Non sono il tipo da piangersi addosso, ma stare fuori per così tanto tempo non è mai bello, si crea una serie di dubbi anche chi ha esperienza come il sottoscritto. Rientrare e sentire l’affetto della gente è il motivo per il quale gioco a calcio.
Rialzarsi. Senza piangersi addosso e senza mollare. Come un’araba fenice, Emiliano Viviano è rinato ancora una volta dalle sue stesse ceneri, per l’ennesima volta, dopo continue lotte contro il Fato. Si è ripreso il proprio regno, si è ripreso il proprio trono, dentro quell’area a protezione della porta; il boato della Sud ha accolto di nuovo il portiere fiorentino al Ferraris dopo tanti mesi d’assenza, a causa di un guaio al ginocchio che lo ha tenuto fuori dai campi per 5 mesi. Mesi lunghi ed estenuanti, a tifare per i compagni e per il suo fidato collega Puggioni – che lo ha degnamente sostituito – e a vederli sudare nei mesi estivi durante la preparazione, quando lui faticava per ore ed ore nelle sedute di fisioterapia. Da solo e senza guanti.

Come detto, non è la prima volta che il buon Emiliano risorge dalle sventure di una carriera mai sbocciata secondo quelle che erano le aspettative: già da ragazzino gli inizi non erano stati promettenti, quando nel 2002 era il guardiano della porta della sua Fiorentina, seppur a livello giovanile, ma fu costretto ad abbandonare la barca dopo il crac finanziario firmato Cecchi Gori, che ha seppellito la società viola condannandola al fallimento e alla rinascita nella vecchia C2. Strappato da casa suo malgrado, per colpa vicende che non lo toccavano minimamente, e costretto ad accettare una destinazione diversa (Brescia) per avere più possibilità di sfondare: a proposito di ciò, lo stesso Viviano dichiarò di aver preso la decisione corretta, visto che molti dei suoi compagni che rimasero nella cantera viola anche dopo il fallimento si ritrovarono a navigare tra il professionismo ed il dilettantismo, mentre pochissimi si sono guadagnati le massime serie a suon di sacrifici e di gavetta (uno su tutti Marco Biagianti, ma anche Quagliarella che andò a Firenze proprio l’anno della C2).
Poi gli esordi tra i professionisti con la maglia di Brescia prima e Bologna poi, e con i rossoblu assaggia in un anno la Serie A e la maglia della nazionale maggiore, che gli varranno le attenzioni dei top club italiani. Ci pensa l’Inter, che vorrebbe farne il nuovo Julio Cesar, ma una volta che Viviano arriva in nerazzurro le sfortune si abbattono su di lui; una partitella d’allenamento maledetta gli “regala” una rottura del legamento crociato, in un modo maligno e ai limiti del tragicomico; un retropassaggio errato di un compagno, una corsa disperata per evitare il calcio d’angolo e lo scivolone che porta al crac. 6 mesi di stop e sogno nerazzurro che si allontana.

L’Inter apparentemente ci crede ancora, e sceglie di mandarlo in prestito a Palermo per provare a recuperarne il talento e soprattutto il minutaggio. Qualche discreta prestazione e niente più, e nel frattempo la società nerazzurra sceglie di puntare su Samir Handanovic. A quel punto però arriva l’occasione della vita, quella che il Fato già una volta gli aveva tolto, negandogli il sogno di indossare la maglia della sua squadra del cuore: chiama Pradé, che nel 2012 ha il compito di ricostruire una Fiorentina allo scatafascio. E come partire meglio, se non con un tifoso viola DOC?
Per me sarà il momento più bello della mia vita, sarà un orgoglio indossare la maglia viola, che sia per un giorno, cento o per tutta la vita. (…) Sono cresciuto con i miti di Batistuta, Rui Costa e Toldo, ma quello che contava veramente era quel simbolo che portavano sul cuore.
Firenze aveva trovato il Totti che ha Roma, il Maldini che ha avuto la Milano rossonera. Ma purtroppo per Emiliano, soltanto per un anno: troppa forse la pressione, troppo l’amore che il fiorentino nutriva per la maglia che indossava. Troppo per difendere i pali della sua squadra a cuor leggero. Un anno intenso passato tra prestazioni dignitose, qualche errore catastrofico (ad esempio un Roma-Fiorentina 4-2) e poche partite veramente brillanti: il tutto contornato da un riscatto reputato troppo elevato, e quindi ancora una volta niente di fatto.

Poi un anno all’Arsenal da comparsa, una bella esperienza estera ma senza mai calcare il campo per una stagione, fino all’approdo in blucerchiato. Sotto la Lanterna genovese Viviano si è ritrovato, ha conosciuto un ambiente stimolante e adatto al suo carattere, apparentemente quieto e celato sotto il suo sguardo sempre un po’ perso nel vuoto, ma realmente caldo e vivo, passionale per natura. I colori lo hanno preso, quel blucerchiato che è famoso in tutto il globo, e il suo rapporto con la tifoseria è eccezionale, come dimostrato dalle sue esultanze sotto la curva quando un compagno segna, o, come già detto, come sentito al momento del boato che ha riaccolto in campo Viviano.
Ovviamente il rientro di Viviano porta anche dei vantaggi a livello tecnico e tattico all’assetto di Mister Giampaolo: a dispetto di quanto si creda, il portiere è ormai diventato un giocatore fondamentale in fase di possesso palla, in quanto avere un estremo difensore abile tecnicamente permette di avere praticamente un giocatore in più al momento della costruzione dell’azione. Avere un portiere come Viviano dà proprio questo vantaggio alla Samp, perché col suo mancino ha dimostrato di poter essere quasi un regista difensivo della squadra, quantomeno migliore di Puggioni che, per quanto possa essere bravo tra i pali, non è un portiere eccelso tecnicamente. Inoltre Viviano aumenta sicuramente la qualità tra i pali e nelle uscite, oltre che aggiungere la sua capacità di pararigori, come visto nelle ultime stagioni. Chiedere a giocatori quali Birsa, Berardi, Candreva e tanti altri, gente che raramente fallisce dal dischetto.
Viviano porta quindi qualità sia tra i pali che al di fuori della porta, porta carisma ma soprattutto porta grande voglia di rivalsa. Per vincere la sua battaglia personale contro il Fato e per riprendersi quanto perso in questi anni con la maglia blucerchiata.
