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Il muro di Charles Barkley

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Il muro di Charles Barkley

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“You know, I’d always thought that I was the best player, to be honest with you. I always thought, Michael Jordan when he started winning, he just had more help than me. So, when I finally came to Phoenix, I had told the late, great Cotton Fitzsimmons, ‘Hey dude, I’m the best basketball player in the world. We’re going to the Finals.’ And he said, ‘That’s why I traded for you.’
I actually thought I was the best. I thought Bird and Magic just had better players. So, I said, ‘Listen dude, I’m going to the Finals this year. Dan Majerle, Kevin Johnson… That’s what I need. We’re going to the Finals.’ He says, ‘Well Michael’s gonna be there.’ I said, ‘Cotton, I think I’m better than Michael Jordan.’ He says, ‘We will see when you get there.’ So, we actually got nervous before Game 1. We struggled. The pressure got to the guys on the team. I played decent, but then I think the other guys were nervous. So Game 2, I’m talking to my daughter. She said,‘Dad? Are y’all gonna win tonight?’ I said, ‘Baby, your dad is the best basketball player in the world. I’m going to dominate the game tonight.’ And I remember… I think I had like 46, 47. I played great. And Michael had 52. And I got home that night, and my daughter was crying, and she said, ‘Dad, y’all lost again.’
I said, ‘Baby, I think Michael Jordan’s better than me.’ She said, ‘Dad, you’ve never said that before.’ I said, ‘Baby, I’ve never felt like that before.”

Come ricordare un giocatore nel miglior modo, se non aprendo con una dichiarazione di resa verso un demonio con la 23 sulle spalle. Chuck è stato il primo eroe di un film ripetutosi spesso e volentieri durante tutti gli anni ’90, dove i nostri “eroi” finiscono malamente in tragedia contro l’ineluttabilità del destino che assume i contorni di “sua malvagità” Michael Jordan ed il suo vice Hakeem Olajuwon. Chuck è stato il primo a fare a testate contro un muro che non considerava nemmeno la possibilità di perdere una Finals.

Ma, riavvolgendo la cassetta della sua carriera con una penna Bic, arrivare fino a lì per un ragazzo, prima ancora che giocatore, considerato totalmente inadatto a fare sport, è comunque un miracolo già di suo. Un miracolo venuto fuori da un mix di talento, doti fisiche insospettabili, istronismo e “cazzimma” che in una personalità come quella di Sir Charles possiamo trovare a quantità debordanti. Insomma, scartato dal college della sua città, Leeds (Alabama), perchè troppo basso, si ripresenta l’anno dopo più alto di 20 centimetri e viene messo a fare a schiaffi con gente spesso, spessissimo più alta di lui e magari anche più in forma. Una giungla. Una giungla dove il talento riscrive le leggi di fisica, logica e tutte le cose che diamo un po’ per scontate in questo mondo, semplicemente portandosi a spasso chiunque abbia intenzione di contenerlo in post per tutto il campo (ecco, in NBA crearono una regola fatta ad hoc per “colpa” sua e di Marc Jackson, la Barkley-Jackson Rule per l’appunto) e tirando giù 20 rimbalzi a partita. Successivamente, la carriera ad Auburn (famoso l’episodio della pizza durante la partita) e a Philadelphia. Del suo arrivo ai Sixers c’è qualcosa da raccontare: Philadelphia, per motivi di cap avrebbe potuto offrire a Charles solo 75.000$, non abbastanza per il Sir. Comunque, un mese prima del Draft, Charles riceve una chiamata dalla sua futura franchigia con un aut-aut molto semplice: o dimagrisci fino a 285 pound (dalle sue 300 abituali) o ti passiamo. Chuck ci riesce, arriva a 283. La sera del Draft, in volo per Phila, il suo agente gli dice: “Lo sai che ti offriranno massimo 75.000$?” “75.000$? Devo lasciare Auburn per 75.000$? Questo è un problema” “E ora che hai in mente di fare?” “Usciamo”. Chuck si mangia anche i camerieri e si presenta con un ottimo peso forma di 302 pounds. Ecco, i Sixers se ne infischiano e lo draftano ugualmente, la sua faccia ed il suo completo rosso totalmente smarriti in mezzo a tante altre facce a fargli i complimenti. Per fortuna c’è in squadra l’uomo che successivamente chiamerà persino “Dad”: Moses Malone, che tra le altre cose riuscirà nella missione di fargli raggiungere il suo peso forma, oltre che a sostenerlo e rimproverarlo, proprio come un vero padre farebbe con il figlio.

