conquistato ha avuto una durata così lunga che ci siamo quasi stancati di festeggiarlo.

Il presidente De Laurentiis è molto bravo ad organizzare feste e celebrare le vittorie e in ogni vicolo e quartiere di Napoli si respirava l’aria di gioia che si aspettava da 33 anniIn particolare, Udinese-Napoli rimarrà nella storia. I miei figli e i miei fratelli mi hanno portato un pezzo di prato dallo stadio di Udine e questo è un ricordo storico”.

Per rimanere in tema Napoli e festeggiamenti, come festeggerà domenica 4 giugno la premiazione ufficiale degli azzurri?

“Non so se andrò allo stadio. Io preferisco stare per strada tra la gente, cantare e divertirsi piuttosto che trattenersi dopo la partita. Ripeto, stiamo festeggiando da due mesi e, arrivati ad un certo punto, si preferisce festeggiarlo in modo diverso. Le partite del Napoli ormai sono un obbligo di proseguire il campionato, ma danno al mister la possibilità di provare nuovi giocatori. Effettivamente ogni partita del Napolisia in casa che fuoriè una festa. Questo mi rende molto orgoglioso da tifoso e tutto ciò ha dato nuova linfa non solo alla Campania, ma a tutto il Sud Italia.

Girando spesso per il Paese da Nord a Sud, devo essere sincero, ogni tifoso si è dimostrato felice della vittoria del Napoli. Vincere a Napoli non è come farlo in altre città: solo chi ci vive sa cosa significa. Siamo molto felici di questa vittoria, soprattutto perché arrivata in modo schiacciante. A volte l’organizzazione conta più del potere“.

Cosa pensa dell’addio di Spalletti e chi le piacerebbe come allenatore per la prossima stagione?

Spalletti ha dato delle motivazioni più che valide. Non ha detto di lasciare Napoli per allenare un’altra squadra, anche perché dopo uno scudetto e tutto quel che ha vissuto in due anni, sarebbe stato molto difficile da digerire, soprattutto se avesse trovato squadra in Italia. Lui va via per restare con la famiglia e godersela, per stare più sereno. Effettivamente vincere a Napoli ed esserne l’allenatore comporta molte responsabilità. In strada si è osannati se si va bene, ma si può essere disprezzati molto se si va male. Quest’anno l’atmosfera di grossa responsabilità si è sentita sin da subito, per fortuna dei tifosi, ma sfortunatamente per lui. Essere tra i favoriti comporta di non poter sbagliare e, secondo me, è davvero molto stressante ed intenso, soprattutto per lui che non si sposta mai da Castel Volturno.

Come prossimo allenatore del Napoli ho un altro “sogno nel cuore”. Ci sono 3 allenatori che apprezzo in ordine crescente. Al terzo posto Thiago Motta, che mi piace tanto e sta facendo cose importanti a Bologna, dimostrando di poter essere un buon allenatore. Poi, al secondo posto metterei De Zerbi, ma ha una clausola molto alta e difficilmente può avverarsi. Al primo posto, nonostante tutti facciano i nomi di Italiano, Benitez, Conceiçao, io considero Jurgen Klopp l’allenatore ideale per una piazza come Napoli. Sembrerebbe che a fine anno possa divorziare con il Liverpool e lo vedrei veramente molto bene a Napoli”.

                                                              Fonte immagine di copertina: profilo instagram di Errico Porzio                           

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ESCLUSIVA – Luca Marelli si racconta: la sua carriera e il mestiere di arbitro

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Luca Marelli

Luca Marelli ogni settimana entra nei salotti di tutti gli italiani, spiegando gli episodi arbitrali su DAZN. La sua carriera non è iniziata in televisione ma sul terreno di gioco, dove è stato un arbitro che ha diretto partite di tutte le categorie del calcio italiano. L’abbiamo intervistato per il nostro format “Behind the Mask“: ci ha raccontato la sua storia, la sua carriera e qualche aneddoto del mestiere di arbitro.

Come ti sei avvicinato al mondo arbitrale?

