In un calcio sempre più propenso allo spettacolo, al tocco di classe, al golazo, la difesa resta sempre l’elemento su cui ogni allenatore insiste maggiormente. Diventa quindi importante riuscire ad allestire una squadra i cui interpreti siano capaci di disimpegnarsi in entrambe le fasi. In quest’ottica, al terzino è stata attribuita grande rilevanza tattica.
Ripercorriamo, allora, le principali tappe che hanno condotto il calcio moderno verso un interesse sempre maggiore nei confronti della figura del terzino.
L’EVOLUZIONE DEL FULL BACK
A cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, il calcio era molto meno legato alla tattica di quanto lo sia oggi. Basti pensare che in occasione della prima partita internazionale di cui si ha notizia, disputata il 3o novembre 1872, le due contendenti schierarono formazioni impensabili per qualsiasi allenatore odierno. L’Inghilterra metteva in campo un 1-1-8, la Scozia un più “attendista” 2-2-6. Alla fase offensiva partecipava praticamente tutta la squadra, eccezion fatta per i difensori, chiamati in principio full backs, i quali avevano l’ingrato compito di contrastare gli avversari e spazzare rapidamente il pallone. Il modulo che si impose nei decenni successivi fu il 2-3-5, passato alla storia come la “piramide”. In tale schieramento la difesa era detta “terza linea“, per cui i difensori, che nella piramide erano due, in italiano presero il nome di “terzini“.

La formazione a “Piramide”.
La piramide si è evoluta prima nel “modulo a W“, poi nel “sistema WM“, il quale prevedeva l’abbassamento del centromediano marcatore fra i due terzini. Ciò diede vita alla prima difesa a tre della storia. La vera rivoluzione tattica ebbe luogo nel 1958. In occasione del Mondiale svedese, l’allenatore italo-brasiliano Vicente Feola si presentò con modulo innovativo, il 4-2-4. Il suo Brasile affrontò la competizione schierando tre linee parallele: la prima, composta da quattro attaccanti, la seconda, con due mediani che si dividevano i compiti di interdizione e di regia, e la terza, in cui accanto ai due terzini centrali, figuravano due terzini esterni. Proprio quest’ultimi, in particolare la “Muralha” Djalma Santos e l’ “Enciclopedia do Futebol” Nilton, furono un’arma letale per i verdeoro che si laurearono Campioni del Mondo.
I TERZINI DI SPINTA
In Italia questa disposizione non andò incontro a grande successo. L’Inter di Helenio Herrera, la squadra che dominava il calcio nostrano nella prima metà degli anni sessanta, si ispirava al cosiddetto “catenaccio“, un particolare metodo di gioco votato soprattutto alla fase difensiva e al recupero palla, per poter dar vita a rapidi contropiedi. Il tecnico argentino schierava due terzini centrali marcatori, un libero che copriva le loro spalle, e un terzino sinistro, ovvero il mitico Giacinto Facchetti, che non si concentrava solo sulla fase difensiva, bensì era libero di lanciarsi in avanti e fluidificare (da cui deriva “terzino fluidificante“).In quest’ottica, al terzino è stata attribuita grande rilevanza tattica.

Giacinto Facchetti, in azione con la maglia dell’Inter.
Nel 1965 Rinus Michaels, allenatore dell’Ajax e della Nazionale olandese, definì il concetto di totaalvoetbal (calcio totale). Lo schieramento dei lancieri e degli oranje prevedeva grande interscambiabilità tattica tra i vari giocatori, tanta corsa e tecnica individuale. In un contesto simile, ai terzini era affidato il compito di spingere sulle fasce, sovrapporsi, dialogare con le mezz’ali e gli esterni, cercare il cross dalla trequarti o dal fondo. Straordinari interpreti del ruolo furono Wim Suurbier e Ruud Krol, titolarissimi dell’Arancia Meccanica, la selezione olandese che fu ad un passo dal vincere il Mondiale del 1974.

Rinus Michaels e Johan Cruijff.
Nei decenni successivi, diversi furono i terzini che seppero interpretare magistralmente il ruolo: Andreas Brehme, ambidestro e dotato di un tiro poderoso; Ronald Koeman, ricordato da tutti per il siluro calciato nella finale di Coppa Campioni 91-92; Beppe Bergomi, arcigno difensore capace di rendersi pericoloso anche nell’ultimo quarto di campo, e Paolo Maldini; l’elegantissimo e raffinato terzino sinistro che ha scritto la storia del Milan; e poi i brasiliani Roberto Carlos e Cafù, entrambi dotati di una tecnica fuori dal comune, protagonisti del Brasile in cui svettava il Fenomeno.
GLI ADATTATI
Il fuorigioco e l’abbandono della marcatura a uomo obbliga anche chi gioca sulla fascia, e spinge, ad essere attento in fase di copertura. Per questo motivo il terzino è diventato sempre più importante. I giocatori abili in questa posizione sono davvero pochi e vengono pagati a peso d’oro. Un esempio significativo è rappresentato da Kyle Walker e Benjamin Mendy, per i quali il Manchester City ha sborsato complessivamente quasi 110 milioni di euro.

Tre dei migliori terzini totali al mondo: Alaba, Guerreiro e Florenzi.
Proprio perché il terzino moderno deve essere totale, cioè in grado di attaccare e difendere, sono molti i casi di mezz’ali ed esterni che sono stati adattati in tale ruolo. Fa scuola, ad esempio, il caso di Raphaël Guerreiro, terzino del Borussia Dortmund di cui Tuchel disse, quando allenava i gialloneri, che è «talmente bravo che potrebbe giocare in qualsiasi posizione». E in effetti negli anni in Germania ha giocato anche da esterno alto ed interno di centrocampo. Come lui, ma ancor più celebre, è David Alaba, che gioca indifferentemente come centrocampista (nella nazionale austriaca ad esempio) ed esterno basso. Oppure il “nostro” Alessandro Florenzi: ala, mezz’ala e terzino di spinta in un unico pacchetto. Ancora più recenti i casi di Joshua Kimmich, Sergi Roberto, Oleksandr Zinčenko e Fabian Delph: tutti centrocampisti trasformati in terzini da Pep Guardiola. Non è un caso che proprio lui abbia ripreso il calcio all’olandese.