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Comunque, torniamo a noi e al nostro 1993, perchè poi in fin dei conti Barkley è uno dei forse 3 giocatori (Elgin Baylor e forse Karl Malone) al quale veramente la mancanza dell’anello viene ingiustamente rinfacciata e messa in mezzo ad ogni discorso (esempio massimo Kevin Garnett un paio di anni fa, ma in quell’occasione Chuck nostro se l’è cercata). Approfondiamo la questione dell’MVP: due rivali, Mike da una parte, vincitore (ma va) degli ultimi due e candidato al terzo con uno score personale di 33 punti, 7 rimbalzi, 6 assist e 3 steal, dall’altra Chuck al primo anno ai Suns che ascendono rapidamente al grado di contender. Con Dan Majerle e Kevin Johnson a fianco le medie a tabellino sono impressionanti: 26 punti, 12 rimbalzi, 6 assist e 2 steal. Alla fine, i giudici optarono per una novità e scelsero Sir Charles. MJ forse non la prese bene e forse quando Barkley ne mise “46, 47” in Gara 2 gli volle recapitare un messaggio a forma di numero: 52, i punti che fece MJ quella stessa sera.

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Charles elevò il suo gioco a livelli mai visti, scavalcando nettamente l’asticella del livello che lo ha portato appena poche settimane prima all’MVP della Regular Season, si caricò veramente la squadra sulle spalle (squadra che probabilmente pagava la poca abitudine a partite così importanti, a sua detta giocarono le prime due gare molto contratti contro dei Bulls in piena rincorsa) ma si trovò al momento sbagliato nel posto sbagliato, contro il giocatore sbagliato.

Chuck si è preso gioco delle leggi del mondo per la durata della sua carriera ma gli dei del basket hanno deciso un destino beffardo per lui, come per tanti altri prima.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=3EcC2FC-8wo?feature=oembed]

Meglio raccontarvi allora un momento veramente felice: Barcellona ’92, le scampagnate solitarie sulla Rambla dove i turisti potevano ammirare panettieri, fioristi, ristorantini chic, ristorantini vegani, Stockton chiedere domande su Stockton e Charles Barkley a spasso come un turista, fermandosi al bar a prendere qualcosa ogni tanto e passeggiando come un classico americano grande e grosso e come una delle tante punte di diamante della squadra più forte della storia. Di giorno domina le Olimpiadi, di sera si gira Barcellona con quell’istinto da gran viveur che lo ha sempre contraddistinto, quella semplicità e schiettezza che troviamo ancora oggi in veste di opinionista per TNT. Possiamo essere d’accordo con lui o totalmente contrari, ma qualsiasi cosa faccia il Sir, state certi che farà parlare di sé. Un uomo solo al comando.

“Magari firmare 200 autografi al giorno non è il massimo, ma non riesco a stare fermo quindi meglio andare in giro piuttosto che imbestialirmi stando chiuso in stanza”.

PS: fu il miglior giocatore del Dream Team, semmai fosse necessario doverne scegliere uno.

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Clamoroso Lebron James, le sue parole sul possibile ritiro: “Ci devo pensare”

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Nella nottata italiana i Los Angeles Lakers di Lebron James sono stati battuti, e eliminati per 4 a 0, dai Denver Nuggets per 111-113. Lakers che non riescono a riaprire la serie e che manda i Nuggets alle Finals aspettando la vincente di Miami-Boston.

