ESCLUSIVE
Il calcio e il giornalismo secondo Luigi Garlando
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5 anni fa:
Le parole uscite dalla sua bocca sembrano prendere forma, acquistare consistenza. Un classico esempio di calcio che diventa materia senza però perdere il fascino emotivo della sua praticità.
Di Luigi Garlando, nota firma della Gazzetta e stimato scrittore di libri per ragazzi, colpisce soprattutto la capacità di far rimanere il lettore ancorato al testo da lui scritto fino alla fine. Un giornalista che riesce a esemplificare (e semplificare) tutto ciò che racconta. Un Dybala della narrazione, per rimanere in tempi moderni, bravo a muoversi tra le linee della cronaca e altrettanto capace a rendere più dolce ogni argomento toccato.
CALCIO, GIORNALISMO E VALORI
Tanti dicono che Guardiola sia il miglior allenatore degli ultimi vent’anni. Altri giustificano le sue vittorie rapportando il potenziale delle squadre da lui allenate. Nei trionfi ottenuti da Guardiola, c’è più merito dell’allenatore spagnolo o valore dei calciatori avuti a disposizione?
“Mi schiero dalla parte di Guardiola, perché la sua mano si è sempre vista. Aldilà dei risultati ottenuti, e oltre alla forza delle squadre allenate, Pep ha sempre migliorato il calcio della nazione dove è andato. Saranno coincidenze, ma quando è andato al Barcellona (ciclo 2008-2012, ndr), la Spagna è diventata campione del mondo; quando ha allenato in Germania (2013-2016, ndr) pure. Adesso che allena in Inghilterra, ci sono quattro squadre finaliste nelle due coppe europee”
È quindi il migliore allenatore di sempre?
“Fatico ad ammetterlo, perché il lasso di tempo preso in considerazione è troppo ampio. Per me è il migliore di questi ultimi anni. Poi andando troppo indietro con il tempo viene difficile ribadirlo, però oggi è senz’altro il migliore allenatore del mondo”
Guardiola è ciò che serve alla Juventus per arrivare a vincere la Champions?
“Si è parlato in questi giorni di Guardiola sulla panchina dei bianconeri. Ecco, io vorrei vederlo alla Juve con questa squadra a disposizione e con i suoi sistemi di allenamento. E secondo me non si vedrebbe la distanza con le squadre che oggi dominano il palcoscenico europeo”

Guardiola ha allenato il Barcellona nel ciclo 2008-2012 (e la Spagna che vinse il mondiale 2010), il Bayern Monaco nel tris di stagioni 2013-2016 (e la Germania vinse il mondiale 2014) e dal 2016 il City
A questo obiettivo dei bianconeri ormai da tempo conclamato (la Champions League), cosa manca alla Juventus per portarsi a casa la coppa dalle grandi orecchie?
“Un gioco. Un gioco più organico, un’idea condivisa da tutta la squadra. Non solo quindi un modo di stare in campo e affidarsi alle giocate dei singoli. Lo hanno dimostrato le quattro finaliste delle coppe europee, City compreso, anche se è uscito prima: vince chi ha un gioco riconoscibile. Il Liverpool lo identifichi subito perché gioca sempre in quel modo lì. E poi conta l’intensità agonistica, che ancora in Italia non abbiamo. Per rimanere nei nostri confini, un calcio che predicava Sacchi, che però la nostra cultura calcistica ha ormai dimenticato”
In che modo i bianconeri possono imitare l’Ajax nello stile di gioco se, ad ogni giornata di campionato, l’avversario di turno gioca per non perdere? Loro ogni settimana hanno la possibilità di allenare quel tipo di gioco…
“Se guardiamo il calcio olandese, non è più allenante della Serie A. Però l’Ajax ha la sua filosofia, la sua idea. E allena tutto ciò a prescindere. Se le squadre che affronta sono deboli, vince otto a zero. La Juve, per mentalità del calcio italiano, fa un goal o due e poi si ferma, gestisce. Invece bisogna allenare anche questa rabbia agonistica, questa intensità senza pause. Per cui ti puoi esercitare anche da solo. Il resto lo ritengo un alibi”
Il calcio resta uno degli sport più belli al mondo, ma non per questo rimane esente da infide mosse da parte di chi lo popola. Come il razzismo e il calcioscommesse, per esempio. In che modo si può combattere quest’ultimo nelle serie minori?
