Connect with us
Il sogno infranto della Sampdoria

Annate da sogno

Il sogno infranto della Sampdoria

Pubblicato

:

PAGLIUCA HANDANOVIC ONANA

Oggi, 20 maggio 2022, ricorre il trentennale del punto più alto della storia della Sampdoria: la finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona.
Oltre a quella partita, il ricordo dei tifosi blucerchiati va a tutto il percorso compiuto dai ragazzi di Vujadin Boskov per arrivare a Wembley, ed è giusto ricordare questa splendida cavalcata, iniziata a settembre 1991.

UN PO’ DI BRASILE

 “Give me a whisper and give me a sigh.  Give me a kiss before you tell me goodbye”
Il 17 settembre 1991 i Guns N’Roses pubblicano “Use Your Illusion I”, uno dei maggiori successi della band di Los Angeles.
Il giorno dopo, in un Ferraris vestito a festa, inizia l’avventura della Sampdoria nella Coppa dei Campioni. L’avversario è il Rosenborg, Campione di Norvegia e squadra decisamente alla portata dei blucerchiati.
Il protagonista del match d’andata è uno dei nuovi acquisti dei Campioni d’Italia, il brasiliano Silas, che disputa una delle pochissime gare degne di nota della sua esperienza genovese.
Dopo 12 minuti, Silas pennella un corner sulla testa di Lombardo, che sfrutta l’errata uscita del portiere norvegese By Rise e apre le marcature. Poco prima della mezz’ora i doriani raddoppiano, con Dossena che, dopo un gran lavoro di Vialli, sbuca in mezzo a due avversari e segna.
Il numero 10 (vista l’assenza di Mancini) sigla anche il 3-0 al 57’, poco prima di essere sostituito da Invernizzi. L’asse tutto brasiliano Silas-Cerezo fa pervenire un pallone d’oro in area al milanese, che non perdona.
Queste sono le ultime due reti in maglia blucerchiata per Dossena, che lascerà a novembre, in maniera improvvisa, passando al Perugia.
Sul 3-0 la Samp si rilassa per qualche minuto, prima di segnare altre due reti nel finale. Al 76’ Silas, dopo una prestazione decisamente altruista, si regala la gioia personale con uno splendido pallonetto dal limite. All’83’, infine, Lombardo fa una galoppata delle sue e spara una fucilata da fuori che non da scampo a By Rise.

IL FREDDO VICHINGO

“Io ti amo. Secondo me tu sei la più bella invenzione dopo i profiteroles e credo che mi sarebbero venute le convulsioni se non avessi potuto avere quel primo bacio.”
A fine settembre, nei cinema americani esce “La Leggenda del Re Pescatore”, film molto sottovalutato di Terry Gilliam, con due intense interpretazioni di Jeff Bridges e Robin Williams.
Il 2 ottobre 1991 la Sampdoria vola verso Trondheim, per sbrigare la formalità del ritorno con il Rosenborg.
I ragazzi di Boskov controllano la partita, colpiscono un palo con Buso e lasciano il pallino del gioco in mano ai norvegesi. Un super Pagliuca tiene in piedi lo 0-0 fino all’83’, quando Loken porta avanti i padroni di casa.
Il pubblico del Lerkendal Stadion, però, non ha nemmeno il tempo di festeggiare, perché Vialli riceve un lancio lungo, salta By Rise e pareggia. Nel finale arriva anche il 2-1 di capitan Mancini, su calcio di rigore.
Primo turno in archivio, dunque, il sogno blucerchiato continua.

A CASA DI FERENC

“What I’ve felt, what I’ve known, never shined through in what I’ve shown. Never free never me, so I dub the unforgiven”
“The Unforgiven”, secondo estratto dell’album “Metallica”, quinto lavoro della band statunitense, esce il 28 ottobre 1991, cinque giorni dopo l’andata del secondo turno di Coppa dei Campioni.
La Sampdoria vola in Ungheria, per affrontare la Honvéd, gloriosa squadra magiara, che ha dato i natali a Ferenc Puskás.
Alla Bozsik Arèna il primo tempo fila via senza troppe emozioni, ma l’imprevisto è dietro l’angolo.
Al 55’ un retropassaggio di Orlando sembra essere in controllo di Pagliuca e Vierchowod, ma lo Zar pasticcia (evento più unico che raro) e tocca troppo debolmente verso il suo portiere; come un rapace Pisont allunga la gamba e fa 1-0. Boskov desta i suoi dal torpore e i blucerchiati pareggiano dopo soli quattro minuti. Un cross di Vialli trova nell’area piccola Mancini, che colpisce un palo clamoroso, ma la palla viene raccolta da Toninho Cerezo che sigla l’1-1.
Il pareggio con gol sarebbe un risultato importante per la Samp in vista del ritorno a Marassi, ma ad un quarto d’ora dalla fine i magiari si riportano avanti. Ancora un retropassaggio, questa volta di Cerezo, mette in difficoltà Lanna, che calcola male il rimbalzo del pallone e permette a Cservenkai di siglare il gol decisivo.

STRADIVIALLI

“In alto i calici, facciamo un brindisi, poi resti qua e vedrà, soddisfatta se ne andrà. Stia con noi, sì con noi, qui con noi”
Il 13 novembre 1991 esce nelle sale americane “La Bella e La Bestia”, uno dei classici Disney più amati di sempre e primo film di animazione candidato agli Oscar come Miglior Film.
In quell’umido pomeriggio di metà novembre, la Sampdoria è già qualificata al girone di semifinale della Coppa dei Campioni. Sette giorni prima, infatti, il Ferraris assiste alla rimonta dei blucerchiati contro la Honvéd.
Dopo dieci minuti una punizione di Mancini pesca sul secondo palo l’inserimento, perfetto, di Lombardo, che di testa porta avanti i doriani.
La Samp corre un grande rischio, quando Vincze segna a tu per tu con Pagliuca, ma l’arbitro, fortunatamente, annulla per fuorigioco millimetrico.
La svolta della partita arriva al 26’, quando Gianluca Vialli compie il primo capolavoro della serata. Su un cross dalla sinistra di Lombardo, il numero 9 tocca di testa e si fionda all’inseguimento del pallone, anticipando prima un difensore e poi il portiere Gulyas in uscita.
Marassi deflagra, ma Vialli non ha ancora finito di stupire. In avvio di ripresa, infatti, riceve palla in area da Mancini (un passaggio di una delicatezza unica), controlla e conclude con un preciso diagonale di sinistro.
Gli ungheresi rientrano in partita a mezz’ora dalla fine, quando una rimessa laterale sbatte contro il ginocchio di Pari, che trova una beffarda autorete.
Il 3-1 permette ai blucerchiati di accedere al girone successivo, dove affronterà i Campioni uscenti della Stella Rossa, l’Anderlecht e il Panathinaikos.
Dall’altra parte del tabellone, invece, si sfideranno Barcellona, Dinamo Kiev, Sparta Praga e Benfica.

