Prima sconfitta ufficiale per Mancini da quando gli è stato affidato il compito di commissario tecnico. Ieri sera, a Lisbona, il Portogallo ha prevalso sugli azzurri con il risultato di 1-0. Sconfitta che va a gravare una non facile situazione nel girone di Uefa Nations League. L’Italia era partita con un 1-1 contro la Polonia, un punto piuttosto buono, anche solo per dare inizio al girone. Dopo il pareggio di Bologna era però necessaria una vittoria contro la formazione lusitana. Adesso gli azzurri si trovano con un piede e mezzo nella Lega B, a meno che non faccia due risultati alquanto positivi al ritorno e gli altri due match del girone la favoriscano.
LA PARTITA

Il “Mancio” cambia quasi interamente la formazione rispetto la gara con la Polonia. Ben nove le novità presenti sul terreno di gioco, gli unici confermati Donnarumma e Jorginho. Cambia anche il modulo. Si passa da un 4-3-3 ad un 4-4-2 con Bonaventura largo a sinistra e Chiesa largo a destra. Spazio a Zaza e Immobile davanti.
Sin dal primo tempo l’Italia è in difficoltà. Fatica, enorme fatica ad uscire dal primo pressing portato dai portoghesi sui nostri difensori. La mancanza di un regista basso quale Bonucci ha i suoi effetti. In zona offensiva i terzini italiani, Lazzari e Criscito, sono spesso troppo alti ed espongono la formazione azzurra ai veloci contropiedi avversari che, con Bruma da una parte e Bernardo Silva dall’altra, producono sempre dei pericoli.
PROBLEMI EVIDENZIATI

Le fasce sono state uno dei problemi più gravi di ieri sera. Lazzari in fase offensiva ha disputato una discreta partita, abituato a giocare in un centrocampo a 5. Purtroppo, il Portogallo si ritrovava sempre in superiorità numerica sulla fascia destra quando attaccava. Il gol del vantaggio lusitano arriva anche da questo. Bruma ruba palla a Caldara proiettandosi solo verso la porta, con il giocatore della Spal ancora intento a rientrare. Bruma serve Andrè Silva, che di sinistro batte un incolpevole Donnarumma. Sulla corsia opposta Criscito, a differenza di Lazzari, tendeva a convergere centralmente durante il ripiegamento difensivo. Ciò lasciava uno spazio non indifferente a Bernardo Silva, che poteva muoversi con estrema libertà.
Zona nevralgica del gioco, che ieri è sembrata praticamente assente, è stato il centrocampo. Guidato dall’inedita coppia formata da Jorginho e Cristante, il reparto ha riscontrato un’enorme fatica a manovrare. È oramai riscontrato che l’italo-brasiliano dia il meglio in un centrocampo a tre, con le due mezzali che si inseriscano molto e quindi attirino su di loro l’attenzione difensiva avversaria. Il giocatore oriundo si trova così non eccessivamente pressato e può sviluppare l’azione. Il compagno Cristante si è messo in mostra solo per una quantità spropositata di palloni persi. Non appare neanche come un lontano parente di quello visto a Bergamo. Mancini si aspettava evidentemente un cambio di rotta per giustificare la sua preferenza rispetto a Benassi, che tanto bene sta facendo a Firenze. Scelta che non ha minimamente pagato.
IL PORTOGALLO

Discorso diametralmente opposto per il Portogallo. La squadra di Fernando Santos è apparsa sempre in controllo della situazione, anche verso la fine del primo tempo, unico momento in cui ha avuto alcune difficoltà difensive. Pur senza Cristiano Ronaldo si può notare come la squadra portoghese sia oramai collaudata e i giocatori si conoscono profondamente, e ciò favorisce la formazione di un gioco identificabile. Bernardo Silva e Bruma, in coincidenza con i problemi degli azzurri sulle fasce, sono stati i due migliori in campo. Contropiedi letali che sono arrivati anche dopo la loro uscita dal campo, con Gelson Martins in particolare a dare subito problemi anche nel lavoro di pressing. Evidente anche la solidità del centrocampo lusitano, con Carvalho a dare tanta gamba e sostanza e Ruben Neves, in costante crescita anche nel Wolverhampton, a smistare saggiamente il pallone.
TOP E FLOP

Donnarumma è probabilmente l’unico a salvarsi della compagine azzurra. Ottime le sue parate sia su Bernardo Silva che su Renato Sanches, entrambe effettuate nella seconda metà di gioco. Incolpevole sia sul gol di Andrè Silva, che sul gol di venerdì sera realizzato da Piotr Zielinski. Difficile identificare un unico flop nella formazione capitanata da Ciro Immobile. Si è visto un Federico Chiesa profondamente diverso rispetto alla partita con la Polonia. Tanto impegno, come di consueto, ma poca concretezza. Spento anche Ciro Immobile, mai realmente pericoloso.
La perplessità più grande si rivela, almeno per quanto riguarda ieri, Roberto Mancini. Giusto dare spazio ad alcuni volti nuovi (se non li si prova adesso, quando?), ma stravolgere completamente la formazione negli interpreti e nello schema è sembrato un azzardo eccessivo. Giusto anche chiedersi se gli elementi che dovrebbero costituire la nazionale del futuro siano davvero pronti da un punto di vista non tanto professionale, quanto personale. Per reggere la pressione data dalla casacca del proprio paese bisogna essere preparati, ma al momento pare che al di fuori dei club, dove molti giocatori brillano, abbiano enormi difficoltà.
COSA MANCA?

Mancano tante cose a questa nazionale. In primis manca un’identità di squadra, difficile da creare con continui cambi tra i convocati prima e nelle formazioni poi. Più avanti, comunque, è lecito aspettarsi che Mancini si affidi ad un determinato gruppo. Rientra in questo discorso l’assenza di trame di gioco, ed una propensione offensiva pressoché nulla. I pericoli creati sono sempre esigui. Tutti i migliori attaccanti italiani, dal punto di vista del rendimento nei club, finora si sono persi: da Immobile a Balotelli, visibilmente fuori forma, passando per un Insigne mai positivo con la maglia azzurra. La pecca più grande rimane comunque a centrocampo. Ad oggi De Rossi, per qualità tecniche e carismatiche, rimane il nostro miglior elemento a 35 anni. Gagliardini e Cristante (così come Jorginho), allo stato attuale, non possono prenderne il posto. Un profilo intrigante potrebbe essere quello di Barella, convocato dall’attuale c.t. ma mai schierato in campo (anche questo, paradosso non indifferente). Periodo non certo prolifico neanche per quanto riguarda i terzini: si è rivelato necessario riscoprire Criscito, a 32 anni, mentre altri si ritrovano con una maglia da titolare in Nazionale quando non la trovano nei rispettivi club (come Palmieri e Zappacosta).
Insomma, stiamo vivendo una fase di transito. Giovani talentuosi non mancano, ma il contesto in cui devono emergere non li aiuta e rallenta la loro maturazione tecnica e mentale. Non resta che aspettare, pazienti, e il più possibile uniti.