“Soprattutto riducendo il bacino di chi fa calcio per lavoro. Perché se non ci sono società che pagano, e quindi il calciatore non riesce a sostenersi economicamente con questo lavoro, come magari capita nelle serie minori, chiaro che poi si cercano scorciatoie o modi per compensare gli stipendi. Aldilà dell’educazione sportiva, bisogna creare un bacino di calcio sostenibile. E blindarlo, corazzarlo dagli attacchi della delinquenza che specula sulla scommessa”
L’altra piaga dello sport è il razzismo. L’ululato al giocatore di colore viene definito tale: i giornali ne parlano, le TV si indignano. L’insulto ai famigliari del calciatore di carnagione chiara, invece, cade nell’oblio del dimenticatoio: mai contemplato, difficilmente discusso. Due pesi e due misure diverse. Non esiste il razzismo o sussiste il problema della diversificazione dell’insulto?
“Il razzismo è diverso. L’insulto per il colore della pelle è differente dall’insulto comune. È per questo che è giusto che venga esasperata l’attenzione. Io sul razzismo non do scusanti. Una persona può pensare “una tifoseria ha nella sua squadra un giocatore di colore e quindi, se insulta quelli degli altri, non è razzista”. No, non è così. Io dico che se tu per insultare scegli la forma del colore della pelle, ti palesi razzista. Anche se non lo sei, lo fai”
Come si può mettere fine a tutto questo?
“Bisogna perseguire queste discriminanti in modo drastico, perché senza intransigenza avremo sempre il razzismo negli stadi. Bisogna avere la forza di andare a prendere chi è razzista, di sbatterlo fuori. In Italia il problema è proprio questo: abbiamo le tecnologie per individuarli, per guardarli in faccia, anche se sono in curva, ma non abbiamo la forza di andare lì e prenderli. Finché non si fa questo salto, e quindi non si svuotano i razzisti dalle curve, non vinceremo mai completamente, sia nel calcio che nella vita”
In questo senso possiamo noi giovani fare qualcosa per il calcio?
“Si, certo. Educarsi ai valori dello sport. Io sono uno scrittore per ragazzi, scrivo per loro, vado nelle scuole a parlare e resto convinto che l’educazione a lunga scadenza sia l’arma migliore. Come diceva Falcone per la mafia: “la mafia si sconfigge da piccoli, non da grandi”, educando quindi i ragazzi nelle scuole alla legalità. E lo sport rimane un’ottima palestra di legalità. Io resto convinto che se si danno opportunità a tutti i ragazzi di fare sport con continuità, impareranno senza accorgersene del rispetto delle regole, del rispetto delle persone. E non saranno mai razzisti quando arriveranno allo stadio. Quindi si può fare tantissimo con i ragazzi. Forse proprio lo stato è l’ente meno convinto di battersi su questo fronte…”
Che consiglio si sente di dare ai giovani ragazzi che aspirano a diventare giornalisti?
“È un mondo difficile, purtroppo. Perché sono cambiati i tempi, i giornali sono tutti in crisi, soprattutto i cartacei, e quindi si riducono le pagine, diminuisce la fogliazione e di conseguenza si riducono anche i giornalisti. Rispetto a quando ho cominciato io, quasi trent’anni fa, l’accesso alla professione è molto più difficile. Non ci può essere altra soluzione che la grande passione e aspettare che capiti l’occasione. Ai ragazzi con questo sogno io dico sempre: se ad un certo punto della vostra età vi rendete conto di essere troppo lontani da un’assunzione, quindi di fare della vostra passione il vostro lavoro, non morite con questo sogno. Trasformatelo in un hobby, una collaborazione e trovate, invece, un accesso professionale solido che vi consenta di vivere. Nel mio giornale (la Gazzetta dello Sport, ndr) vedo tanti ragazzi che rinnovano contratti di collaborazione di mese in mese. Però non possono andare avanti così fino a trent’anni a rovinarsi la vita. Quindi, aggredire tutte le possibilità, poi se non c’è l’occasione per entrare in modo definitivo, cambiare direzione. Si può essere felici facendo anche un altro lavoro”
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ESCLUSIVE
ESCLUSIVA – Orazio Accomando: “Camarda all’esordio? Sorridente, cantava i cori della curva”

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2 giorni fa:
Dicembre 9, 2023
Com’è stato l’esordio di Francesco Camarda con il Milan? Lo abbiamo chiesto ad Orazio Accomando, giornalista e bordocampista di DAZN, che ci ha illustrato il fantastico debutto del 2008 rossonero da un altro punto di vista.
Mi ha colpito parecchio come lei ha vissuto l’esordio di Camarda contro la Fiorentina. Saprebbe raccontarci come si è allenato il ragazzo nel corso di queste settimane pre e post debutto? “Camarda è un ragazzo che ha la testa sulle spalle. Ha un entourage e soprattutto una famiglia molto seri e lui ha lavorato tanto per arrivare a questo esordio. Da bordocampo l’ho visto sorridente. Durante il riscaldamento canta i cori della curva. Un’emozione unica per lui, considerando che la curva ha visto nel tempo molti dei giocatori più forti di sempre. La Sud gli ha dedicato un coro personalizzato…dev’essere una grande emozione“.