Oltre che per la sonora sconfitta sulle 4 partite, il mondo del NBA è rimasto scosso per le dichiarazioni di Lebron James nel post partita, che lasciano pensare ad un possibile ritiro:

“Ho molto su cui pensare a livello personale sulla possibilità di proseguire con il basket, devo riflettere a fondo”

Dichiarazioni bomba del 4 volte campione NBA, che nonostante abbia ancora 2 anni di contratto, con l’ultimo opzionale, non pare più cosi certo di voler continuare a calcare i parquet della NBA. L’idea a cui tutti pensavano era quelli che il “Re” avrebbe aspettato il draft del figlio Bronny, per giocare una stagione insieme a lui. Ha poi confermato alla domanda sul possibile ritiro ai microfoni di un giornalista ESPN.

Poco prima, sempre nella conferenza stampa post partita, si è espresso così su una domanda riguardante la sua visione sulla prossima stagione:

Vedremo cosa succede… non lo so. Non lo so. Ho molto a cui pensare a dire il vero. Personalmente, quando si tratta di basket, ho molto a cui pensare. Penso che sia andata bene, anche se non mi piace dire che è stato un anno di successo perché non sto giocando per nient’altro che vincere titoli in questa fase della mia carriera. Non mi diverto solo a fare una finale di Conference. L’ho giocata molte volte. E non è divertente per me non essere in grado di fare una finale di campionato”.

 

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[VIDEO] Finale di Basket islandese: parte un coro contro la Juventus

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Simpatico siparietto quello avvenuto sabato durante la finale Scudetto del campionato islandese di basket.
Durante un momento di pausa del match tra Valur Reykjavik e Tindastoll, lo speaker del palazzetto ha fatto partire la celebre canzone dei Ricchi e Poveri, “Sarà perché ti amo”.

Fino a qui nulla di strano, ma durante il ritornello, il pubblico si lancia nel celebre coro (di matrice milanista) contro la Juventus, proprio sulle note della canzone.

Un episodio che ha già fatto il giro del mondo e che ha strappato un sorriso a molti in Italia, anche ai tifosi bianconeri.

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Curry contro LeBron: sfavoriti a chi? Stanotte ritorna in scena il duello

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LeBron James Curry

Non saranno le Finals del quadriennio 2015/2018, ma questa notte sarà di nuovo Steph Curry contro LeBron James. E la Lega già si infiamma, per la serie che questi due talenti potrebbero mettere in piedi.

Il primo guida ormai dal 2009 i Golden State Warriors, con cui ha vinto 4 anelli e segnato un’epoca. Il secondo si è legato con i Los Angeles Lakers nel 2018, laureandosi campione NBA per la quarta volta nella sua storia la stagione successiva.

I PRECEDENTI

Nel 2018 i Golden State Warriors di Curry, Thompson, Durant e Green hanno spazzato via i Cleveland Cavaliers di LeBron James nelle Finals con un nettissimo 4-0. Da un lato abbiamo, probabilmente, la squadra più forte della storia come quintetto titolare. Dall’altro lato un roaster in evidente fase calante che LeBron James, se non da solo quasi, ha trascinato alle Finals. Le sue ottave Finals NBA consecutive, tra Miami Heat e Cleveland Cavaliers.

Nonostante il risultato senza repliche, infatti, dalle parti di Cleveland, King James fu idolatrato come una divinità, quando a fine anno svestì la casacca della franchigia dell’Ohio. Il motivo di tale amore incondizionato del pubblico dei Cavs è dovuto al fatto che il primo addio, che a tutti è sembrato un vero e proprio tradimento, commercializzato all’inverosimile con “The Decision“, è stato ampiamente colmato. Nella sua seconda avventura ai Cavs, LeBron ha portato la squadra ad un livello superiore. E, soprattutto, ha portato a casa il primo anello della storia della squadra. Lo ha fatto con un’impresa degna di nota: prima e unica volta nella storia che una squadra in svantaggio di 3-1 in una serie di Finals è riuscito a ribaltare e vincere.

