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Il canto del cigno di Manchester
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5 anni fa:
Tra gli esemplari più distinti dell’incredibile mondo degli animali, il cigno è probabilmente la pura espressione dell’eleganza. Una delle leggende mitologiche che avvolge questa figura riguarda il momento della sua morte in cui l’elegante volatile, straziato dal dolore, si lancia in uno struggente quanto incredibile canto che diventa l’ultima e bellissima testimonianza della sua unicità. Negli anni, questa incredibile prova di capacità in una situazione borderline come quella della morte ha assunto la famosa espressione di “canto del cigno”, un modo di dire usato per riferirsi all’ultima espressione degna di nota di una carriera, professionale o artistica, prossima al termine.
Anche le incredibili e vincenti squadre di calcio, dopo anni di successi, sono destinati a momenti di magra calcistica che spesso arriva rapida e inesorabile durante i festeggiamenti. Fu proprio tra gli scroscianti applausi, i luccicanti trofei e gli spassionati complimenti provenienti da ogni dove per l’ennesima vittoria ottenuta, che i tifosi dei Red Devils udirono il terribile canto premonitore del cigno. Fu così, in un’ultima parvenza di estasi sportiva, che arrivò la fine del vittorioso Manchester United di Alex Ferguson.
E’ vero la ciclicità calcistica presuppone che ci sia un inizio ed una fine ma l’onda d’urto di un periodo di inevitabile crisi può essere contenuta grazie alla lungimiranza e ad un necessario ricambio generazionale. Il terribile tsunami di negatività che ha colpito la sponda rossa di Manchester dopo l’addio di Sir Alex Ferguson ha, oltre alla superficialità e ad un errato cambiamento di organico, tante altre cause scatenanti. Quest’ogginoi di Numerodiez cercheremo di fare il punto della situazione sia elencando gli errori commessi in questi anni dallo United sia cercando di individuare i possibili rimedi per riportare i diavoli rossi lì, nell’olimpo del calcio, dove sono sempre stati e dove meritano di stare.
http:/https://youtu.be/PxvsZENtR_w
SOCIETA’ ASSENTE E INCOMPETENTE
Come un disco rotto, la filastrocca che ripete che le fondamenta sono più importanti dell’apparenza è una verità che viene spesso compresa troppo tardi. Nei 27 anni di dittatura Ferguson lo United era stato plasmato, edificato e gestito solamente dal suo allenatore. Le capacità manageriali superiori alla media sommate ad una conoscenza capillare di ogni singola struttura della società ed unite ad una forte personalità, gli avevano permesso di tenere le redini dei diavoli rossi pressochè in totale autonomia. Dietro ai sorrisi compiaciuti della famiglia Glazer che, puntualmente, a Maggio di ogni anno volava da New York in direzione Manchester per festeggiare qualche titolo ottenuto dalla loro squadra, si celava una totale ignoranza riguardo le dinamiche calcistiche e di campo.
Nel 2013 quando Sir Alex lasciò il Manchester United, l’amministratore delegato Ed Woodward e i proprietari si ritrovarono tra le mani un club in salute di cui, tuttavia, non conoscevano praticamente nulla. Priva di una mancata progettualità a lungo termine ma soprattutto di un factotum tuttofare come Ferguson, la dirigenza dei Red Devils si trovò a dover adempiere a compiti come la ricerca di un allenatore e di nuovi giocatori senza la minima competenza. In Inghilterra, a tal proposito, concordano in molti nel dire che quando Moyes fu scelto come tecnico della squadra più che come allenatore fu assunto come vittima sacrificale: nessuno, infatti, avrebbe potuto fare girare gli ingranaggi di un marchingegno così ben oliato senza l’olio o senza un minimo di istruzioni provenienti dalla società.
A differenza di altre big inglesi, la dirigenza dello United non si è mai imposta il problema di creare una propria filosofia sportiva, lasciando carta bianca ai tecnici contraddistinti, come è normale che sia, da visioni di calcio antitetiche. Un’altra grave svista della dirigenza dei Red Devils, in questi anni, è stato il mancato investimento in un settore giovanile di qualità: mentre le rivali concentravano risorse nella creazione di un vivaio all’avanguardia e nella stipula di accordi con club satelliti in cui inviare in prestito i propri giovani, lo United restava a guardare. Risultati? La squadra Under 23 è miserabilmente retrocessa nella scorsa stagione e gli unici due prodotti del vivaio ad aver raggiunto buoni risultati sono Rashford e Lingard. Significativo, nel sottolineare l’arretratezza della cantera dei Red Devils, è il caso di ex bandiere come Wayne Rooney e Darren Fletcher che hanno deciso di far giocare i propri figli nel Manchester City per garantirgli una cerscita migliore.