“Mio zio era un arbitro da ormai trent’anni nel CSI. Una domenica era venuto a trovare mia mamma, io ero sul divano e mi ha detto: ‘Perché invece di stare qui a fare nulla non vieni con me a provare ad arbitrare?’. Il giorno dopo mi sono iscritto al corso arbitri, poi ho cominciato in una partita di allievi nel calcio a 7. Ho iniziato un po’ per gioco, per evitare di annoiarmi, poi è arrivata la passione: fino a 22 anni sono stato al CSI, sono passato all’AIA abbastanza tardi, con un ritardo di 5 anni rispetto agli altri”.

Da arbitro sei stato testimone di tutte le categorie calcistiche in Italia, cosa cambia maggiormente quando si sale di livello?

“Cambia la qualità dei giocatori, la velocità del gioco, serve una capacità di decidere molto più veloce. Il grande salto c’è tra Serie C e Serie B e poi la Serie A è un altro mondo, da tutti i punti di vista. Io ho smesso 13 anni fa, il mondo del calcio oggi non lo conosco da dentro, ma vedendo la differenza tra Serie A e B oggi mi sembra che si sia ulteriormente amplificata”.

Nel calcio di categorie inferiori hai trovato delle differenze qualitative a livello territoriale? Arbitrare una partita di eccellenza a Milano, è diverso rispetto a Roma o a Palermo?

“Assolutamente sì, il campionato di eccellenza in Lombardia è quello più vicino alla Serie D. Al sud è più complesso, soprattutto a livello ambientale. Anche se promozione ed eccellenza, in realtà, non le ho vissute molto al sud. Ho visto il centro, nella zona di Roma, lì la qualità era leggermente più bassa rispetto alla Lombardia, non me ne vogliano le squadre del Lazio”.

Esordio in Serie A, Lazio-Siena nel 2005, puoi raccontarci le tue emozioni durante quel giorno?

“Questa partita è finita senza ammoniti, espulsi o rigori, nulla in particolare. Ricordo ancora le votazioni il giorno dopo sui giornali, è stata una bella soddisfazione. Il coronamento di una vita arbitrale, ho iniziato a 19 anni, poi ho fatto 11 anni in giro per l’Italia per l’AIA e questa partita arrivò dopo 7 gare di Serie B. Un bellissimo ricordo, ma non è la partita più importante della mia carriera. Non posso descrivere l’esperienza perché andrebbe vissuta, c’erano in campo anche giocatori come Di Canio e Chiesa, era un’altra generazione di calciatori”.

Ci hai accennato della partita più importante della tua carriera, puoi dirci qual è stata e raccontarci i motivi?

“Era la partita più attesa della stagione, forse di tutta la storia della Serie C: la finale dei play-off, Avellino-Napoli. Avevo già arbitrato Napoli-Avellino in campionato con 70.000 spettatori, record della competizione. La partita d’andata della finale era finita 0-0, quindi era ancora tutto aperto. L’ho rivista tante volte quella gara, avevo 33 anni ed ero pieno di speranze”. 

Sei mai stato aggredito durante la direzione di una partita?

“Sì è successo, durante Catanzaro-Acireale, in quel momento erano prima e seconda in classifica. Una partita bellissima, ma molto nervosa. Era stata annullata una rete all’Acireale, sarebbe stata quella del pareggio, alla fine vinse il Catanzaro 1-0. L’assistente segnalò un fuorigioco ed aveva ragione, ma non c’erano VAR e tecnologia. In campo c’era Pulvirenti, all’epoca Presidente dell’Acireale, mi ha dato una spinta tra spalle e petto ma senza farmi nulla. Avevo commesso un errore anche io però, mi sono avvicinato troppo a lui ed in quel momento era troppo nervoso, poi si è scusato prontamente e l’ho apprezzato, ma è stato ugualmente squalificato”.

Ci sono stati altri momenti in cui non ti sei sentito al sicuro in campo?

“No, riprendo una frase di Collina, lui una volta disse di non essere mai stato aggredito perché era stato fortunato, non perché fosse più bravo degli altri. Anche io non ho mai avuto problemi di questo genere, non ho avuto la sfortuna di incontrare dei pazzi, la violenza sugli arbitri è un problema che andrebbe affrontato seriamente. Chi mette le mani addosso ha problemi, se lo fai ad un arbitro devi essere allontanato dallo sport e dal mondo del calcio”.