Quell’estate, LeBron ha lasciato la sua Cleveland e la Eastern Conference, per sbarcare ad Ovest, per la prima volta in carriera, a quasi 34 anni. Con la casacca gialloviola, LeBron ha subito scritto la storia, vincendo il titolo nel 2020 e, soprattutto, tenendo alto il nome di Kobe Bryant, leggenda e volto storico dei Lakers tragicamente scomparso nel gennaio dello stesso anno. Ma dal 2018, non ci sono più stati scontri in un play-off tra Steph Curry e LeBron James. Ci si è andati vicini, se si pensa che nella stagione 2020/21 le due squadre si sono affrontate in un play-in, in cui è stato il King ad avere la meglio.

Ma si tratta di una sfida facilmente oltrepassabile. In primis, perchè non è reputata parte della post-season. In secondo luogo, perchè è stata una sola gara disputata, non una serie.

COINCIDENZA DELLE STELLE

LeBron James è di Akron, Ohio. Per tutti ora è “Il King“, ma per anni è stato “Just a kid from Akron“. Un’etichetta nata per erssere dispregiuativa e limitante nei suoi confronti e che ora, invece, lui stesso sfoggia con orgoglio. Il ragazzo venuto dal niente, in possesso solo di un talento sconfinato, schiacciato dalle attese sin dal suo ingresso nella Lega a soli 18 anni. Ed ora diventato leggenda.

Ma se andassimo a leggere, invece, data e luogo di nascita di Steph Curry, ritroveremo un nome familiare. Anche in questo caso, Akron, Ohio.

Le due stelle più rappresentative del basket americano degli anni 2010, vincitori di 7 titoli complessivi su 1o disponibili tra il 2010 e il 2020 concittadini. Nati nello stesso ospedale di Akron, a poco più di 3 anni di distanza. Quando le stelle (in questo caso, in senso astronomico) decidono di dare alla luce altre stelle (ora parliamo di Curry e James), il risultato non può che essere esplosivo. Stanotte, dopo 5 anni dall’ultima volta, i due si guarderanno di nuovo negli occhi in una serie da dentro-o-fuori valida per i Play-off. Con la consapevolezza che solo uno dei due potrà andare avanti.

La cosa più ironica, però, è che i due fuoriclasse sono arrivati a questa sfida scollandosi l’etichetta di chi li dava come “sfavoriti“. Memphis Grizzlies (avversari dei Los Angeles Lakers) e Sacramento Kings (avversari dei GSW) avevano dalla loro un miglior piazzamento in regular season e sembravano favoriti, con una eventuale Gara 7 in casa. Per i Grizzlies questa Gara 7 non si è neanche giocata. Curry, invece, ha letteralmente vinto quella giocata contro i Kings, con la migliore prestazione della storia in termi di punti segnati (50) in una Gara 7.

Da stanotte saranno l’uno contro l’altro, in una sfida che si prospetta già elettrica e piena di colpi di scena.

TUTTO SU SKY

La diffusione dell’NBA in Italia, ormai da anni, è governata da SKY. Su SkySport NBA (ed in streaming su NOW) sarà possibile assistere alle prime quattro gare in diretta e in replica. Si inizia stanotte alle 4:00 ora italiana.

Gara 1

LIVE nella notte tra martedì 2 e mercoledì 3 maggio ore 04:00

Repliche mercoledì 3 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Gara 2

LIVE nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 maggio ore 03:00

Repliche venerdì 5 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Gara 3

LIVE nella notte tra sabato 6 e domenica 7 maggio ore 02:30

Repliche domenica 7 maggio ore 14:00 e 19:30

Gara 4

LIVE nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 maggio ore 04:00

Repliche martedì 9 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Eventuali gara 5, gara 6 e gara 7 verranno comunicate in seguito.