La dirigenza dei Red Devils, tuttavia, è riuscita nella gestione economica a creare un’ottima base di investimento, quotando in borsa la società e costruendo, dietro al logo del Manchester United, un brand capace di garantire ottimi guadagni nonostante i pessimi risultati sportivi. Quello che manca all’interno dell’organigramma della sponda rossa di Manchester, quindi, è una figura con personalità e profonde competenze calcistiche.
SPENDERE TANTO E MALE
Tra gli errori più grandi che una società calcistica possa fare alla fine di un ciclo vi è l’eccessiva gratitudine nei confronti di campioni artefici dei successi passati. Storie come quella dell’Inter dopo il triplete o per l’appunto quella del Manchester United nel dopo Ferguson insegnano che ogni inizio ha una fine e che, invece di crogiolarsi nel successo o nei ricordi, bisogna pragmaticamente ringraziare e salutare i vecchi idoli privi di stimoli e ingaggiare carne fresca affamata di successo.
Questo processo, chiaro e fissato nella mente del Sir allenatore, ha permesso al Manchester United di Ferguson di inanellare successi su successi e di restare saldamente e meritamente nell’olimpo del calcio inglese e europeo. Il tecnico scozzese, infatti, non snaturava lo scacchiere della squadra ma ogni anno inseriva qualche nuova pedina di qualità, giovane e vorace di stimoli, prelevandola o dal fertile settore giovanile o scovandola sul mercato. Alla base dei successi dello United, durati per più di un quarto di secolo, vi è la fondamentale programmazione di un uomo che non lasciava nulla al caso.
Privi di questa saggezza calcistica e complici i primi deludenti risultati, la nuova dirigenza dello United edifica la consapevolezza che i grandi nomi del calcio avrebbero riportato in alto i Red Devils. Senza un minimo rigore di logica, a partire dall’estate del 2014, i diavoli rossi cominciarono delle sfrenate e insensate campagne acquisti che, negli anni, hanno portato all’acquisizione del tutto casuale di top player o giovani emergenti per mettere a tacere le pesanti critiche della tifoseria. Come sorta di contentini, infatti, sulla sponda rossa di Manchester negli anni sono arrivati e ripartiti giocatori del calibro di Falcao, Di Maria, Schweinsteiger, Mkhitaryan e Depay.
Nomi di livello che secondo la dirigenza avrebbero potuto, soltanto grazie al loro cognome sulle spalle, riportare in alto la squadra, ignorando come dietro i successi vi siano prima di tutto un’intesa e una filosofia di gioco da creare, indipendentemente dagli attori protagonisti. Per sottolineare l’irreale e confusa situazione che ha avvolto, in questi ultimi 4 anni, il Manchester United basta affidarsi ai freddi quanto spaventosi numeri: dall’arrivo di Van Gaal nell’estate del 2014 all’esonero di Mourinho a Dicembre 2018, sono stati spesi 816 milioni di euro e ne sono rientrati solamente 325. Sempre in questo arco di tempo tra acquisti, prestiti e cessioni sono arrivati a Manchester 81 giocatori e ne sono partiti 80. Cifre spaventose ed un intensissimo quanto confuso traffico di calciatori che hanno portato solo quattro trofei, numerosi flop ma soprattutto hanno spinto lo United a non essere più una contender per il titolo.
TROPPA CARNE AL FUOCO
“A nessuno dovrebbe essere permesso di arrivare al Manchester United e modellare la propria filosofia. La filosofia del Manchester United è qualcosa di profondo, come quella del Barcellona e dell’Ajax: devi giocare un calcio offensivo, veloce e divertente, dare fiducia ia giovani. E vincere.”