AL COSPETTO DEI CAMPIONI

“The show must go on. I’ll face it with a grin, I’m never giving in on with the show”
Il 24 novembre 1991 il mondo della musica piange la morte di Freddie Mercury, frontman dei Queen e vero e proprio idolo di milioni di persone.
Tre giorni dopo una Sampdoria in crisi riceve la Stella Rossa, nella prima partita del girone. Gli slavi sono un concentrato di qualità e forza fisica, grazie ai vari Mihajlović, Jugovic e Pancev, ma il clima che si respira a Belgrado non fa dormire sonni tranquilli alla squadra.
La partita del Ferraris viene decisa dai Gemelli del Gol, con un gol per tempo. Dopo sette minuti Vialli pesca in area Mancini, che riesce a concludere in rete, in maniera sporca, anticipando Nedelkovic.
Ad un quarto d’ora dalla fine, poi, arriva il raddoppio di Vialli, che riceve un lancio millimetrico di Mancini, salta un difensore e chiude i giochi.
Nonostante una partita sofferta, la Samp porta a casa una vittoria importantissima nella corsa verso la finale, anche in considerazione del pareggio tra Anderlecht e Panathinaikos.
Nell’altro girone, invece, il Barcellona supera a fatica lo Sparta Praga al Camp Nou per 3-2, mentre la Dinamo Kiev batte 1-0 il Benfica.

LA NEVICATA DI ATENE

“Don’t let the sun go down on me, although I search myself, it’s always someone else I see”
Nel freddo dicembre del 1991, in vetta alle classifiche musicali viaggia una copia esplosiva, formata da Elton John e George Michael, amici di vecchia data.
La Sampdoria, che non vince da fine settembre in campionato, gioca l’ultima partita europea del 1991, volando in Grecia, l’11 dicembre.
Appena scesi dall’aereo, lo spettacolo che accoglie i blucerchiati è incredibile: Atene è sommersa dalla neve. Anche lo stadio del Panathinaikos è completamente imbiancato, perciò la partita diventa una sorta di lotta nel fango.
I ragazzi di Boskov, nonostante l’andamento zoppicante in Serie A, in Coppa si trasformano e mettono in campo tutta la grinta di cui dispongono.
I greci cercano in tutti i modi di sfondare le resistenze di una squadra decisamente fuori forma, ma i doriani reggono e mantengono lo 0-0 fino alla fine. Un pareggio che mantiene la Samp prima nel girone, vista la vittoria per 3-2 della Stella Rossa contro l’Anderlecht, prossimo avversario dei liguri.

PASSO FALSO

“Would you know my name, if I saw you in heaven?”
Nel 1992 Eric Clapton torna in alto con la struggente “Tears In Heaven”, scritta in memoria del figlio Conor, morto un anno prima in circostanze tragiche.
La Sampdoria, con l’arrivo del nuovo anno, è tornata a macinare gioco e risultati, e il 4 marzo è tempo di sfidare l’Anderlecht a Bruxelles.
I belgi riportano alla mente dei tifosi blucerchiati molti ricordi felici, su tutti la vittoria in Coppa Delle Coppe del 1990. Purtroppo per i doriani, i biancomalva sono decisi a vendicarsi.
La Samp parte forte e passa alla mezz’ora, con un bel colpo di testa di Vialli su punizione di Mancini. Nella ripresa, i padroni di casa pareggiano con Degryse che sorprende Pagliuca con un tiro da lontano, ma ancora Vialli riporta avanti i blucerchiati con una fuga solitaria.
Negli ultimi venti minuti, però, la Samp subisce la doppietta di Nilis, che sfrutta due regali dei doriani e infligge la prima sconfitta nel girone ai ragazzi di Boskov.
La Stella Rossa ne approfitta immediatamente e supera in vetta i liguri, grazie al 2-0 di Atene.

LA RIVINCITA

I don’t ever wanna feel, like I did that day. Take me to the place I love, take me all the way”
Il 10 novembre i RHCP pubblicano “Under The Bridge” , secondo singolo del loro ultimo album, destinato a diventare uno dei maggiori successi della band.
Quattro giorni dopo, la Sampdoria ha un solo risultato a disposizione per sperare ancora nella finale: deve battere l’Anderlecht al Ferraris.
I blucerchiati non commettono lo stesso errore della partita di andata, e chiudono la pratica in due minuti, tra il 34’ e il 36’.
Il primo gol lo segna Lombardo, che mette dentro dopo un palo di Mancini, mentre il raddoppio lo segna lo stesso Capitano doriano, su imbeccata del numero 7.
L’assalto dei belgi nella ripresa non produce effetti, e la Samp può dunque iniziare a pensare alla sfida decisiva, contro la Stella Rossa. Gli slavi hanno battuto 1-0 il Panathinaikos, mantenendo un punto di vantaggio sui doriani.