Camarda non convocato contro l’Atalanta, fa ritorno in Primavera. “Mi aspettavo che contro la Dea venisse comunque convocato, date le esigenze di Pioli. C’è da dire, però, che il rientro di Giroud e il quasi recupero di Okafor gli toglieranno dello spazio. Pioli però è bravo nella gestione dei giovani“.
Ci sono altri giovani del Milan che, con Pioli, potrebbero trovare spazio, come ad esempio Zeroli, capitano della Primavera rossonera. Saprebbe darci qualche altro nome da tenere d’occhio? “Simic è senza dubbio quello fisicamente più pronto per il calcio dei grandi. Lui, Bartesaghi e Chaka Traoré sono sicuramente quelli da tenere d’occhio, nonostante siano già noti, oltre che Camarda, ovviamente“.
Siamo quasi a metà stagione, tiriamo le prime somme: chi vede come favorito per lo scudetto e per la vittoria della Champions League? “Per quanto riguarda lo scudetto, vedo l’Inter favorita, ma non ora che è prima in classifica, già da 2-3 anni è la squadra con l’organico migliore. In Champions è presto per dirlo, potremmo dire le solite ma in fondo possiamo soltanto pensare chi andrà più lontano. Per me il City è la squadra più forte al mondo, ma il Real Madrid mi gasa un sacco. Molti pensano alla storia dei Blancos, ma in realtà sono una squadra giovane che gioca molto bene“.
Il mercato di gennaio è alle porte. Dobbiamo aspettarci un mercato sorprendente o di assestamento? “Di assestamento ma importante. Mi aspetto molto dalla Juventus, che ha cercato in estate di mantenere i costi ma che adesso ha perso due titolari come Fagioli e Pogba, dovrà sicuramente intervenire in maniera importante“.
Il ruolo del mediano è quello che resta sempre fuori dai riflettori, ma è paradossalmente il cervello della squadra in campo. Quali sono i giocatori in questo ruolo di cui non si parla granché? “Partiamo dal presupposto che per me il più forte al mondo in questo ruolo è Toni Kroos. Se dovessi pensare ad un altro nome in campo europeo, di cui si è parlato tanto ma non troppo perché mascherato dai compagni di reparto è stato sicuramente Busquets. Restando all’attuale Serie A, un mediano fortissimo è De Roon dell’Atalanta. Non se ne parla mai, ma è fondamentale e se n’è accorta anche la sua nazionale, finalmente“.
Guardando le partite da bordocampo si ha un punto di vista diverso dalla televisione. Ci racconta qualche aneddoto sul suo lavoro? “Mi piace molto raccontare aneddoti. L’ultimo è stato in Sassuolo-Lazio, con Luis Alberto che è uscito dal campo furioso con Martusciello (Sarri era squalificato, ndr), si è messo in disparte, per poi tornare con i compagni dando il cinque proprio a Martusciello. In Salernitana-Inter, invece, Inzaghi doveva far entrare Lautaro e stava per togliere Thuram, poi gli è scattato qualcosa e ha comunicato al suo vice di far uscire Sanchez. Dopo due minuti, assist di Thuram e gol di Lautaro“.
Si parla spesso del calcio europeo o mondiale, ma si parla poco delle serie minori. Cosa nasconde il mondo dell’Eccellenza? “L’Eccellenza ha i suoi pro e contro. Sicuramente se sei appassionato di calcio, ritagliarti quelle due ore per guardare una partita di Eccellenza è stupendo. Tuttavia, ci sono pro e contro nei campionati dilettantistici. Domenica ad esempio il mio Gela ha vinto a tavolino perché il Santa Croce si è ritirato dalla partita, cosa che avviene spesso nel dilettantismo“.
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ESCLUSIVA – L’ex Milan e Inter Sapienza si racconta: “Ecco com’è nata la passione per la comunicazione”

Pubblicato
2 giorni fa:
Dicembre 8, 2023Di
Elio Granito
Un viaggio emozionante, un momento di trasporto totale: sono queste le sensazioni evocate dalle parole, mai banali, rilasciate ai microfoni della nostra redazione da un colosso della comunicazione calcistica italiana, Giuseppe Sapienza.
“Nasce tutto per amore, il sentimento che muove tutto. L’amore per il gioco del calcio e la passione per Diego Armando Maradona, il più grande Numero Diez, nato, come me, il 30 ottobre”.
Per raccontare questo amore, Sapienza sceglie la strada del giornalismo, partendo dai campi di periferia fino a raggiungere Milano.
