Per conoscere la storia e soprattutto le peculiarità di un calciatore sudamericano, bisogna partire sempre dal suo apodo, dal suo soprannome. James Rodriguez in Colombia è sempre stato “El Bandido”. Non per cattive abitudini, ma perché un bandito, per definizione, inganna: dissemina trappole, fa imboscate e si prende il bottino. Esattamente quello che James fa agli avversari ogni volta che scende su di un campo da calcio.
Molto del suo talento lo ha preso dal padre naturale, Wilson James Rodriguez. Ex giocatore professionista, anche ex Nazionale colombiano. Curiosamente, Wilson James era destro di piede, non un mancino cristallino come il suo prodigioso erede. In molti in Colombia giurano che il talento del figlio non sia molto superiore a quello di papà, uno che aveva la stessa palla mortifera in profondità e anche la stessa cannonata dalla distanza. Un craque vero. Con una differenza però. A James ogni tanto scappa il controllo del cibo, anche perché fino a che non è arrivato in Europa non poteva goderne sempre a sazietà. É la storia, tutt’altro che romanzata, di tanti sudamericani, compresi molti di quelli che oggi fanno trepidare le ricche piazze del football europeo. A suo papà invece succedeva la stessa cosa con l’alcool. É stato il motivo per il quale la sua carriera è finita presto, forse anche quello per cui ha abbandonato prestissimo la famiglia.
James Rodriguez è infatti cresciuto con la mamma e con il patrigno, fondamentale nel suo sviluppo come calciatore: quando il piccolo James sfidava tutti, nei campetti di Ibagué dove è cresciuto sempre in compagnia di un pallone, spesso vinceva, ma non sempre. Non molto spesso, ma ogni tanto c’era qualcuno più forte di lui. E in quelle zone, vai avanti solo se sei il più forte di tutti. James ha dovuto diventarlo e lo ha fatto grazie alle sedute infinite di allenamenti personalizzati a cui lo ha sottoposto il patrigno. Specialmente sui calci da fermo, che sono una sua specialità. E sono anche stati il suo vero trampolino.
Bisogna tornare al 2004. James ha dodici anni e gioca quella che gli appare come la partita più importante della sua vita. In qualche modo, lo è stata davvero. É la finale del Pony Futbol, un famoso torneo giovanile colombiano. Viene addirittura trasmessa in televisione, e cattura gli occhi di qualsiasi talent-scout che orbiti nel Paese. Lui è il leader dell’Atletico Tolimense, e lo ha portato in finale a suon di gol. Gli avversari, che vengono da Cali, sono però più grossi e probabilmente anche più forti. Ma perdono, perché James segna ben due gol olimpici, direttamente da calcio d’angolo, diventando il trionfatore della finale.
Lo nota e lo prende Gustavo Upegui, un controverso dirigente del club Envigado: fu assassinato nel 2006, e si disse che faceva parte della malavita. Però, finché fu in vita, rimase totalmente incensurato. E comunque, di calcio ne capiva, visto che dalle sue mani sono usciti giocatori come Guarin, Quintero, Giovanni Moreno e appunto James.
James che nell’Envigado debutta a quattordici anni, e a quindici è protagonista di una promozione nella massima serie. Poi a sedici anni fa il viaggio verso l’Argentina, va al Banfield dove, pur essendo un giocatore della prima squadra, vive nel pensionato della società. Là, non sempre la signora che si occupava di fare da mangiare ai virgulti del “Taladro” riusciva ad arrivare in tempo, e allora a lui toccava andare a giocare avendo mangiato solo un paio di brownie che riusciva a trovare in dispensa. Per questo James ogni tanto non resiste alla fame, perché l’ha sofferta. Anche sul campo ha tanta fame, e con i biancoverdi del Banfield vince il suo primo titolo a diciotto anni, il primo e unico nella storia del club che ha visto la fioritura di stelle come Palacio, Camoranesi, il Jardinero Cruz e soprattutto Javier Zanetti.
Da lì l’Europa, il Porto, che gli fa un contratto da oltre cinque milioni all’anno e con cui in tre stagioni vince sette trofei. Poi il Monaco, dove rimane una sola stagione sfornando 10 reti e 14 assist in 38 partite, una stagione – quella 2013/2014 – conclusa in bellezza come capocannoniere e giocatore rivelazione del Mondiale 2014.
Poi il Real Madrid, che lo paga ottanta milioni e con cui in tre anni vince due Champions League, due Supercoppe, 2 Mondiali per Club e una Liga: qualcuno sostiene che con la maglia blanca ha steccato, ma i numeri rispondono dicendo che (fra gol, assist e rigori procurati) ha partecipato a 76 reti in 111 partite. Numeri che in fin dei conti supportano anche il suo biennio al Bayern, dove forse si è ritrovato in uno dei rari momenti confusionari della storia bavarese, dove ha ritrovato solo per poco il suo “padrino europeo” Ancelotti, dove si sente dire che abbia fatto male, ma da dove se ne va con cinque allori conquistati in due stagioni e un record che dice anche in questo caso che ha partecipato a 35 reti in 67 presenze.
E adesso la Copa America, con il sogno di riportare la Colombia a vincere dopo diciotto anni. Poi le sirene italiane, che possono far presa. É maturo James, sa che questo è il momento di svolta. Rimane sempre “El Bandido”, percui occhio ai suoi inganni e alle sue trappole. Però mai come ora, il piano non deve essere quello di un assalto isolato a una carovana. Deve essere, adesso, il colpo della vita.
Fonte foto di copertina: Profilo Instagram James Rodriguez