L’INFERNO DI SOFIA


“Ain’t no mercy on the streets of this town. Ain’t no bread from heavenly skies.”
Il 31 marzo 1992 Bruce Springsteen irrompe nell’ultimo decennio del ‘900 con l’album “Human Touch”. Nonostante l’album venga accolto tiepidamente, la canzone omonima, struggente e toccante, riscuote un buon successo.
Purtroppo, mentre il Boss canta questo brano, sulla Jugoslavia i venti di guerra soffiano sempre più decisi, preludio ad una delle più tristi pagine della storia dell’umanità.
Una delle vittime indirette del conflitto che sta per iniziare è la Stella Rossa, che inizia lentamente a disgregarsi come il paese che rappresenta.
All’alba di aprile, il gruppo di Belgrado gioca la partita più importante della stagione contro la Sampdoria, ma non lo fa nel temibile Marakana, bensì alla Bulgarska Armia di Sofia, teatro di tutte le sfide casalinghe europee della Zvezda.
In Bulgaria, il clima è comunque arroventato, infatti sono più di ventimila i tifosi serbi che hanno intrapreso la trasferta, molti dei quali armati di mazze da hockey e pronti a dare battaglia anche al di fuori dello stadio. La maggioranza dei tifosi blucerchiati, fortunatamente, riesce ad uscire indenne dalla serata. Gli scontri sono pochi ed isolati, e i feriti non gravi, ma l’atmosfera è elettrica e i giocatori lo percepiscono. Uno su tutti, lo Zar, Pietro Vierchowod, che sfida apertamente i tifosi della Stella Rossa, uscendo per il riscaldamento a torso nudo e a testa alta, deciso a far capire a tutti che la Sampdoria non sarà una vittima sacrificale in quella serata.
Gli slavi, sospinti dai propri tifosi, iniziano decisamente forte la partita, e al 19’ passano in vantaggio. Il gol lo segna, su calcio di punizione, un giovane e riccioluto Sinisa Mihajlović, che proprio in blucerchiato vivrà quattro grandi stagioni, qualche anno più tardi.
I ragazzi di Boskov non si fanno intimorire dal gol subito e reagiscono subito, pareggiando poco dopo la mezz’ora.
Una punizione di Lanna trova in area Srečko Katanec, uno dei perni della squadra e, soprattutto, uno sloveno di Lubiana. La nazione di Katanec è stata la prima ad uscire dalla Jugoslavia, il 25 giugno 1991, riuscendo ad evitare il duro conflitto degli anni seguenti.
Srečko  colpisce di testa, la sua conclusione viene ribattuta e il pallone resta in mezzo all’area, dove lo sloveno è il più lesto di tutti a spedirlo in rete.
Sette minuti dopo, un lancio lungo di Ivano Bonetti trova la spizzata di Mancini; Vialli irrompe sulla traiettoria del pallone e lo controlla, ma, prima che possa calciare verso la porta, viene anticipato da Vasiljevic: autogol.
La ripresa, agonica per i tifosi blucerchiati, ha il suo momento chiave al 76’, quando i Gemelli confezionano il gol decisivo. Il marcatore è Roberto Mancini, che sfrutta al meglio tutta la sua classe, eludendo l’avversario e anticipando l’uscita di Milojevic.
La Samp è ad un passo dalla finale, ma c’è ancora una partita in programma, quella della festa.

THANK YOU, WE GO TO WEMBLEY

“This is the path I’ll never tread. These are the dreams I’ll dream instead. This is the joy that’s seldom spread”
Annie Lennox, ex voce degli Eurythmics, canta queste parole nella sua “Why”, uno dei brani cult dell’anno.
La gioia si diffonde al Ferraris, la sera del 15 aprile 1992, quando la Sampdoria sfida il Panathinaikos nell’ultimo match del girone.
Il colpo d’occhio è splendido, l’intero stadio genovese forma un’unica coreografia. Nella Gradinata Nord i tifosi scrivono “We Go To Wembley”, mentre la Sud, il cuore pulsante del tifo doriano scrive semplicemente “Thank You”.
In un’atmosfera da brividi, la partita finisce 1-1. Vanno in vantaggio dei greci, che provano a rovinare la festa segnando il loro primo gol nel girone, firmato Marangos, su azione da corner.
Dieci minuti dopo ci pensa un gioiello di Mancini, che praticamente dalla linea di fondo spara un destro micidiale.

IL PUNTO PIÙ ALTO, LA DELUSIONE PIÙ ATROCE

“You say, one love, one life, when it’s one need in the night. One love, we get to share it leaves you baby if you don’t care for it”
Il 3 marzo 1992 gli U2 pubblicano il singolo “One”, una delle canzoni d’amore più belle degli anni ’90.
L’amore che canta Bono è anche quello dei tifosi, che possono condividerlo, nei momenti belli e in quelli tristi.
Paradossalmente, il 20 maggio 1992, i tifosi della Sampdoria vivono una serata meravigliosa e crudele allo stesso tempo. Il punto più alto della storia blucerchiata, che coincide, però, con la sconfitta più difficile da digerire.
Sampdoria-Barcellona non è una finale inedita, le due squadre si sono già affrontate nel 1989, al Wankdorf di Berna, per la Coppa delle Coppe. I blaugrana vincono 2-0 contro una Samp incerottata e priva di alcuni cardini, soprattutto in difesa.
A Wembley, però, i blucerchiati, per l’occasione in divisa bianca, sono in formazione tipo, con Mannini, Vierchowod, Lanna e Katanec davanti a Pagliuca; Pari e Cerezo in mezzo al campo, sintesi perfetta di concretezza e fantasia, supportati sulle fasce da Lombardo e Bonetti, due cavalli pazzi. Davanti, ovviamente, Vialli e Mancini.
Il Barcellona, che gioca con la seconda divisa, arancione con inserti blaugrana, risponde con Zubizarreta tra i pali, protetto da Ferrer, Koeman e Nando. In mezzo al campo il trio Guardiola, Bakero, Laudrup, con Eusebio e Juan Carlos sulle fasce. Davanti il genio bulgaro, Hristo Stoickov e Julio Salinas, già giustiziere della Samp a Berna.
All’Empire Stadium arrivano 30mila tifosi doriani, un esodo in piena regola per l’appuntamento con la Storia.
La partita è decisamente più equilibrata di quel che si pensi e vive di fiammate improvvise. Nel primo tempo Zubizarreta e Pagliuca devono fare gli straordinari su Lombardo e Stoichkov. La ripresa, invece, offre le occasioni più pericolose. Prima è Vialli a mandare alto da ottima posizione un pallone offertogli da Lombardo, poi è ancora Stoichkov a far tremare i blucerchiati con un gran diagonale che si stampa sul palo.
Al 68’ ecco la sliding door della partita e della storia della Sampdoria. Vialli entra in area, su invito di Mancini, e vede uscire Zubizarreta con la coda dell’occhio. Il numero 9 blucerchiato tenta il colpo sotto e scavalca il portiere blaugrana; il pallone sembra andare verso la porta, ma l’ultimo rimbalzo lo porta a pochi millimetri dal palo. La rabbia di Vialli è tale da prendere a calci un tabellone pubblicitario, sa di aver appena fallito un’occasione d’oro.
Il match va ai supplementari, dove l’equilibrio regge fino al 112’. L’arbitro, il tedesco Schmidhuber, fischia un calcio di punizione dal limite per i blaugrana, per trattenuta del pallone da terra di Invernizzi.
Del tiro si incarica lo specialista, Ronald Koeman, che buca barriera e Pagliuca con un missile terrificante. Finisce così, con le lacrime di Vialli e Mancini e con la consapevolezza di aver perso un’occasione d’oro.
L’olandese diventa il boia della Sampdoria di Mantovani e Boskov, che si arena proprio sul più bello, non senza rimpianti.
La cavalcata dei doriani, però, rimarrà per sempre nel cuore dei suoi tifosi, e nei racconti di chi ha vissuto quei momenti magici, testimoni di un sogno finito troppo amaramente.