È il 3 giugno del 1996 quando inizia uno stage di tre mesi all’Inter. I mesi diventeranno anni – sette per l’esattezza – e si riveleranno lunghi e formativi. Col passare del tempo, diventerà capo ufficio stampa dei nerazzurri e fonderà, insieme alla moglie del presidente Moratti e due ingegneri del Politecnico di Milano, il sito www.inter.it.
Quello stagista ha avuto “la fortuna, la grazia e le coincidenze” che gli hanno permesso di restare nel mondo del calcio e osservare tutti i cambiamenti degli ultimi 30 anni.
L’INTERVISTA ESCLUSIVA
Comunicazione: cosa è cambiato? Quanto è diventata importante all’interno del calcio?
“Bisogna fare una prima distinzione tra Paesi di classe A e di classe B.
- Classe A (USA, UK, Francia, Spagna, Germania, ecc.): considerano la comunicazione come primo asset, strategico e fondamentale, extra-sportivo;
- Classe B (Italia): ritengono la comunicazione importante quando la si fa, molto meno quando la si subisce. Non si investe né sui mezzi di contrasto per evitare di subire una pessima comunicazione, né sulle iniziative propositive.
Ai nostri dirigenti piace comunicare ad personam, delegare pochissimo e affidarsi ancor meno a strutture aziendali che siano in grado di gestire le situazioni di crisi. Responsabilizzare le persone ‘sotto di noi’ è sempre stato uno degli impegni più importanti da prendere col club. Vedo figure alto-dirigenziali che accentrano sempre di più su di sé i poteri senza la voglia di delegarli. Secondo me, la delega resta uno dei primi strumenti, forse il migliore, per far crescere le altre figure e di conseguenza tutto il calcio italiano. Qualcosa si sta intravedendo grazie all’arrivo delle proprietà estere ma anche di imprenditori illuminati italiani.
La comunicazione può spostare completamente gli equilibri e migliorare aspetti strategici, tra cui la vendita di calciatori. A parità di livello tecnico, un giocatore che comunica male ha un prezzo di mercato inferiore rispetto a chi possiede proprietà di comunicazione, tale da consentire al club, grazie ai diritti d’immagine, lo sviluppo di ricavi. In un mondo concentrato sui social, la comunicazione, pur essendo in continua evoluzione, non abbandona mai i pilastri della tradizione: l’esempio lampante è un’intervista old-style fatta a Paolo Maldini, in grado di generare un numero elevatissimo di commenti in Italia e nel mondo rossonero”.
Lei si è dovuto “ricreare” per poter stare a passo coi tempi?
“L’aggiornamento e lo stare al passo coi tempi risultano determinanti. Ognuno di noi non può avere una conoscenza a 360°, vi sono punti di forza e di debolezza. Ragion per cui, chiunque voglia occuparsi di comunicazione deve costruire una squadra che replichi il modello allenatore-squadra a livello di comunicazione. Occorre scegliere persone smart, che abbiano la tua stessa ‘solarità’, capacità di: relazionarsi, interagire, essere trasversali. Individui capaci di coniugare lo sviluppo delle relazioni interpersonali e umane, col club e il mondo esterno. Non dimentichiamoci che ogni centro sportivo ha un ‘recinto’ e la comunicazione deve lavorare ogni giorno per far sì che non esista. Senza ciò, si casca nell’errore di comunicazione, ergo il silenzio: subire senza dire.
A distanza di 27 anni, vi dico che le relazioni umane torneranno a essere le più importanti. Senza squadre di comunicazione non si potrà mai elevare il livello di comunicazione attuale”.
Inter e Milan nel suo passato. Che rapporto ha avuto con Moratti e il compianto Berlusconi?
“Lo stile dell’alta borghesia-aristocrazia imprenditoriale milanese non esiste più. Le famiglie Moratti e Berlusconi incarnavano perfettamente la milanesità che diventa imprenditoria su tutti i livelli: nazionali e internazionali.
Vi è una differenza profonda tra le due famiglie:
- nell’Inter di Massimo Moratti si respirava l’importanza del grande club, ma vi era un’atmosfera familiare;
- al Milan ho riscontrato una realtà basata su una formazione aziendale e piramidale. Tutti rispettavano i propri incarichi. L’impatto era di una perfetta organizzazione. Il giocatore non doveva quasi pensare a nulla ed era tutto ben coordinato da Adriano Galliani che resta, alla soglia degli ottant’anni, il miglior dirigente sportivo dell’intera area UEFA, non mi limito all’Italia. Un uomo marketing straordinario. Non a caso, il Milan è stato primo nel ranking europeo per quattro anni su cinque (2003-2008). Credo che la nuova società stia facendo delle buonissime cose, quantomeno dal punto di vista della comunicazione.