Quando un arbitro di Serie A sbaglia se ne accorge subito? Se sì come fa a gestire il resto della partita mentalmente lucido?

“Spesso si dice che un arbitro si accorge subito dei propri errori, ma non è sempre così. Ti faccio un esempio: Modena-Juventus in Serie B, una della partite peggiori della mia carriera, c’è un fallo di Del Piero su Campedelli ed io fischio fallo ma non avevo nemmeno visto, sono andato ad intuito. La partita finisce ed io non mi accorgo di nulla, fino a quando non usciamo dallo stadio e ved0 Campedelli uscire in stampelle. Quello era un fallo da espulsione, quello che oggi si chiama vigoria sproporzionata, con tacchetti alti e ginocchio rigido. Mentre stavo uscendo il mio migliore amico mi scrive: ‘Cos’è successo? Qua in televisione stanno facendo un casino’. Quindi ti posso dire che non è sempre così, spesso non ci si accorge subito“. 

Parlando invece di pressione, è oggettivamente più difficile e quanto è più difficile arbitrare in uno stadio come San Siro o l’Olimpico rispetto a campi meno calorosi?

“A quei livelli si è professionali e professionisti, senti il rumore, senti che c’è tanta gente ed eventuali contestazioni, ma alla fine si arbitra. Non riuscirò mai a convincere chi legge che un arbitro non è influenzato, ma è così: in Italia si arriva in Serie A dopo 10/12 anni di percorso, in quel periodo hai imparato a sentire pressioni della squadra con 100, 1.000, 10.000 e poi 70.000 spettatori”.

Nel 2011 hai deciso di dimetterti dall’AIA, puoi raccontarci cosa ti ha portato a prendere una scelta simile?

“Mi sono dimesso perché c’erano stati tanti problemi. Nel 2010 sono stato sospeso per nove mesi, a causa di una faccenda assurda: una frase riportata che io non avevo mai detto. Potevo dimettermi subito dopo ma ho deciso di aspettare la fine della sospensione, cinque giorni dopo quel momento ho dato le dimissioni. L’AIA mi manca tutti i giorni, ma non quell’AIA. In quella attuale probabilmente ci lavorerei, ma adesso faccio altro e sono molto contento. La vita è troppo breve per odiare una persona, però ci sono persone che detesto e con cui non voglio più avere nulla a che fare, in quella dirigenza c’erano persone che detestavo”.

Ad oggi, dopo tanti anni senza stare sul terreno di gioco, cosa ti manca di più dell’essere un arbitro?

“Tutto, la sezione, i colleghi, le trasferte. Mi manca non aver potuto provare l’esperienza del VAR, mi sarebbe piaciuto arbitrare con la tecnologia. Mi manca tutto, per questo tengo viva questa passione in maniera alternativa. Ho creato un gruppo privato su Facebook per arbitri, in modo che anche questi siano liberi di esprimersi. Questo è anche un modo per tenermi a contatto con gli arbitri più giovani, spesso mi chiedono consigli comportamentali e non tecnici, a cui cerco di rispondere attraverso la mia esperienza”.

Cosa vorresti trasmettere agli arbitri più giovani?

“Vorrei fargli capire la responsabilità che hanno, questa esperienza gli cambierà la vita. Non voglio nascondermi, se non avessi svolto l’attività arbitrale quest’intervista non avrei mai potuto sostenerla. Io ero timidissimo, quando parlavo con le persone non le guardavo nemmeno negli occhi. L’attività da arbitro ti aiuta, ogni settimana ti interfacci con tantissime persone che non hai mai visto prima. La realtà è che uno su tremila riesce ad arrivare in Serie A: arrivarci è un grande risultato personale, però rimane a tutti una grande passione e un patrimonio personale da portare avanti”.

Oggi ricopri un ruolo molto utile in televisione, alla luce di questo, pensi che un arbitro debba poter parlare alla fine della partita e giustificare le proprie scelte?