EPILOGO

Il Barcellona quella sera vince la prima Coppa dei Campioni della sua storia, l’inizio di un ciclo vincente che dura tutt’oggi. Una vittoria che ha radici nella serata più pazza della storia blaugrana, il 6 novembre 1991 a Kaiserslautern.
Per la Sampdoria, invece, la finale di Wembley rappresenta la fine di un ciclo iniziato il 3 luglio 1979 da Paolo Mantovani. Dopo la sconfitta contro i blaugrana l’addio di Vialli, nell’aria da qualche tempo, diventa ufficiale. Anche altri due pilastri doriani salutano a fine stagione, Toninho Cerezo e Fausto Pari, tra le lacrime di un Ferraris che, durante l’ultima di campionato contro la Cremonese, rende omaggio alla squadra più grande mai vista su quel terreno di gioco.

Continue Reading
Commenta

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Annate da sogno

L’ultima grande Lazio: la stagione 1999/2000 e la Champions League

Pubblicato

:

veron lazio

La Lazio torna dopo due anni di assenza a competere nella Champions League. I biancocelesti, nel gruppo E con Atletico Madrid, squadra con cui esordirà questa sera, Celtic e Feyenoord, potranno dire la loro per il passaggio del turno. Sarri dovrà trovare la migliore Lazio possibile nonostante il brutto avvio in campionato ma che ha fatto vedere le migliori qualità ad esempio nella vittoria contro il Napoli. Fra giocate di squadra nello stretto ed individuali, come Luis Alberto, probabilmente il miglior giocatore in questo momento, la formazione schierata dal tecnico toscano cercherà di esprimere il calcio migliore da proporre contro un avversario ostico, che preferisce lasciar giocare gli avversari.

A ritrovarli nel loro esordio della massima competizione europea sarà l’Atletico Madrid, con il Cholo Simeone sempre a guidare i Colchoneros. Proprio l’argentino ha vissuto uno dei migliori momenti della carriera nella Capitale, sponda ovviamente biancoceleste. All’epoca giocatore e centrocampista, Simeone ha fatto parte di una rosa straordinaria che ha conquistato il titolo di campione d’Italia nella stagione 1999/2000. Proprio in quella cavalcata, parallelamente alla Serie A, la Lazio ha raggiunto il miglior risultato di sempre nella sua storia in Champions League.

Andiamo quindi a scoprire la rosa diventata storica per il club visti i traguardi raggiunti.

“Mi viene la pelle d’oca ricordando gli anni in cui i tifosi mi amavano tantissimo e mi davano sempre tanto calore. Sono stati anni di calcio ben giocato qui e abbiamo vinto tanto insieme”.

Diego Simeone nella conferenza stampa pre Lazio-Atletico Madrid

LA ROSA CAMPIONE D’ITALIA

La miglior Lazio capace di raggiungere i quarti di finale della Champions League ha una rosa storica e iconica per ogni tifoso della squadra capitolina. Guidati da Sven-Goran Eriksson, allenatore svedese conosciuto per il suo gioco combattivo e cinico, i biancocelesti saranno infatti una formazione molto unita, che non verranno spesso trascinati da un singolo. Una vera e propria coesione dove titolare o subentrante sapeva perfettamente cosa svolgere in campo. Lo dimostra soprattutto la cifra dei gol segnati dal principale attaccante, Marcelo Salas, che siglerà 12 gol in Serie A e sarà anche l’unico della rosa a superare la doppia cifra.

In porta, Luca Marchegiani era il titolare. La difesa veniva composta da una linea a 4 con Giuseppe Pancaro e Paolo Negro, sulla corsia sinistra e di destra, a completare il reparto difensivo composto dai due centrali Nesta e Mihajlovic, difensori forti nel contrasto ma dalla tecnica raffinata, soprattutto per il serbo, data anche la grande quantità di punizioni segnate in carriera. Abili dunque a far ripartire l’azione, i centrali venivano spesso schermati ed aiutati nella fase difensiva da un mediano: Sensini in primis e Almeyda poi erano designati perfettamente in questo ruolo. L’ex Parma e Udinese riusciva a ricoprire anche più ruoli come il terzino o il difensore centrale per via delle sue grandi doti difensive, ma dal piede abile per l’impostazione.