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LeBron James supera Kareem: i 5 canestri più iconici della carriera del Re

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Nella notte LeBron James ha superato Kareem Abdul-Jabbar diventando così il miglior marcatore di tutti i tempi nella storia dell’NBA. Nella partita persa dai suoi Lakers in casa alla Crypto.com Arena contro gli Oklahoma City Thunder, il Re ha riscritto la storia: con un canestro in fade-away ha raggiunto quota 38.388 punti in carriera, aggiungendone due poco dopo, così da superare l’ex Bucks. Riviviamo insieme i cinque canestri più iconici della sua straordinaria carriera.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – TOMAHAWK DUNK CONTRO MILWAUKEE

Probabilmente la giocata più conosciuta del Re: il celebre passaggio dal suo compagno di mille avventure Dwayne Wade a inizio partita con i Milwaukee Bucks. Questa giocata ha dato vita ad una delle foto più iconiche della storia del basket e non è un caso che ci sia proprio LeBron a schiacciare in contropiede, mentre Wade esulta già a mani aperte.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – FADE-AWAY DEL PAREGGIO CONTRO GLI WASHINGTON WIZARDS

Come dimenticare uno dei canestri forse più complicati della sua carriera. Immaginiamo il momento: 117-120 per gli Wizards con 3.4 secondi sul cronometro. I Cleveland Cavaliers di LeBron James non hanno più timeout e devono rischiare la giocata. Sarà Kevin Love a lanciare la palla stile football americano per trovare LBJ che riceve spalle a canestro. Trova il tempo di guardare dove si trova, per poi mettere i piedi dietro la linea dei tre punti e sparare una tripla impossibile in fade-away. Risultato? Canestro con sponda sul tabellone e pareggia la partita (poi vinta 140-135) per forzare i tempi supplementari. Un canestro fuori dall’ordinario, un canestro da Re.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – SCHIACCIATA CONTRO HOUSTON IN MEMORIA DI KOBE BRYANT

LeBron James, come in generale tutti gli amanti del basket, è sempre stato molto legato alla figura di Kobe Bryant. Dopo la sua morte il 26 gennaio 2020, l’ex Miami Heat si è mostrato tra i più commossi durante le celebrazioni allo Staples Center (ora Crypto.com Arena). Qualche giorno dopo la sua morte, esattamente il 7 febbraio 2020, LeBron ha voluto ricreare una schiacciata che fece lo stesso Kobe ben diciannove anni prima. Il Re ruba palla, parte indisturbato in contropiede e piazza una schiacciata all’indietro sullo stesso parquet, nello stesso canestro di Kobe Bryant. Un tributo apprezzato da tutti i tifosi, una schiacciata che verrà ricordata da tutti con un significato particolare.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – POSTER SU JASON TERRY

Bisogna dire che LeBron James potrebbe riempire le pareti di casa sua con tutti i poster che ha collezionato in carriera, ma probabilmente il più iconico e “cattivo” è quello contro i Boston Celtics nel 2013. I suoi Miami Heat rubano palla e dopo aver ricevuto da Mario Chalmers, Norris Cole alza per LBJ che arriva a schiacciare sulla testa di Jason Terry. Il giocatore dei Celtics prova a saltare per contrastarlo, ma c’è poco da fare. Dopo aver aggiunto alla sua collezione uno dei poster più conosciuti della storia dell’NBA, James guarda per terra il povero Terry, spazzato via dal suo strapotere fisico. Dominante e fisicamente incontenibile sono due definizioni che probabilmente contraddistinguono il Re.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – BUZZER BEATER NELLA VITTORIA CONTRO I MAGIC NEL 2009

Si poteva mettere il fade-away di questa notte come ultimo canestro iconico, ma sarebbe troppo scontato. La scelta ricade su uno dei buzzer beater più decisivi della carriera di LBJ. Contro Orlando nel 2009, sul punteggio di 95-93 per i Magic con un 1.0 sul cronometro, la palla arriva al Re. La serie di playoff era partita male, sotto 1-0 dopo la prima sconfitta in casa e ci pensa proprio James a pareggiare momentaneamente la serie (poi persa 2-4). Rimessa per i Cavaliers, palla a LeBron che in “catch and shoot” spara da tre punti e sancisce la vittoria dei suoi Cavs per 96-95. Un buzzer beater da ricordare, il primo della sua carriera, per LBJ, nonostante poi la serie si sia conclusa con una sconfitta alle finali di conference.

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