Parole dure quelle pronunciate da Gary Neville, commentatore di Sky Sport England e ex giocatore dello United con cui, negli anni, ha fatto la storia. Il pensiero triste di una leggenda abituata a vedere bandiere rosse trionfanti in Inghilterra e nel mondo ed ora, da troppo tempo, riposte tristemente nel cassetto. Per una squadra come il Manchester United che ha fatto della stabilità (societaria, tecnica e di gioco) un dogma imprescindibile su cui posare le basi del successo, l’arrivo di nuovi allenatori con conseguenti nuovi pensieri ha terribilmente minato certezze decennali. Chiaramente non si può pretendere da uomini vincenti come Van Gaal e Mourinho di riporre le proprie idee e assoggettarsi alla filosofia madre dello United. Tuttavia, al tempo stesso, sarebbe stato utile che in parte rivedessero i propri dogmi e li conciliassero con una squadra che da anni era abituata a giocare allo stesso modo.
Il Manchester United di Van Gaal, in questo senso, sembrava una squadra con il freno a mano tirato e negazionista a fronte delle novità di un gioco in continua evoluzione. Il portiere, infatti, non contribuiva mai alla costruzione bassa, rilanciando sempre a lungo; i centrali di difesa lasciavano sempre l’impostazione ai mediani e se pressati alti dagli avversari, lanciavano direttamente verso la prima punta, che con spizzate di testa cercava l’inserimento delle ali. Un calcio attendista e antico che, sostanzialmente, viveva di qualche invenzione dei giocatori creativi della squadra con cui, tuttavia l’allenatore olandese aveva rapporti burrascosi (Angel Di Maria ne sa qualcosa…).
Il calcio di Mourinho è, invece, ormai abbastanza rinomato per essere il trionfo del difensivismo. Allo United oltre a questa conclamata caratteristica, l’allenatore di Setùbal sembrava incapace di far costruire alla sua squadra un gioco pulito: come testimoniano alcuni numeri, alla fine della sua prima stagione sulla panchina di Old Trafford, lo United era l’ultima squadra in Premier League per possesso medio e passaggi completati. A questi impietosi numeri si andò ad aggiungere una totale sfiducia verso alcuni giocatori che lo portarono a pubbliche accuse e atteggiamenti minatori che rovinarono il rapporto tra lui, la squadra e l’intera tifoseria.
Troppe ideologie calcistiche e gestioni diverse in poco tempo hanno portato una squadra che basava la sua forza sulle tradizioni e sulla stabilità, nella più totale confusione. In realtà edificate da tempo su credi calcistici ben precisi bisogna saper innovare ma non stravolgere: Van Gaal e Mourinho non ci sono riusciti e hanno trascinato il Manchester United e loro stessi nel baratro della mediocrità.
COSA SERVE? STABILITA’, QUALITA’ E ESPERIENZA
Gestioni tecniche e di spogliatoio antitetiche a quelle di Ferguson. Filosofie di gioco e mentali sopraggiunte e accumulatesi senza rigore e che hanno contribuito a lanciare nella confusione lo United. In questo senso la scelta di affidare la panchina a Ole Gunnar Solskjaer, ex giocatore e fedele allievo dello scozzese è stata l’ultima ancora della società per ridare un assaggio di identità Red Devils alla squadra e a tutto all’ambiente. Tradizione intravista già nelle prime partite: il tecnico norvegese ricompatta l’ambiente, costruisce una squadra veloce, ambiziosa e propositiva che vince le prime 8 partite sotto la sua gestione e si rende protagoniste di rimonte incredibili come quella operata in casa del Paris Saint Germain.
Arriva il rinnovo tra l’entusiasmo della squadra, dell’ambiente e dello stesso tecnico ma qualcosa si rompe: il motore dei frizzanti Red Devils trascinati dalla baby face di Solskjaer si inceppa e comincia a inanellare una serie di sconfitte che lo porta all’uscita dalla Fa Cup, dalla Champions League e ad un pericoloso sesto posto in campionato. Lo United e il suo tecnico, in questo senso, sembrano aver pagato l’inesperienza nella gestione dei momenti critici e un’immaturità tecnico-mentale in alcuni dei suoi calciatori. La strada, tuttavia, è quella giusta: con maggiore consapevolezza, tranquillità e qualche modifica nello scacchiere del norvegese, il motore dei Red Devils è pronto a ripartire sulla falsa riga dei cari vecchi tempi.
