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Felipe Anderson, interruttore

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Felipe Anderson, interruttore

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Questa mattina è arrivata l’ufficialità: Felipe Anderson è un nuovo giocatore del West Ham. Nelle casse della Lazio entreranno circa 40 milioni di euro. Il brasiliano lascia i biancocelesti, e la Serie A, dopo 5 stagioni e 137 partite giocate. Con la sensazione di un “poteva essere” che non è mai stato.

DAI FISCHI AGLI APPLAUSI

L’avventura di Anderson alla Lazio è stato un continuo oscillare tra alti e bassi, tra prodezze e amnesie, tra grandezza e incompiutezza.

Arriva appena 20enne in Italia. 8 milioni di euro la cifra investita dalla Lazio per prelevarlo dal Santos, terreno fertile per tanti grandi campioni del passato lontano e recente (Pelé e Neymar nel caso servisse rinfrescare la memoria). Arriva in una Lazio comandata da Vladimir Petkovic, reduce da un 7° posto e dalla vittoria della Coppa Italia, sollevata grazie a un gol di Lulic nella finale tutta romana. Un’aquila pronta a spiccare il volo ma, come tante altre volte, smorzata da una campagna acquisti al risparmio: il brasiliano e un 27enne Biglia (arrivato dall’Anderlecht per una cifra simile) sono le principali e più onerose mosse di Lotito e Tare in quell’estate del 2013.

Complice anche un infortunio alla caviglia rimediato a giugno, e che lo tiene fuori per i primi due mesi di stagione, Felipe tarda ad ingranare in una Lazio che arranca e pecca di continuità sin dalle prime giornate. Prima con Petkovic e poi con Reja, che subentra al tecnico di Sarajevo a gennaio, le panchine sono molte e le partite poche. Anche perché a destra Candreva (capocannoniere della squadra in quella stagione) è inamovibile, mentre a sinistra sta emergendo alla grande un Keita Balde in versione teenager. Le esigue chance che ha a disposizione, per di più, non se le gioca decisamente nel migliore dei modi. Come in occasione dell’andata dei sedicesimi di finale di Europa League contro il Ludogorets, all’Olimpico. Il brasiliano si guadagna un rigore al minuto 50 sul punteggio di 1-0 per gli ospiti, e in assenza dello specialista Candreva è proprio lui ad incaricarsi della battuta: il duello dagli undici metri lo vince Stojanov. Sette minuti dopo è sostituzione (per far posto proprio all’attuale esterno dell’Inter) e bordata di fischi.

Inevitabilmente si accumulano altre panchine anche se, nel finale di stagione, Reja gli concede un minutaggio leggermente più abbondante a stagione, ormai, senza pretese. Il brasiliano chiude con 20 presenze, 1 gol e 3 assist la sua prima stagione in biancoceleste.

Anche con Pioli, inizialmente, la musica non sembra cambiare. E dire che la fiducia non manca, perché scende in campo 9 volte nelle prime 11 giornate, ma non mette a referto né gol né assist. Le cose cambiano improvvisamente il 7 dicembre 2014, quando con la sua prima rete stagionale decide la trasferta contro il Parma e riporta la Lazio alla vittoria dopo 1 punto raccolto nelle 3 partite precedenti. Il gol agli emiliani è la miccia che fa esplodere, o sembra far esplodere, il talento di Felipe Anderson. Due settimane dopo, una doppietta a San Siro contro l’Inter (ovviamente, è anche la prima in A): splendido controllo a seguire e conclusione col piede debole per il primo gol; dribbling e conclusione chirurgica sul primo palo per il secondo. Alla Scala del Calcio sembra essere sbocciato un talento che in biancoceleste mancava da parecchio tempo.

Tra dicembre e aprile Felipe Anderson si prende sulle spalle la Lazio e conquista la Serie A. In dieci partite mette a segno 7 gol e 5 assist e la Lazio spicca definitivamente il volo verso la Champions, vincendo 9 delle 13 partite successive a quel del Meazza.

Così come si accende, però, Felipe si spegne nuovamente: nelle ultime otto giornate mette a referto solamente un assist e, conseguentemente, anche l’intera squadra rallenta, conquistando appena tre vittorie. Tanto basta, però, per agguantare il 3° posto (decisiva la vittoria del San Paolo all’ultima).

Una luce a intermittenza dunque, quella di Felipe Anderson. Ma alla porta di Lotito, ora, cominciano a bussare alcuni grandi club.

MONTAGNE RUSSE

La corte è di quelle difficili da rifiutare: il Manchester United è pronto a spingersi fino a 50 milioni di euro pur di avere Felipe Anderson tra le proprie fila. Lotito però si rivela, come di consueto, un osso fin troppo duro per i Red Devils e l’operazione non va in porto. Dal canto suo, Felipe, un trasferimento a Manchester non l’avrebbe certo denigrato. Anzi, con ogni probabilità, ci sperava. E da questo “no” entrambe le parti escono in qualche modo sconfitte: la Lazio deve rinunciare ad un prezioso tesoretto per rinforzare adeguatamente la squadra in vista dei preliminari di Champions League; il brasiliano deve rinunciare ad un treno che, forse, non passerà mai più (e ad oggi, in effetti, non si è ancora ripresentato).