Può raccontarci un aneddoto che le è capitato nel corso della sua carriera?
“Ce ne sarebbero tanti. Il 3 gennaio 2013 giocammo un’amichevole a Busto Arsizio con la Pro Patria e improvvisamente si udirono ululati, fischi, espressioni a sfondo razzista nei confronti dei nostri calciatori di colore. Intorno al 20’, Boateng perde la pazienza e scaglia il pallone verso quel manipolo di tifosi che proferivano tali espressioni. Al che tutta la squadra decide, per solidarietà, di abbandonare il campo terminando anzitempo l’incontro. Da questo evento nasce un filone estremamente positivo.
Vi era una sola telecamera (Milan Channel) che produceva la partita in differita. Mi reco immediatamente dal cameraman dicendogli di non muoversi; telefono Galliani e gli spiego brevemente la situazione. Mi dice di operare nella massima attenzione e delicatezza. Capisco di avere in mano qualcosa di importante e delicato: gestisco la notizia facendo uscire le immagini sulla CNN (emittente televisiva statunitense all-news n. d. r.) che rilancia direttamente la notizia. Il messaggio rimbalza su tutte le agenzie: ‘il Milan è la prima squadra a effettuare una simbolica e forte presa di posizione sul tema del razzismo’. Il calciatore Boateng verrà successivamente invitato all’ONU per raccontare all’assemblea generale tale problema presente nel calcio. Il Milan viene così identificato come squadra dal forte richiamo antirazzista”.
È un po’ la potenza di una comunicazione sana che, grazie alla strumentalizzazione del calcio, trova modo di divenire veicolo di valori positivi e di princìpi etici
Esatto. Un episodio del genere, che poteva essere gestito col silenzio, con la notizia breve, è servito a lanciare un messaggio forte a livello mondiale. La comunicazione è riuscita a spostare completamente gli equilibri e a far diventare un avvenimento locale, molto profondo e sensibile, un episodio di caratura mondiale e far diventare Boateng e il Milan paladini dell’antirazzismo”.
Grandi comunicatori del mondo del calcio
“È cresciuta moltissimo l’importanza della comunicazione soggettiva. Ho fatto parte del Milan di Ancelotti stracolmo di fenomeni che comunicavano esclusivamente attraverso iniziative concordate con l’area comunicazione. I calciatori di dimensioni planetaria come Kakà e Ronaldinho avevano bisogno di appoggiarsi a noi. Devo dire cha la gestione del campione era abbastanza semplice, eccetto qualche volta. Non posso dimenticare un’attesa di nove ore fatta fare a un giornalista da Ronaldo il Fenomeno. Alla fine, si convinse poiché riuscimmo a trovare un escamotage. Con l’avvento dei social, i giocatori hanno compreso la loro importanza aziendale.
Ad esempio, David Beckham è sempre stato un comunicatore mostruoso per tutta una serie di ragioni che si sono create intorno a lui, anche a livello familiare. Essere usciti con una serie televisiva così seguita e impattante per tutti gli appassionati rappresenta un ulteriore successo. Tra l’altro, io appaio in quella serie. Dissi a Beckham: “Vieni con me, hai una fermata con la stampa, rispondi a tutte le domande che ti faranno i giornalisti”. Lui, senza fare una piega, rispose: “Assolutamente sì”. C’erano anche gli ‘assolutamente no’, a loro bisognava far comprendere che si trattasse della sua immagine, ma anche di quella del club.
Oggi i grandi comunicatori devono essere gli allenatori, perché il loro ruolo è cambiato con l’aggiunta di nuove figure professionali. Tutti i messaggi che lancia sono indirizzati alla squadra, al mondo e ai tifosi. Un aspetto che non bisogna dimenticare è che l’azienda calcio comunica a degli stakeholder particolari. Se non ottieni risultati sei soggetto a critiche, contestazioni, situazioni da prevedere, prevenire e gestire. Il club deve trasferire la propria linea comunicativa o editoriale sull’allenatore che poi, attraverso il lavoro fatto con la squadra e le varie aree comunicative, determina il flusso di comunicazione”.
Un suggerimento per chi vuole intraprendere questo percorso
“Abbiate intraprendenza, curiosità e apertura verso gli altri. Vi sono due categorie di persone: quelli che costruiscono ponti e quelli che alzano muri. Chi vuole lavorare nella comunicazione non può conoscere la parola ‘muro’, deve provare ad abbatterli in tutti i modi. Un ulteriore aspetto fondamentale è la cultura, ossia sapere cosa accade intorno a noi. Informarsi, essere multimediali, senza disconoscere la tradizione. Una somma di tante cose che afferiscono al termine curiosità. Se non hai curiosità non hai cultura, non viaggi. Se non viaggi non conosci, non migliori le lingue e non vedi le differenze. Le differenze invece vanno sostenute e non combattute”.