Il centrocampo era poi formato da altri due argentini ad accompagnare l’azione: Juan Sebastian Veron e Diego Simeone appunto, autore del gol che riaprirà la corsa scudetto contro la Juventus. Per l’ex Parma sarà a livello realizzativo la miglior stagione dal punto di vista realizzativo, con doppia cifra raggiunta fra Serie A e Champions. Per il Cholo invece, dotato di grande corsa e anche senso dell’inserimento per colpire di testa, veniva affidato un ruolo per aiutare il regista. Sugli esterni, ecco che si trovavano i due equilibratori della squadra, abili nell’aiutare la squadra anche in fase difensiva ma soprattutto a cambiarne il volto in attacco. Nedved a sinistra e Conceicao sulla destra erano in grado mettere in difficoltà l’uomo, il primo con la palla al piede e dagli strappi micidiali, il portoghese invece con la sua intelligenza tattica per gli inserimenti.

In attacco, troviamo due attaccanti principali: Marcelo Salas, che come detto in precedenza è risultato il miglior marcatore della squadra, e Simone Inzaghi. I due attaccanti non risultavano quasi mai in campo contemporaneamente, con il cileno preferito da Eriksson per la sua abilità nel giocare sul corto per via della tecnica eccelsa, mentre Inzaghi preferito per il lancio lungo alla ricerca della profondità. In rosa erano poi presenti altri elementi dove spiccano soprattutto i nomi di Dejan Stankovic, ancora acerbo per guadagnare un ruolo fondamentale con questi giocatori in campi, e l’ex Juventus Boksic che insieme a Mancini hanno svolto per lo più il ruolo di seconde punte. Per via dei tanti problemi fisici i due non hanno saputo dare il contributo decisivo alla squadra.

L’AVVENTURA IN CHAMPIONS LEAGUE

La Lazio nel 1999/2000 disputa la sua prima Champions League della storia. Qualificata come seconda nel campionato precedente e dalla forza della squadra, giunge come formazione più forte del suo girone. Sorteggiata nel gruppo A, finisce insieme all Dinamo Kiev, Bayer Leverkusen e Maribor. Rispettando le aspettative, la Lazio conclude alla grande la prima fase a gironi vincendo 4 partite e pareggiando le restanti. Nelle seconda fase le cosi si fanno più complicate visto anche il livello degli avversari: nel gruppo con il Chelsea di Zola, il Feyenoord e Marsiglia i biancocelesti perdono la loro prima partita con gli olandesi. Ma il pareggio all’Olimpico e la decisiva gara giocata a Stamford Bridge vinta contro i Blues per 2-1 grazie alla rete da vero numero 9 di Inzaghi ed alla straordinaria punizione di Mihajlovic. Con i francesi invece arrivano due vittorie.

La corsa verso il sogno più importante si interrompe però ai quarti di finale, quando la Lazio pesca il Valencia, futura finalista di quella competizione. Prima al Mestalla gli spagnoli si impongono con un grande 5-2, quasi impossibile da rimontare. Infatti, il gol di Veron risulterà inutile nella gara di ritorno, finita 1-0 per i padroni di casa.

I TRAGUARDI RAGGIUNTI

Nonostante l’amarezza dell’eliminazione in Coppa, a livello europeo la Lazio può vantarsi di un prestigioso trofeo internazionale vinto a inizio stagione: la Supercoppa Europea. Contro il Manchester United di Sir Alex Ferguson campione d’Europa in carica, con un gol di Salas la squadra di Eriksson si impone per 1-0. Dopo un match di campionato contro il Sunderland, tanti anni dopo lo scozzese rilasciò questa intervista riguardo ai ricordi più amari dopo 25 di fila sulla panchina dei Red Devils. Uno di questi fu proprio legato alla Supercoppa del 1999:

“Nel 1999 abbiamo perso la Supercoppa Europea contro la Lazio che in quel momento era la migliore squadra al mondo ed è forse questo il ricordo più amaro”.

Oltra alla Serie A conquistata all’ultima giornata, anche la Coppa Italia, terza nella storia della Lazio, viene vinta dai biancocelesti, assoluti dominatori in Italia in quella stagione. Nella doppia finale contro l’Inter è decisiva la gara di andata vinta per 2-1, mentre al ritorno ci sarà solo uno 0-0.

Continua a leggere

Annate da sogno

Tre italiane in finale nelle coppe europee: fortuna o rinascita del nostro calcio?

Pubblicato

:

Inter, Lautaro viene insidiato da Barella nel ruolo di nuovo capitano interista

È indiscutibilmente l’anno dell’Italia, almeno per quanto riguarda il mondo del calcio. Tre italiane in finale nelle tre coppe europee era qualcosa di difficilmente pronosticabile a inizio anno. E non solo: quello che stupisce ancora di più è il numero delle squadre che sono riuscite a farsi strada durante il loro cammino nelle competizioni continentali. Abbiamo portato ben tre team ai quarti di finale di Champions League, due in semifinale di Europa League (in cui abbiamo sfiorato una finale tutta italiana) e, per la seconda volta consecutiva, una in finale di Conference League.

Non si può non elogiare il percorso e la crescita di quasi tutte le compagini della nostra nazione e in molti si sono chiesti se questo non possa essere il punto di partenza per un nuovo dominio italiano in Europa, come fu a cavallo fra gli anni ’90 e i primi del 2000. La domanda ha ovviamente senso, non solo considerati i risultati di questa stagione ma anche per il fatto che la nostra Nazionale (pur non riuscendo tristemente a qualificarsi per il Mondiale) è la detentrice del titolo europeo, conquistato appena due anni fa.

Altri, un po’ più pessimisti, hanno tirato in mezzo anche la fortuna di aver avuto dei sorteggi favorevoli. E quindi a cosa credere? Abbiamo realmente avuto solo fortuna o c’è qualcosa in più? Affrontiamo la questione con una semplice analisi dei fatti per scoprire a che punto è il nostro calcio e se potremmo rivedere questo exploit delle nostre squadre nel prossimo futuro.

LE DIFFERENZE FRA CHAMPIONS, EUROPA E CONFERENCE LEAGUE

Sarebbe fuorviante affrontare la questione in maniera unica per tutte le squadre italiane e anche farlo non considerando le differenze fra le tre coppe europee. Champions, Europa e Conference League sono, infatti, tre competizioni studiate per fini diversi e per compagini diverse. Prendiamo in considerazione l’Europa League e la Conference League. Come sappiamo queste coppe sono un’opportunità per le squadre di medio/alto livello del panorama calcistico continentale. Non indicano la squadra più forte d’Europa ma ci aiutano a valutare un parametro importantissimo: il livello dei vari campionati europei.

