È indiscutibilmente l’uomo del momento: il suo sorriso, la sua irriverenza hanno conquistato tutti, in primis il cuore dei tifosi del Liverpool. Oltre ad essere uno straordinario allenatore, Klopp ha felicemente scoperto di essere anche un ottimo giornalista: il tedesco ha infatti scritto una colonna sul quotidiano The Players Tribune, nella quale fa il punto sulla propria carriera. Fra aneddoti divertenti e il piacevole ricordo della vittoria in Champions, ecco spuntare anche il racconto del suo più grande errore.
ROCKY BALBOA
Alzi la mano chi non conosce il famoso personaggio interpretato Stallone. Il celebre protagonista del film Rocky avrebbe dovuto aiutare Klopp a motivare i propri giocatori prima di un match contro il Bayern Monaco, ai tempi del Borussia Dortmund, ma la reazione dei suoi ragazzi lo ha lasciato a bocca aperta:
“Vedete? Il Bayern Monaco è Ivan Drago. Il migliore di tutti! Ha la migliore tecnologia, le migliori macchine: è inarrestabili! Noi siamo rocciosi, siamo più piccoli, sì. Ma abbiamo la passione! Abbiamo il cuore di un campione! Possiamo fare l’impossibile! Sono andato avanti all’infinito, e poi, a un certo punto, ho guardato i miei ragazzi per vedere la loro reazione. Speravo che fossero in piedi sulle loro sedie, pronti a correre giù da una montagna in Siberia, diventando assolutamente pazzi, ma tutti sono rimasti seduti lì, guardandomi con occhi spenti, cosi ho capito. Aspetta, quando è uscito Rocky IV? 1980? Quando sono nati questi bambini? Alla fine, ho detto: “Aspettate un attimo, ragazzi. Alzi la mano chi conosce Rocky Balboa? Si alzarono solo due mani. Sebastian Kehl e Patrick Owomoyela. Tutti gli altri, “No, mi dispiace, capo”.
Un piacevole racconto che Klopp ricorda col sorriso, un po’ meno la scelta di allenare il Magonza, definito il suo errore più grande. Il tedesco infatti era stato un giocatore del club per 10 anni e quando è diventato tecnico del club la maggior parte dei calciatori erano suoi amici da sempre.
Cosi, al momento della scelta della formazione, Klopp andava a comunicarlo nelle stanze doppie, costretto a dire ad un giocatore che sarebbe sceso in campo mentre all’altro no. Quando i rapporti personali fanno irruzione nel mondo del lavoro, spesso si creano spiacevoli incovenienti. Cosi Klopp ha preferito lasciare il nido che per più di 10 anni lo aveva allevato per migrare verso nuovi orizzonti che lo hanno portato ad essere il top allenatore che oggi tutti conosciamo.
(Fonte immagine copertina: archivio)