Il messaggio finale di Giuseppe Sapienza
“Siate sempre numeri 10, un’ispirazione. Il numero 10 è fantasia, responsabilità e soprattutto squadra”.
Fonte immagine in evidenza: profilo Instagram Giuseppe Sapienza
Calcio Internazionale
ESCLUSIVA – Roggero: “McTominay straordinario, Garnacho è un talento. Giovani poco utilizzati in Italia? È un problema sociale, non solo del calcio”

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3 giorni fa:
Dicembre 7, 2023
La 15ª giornata di Premier League volge al termine. Il turno infrasettimanale, infatti, si chiuderà questa sera con le sfide Everton-Newcastle e Tottenham-West Ham. Le gare già disputate hanno espresso verdetti di rilievo: su tutti, la prova di forza dell’Aston Villa di Emery contro il Manchester City, il 2-1 del Manchester United sul Chelsea targato McTominay e la rimonta da capogiro dell’Arsenal sul campo del Luton (3-4 al 97′). La situazione in classifica è più equilibrata che mai: la capolista è proprio la formazione di Arteta (36 punti), a +2 sul Liverpool secondo e a +4 sull’Aston Villa terzo. I campioni in carica del City sono al momento a quota 30: la squadra di Guardiola ha conquistato solo 3 punti nelle ultime 4 e non vince in campionato da oltre un mese.
Nicola Roggero, giornalista e telecronista di Sky Sport, è intervenuto ai nostri microfoni per tracciare il proprio bilancio e dire la sua su alcune individualità. Ma non solo: Roggero ha inoltre motivato le ragioni legate all’affermazione di tanti giovani nel campionato inglese e commentato la possibile decisione dell’IFAB (organo che modifica le regole del calcio) di introdurre in Premier le espulsioni a tempo. Di seguito l’intervista completa a Nicola Roggero.
L’INTERVISTA A NICOLA ROGGERO
Forse mai quest’anno era regnato tanto equilibrio in vetta dopo 15 giornate. In zona Champions e in ottica titolo ci sono varie squadre candidate: qual è cresciuta maggiormente rispetto alla passata stagione?
“La squadra più cresciuta è l’Aston Villa. Quando arrivò Emery era in zona retrocessione, oggi è terza in classifica. È un risultato straordinario. Fin dove si può spingere? Bisogna valutare che la rosa non è completa come quella di altre squadre, ma non mi sorprenderei se al termine del campionato l’Aston Villa finisse tra le prime quattro”.
Da quale squadra si aspetta qualcosa in più per quelle che sono le potenzialità della rosa?
“Direi su tutte il Manchester United. È una squadra che ha speso una quantità di denaro impressionante sul mercato, ma fatica a essere protagonista. Ha avuto una prestazione molto buona ieri sera con il Chelsea, ma direi che è stata una sorta di eccezione all’interno dell’anno. Per il resto è spesso stato deludente, soprattutto nel confronto con le altre big. Contro il Chelsea è stata la prima vittoria contro una squadra tra le prime dieci in classifica. È una stagione fino a questo momento deficitaria”.
Su Garnacho: la rovesciata d’autore contro l’Everton è stato un colpo da fuoriclasse. Qual è il suo punto di vista sul ragazzo?
“È un grande talento, ha ancora bisogno di continuità. Deve razionalizzare le sue abilità e non eccedere nella giocata ad effetto, ma senza dubbio sarà un protagonista per lo United negli anni a venire. È molto giovane e ha potenzialità altissime, ultimamente ha sempre più spazio in prima squada. Sarà uno dei giocatori cui affidare il futuro di questo club”.
This commentary from @ESPNFutbolArg for Alejandro Garnacho's goal against Everton 😂 #MUFC
— MUFC Scoop (@MUFCScoop) December 1, 2023
Scott McTominay: cannoniere dello United, decisivo anche ieri sera con la doppietta al Chelsea. È lui che più di ogni altro, in questo momento, rappresenta l’anima e lo spirito dello United?
“Con il club lui è cresciuto, incarna la filosofia di Old Trafford. Non si arrende mai, ha un vero spirito scozzese di combattività, ma è sorprendente quanti gol faccia. È il capocannoniere della squadra in campionato e della Scozia alle qualificazioni europee. Definirlo un giocatore di combattimento è limitativo, è un calciatore che si sta rivelando straordinario“.
