La nostra redazione ha intervistato una personalità, che, grazie alla sua battaglia quotidiana, sta cercando di sconfiggere il revenge porn, fenomeno assai dilagante nella società di oggi. Non datele l’appellativo di paladina di tale lotta, perché Ilaria Di Roberto non lo è. L’attivista femminista, nonché scrittrice, si è concessa ai nostri microfoni per parlare della sua storia, che ci aiuta a capire quanto questa tematica possa avere deleteria nella vita delle persone comuni e di quelle più conosciute. Anche il mondo del calcio, infatti, è stato investito dalla suddetta piaga; Diana Di Meo e Greta Beccaglia sono due vittime della fenomenologia, che la nostra interlocutrice illustra di seguito.
Il revenge porn è una problematica pronunciata nel mondo dello sport e del calcio, in quanto si sono verificati diversi episodi che hanno contribuito a dare clamore. Quanto questo viene amplificato tale clamore in relazione agli universi precedentemente enunciati?
“In primo luogo, vorrei specificare che il revenge porn rappresenta la diffusione illecita e non consensuale di materiale di contenuto esplicito, che viene condiviso con il/la proprio/a partner in virtù di un patto di fiducia, rintracciabile nel sentimento stesso. Quando si parla di sexting, si fa un altro tipo di ragionamento, perchè questo è lecito. La condivisione è deliberata da ambo le parti: ci si scambia del materiale vicendevolmente con la promessa che questo materiale non verrà diffuso altrove. Per quanto riguarda il mondo del calcio si sa che ci sia del patriarcato a gogo. Il sessismo è purtroppo amplificato e viene incoraggiato attraverso le narrazioni: per esempio, ricordiamo il caso di Greta Beccaglia, la reporter, che due anni fa all’incirca, venne palpata da alcuni tifosi allo stadio. Molte persone, nell’opinione pubblica, sempre per attenersi a quella visione, per cui l’uomo ha diritto di fare tutto, in quanto considera la donna un oggetto, hanno detto che quei tifosi non hanno fatto nulla di che alla collega. È stata solo una palpata. Anche alcune donne si sono espresse, dicendo che quella non è stata violenza sessuale. Tra le vittime di revenge porn, inoltre, voglio ricordare anche l’arbitro Diana Di Meo. Quando ha denunciato è stata vittima dei medesimi soprusi: a lei dicevano che faceva delle foto con il seno da fuori“.
“Le persone in questione, dimenticano che, alla base della violenza sessuale, ci sono tante altre “micro violenze”. Nel mondo del calcio si sottolinea spesso come questo sport non sia per signorine, ad esempio, come disse, anzitempo, Guido Ara nel 1909. Tuttavia, va detto che la prima squadra di calcio femminile si è formata nel 1933: le tempistiche non sono recenti, ma non sono nemmeno tanto distanti dai nostri giorni. Malgrado sia una realtà abbastanza radicata, si sono verificati diversi anche all’interno dei gruppi squadre. Molte donne, però, hanno contrastato questo tipo di condotte all’interno del mondo del calcio: ad esempio, a Calcutta, nel 2019, alcune ragazze musulmane hanno giocato una partita di calcio per contrastare il patriarcato“.
Perchè la società decide di incolpare la vittima di tali problematiche piuttosto che il reale colpevole? Che tipo di conseguenze può avere il revenge porn nella vita di uno sportivo o di un personaggio famoso?
“C’è un macro sistema, che Margaret Lazarus definì, nel 1895, “cultura dello stupro”, giustificante il “revenge porn”; ad oggi, chi è vittima di tale problematica è stigmatizzata a “poco di buono”. Da qui abbiamo il “victim blaming”, che è quella fase, secondo cui si attribuisce in maniera parziale o totale la colpa dell’accaduto. Questa è molto ricorrente nelle aule di tribunale e anche all’interno del compartimento delle forze dell’ordine. Purtroppo sussiste quello che definirei un copione. Una donna vittima di violenza deve ottemperare a determinate caratteristiche, avendo, per esempio un volto livido. La violenza psicologica, purtroppo, non si può mostrare. Per questo motivo una donna crea un meccanismo, che consiste nell’illusione del controllo. Questa tenderà a non adottare delle condotte promiscue, finendo con il penalizzarsi da sola. Tuttavia, così, non si rendono conto che diventano complici del sistema patriarcale di cui abbiamo parlato“.
Quando hai appreso della notizia di personalità sportive e calcistica che sono state coinvolte nel revenge porn, hai avuto l’impulso di contattarle e sostenere la loro posizione, visto il tuo trascorso?