La salute della classe media è in molti casi un sintomo della salute di una società e, nel mondo del calcio, queste due competizioni sono quelle che più di tutte ci indicano lo stato di salute di un movimento. Nel caso dei club italiani, possiamo tranquillamente dire che, visti i risultati in queste competizioni in questi ultimi anni, il nostro calcio sta molto più che bene.

In EL abbiamo avuto quattro squadre arrivate almeno in semifinale nelle ultime quattro edizioni e in ECL per la seconda volta di fila una nostra squadra può giocarsi la coppa. Questo ci porta a ragionare sul fatto che il livello medio della Serie A è molto alto anche rispetto agli altri campionati europei di punta. Se ci riflettete, questo è anche il motivo per il quale la lotta Champions in queste ultime stagioni del campionato italiano si è fatta sempre più avvincente.

Un livello tale che ha fatto sì che venissero create delle rose altamente competitive per queste due competizioni e l’auspicio per il futuro è che le italiane possano ambire di anno in anno alla vittoria di queste due coppe europee. Purtroppo, va fatto un discorso diverso per la terza coppa, la più importante, la Champions League.

IL CAMMINO DELLE ITALIANE IN CHAMPIONS LEAGUE

La coppa “dalle grandi orecchie” è quella che racchiude l’élite del calcio europeo. Non solo, è anche innegabile come siano sempre i soliti top club del continente ad accedere alle fasi più avanzate del torneo. Squadre come Manchester City, Real Madrid, Bayern Monaco, tutti squadroni pensati per vincere il trofeo ogni anno. In questa stagione abbiamo però assistito a un vero e proprio dominio del nostro calcio anche nella manifestazione più importante.

Tolta la Juventus, l’unico club che rispetto ai precedenti anni ha avuto una flessione, Inter, Milan e Napoli hanno dimostrato, aiutate anche da un campionato maggiormente competitivo e, dunque, più “allenante”, di avere delle rose molto ben attrezzate anche per poter dire la loro. E, soprattutto, di poter giocare un calcio al livello di quello dei top club europei.

L’Inter, per arrivare fino in fondo, ha dovuto superare un girone di ferro con Bayern Monaco e Barcellona. Il Napoli ha affondato il Liverpool, finalista della precedente edizione, e ha, per lunghi tratti, giocato un calcio tra i migliori d’Europa. Il Milan è rinato grazie allo strepitoso lavoro di Pioli e Maldini. Tutte realtà in crescita, come lo sono anche Roma, Lazio e Fiorentina. Ma, dunque, possiamo ripetere l’exploit di quest’anno anche nelle prossime Champions League?

QUANTO HA INFLUITO LA FORTUNA?

Purtroppo dobbiamo anche affrontare il fatto che, probabilmente, abbiamo anche avuto un po’ di fortuna. Come ci ha insegnato Niccolò Machiavelli non dobbiamo sottovalutare l’operato di questa forza che l’uomo può a volte controllare, ma che spesso va al di là delle nostro operato.

È innegabile, quindi, che il sorteggio dei quarti di finale, che ha posto ben tre italiane in un lato del tabellone, è stata una contingenza che ha influito molto sul prosieguo della competizione. Una situazione che difficilmente potremo rivedere nei prossimi anni, salvo eventuali ulteriori aiuti della Dea bendata. Quindi? Dovremmo prendere questa strepitosa stagione delle italiane nelle coppe europee come unica e irripetibile e frutto solo della fortuna?

RIPARTIRE DA QUI

Come abbiamo detto, è innegabile il miglioramento di quasi tutte le nostre squadre da un punto di vista tecnico, tattico e gestionale. È vero, la fortuna ha in parte influito, ma non si possono nascondere le virtù delle nostre società. Ecco, proprio questa parola sarà il cardine dei prossimi anni del calcio italiano. Non a caso un concetto nuovamente machiavellico: la virtù, ovvero la forza che l’uomo contrappone alla fortuna, quando questa decide di voltarci le spalle.

Se per Europa League e Conference League la forza delle nostre squadre ci permetterà di lottare sempre per la vittoria, per la Champions League ci troveremo, già dall’anno prossimo, a fare i conti con delle realtà superiori a noi. Ma non possiamo lasciarci sfuggire l’opportunità che questa stagione calcistica ci ha offerto, ovvero quella di dimostrare che anche noi possiamo tornare ad ambire a grandi traguardi.

Il nostro movimento può e deve ripartire da questa stagione per poter progredire ulteriormente e le nostre società muoversi per far sì che questo non sia un anno unico e irripetibile, ma che, col tempo, diventi la norma. Far sì che, con le proprie forze, i club italiani riusciranno a raggiungere posizioni di vertice nelle coppe europee (anche in Champions League) a prescindere dall’aiuto che la fortuna sceglie di offrirci.

Continua a leggere

Annate da sogno

Henrikh Mkhitaryan: l’equilibratore dell’Inter

Pubblicato

:

Mkhitaryan

L’acquisto di Henrikh Mkhitaryan nella scorsa finestra estiva di mercato da parte dell’Inter è stato uno di quei colpi che non hanno di certo esaltato i tifosi. Non che sia stato un acquisto criticato, ovviamente, ma neanche uno di quei colpi col botto. Un centrocampista, arrivato a parametro zero, in grado di aggiungere qualità alla manovra ma, in fin dei conti, solamente un buon rimpiazzo per Calhanoglu o Barella. Nulla di più di un completamento del roster nerazzurro.

In pochissimi di noi si sarebbero però aspettati una sua centralità nello scacchiere tattico di Simone Inzaghi oggi, alla vigilia di una storica semifinale di ritorno di Champions League. In una stagione in cui Mkhitaryan è sì partito inizialmente dietro nelle gerarchie dell’Inter, ma è risultato, alla lunga, decisivo per lo strepitoso percorso dei nerazzurri in tutte le competizioni.