Ieri hanno trovato il gol Cole Palmer (2002) e Hinshelwood, classe 2005. Nel turno precedente, si sono affermati Colwill (2003, Chelsea), Buonanotte (2004, Brighton) e Koleosho (2004, Burnley). Lo stesso Garnacho, di cui abbiamo parlato in precedenza, deve ancora compiere 20 anni. Sono solo casi o in Inghilterra i giovani sono effettivamente trattati in modo diverso rispetto all’Italia da allenatori e società?
“Io penso che il problema non sia solo del football italiano, ma della società italiana. Quest’ultima considera giovani gente con trenta e rotti anni. Gli altri Pasi analizzano le situazioni dal punto di vista del talento. Se uno ha le qualità, a prescindere dall’età, emerge. Nel nostro paese non è così, si rimane giovani a vita e non si dà mai veramente fiducia. È il motivo per cui tanti ragazzi, che potrebbero essere utili, sono costretti ad emigrare e non sono a disposizone del nostro Paese. È un problema sociale, generale. Il mio pensiero è che la responsabilità sia la totale immaturità e ignoranza del calcio italiano, dove si pensa sempre di poter crescere. È un problema di mentalità che non è solo del calcio: nel calcio è acuito perché il calcio in Italia è molto ignorante. È in antitesi con lo sport. Lo sport ha questo privilegio: con il talento puoi emergere, ma in Italia non succede”.
L’IFAB (organismo che modifica le regole del calcio) ha deciso di portare avanti l’idea dell’espulsione “a tempo”, ovvero una sorta di cartellino “arancione” per punire irregolarità particolari come i falli tattici. Tale norma potrebbe essere testata in Premier nella prossima stagione. Se regolamentata, potrebbe essere un’opzione valida e “giusta”?
“Certo. Come al solito il calcio arriva molto dopo le altre discipline sportive. È una norma che da molti anni c’è nel rugby, in cui si valuta che può essere corretta un’espulsione a tempo. Io sono assolutamente a favore. Non mi stupisce che sia l’Inghilterra la prima a varare questa possibilità. È vero che loro sono molto conservatori per quanto riguarda il gioco, ma poi in realtà sono molto aperti alle novità punitive. Sono chiusi alle novità negative, tipo il VAR, una cosa che dovrebbe essere dimenticata e seppellita. Ma sull’espulsione a tempo sono d’accordissimo, il rugby ha dimostrato che è una cosa che funziona. Fa ridere che nel calcio non si sappia quanto si giochi, ormai nel recupero abbiamo recuperi extra….basterebbe applicare il tempo effettivo e si smetterebbe con mille pantomime”.
ESCLUSIVE
ESCLUSIVA – Luca Ariatti, ex capitano della Fiorentina: “Mi guadagnai la leadership con l’impegno, a Camarda e i giovani consiglio di avere sempre fame”

Pubblicato
4 giorni fa:
Dicembre 6, 2023
Ex giocatore, adesso procuratore sportivo, Luca Ariatti è un volto noto della nostra Serie A, celebre per essere stato tra i leader della Fiorentina tra il 2003 e il 2005. Partito dalla sua Reggiana, ha subito avuto la possibilità di esordire in Serie A, per poi fare la gavetta in C prima con l’Ascoli e poi con la stessa Reggiana, nel frattempo scesa nel terzo livello del calcio italiano. La sua carriera è poi esplosa con la Viola, dalla C fino alla A, diventando leader e capitano di una squadra che ha contato negli anni calciatori del calibro di Giorgio Chiellini, Christian Maggio, Enzo Maresca, Fabrizio Miccoli, Giampolo Pazzini e tanti altri.
Ritiratosi all’età di 33 anni, Luca Ariatti decide poi di restare nello sport come procuratore, Adesso è a capo della sua agenzia, che gestisce tanti calciatori tra cui Michele Collocolo, centrocampista della Cremonese, e Fabrizio Caligara, centrocampista dell’Ascoli ex Cagliari e Juventus. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere la sua carriera da giocatore, e analizzare e approfondire i motivi per cui è poi diventato un agente.
LE PAROLE DI LUCA ARIATTI
Buonasera Luca, partiamo dalla tua carriera. Esordio alla Reggiana, squadra della tua città, partendo subito dalla Serie A a 19 anni. Giochi le ultime tre partite stagionali, poi la Reggiana retrocede, passi in C all’Ascoli in prestito, poi il ritorno alla Reggiana, nel frattempo, scesa in C. Com’è stato il passaggio da esordire subito in A, a poi dover giocare in C?