C’è un po’ anche di questo nel Felipe Anderson che segue nei mesi successivi. 32 giorni, dal 23 settembre al 25 ottobre, in cui mette a segno 5 gol e 2 assist tra campionato ed Europa League. L’impressione che sia tornato quello del periodo dicembre-aprile della stagione precedente. E invece, di nuovo, il vuoto. Una squadra che non gira più come prima, un ambiente difficile come quello biancoceleste, e un carattere forse fin troppo fragile: Felipe perde brillantezza, lucidità nelle giocate e, pian piano, anche il posto da titolare. Da quel 25 ottobre viene tenuto in panchina quattro volte, e per dieci partite viene impiegato a gara in corso. Chiude il 2015-16 con 9 gol e 6 assist in 47 partite e, come la sua Lazio, con un disperato bisogno di rilancio.

Rilancio che avviene in parte con la vittoria dell’oro olimpico a Rio 2016, ma che è atteso soprattutto nella nuova Lazio di Simone Inzaghi. Anche il tecnico piacentino si affida sin da subito al brasiliano, conscio del suo bisogno di fiducia per potersi esprimere al meglio. Avendo come partner d’attacco due abili finalizzatori come Keita e Immobile, Felipe si deve rinnovare, farsi più concreto e maggiormente propenso a mettersi al servizio degli altri. E in effetti ci riesce, classificandosi come miglior assistman della squadra in Serie A (11) a fronte però di un magro bottino in termini realizzativi (4 gol). Insomma, “può fare di più ma non si impegna”. Negli ultimi mesi della stagione però, dirottato a tutta fascia nel 3-5-2 di Inzaghi, Felipe aumenta nettamente anche la sua efficacia in fase difensiva.

Rimangono i vizi di sempre: il talento di Brasilia è ancora quel giocatore in grado di far svoltare una squadra con i suoi lampi e di mandarla nel baratro con giocate a vuoto, spesso eseguite con sufficienza. Per non farsi mancare nulla, in occasione di un SassuoloLazio di inizio aprile, si dirige direttamente negli spogliatoi dopo essere stato sostituito, scatenando i dubbi in casa biancoceleste. Un piccolo caso di campo all’apparenza, se non fosse che le tensioni tra lui e Inzaghi si ripresenteranno nella stagione seguente.

L’ULTIMA, TRIBOLATA STAGIONE

Nella seconda stagione con Inzaghi ci si mette in mezzo anche la cattiva sorte. Un infortunio agli adduttori tiene fuori Felipe fino a dicembre mentre la Lazio, in campo, dimostra di saper volare anche senza di lui. L’esplosione di Luis Alberto, a supporto di Immobile, complica ancora di più il suo ritorno da protagonista. A questo si aggiunge, come dicevamo, un rapporto non idilliaco con Inzaghi, come testimonia anche una lite negli spogliatoi risalente a febbraio dopo la sconfitta interna contro il Genoa.

“Lo sapevo che saresti venuto da me, te la prendi sempre con me”

Avrebbe risposto il brasiliano ad un richiamo da parte del suo allenatore. L’esclusione dal match successivo, contro il Napoli, poi le scuse e il ritorno nel gruppo. Sta di fatto che Felipe vive una stagione pressoché da comparsa, con momenti di protagonismo dettati dalle sue splendide, ma irregolari, accelerazioni palle al piede.

Come in occasione del match di andata dei quarti di finale di Europa League contro il Salisburgo

https://gph.is/2Llr1dU

… o all’ultima giornata di campionato nello spareggio Champions contro l’Inter.

https://gph.is/2umk31C

E chissà se un esito diverso in quell’ultima partita avrebbe significato anche un nuovo inizio nell’avventura del brasiliano alla Lazio.


Insomma difficile, quasi impossibile dare una spiegazione alla discontinuità avuta in questi anni da Felipe Anderson. I fattori che incidono sul rendimento e sulla carriera di un giocatore sono tanti, ed indubbiamente sono numerosi quelli che hanno inciso sul brasiliano. I tanti allenatori, gli alti e bassi della squadra, i problemi fisici, un carattere difficile. E forse il peso di quel treno mancato per Manchester.

Felipe Anderson in Inghilterra giocherà comunque, ripartendo da una compagine ambiziosa come il West Ham e da un campionato, un ambiente, forse ideale per accogliere il suo talento ad intermittenza e il suo bisogno di sentirsi beniamino. Per diventare grande, però, l’interruttore dovrà essere sempre Anders-ON.

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