No, torniamo all’episodio di Modena-Juventus. Se quella partita si fosse svolta ieri io sarei dovuto andare in sala stampa senza sapere niente, anche se quello sarebbe diventato l’episodio della partita. Dovrei parlare con decine di giornalisti che mentre io mi stavo sistemando nello spogliatoio hanno discusso e rivisto l’episodio, mentre io non saprei nemmeno di cosa si stesse parlando. Nemmeno negli sport più evoluti degli Stati Uniti gli arbitri parlano dopo la partita, perché non ci sarebbe l’opportunità di conoscere a fondo quello che è successo. Sono d’accordo che gli arbitri debbano parlare nei giorni successivi, l’attenzione sull’episodio sarebbe in calo ma non ci deve interessare. L’arbitro deve pensare a diffondere una cultura nuova dell’episodio, si può sbagliare e ci saranno sempre errori perché siamo esseri umani”. 

Vedendo gli errori commessi in Serie A nelle ultime stagione, ci sono dei miglioramenti che apporteresti al protocollo?

Il protocollo così è perfetto, l’interpretazione ci sarebbe anche se fosse differente. Non è un caso che non sia mai stato modificato in sette anni, rimarrà questo e giustamente: ci sono dei paletti piuttosto rigidi che lo rendono uno strumento utile e necessario per gli episodi importanti. Non deve diventare una moviola in campo, trasformando il terreno di gioco in una tribuna sportiva come quelle che vediamo in televisione: queste sono utili, ma il campo deve rimanere il campo”.

In una tua vecchia intervista hai detto: “Gli arbitri sono professionisti ma non sono riconosciuti come tali”. Puoi spiegarci meglio questo concetto? Dal tuo punto di vista è un problema economico o di gestione del lavoro?

“Si tratta di un problema di gestione. A livello economico non si guadagna male, un arbitro come Orsato guadagna parecchie decine di migliaia di euro lordi all’anno. In Serie A e in Serie B però, in Serie C non si vive facendo l’arbitro. Il problema è proprio questo: con un contratto di un anno non si dà nessuna sicurezza economica, a quel punto diventa anche difficile avere sicurezze tecniche. Si ha sempre la paura di commettere quell’errore che ti porta ad essere dismesso, perdendo tutto quello che hai costruito in 15 anni di attività. Il professionismo è necessario ma se ne parla poco, forse perché fa bene così a tanti, ma per gli arbitri è un bel problema: avere un contratto di un anno che scade il 30 giugno significa lavorare tutti gli anni per farsi rinnovare il contratto. Nessun giocatore, tranne quelli a fine carriera, accetterebbero un contratto di un anno”.

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Calciomercato

ESCLUSIVA – Qual è la reale situazione Sportiello-Milan? Firma ancora lontana

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Si sono fatte sempre più insistenti in queste ultime ore le voci di un accordo fra Marco Sportiello e il Milan. Il portiere dell’Atalanta, cercato dai rossoneri anche nell’ultima sessione di calciomercato, è il profilo preferito da Maldini per il ruolo di vice Maignan. Stando da quanto appreso dalla nostra redazione, però, le due parti sarebbero ancora ben lontane dall’accordo.

Giuseppe Riso, agente di Sportiello, ha dichiarato che le voci su un accordo quasi raggiunto sono infondate. Il procuratore del portiere atalantino, infatti, non si sarebbe ancora incontrato con la dirigenza dei rossoneri per discutere dell’eventuale accordo. Le parti devono ancora, dunque, sedersi al tavolo delle trattative e per la firma ci sarà ancora molto da lavorare.

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Calciomercato

ESCLUSIVA – Milan, silenzio sul rinnovo di Messias

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Junior Messias è stato, suo malgrado, uno dei protagonisti della doppio euroderby conclusosi ieri sera con l’eliminazione del Milan dalla Champions League. L’attaccante brasiliano è arrivato in rossonero nel 2021 dopo essere stato uno dei trascinatori del Crotone durante la stagione 20/21, e adesso il suo contratto è prossimo alla scadenza, fissata per il 2024.

Secondo quanto raccolto dalla nostra redazione non sarebbero ancora iniziati i dialoghi per un eventuale rinnovo di Messias, anche se la volontà del giocatore sarebbe quella di rimanere in rossonero.

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