“In quegli anni, quando sei molto giovane, pensi solo a giocare e costruirti una carriera e non ti fai troppe domande. Io sono cresciuto in una Reggiana che in quegli anni lottava per alti livelli, c’era un club organizzato, una grande tradizione in città e una tifoseria molto calda. Quando ho esordito in A io facevo ancora la quinta superiore, ed è stato una sorpresa. Poi col senno di poi ho capito che quel momento è stato fine a sè stesso. Mi sono dovuto costruire una carriera nei campi della Serie C, fino a che ho avuto l’opportunità di andare alla Florentia Viola, e poi lì è partita la mia carriera”.
Possiamo dire che sei il re delle promozioni. Dalla Fiorentina, che in tre anni dalla C sale fino in Serie A. L’Atalanta, dalla Serie B alla A. E anche con il Lecce poi, dalla B alla A. Qual’è il segreto?
“La scalata con la Fiorentina mi ha portato ad essere un giocatore di livello, dandomi anche un valore sul mercato. Ho sempre fatto scelte intelligenti, puntando su squadre organizzate, conoscendo i giocatori e il livello di quella squadra e se realisticamente si poteva puntare a vincere il campionato. Avrei potuto avere 100 presenze in più in A, ma l’ho lasciata tre volte per andare a vincere la Serie B, e sono contento di averlo fatto. Tutte le volte che lasciavo la Serie A, mi chiedevo sempre se sarei ritornato ma, fortunatamente, ho sempre portato a casa l’obiettivo stagionale, assumendomi anche responsabilità e leadership”.
Diventi capitano della Fiorentina, capitano di una squadra che contava gente di grande qualità e spessore. Anche Stefano Colantuono, che ti ha allenato all’Atalanta, ti definì “leader naturale”. Ti sentivi un leader già ai tempi? Com’è stato esserlo?
“Penso che leadership in spogliatoio l’ho sempre ottenuta perchè mi allenavo sempre con intensità, ero sempre a disposizione di mister e compagni. A volte ho avuto giocatori più forti, con una carriera più importante, ma riuscivo sempre a ottenere il rispetto da tutti anche come mi approcciavo al mestiere che facevo. Mi tenevo sempre bene fisicamente, non saltavo mai un allenamento, mi mettevo a disposizione del mister anche giocando in più ruoli. Questo credo sia la vera leadership, anche rispetto a chi porta la fascia da capitano”.
Ti ritiri a 33 anni, e decidi di diventare procuratore e nel 2014 fondi la tua società. Avevi già in mente durante la carriera di calciatore di diventare procuratore? C’è un motivo per cui hai preferito diventare un procuratore?
“Quando ero alla Fiorentina avevo deciso di iscrivermi all’Università, un ramo manageriale. Ho da sempre, dunque, avuto confidenza con le lingue, ero sempre la figura nello spogliatoio che interagiva con i giocatori stranieri, imparando dalla loro cultura e le loro esperienze passate. Facendo l’Università mi son tracciato una strada per il post carriera, volevo fare l’agente o il dirigente, volevo un lavoro manageriale. Appena ho avuto l’infortunio al ginocchio a Pescara, mi sono accorto che con ogni probabilità non sarei tornato ai livelli che volevo (Serie A/alta Serie B ndr), quindi ho deciso di essere un giovane agente più che un vecchio calciatore. Mi si era già spostato il focus, ai tempi preferivo guardare partite delle giovanili per guardare giovani promettenti, più che pensare alla squadra in cui giocavo. Alla fine l’ho comunicato anzitempo alla società che mi sarei ritirato, per poi fare a fine stagione l’esame da agente”.
Un tema d’attualità, Camarda e il suo esordio al Milan a 15 anni. Tu hai fatto l’esordio in A prestissimo. Cosa consiglieresti a Camarda? Sicuramente dopo questo bruciare le tappe il rischio è montarsi la testa.
“Ogni tempo ha il suo contesto. Oggi il calcio è diverso, lo spogliatoio è fatto di giocatori sempre meno esperti, e l’interesse delle società nei giovani è molto più grande. Le opportunità per i giovani oggi sono molte di più ma, allo stesso tempo, se ti dà tanto può toglierti tanti in maniera ancora più veloce. Il mio consiglio a Camarda e i giovani in generale è il godersi tutte le opportunità e comodità che ti da il calcio oggi, tra cura dell’immagine, atmosfera e l’organizzazione della società che oggi è maggiore. Al contempo consiglio di tenere la parte ambiziosa, di impegno, autocritica e fame che c’era nella mia generazione. Questo sarebbe il mix perfetto. A volte alcuni si sentono arrivati troppo velocemente, ci vuole sempre fame perchè il calcio poi può aprire diverse possibilità, sia economici sia di prestigio, che poi ti porti per tutta la vita”.
Fonte immagine di copertina: Facebook Luca Ariatti
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