Mateo Kovacic è uno di quei pochi giocatori che, se milita nella propria squadra del cuore, si fa benvolere sin dai suoi primi tocchi di palla.
Ancor prima di un assist, di una giocata decisiva, di un gol. E c’è un perché.
Non è solo la sua faccia pulita o la sua professionalità encomiabile.
Non si può infatti non notare la facilità e la naturalezza, piuttosto, con cui il giocatore spezza raddoppi di marcatura, pressing collettivi degli avversari o qualsivoglia tentativo di isolamento in mezzo al campo.
Così come non si può non rimanere meravigliati dalla tranquillità con cui infila verticalizzazioni al millimetro che cambiano volto ad una azione, quando e come vuole lui.
Acquistato nell’estate 2013 dall’Inter, che sborsò più di 10 milioni di euro nelle casse della Dinamo Zagabria per un ragazzino neanche ventenne, viene prelevato due anni più tardi dal Real Madrid ‘pigliatutto’ per quasi 35 milioni.
E si sa come la società nerazzurra non abbia combinato tantissimo in quei due anni: sottolineo questo aspetto per supportare l’ipotesi che il giovane croato abbia saputo mettersi in mostra anche in un contesto prevalentemente poco motivante, tanto da incuriosire prima e convincere poi una società che, a centrocampo come negli altri reparti, aspira alla perfezione (e in alcune prestazioni ci va piuttosto vicino).
Probabilmente, Florentino Perez e soci erano ben consapevoli di avere già in casa il miglior maestro per un talento grezzo del genere, stante nel più anziano e connazionale centrocampista modello, Luka Modric.
L’unico vero difetto per cui Kovacic riusciva ad offuscare le sue giocate cristalline in maglia nerazzurra era un ingenuo e quasi puerile innamoramento del pallone: con una squadra che si muove poco – e malino – attorno a sé, Kovacic finiva spesso per tenere il pallone fra i piedi uno, due, tre tocchi in più di quello che i ritmi e gli spazi della Serie A ti concedono.
Lo sbarco in un campionato “più giocato” e in una compagine tutt’altro che in carenza di automatismi, sistemi di gioco e risultati ha permesso a Mateo di ambientarsi gradualmente e positivamente, concedendogli di osservare da vicino (in allenamento, come dalla panchina, come sul prato del Bernabeu) i maestri del centrocampo merengue, che di tocchi in più del necessario ne fanno veramente pochi.
Non a caso, quando poi gli è stata offerta la possibilità di giocare e di esibirsi, Kovacic si è dimostrato immediatamente più pragmatico, più concreto, più preciso.
Senza rinunciare ai suoi ‘strappi’ palla al piede, alle sue giocate migliori, semplicemente concedendosele al posto giusto nel momento giusto.
Una capacità, quella di calcolare e limitare i rischi, che una volta appresa gli è valsa il graduale ma costante inserimento nelle formazioni che settimana dopo settimana hanno costruito la fortuna del Real Madrid degli ultimi due anni.
https://www.youtube.com/watch?v=viFavNXq9C8
La gestione centellinata e certosina del giocatore da parte di Zidane si evince dai dati sulle sue presenze in campionato nelle due stagioni in camiseta blanca: 25 apparizioni il primo anno, 27 il secondo, ma fermandoci qui diremmo pochissimo.
Ciò che fa la differenza è la natura delle presenze: il primo anno, 17 volte su 25 è subentrato a partita in corso, solo 3 volte gli sono stati concessi i 90 minuti. Nella stagione appena conclusa, invece, 19 volte ha iniziato la partita, rimanendo in campo fino al triplice fischio nella metà (9) di queste occasioni.
Un dettaglio non indifferente considerata la panchina del Real Madrid (spero il corsivo sia sufficientemente eloquente) ma giustificato e legittimato da uno sconcertante 91% di precisione passaggi che lo pone secondo in graduatoria tra i centrocampisti della Liga con più di 20 presenze. Il primo, forse non per caso, è Toni Kroos (92%).
Fonte: Squawka
Ecco allora che con questi numeri, a 23 anni e considerato il fatto che ancora non può essere il faro del centrocampo galactico due volte di fila Campione d’Europa, potrebbe venire la sana tentazione di diventare, da subito, il regista e la stella di un’altra squadra.
Prima fra tutte il Tottenham, che ancora non si è mosso sul mercato e potrebbe giocarsi Dele Alli come fondamentale pedina di scambio.
Se poi la destinazione non convincesse, è superfluo dire che ci sarebbero manciate di grandi club pronti a fare follie qualora il giocatore fosse messo ufficialmente sul mercato (in Italia, Milan e Napoli).
A meno che il Real non compri altri centrocampisti tra i migliori in circolazione, però, sarebbe imprudente interrompere proprio adesso un processo di crescita che porta dritto dritto a sostituire – prima o poi – Modric, ereditando le chiavi del gioco madridista.
Anche perché non esistono acquari migliori al mondo dove decidere di essere, almeno per un altro anno, ‘il piccolo pesce’. Che poi tanto piccolo non è.