Ma cosa serve nel concreto ad una squadra che dispone già di una buona base di talento? Prima di tutto stabilità. Nonostante qualche risultato deludente Solskjaer merita la conferma in quanto ha dimostrato di avere ottimi spunti di gioco ed essere un ottimo gestore e unificatore dello spogliatoio. In secondo luogo mantenere l’ossatura della squadra senza privarsi di talenti come De Gea, Pogba o Rashford. In terzo luogo investire in maniera precisa e oculata cercando di aggiudicarsi un esterno di spinta (alla Cancelo per intendersi), un centrale di difesa di livello (Koulibaly) e cercare di rivitalizzare l’attacco con l’acquisto di un centrocampista offensivo di livello (Asensio) e di un esterno di qualità (Sancho).
In questi profili lo United deve trovare qualità e esperienza, componente quest’ultima che in particolare gli è mancata nell’ultimo periodo. Non serve osare per rinascere ma semplicemente ragionare e avere l’umiltà di ripartire. Solo così lo struggente canto del cigno dei Red Devils si trasformerà nel suono di rinascita della Fenice, simbolo di resilienza che sulle ali di un entusiasmo ritrovato riporterà nel tempo i diavoli rossi dove meritano di stare. Lì, in cima all’olimpo del calcio.
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Diez allo stadio
Ascoli-Spezia 1-2, le pagelle: Bellusci risponde al rigore di Verde, ma nel finale Hristov regala la vittoria allo Spezia

Pubblicato
10 ore fa:
Dicembre 9, 2023
Al Del Duca lo Spezia batte l’Ascoli 2-1. Nella ripresa Giuseppe Bellusci risponde al rigore di Daniele Verde, ma nel finale arriva l’incornata di Hristov a decidere il match.
Il primo squillo del match arriva all’ottavo minuto quando Verde illumina per Kouda, ma trova la respinta attenta di Viviano. L’Ascoli reagisce e, dopo un rischio autorete di Muhl, Botteghin ha l’occasione da due passi, ma spreca. L’episodio chiave arriva al 20′ quando il direttore di gara Marchetti viene richiamato alla review per un tocco di mano di Di Tacchio all’interno dell’area e concede il rigore. Dal dischetto Verde spiazza Viviano. I marchigiani non si perdono d’animo, Mendes ci prova con un diagonale impreciso. Al 38′ si vede Kouda con un colpo di testa che Viviano respinge in angolo. Nel finale di primo tempo, sugli sviluppi un calcio di punizione, la spizzata di Botteghin favorisce Rodriguez che non angola a sufficienza. Prima dell’intervallo Kouda costringe Viviano al miracolo.
Nella ripresa l’Ascoli è più cattivo e trova il pareggio con Bellusci. I marchigiani inizialmente continuano a spingere ma è Kouda a spaventare Viviano che blocca senza problemi. Da lì lo Spezia prende coraggio e si espone alle ripartenze fulminee dell’Ascoli. Nel finale l’incornata di Hristov da calcio di punizione fissa il punteggio sul 2-1. Dopo un tentativo di Di Tacchio, termina così, lo Spezia batte l’Ascoli e ottiene tre punti pesantissimi.
Ecco le pagelle della gara, direttamente dalla tribuna stampa dello Stadio Del Duca.
LE PAGELLE DELL’ASCOLI
Viviano 6,5: una sua respinta sulla conclusione di Kouda prima dell’intervallo, mantiene in gara l’Ascoli.
Bellusci 7: regala il momentaneo pareggio all’Ascoli con una conclusione dal limite. Per il resto, tutto il reparto difensivo mostra una buona coesione. Riceve un’ammonizione per una sbracciata nel primo tempo. (dal 82′ Haveri s.v.)
Botteghin 6: si divora la rete del vantaggio dopo pochi minuti, ma in fase difensiva non sbaglia nulla.
Quaranta 6: anche per lui vale il discorso fatto per i compagni di reparto. Difende bene sugli attaccanti liguri.
Adjapong 6: lotta e spinge sulla destra, inizialmente crea qualche pericolo, ma viene raddoppiato per tutto il resto della gara. (dal 64′ Bayeye: Dà freschezza alla fascia destra. Apporto sufficiente).