“Molto spesso mi è stato affibbiato l’ingrato titolo di paladina. Io non mi sento una paladina. Penso di essere una donna come chiunque altra. Tuttavia, ho avuto il coraggio di urlare il proprio dolore. Volevo che la mia storia diventasse di dominio nazionale per arrivare il più celermente possibile alla giustizia. Quindi, intendevo dare un supporto a tante altre donne. Occuparmi di altre donne mi permetteva di distrarmi da quelli che erano i miei problemi. Io mi sono interfacciata con Diana Di Meo, quando si è verificata la casistica. Volevo fare un’intervista con lei per conto di una testata giornalistica, che prima era un blog. Poi, non abbiamo avuto modo di sentirci; intanto, ho avuto modo di esprimerle tutta la mia solidarietà e comprensione. Quindi, ci siamo confidate in merito alle nostre esperienze. Ho visto che le critiche che riceveva non erano così dissimili a quelle che ricevevo io. Inoltre, ho contattato Greta Beccaglia, quando ho subito violenza. Lei ha condiviso il mio messaggio di denuncia tra le sue storie. Il contatto con loro non ha avuto un proseguo, ma è finito lì. In ogni caso, ho cercato di dare il mio sostegno alle vittime di revenge porn anche quando la notizia non diventava di dominio pubblico“.
Venendo al tuo trascorso personale, quanto questo confronto ti ha aiutato a evitare estremi estremi reiterati? Tu hai tentato due volte il suicidio…
“Io ho tentato il suicidio per la prima volta il 23 dicembre 2019, a cui ha fatto seguito un nuovo tentativo a febbraio 2020. In tutti e due i casi, mi hanno salvato mia madre e mia sorella. A seguito del mio trascorso, avevo perso il controllo di me stessa. Soffrivo di anoressia e questo problema si è ripresentato con il revenge porn. Io sono stata messa a ludibrio sui siti porno e anche a livello di messaggistica su Whatsapp. Le conseguenze sono infernali: ho perso lavoro, venivo molestata anche quando andavo a fare la spesa. Una volta mi è stato negato l’appuntamento dal parrucchiere, perchè si vergognavano a ricevermi nel negozio; sono stata picchiata; a cadenza settimanale mi infilano escrementi, urine o profilattici usati nella cassetta della posta o davanti la porta. Io ho documentato tutto e gli atti sono sul tavolo della Procura, ma non hanno ancora fatto nulla. A livello personale, io non sono libera di fare nulla: per esempio, per andare a buttare l’immondizia devo munirmi di spray e peperoncino. Non sono libera di parlare al telefono, perchè registrano tutto quello che dico. E come se non bastasse, non ho più amici e un minimo sostegno, se non quello della mia famiglia. Adesso basta: voglio riprendere in mano la mia vita, che sto recuperando grazie alla poesia e alla stesura del mio libro“.
Questa situazione è stata denunciata da te sia istituzionalmente che a livello narrativo. Da dove nasce quest’idea editoriale e cosa riusciamo a rinvenire di “interessante” rispetto a questa piaga, raccontata attraverso i tuoi occhi?
“Non sono diventata scrittrice, perchè vittima di revenge porn. Io ho utilizzato la scrittura per parlare di revenge porn e violenza. Quello che ho scritto a riguardo della tematica appena illustrata (Tutto ciò che sono, ndr) è il mio secondo libro e nasce con l’intento di presentare una figura diversa e insolita della vittima di revenge porn. Il mio obiettivo è quello di andare oltre le vicissitudini con il mio libro. Io non sono Ilaria, vittima di violenza. Bensì sono una scrittrice, sono stata una ballerina e sono, innanzitutto, una donna. Analizzo me stessa in tutte le sfaccettature, perchè l’universo delle donne è sfaccettato da tanti aspetti, spesso invalidati e annientati. “Tutto ciò che sono” nasce nella sera delle prime sabbie mobili, in cui ho tentato per la prima volta il suicidio. In quel momento ho cominciato a mettere su carta le mie sensazioni. Non volevo scrivere un libro, ma volevo creare un diversivo a ciò che mi stava accadendo. Quella che ho scritto è una raccolta di monologhi, racconti, poesie. Lo stile narrativo è empatico: io voglio utilizzare la scrittura sia come terapia per me stessa, ma anche per gli altri. Inoltre, voglio che il lettore o la lettrice empatizzino con il mio vissuto, in maniera tale da acuire la loro consapevolezza e riconoscere possibili ed eventuali violenze. Vorrei sfatare un cliché: per via della copertina rosa, si pensa che questo libro sia indirizzabile solo alle donne: la realtà è che è rivolto anche agli uomini, che possono prevenire certi atteggiamenti. “Tutto ciò che sono” manifesta anche il mio amore per la scrittura e per il ballo. Inoltre c’è una buona dose di ironia, che connota questo scritto: ci sono dei momenti in cui minimizzo quanto mi è accaduto e altri in cui illustro della serietà nel racconto degli accaduti di revenge porn. Lo scritto è stato premiato come Libro dell’Anno 2022 sempre dall’Associazione Area Cultura di Roma, in cui sono stati premiati anche Amedeo Goria e Michele Cucuzza. E non è tutto: l’elaborato verrà presentato il prossimo 8 marzo in un evento firma copie all’Ècate Caffè Libreria di Milano alle 18:00″.