DUTTILITÀ

L’intelligenza, qualora volessimo prendere dei parametri per giudicarla, si nota anche dalla flessibilità e dalla duttilità di una persona. Al sapersi ambientare al contesto anche a prescindere dalle difficotà. Ebbene, questo concetto calza perfettamente alla personalità di Mkhitaryan. Una persona, prima ancora che un calciatore, che ha saputo adattarsi e trarre il meglio da ogni esperienza. Parla sette lingue: armeno, russo, inglese, portoghese, francese, tedesco e, ovviamente, l’italiano. Con un laurea conseguita all’Istituto di Cultura Fisica in Armenia.

Nel frattempo ha insegnato calcio in Germania, al Borussia Dortmund di Jurgen Klopp, poi in Inghilterra all’Arsenal e al Manchester United. Ed è proprio qui che la sua intelligenza calcistica prende forma. Mkhitaryan è un tuttofare, un centrocampista in grado di ricoprire ogni zona del campo, dal trequartista all’esterno, con una tecnica unica ma, soprattutto con uno spirito di sacrificio unico.

Infine, l’arrivo in Italia. Alla Roma parte da trequartista, giocando in maniera superlativa, salvo poi arretrare il suo raggio d’azione come mediano insieme a Cristante. Ruolo in cui il suo apporto passa molto più in sordina ma grazie al quale diventa essenziale per Mourinho, sia in Campionato che in Conference League. Da questa stagione all’Inter, per Mkhitaryan si prospettava un progressivo declino, soppiantato dai vari Brozovic, Barella e Calhanoglu, titolari inamovibili per Inzaghi. Ma ecco che il suo apporto è tornato a essere determinante anche a Milano in un nuovo ruolo, quello di mezzala, grazie al quale l’armeno è diventato fondamentale per i nerazzurri.

LA SUA IMPORTANZA PER L’INTER

La sua intelligenza rara lo ha portato a rendersi indispensabile per le logiche tattiche di Inzaghi. Certo, nel suo passaggio a un ruolo da titolare ha inciso molto l’infortunio di Brozovic, ma la sostituzione del croato con Calhanoglu come vertice basso di centrocampo è stata anche permessa proprio dall’armeno.

Come dicevamo, il sapersi adattare è una delle caratteristiche delle persone illuminate, e Mkhitaryan ha un’abilità speciale nel sapersi muovere in sintonia con i suoi compagni di reparto. La sua accuratezza nei movimenti senza palla gli permette di smarcarsi per offrire una linea di passaggio. La tecnica gli permette di gestire il possesso, sia facendo fluire il pallone con velocità, sia portando egli stesso la sfera in conduzione. La sua tenacia e il suo spirito di sacrificio (pur essendo un 34enne) lo portano, inoltre, a unire alle sue doti qualitative quelle quantitative che per caratteristiche non dovrebbero competergli.

È così che lo si trova spesso a intercettare le linee di passaggio avversarie o andare a contrasto. O anche a sopperire alle avanzate offensive di Calhanoglu, retrocedendo ulteriormente la sua posizione. O, al contrario, sfruttare le sue doti nell’inserimento per spingersi in area quando Barella è impossibilitato a farlo. Sono tutte doti che il numero 22 mette di partita in partita a disposizione dei nerazzurri. Mkhiratyan è il tuttocampista perfetto per l’Inter, l’ago della bilancia essenziale sia in fase offensiva che difensiva.

Non a caso, anche la sua collocazione tattica la dice lunga. Il ruolo di mezzala sinistra, che possiamo definire a tutti gli effetti come il secondo regista della squadra, che, prima di lui e Calhanoglu, fu di un altro illuminato del gioco come Christian Eriksen. E in cui lo stesso Inzaghi adattò, nei suoi anni alla Lazio, Luis Alberto, la fonte creativa di maggior spicco dei biancocelesti in quegli anni. Un ruolo che, dunque, richiede doti uniche per un giocatore, soprattutto per quanto riguarda l’intelligenza tattica. E chi se non Henrikh Mkhitaryan poteva essere l’uomo giusto per ricoprirlo?

 

 

Continua a leggere

Annate da sogno

L’eterno Modric contro lo scorrere del tempo

Pubblicato

:

modric arabia saudita

È ormai quasi certo il rinnovo di Luka Modric con il Real Madrid. Il centrocampista croato prolungherà ulteriormente la sua già strepitosa carriera, regalandoci il lusso di vederlo giocare anche nella prossima stagione con la camiseta blanca, quando compirà 38 anni. Quasi a non volerci concedere i commenti lusinghieri con il quale vorremmo elogiarlo al termine della sua carriera. No, lui è e continuerà ad essere il faro che illumina le notti del Santiago Bernabeu, beffandosi persino del Padre Tempo.

Certo, ormai siamo sempre più abituati a vedere le carriere dei giocatori prolungarsi fino a tarda età. Visto che siamo in un’epoca di veri e propri super atleti che, in alcuni casi, riescono a fronteggiare anche l’inesorabile scorrere del tempo. Ma per Modric bisognerebbe fare un discorso a parte, visto il ruolo peculiare che riveste, quello del centrocampista. Un giocatore che dovrebbe teoricamente essere il “motore” della squadra, sia dal punto di vista mentale che fisico. Ebbene, il diez croato ha sicuramente dovuto sviluppare un’intelligenza fuori dal comune (e non solo calcistica) per saper essere ancora così decisivo in uno dei club più prestigiosi al mondo e nelle competizioni più importanti. E soprattutto, a saper andare oltre i limiti impostigli dall’età.

UN DOMINIO CHE DURA DA UN DECENNIO

Grazie al suo imminente rinnovo con il Real Madrid, Modric si appresterà a vivere la sua undicesima stagione con le Merengues. Un traguardo assurdo se consideriamo che la carriera del Folletto di Zara in Spagna non era iniziata nel migliore dei modi. Dopo la prima stagione, molti sostenitori madridisti lo additavano addirittura come il peggior acquisto della storia dei Galacticos.