Milanese 6: gioca solo il primo tempo, convince solo a tratti per qualità e per carattere. Giocando con continuità potrebbe diventare una buona arma per Castori, che però lo sostituisce nell’intervallo. (dal 46′ D’Uffizi 6,5: entra con coraggio e voglia di dimostrare, anche se mostra nervosismo in qualche circostanza. Approccio positivo).
Di Tacchio 5: commette ingenuamente, ma anche sfortunatamente, il fallo da rigore.
Falasco 6: insidioso palla al piede soprattutto con le traiettorie velenose da calcio piazzato.
Masini 6: il solito Masini che agisce a sostegno delle due punte, si fa vedere tra le linee, ma oggi non incide. (dal 86′ Giovane s.v.)
Mendes 6: a lui è affidata la reazione marchigiana, ma viene contenuto dai difensori avversari. Nella ripresa si trasforma in assist-man per Bellusci.
Rodriguez 6: la sua velocità mette in difficoltà i marcatori spezzini, ma manca di concretezza nella finalizzazione. (dal 82′ Millico s.v.)
All. Castori 5,5: la squadra è viva e resta in partita nonostante un avvio complicato, ma nel finale la squadra è ingenua. A gennaio urgono rinforzi.
LE PAGELLE DELLO SPEZIA
Zoet 6: trasmette sicurezza al reparto difensivo pur senza dover compiere miracoli.
Amian 6: da quella parte Milanese e Falasco spingono molto, ma lui si disimpegna senza troppi problemi.
Muhl 6: rischia un autogol nel primo tempo, ma per il resto è impeccabile. (dal 63′ Hristov 7: entra per dare freschezza al reparto e decide la sfida).
Nikolaou 6,5: sforna una prestazione perfetta nel limitare Mendes.
Elia 6,5: spinge molto sulla sinistra. Nei primi minuti fatica a mantenere le misure su Adjapong, ma viene aiutato dai ripiegamenti di Kouda.
Cassata 6: riceve un’ammonizione ingenua nel primo tempo che potrebbe condizionargli la gara, ma dà tanto al centrocampo di D’Angelo. (dal 63′ Zurkowski 6: entra per incidere nel reparto offensivo con qualche inserimento, ma nulla di particolare da segnalare)
Salvatore Esposito 5,5: deve fare gioco, ma è impreciso nel gestire un paio di ripartenze.
Bandinelli 6: anche per lui vale la pagella di Cassata, ma senza l’ammonizione. Il contributo dell’ex Empoli è fondamentale per l’equilibrio del reparto.
Verde 7: è freddo dal dischetto portando in vantaggio i suoi. Quando si illumina crea qualche problema alla difesa marchigiana. (dal 70′ Antonucci 6: entra con tanta voglia di fare, ma il finale non gli permette di colpire.
Kouda 6,5: spazia molto su tutto il fronte offensivo arrivando più volte alla conclusione.. Importantissimo è il suo contributo in fase difensiva in aiuto ad Elia.
Pio Esposito 6: gara di sofferenza perchè viene risucchiato dal trio difensivo marchigiano, ma ha il merito di guadagnarsi il rigore del vantaggio.
All: D’Angelo 6,5: vittoria doveva essere e vittoria è stata, ma poteva gestire meglio il vantaggio. Dopo un buon primo tempo, la squadra pensa ad un secondo tempo di puro contenimento e paga. Dopo il gol del pareggio cerca e trova il gol vittoria.
Generico
Carlos Augusto: “Sono stato sempre umile, non ho mai mollato. E sull’Inter…”

Pubblicato
14 ore fa:
Dicembre 9, 2023
Alcuni dubbi di formazione per mister Simone Inzaghi, alle prese con alcune assenze pesanti soprattutto nelle retrovie. In dubbio la presenza di Alessandro Bastoni, che ha saltato la trasferta di Napoli dell’ultimo turno in via precauzionale e dovrebbe essere arruolabile per il match odierno. In caso di fortfait, spazio a Carlos Augusto.
Proprio il brasiliano è intervenuto al Match-day Programme ufficiale dell’Inter parlando della sua carriera: dai primi passi mossi in patri fino all’arrivo in Italia, l’esperienza formativa a Monza e infine il salto di qualità compiuto nell’ultima sessione di calciomercato. Di seguito le parole di Carlos Augusto.