Serve l’arrivo di Carlo Ancelotti l’anno successivo per porlo definitivamente al centro del Real Madrid e a portarlo nell’Olimpo del calcio. Già dalla vittoria della Décima, propiziata proprio da un suo assist per il gol di Sergio Ramos allo scadere della finale contro l’Atletico Madrid.

Da lì inizia la mistica del Real di questo decennio, capace di dominare il calcio continentale come nessuno mai nella storia. Dopo la Décima, arriva il trittico di trionfi dal 2016 al 2018. Un three-peat che non era mai successo in epoca moderna. Modric è al centro del gioco. La stella è ovviamente Cristiano Ronaldo, ma il tempo saprà anche effettivamente svelare che, dietro al magistrale lavoro di CR7 sotto porta, si celava anche il genio tattico e tecnico del trequartista croato. Che, infatti, sopravanza il portoghese proprio nel 2018. Al Mondiale in Russia, Modric trascina la Croazia a una storica finale, che gli vale anche il Pallone d’Oro della stagione, scavalcando proprio il nativo di Madeira.

Ecco, sembrava proprio quello il canto del cigno. Dopo quell’incredibile anno, sia il talento di Modric che l’efficienza di quel Real Madrid parevano affievolirsi fino a sembrare anche anacronistici per il calcio ultra fisico di questi ultimi anni. O forse era solo una pausa scenica, prima del ritorno della scorsa stagione. In cui la Casa Blanca torna a dettare legge in campo europeo, ammantata da un alone di invincibilità che ha più a che fare con il misticismo che con le logiche sportive. Il trionfo in Champions e in Liga della stagione 2021/22, il ritorno della Croazia sul podio mondiale, tutte gesta in cui Modric è uno degli artefici massimi. Decisivo come non mai nonostante il sacrificio dal punto di vista fisico che il tirannico Padre Tempo gli chiede di volta in volta.

Eppure Modric è sempre lì, all’apice, quasi come se anche il tempo, oltre che lo spazio sul terreno di gioco, si pieghino al suo volere. A un passo dall’ennesima semifinale in Champions League con il suo Real Madrid, che prima di accantonarlo deve prima scontrarsi sempre con il fatto che il croato è sempre e comunque fondamentale.

COME FA A SFIDARE IL TEMPO?

Purtroppo c’è da dire una cosa importante. Non sarà il nativo di Obrovac a sconfiggere il Padre Tempo e continuare a giocare all’infinito. Per il semplice fatto che questo è un avversario al quale, prima o poi, ogni mortale è costretto a piegarsi. E, infatti, anche a veder giocare Modric adesso, nel Real Madrid o nella Croazia, si può notare come il suo dominio tecnico e fisico nelle partite va via via affievolendosi.

Si deve purtroppo constatare come Modric non ha più la corsa, la resistenza, il fisico per poter illuminare ogni singolo momento della stagione. Il Padre Tempo, che gli ha dato la gloria, sta pian piano chiedendogli il conto, togliendogli la dinamicità dei giorni migliori. Ma è proprio qui che risiede l’immensa intelligenza di Modric. Anche lui ha capito che non può sconfiggere l’avanzare inesorabile dell’età. Ma grazie alle sue doti intellettive fuori dal comune ha anche capito come dilatare il più a lungo possibile i suoi giorni di maestosità.

Non riuscendo più a rendere al 100% sul lungo periodo, non gli resta che rimanere quasi dormiente, anche per lunghi tratti della partita e della stagione. Ma scegliendo accuratamente i momenti clou, in cui riversare, anche se per un periodo limitatissimo di tempo, tutta la sua classe. È così che nei big match della scorsa fase finale della Champions League o al Mondiale in Qatar, è risultato ancora una volta determinante. Mutuando un’espressione del basket NBA, Modric è diventato il giocatore clutch per eccellenza. Magari non sempre ai suoi massimi livelli in stagione, ma ingigantendo il peso specifico delle sue giocate in proporzione alla crucialità del momento.

È IL MIGLIOR CENTROCAMPISTA DI SEMPRE?

Che Modric sia già nel Pantheon dei grandi del calcio è un fatto assodato da tempo. Ciò che rimane da chiedersi è se non sia addirittura il migliore del suo ruolo in ogni epoca. Può sembrare un’affermazione forte, divisiva, ma probabilmente non lontanissima dalla verità.

Ovviamente, lungi da noi sbilanciarci in questo modo in suo favore, visto che, nella quasi totalità dei casi, è impossibile rispondere a certe domande. L’unico dato che possiamo analizzare è però questa sua abilità nel poter dilatare il tempo, che in pochissimi hanno avuto in passato. Parliamo di una ristrettissima élite di centrocampisti, come Iniesta, Pirlo, Xavi e Zidane. Probabilmente gli unici che hanno vinto quanto Modric in carriera e che hanno spinto il loro fisico nell’impresa di duellare con i limiti imposti dall’età.

Pirlo e Xavi, per esempio, hanno smesso di giocare ad altissimi livelli lo stesso giorno, dopo la finale di Champions League fra Barcellona e Juventus del 2015, rispettivamente a 36 e 35 anni. L’ultimo atto della carriera di Zizou è stata l’indimenticabile finale del Mondiale 2006 contro l’Italia, lasciando il calcio da trascinatore della sua nazionale a 36 anni. Iniesta (che comunque è ancora un giocatore del Vissel Kobe, in Giappone) lascia il Barça a 34 anni da Campione di Spagna. E poi c’è Luka Modric che, in realtà, sulla carta, ha solo un anno meno di Don Andres, ma che sa ancora regalare emozioni ai più alti livelli di questo sport. E lo farà anche l’anno prossimo, quando compirà 38 primavere. Almeno questo possiamo tranquillamente affermarlo: nessuno ha saputo duellare con il Padre Tempo più a lungo di lui.

 

 

 

 

 

Continua a leggere

I nostri approfondimenti

Giovani per il futuro

Esclusive

Fantacalcio

Serie A

Trending

Scarica L'App

Copyright © 2022 | Testata giornalistica n.63 registrata presso il Tribunale di Milano il 7 Febbraio 2017 | numero-diez.com | Applicazione e testata gestita da Número Diez SRL 12106070969