ORIGINI – “Appena ho iniziato a giocare ho chiesto a mio papà di iscrivermi in una scuola calcio, poi a 15 anni ho capito che sarei potuto diventare un calciatore professionista. Sono stato umile, ho sempre lavorato tanto e non ho mai mollato e questo mi ha portato fino a qui. Per me l’amore per il calcio è la cosa più importante, mi piace giocare, allenarmi, poi quando si arriva allo stadio e si vedono tutti i tifosi che incitano la squadra, solo questo ti dà una carica incredibile”.
INIZI IN BRASILE – “Sono diversi i momenti che hanno segnato il mio percorso, la consapevolezza acquisita a 15 anni, poi la finale vinta con la Primavera in Brasile, ricordo che c’erano 45.000 tifosi, abbiamo vinto ed è stato importante. Il primo gol con la Prima Squadra è un altro momento che non dimenticherò, è stato nel match contro la Chapecoense, ricordo che non riuscivo neanche a parlare dopo perché ero troppo felice e sono andato a festeggiare con la mia famiglia”.
APPRODO ALL’INTER – “L’Inter è una squadra importantissima, è un onore indossare questa maglia. Da qui sono passati grandi campioni, Ronaldo è stato devastante, è quello che mi ha ispirato e poi c’è stato Roberto Carlos che nel mio ruolo è stato incredibile. Fuori dal calcio Michael Jordan è un punto di riferimento, è stato impressionante come professionista e come persona, ho letto molto su di lui. Non si è mai arreso e anche quando era il migliore del mondo ha sempre voluto migliorarsi. Cos’è importante per me? La famiglia e la squadra che sono concetti molto simili, conta essere uniti e aiutarsi, soprattutto nei momenti difficili”.
Flash News
Big della Premier pronte all’assalto per Calhanoglu: la posizione dell’Inter

Pubblicato
15 ore fa:
Dicembre 9, 2023
Uno degli uomini copertina dello scoppiettante inizio di stagione dell’Inter è Hakan Calhanoglu. Da quando Inzaghi lo ha reinventato regista, il turco è diventato perno inamovibile della mediana nerazzurra. Centrocampista tuttofare, infallibile dal dischetto, Calhanoglu conta già 6 gol in questo primo scorcio di campionato, di cui l’ultimo ha spalancato la strada verso la vittoria contro il Napoli. Il rendimento del giocatore ex Milan non è passato inosservato all’estero, dove non mancano le lusinghe per il turco, soprattutto dalla Premier League. Infatti, secondo quanto riferisce l’edizione odierna di Tuttosport, due big del massimo campionato inglese sarebbero pronte a farsi avanti in estate per Calhanoglu. Trattasi nel dettaglio di Chelsea e Liverpool.
La posizione dell‘Inter è però piuttosto netta: Calhanoglu non si tocca, a meno di offerte da capogiro. I nerazzurri sono tutelati da un contratto, recentemente firmato, che lega l’ex rossonero all’Inter fino al 2027. D’altra parte, il turco si è calato alla perfezione nella realtà nerazzurra e il rapporto con compagni e allenatore è ottimo. Cambiare aria significherebbe un azzardo anche per lo stesso giocatore che dell‘Inter è ormai uno dei leader tecnici. Già la scorsa estate, gli interessamenti dall’Arabia non fecero breccia nella testa di Calhanoglu che in questo momento è pienamente focalizzato sulla conquista delle suo primo scudetto.
Le intenzioni delle parti sembrano quindi ben chiare e nonostante l’Inter, per esigenze di bilancio, possa privarsi di un big quest’estate, Calhanoglu non è affatto in discussione. Il sodalizio tra il turco e l’Inter sembra destinato ad andare avanti.
Generico
Si ferma Vlahovic: costretto al cambio in Juventus-Napoli

Pubblicato
1 giorno fa:
Dicembre 8, 2023
Problemi per Dusan Vlahovic durante Juventus-Napoli, il serbo è stato sostituito al 70° minuto al suo posto Milik. Secondo quanto riportato da DAZN, potrebbe essere un falso allarme e solamente questione di crampi o indurimento del muscolo.
La Juventus è in vantaggio 1-0 grazie al gol di testa di Gatti, il terzo in stagione.
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