Amici Ivoriani, del nord e del sud, dell’est e dell’ovest, oggi vi abbiamo dimostrato che la Costa d’Avorio può convivere e giocare insieme per lo stesso obiettivo: la Coppa del Mondo. Vi avevamo promesso che avremmo unito la popolazione. Vi chiediamo ora in ginocchio: un paese africano che ha tutte le nostre ricchezze, non può sprofondare in guerra in questo modo. Per favore: deponete le armi, organizzate le elezioni e tutto andrà per il meglio.
Le parole che avete appena letto, taglienti e dirette, drammatiche e supplichevoli, le pronuncia Didier Drogba l’8 ottobre 2005. La sua Costa d’Avorio ha appena sconfitto il Sudan per 1-3 a domicilio, ottenendo la prima, storica qualificazione ai Mondiali di calcio. Il paese, però, è devastato da una sanguinosa guerra civile che dura da troppo tempo, ormai. I morti aumentano quotidianamente, la violenza è ai massimi storici, la pace non è lontanamente ravvisabile.
Il pallone, specialmente in determinati angoli di mondo in cui ha più valore che in altri, può essere il veicolo più impattante per trasmettere un messaggio forte, accorato. Drogba lo sa bene, sceglie il momento migliore per fare esplodere quelle parole tanto semplici quanto determinanti. Lo fa perché nello spogliatoio ci sono le telecamere della Radio Television Ivorienne, pronte a trasmettere in diretta il discorso in tutta la nazione.
IL CONTESTO POLITICO
Il paese degli elefanti ottiene l’indipendenza dalla Francia solo nel 1960, quando al potere sale Félix Houphouët-Boigny, il primo presidente della storia della Costa d’Avorio. La ricchezza abbonda, l’economia cresce. Tuttavia, l’altro lato della medaglia è ben più oscuro, coperto dai numerosi problemi che affliggono il paese. Il miracolo ivoriano inizia a scemare, lasciando un’immagine sbiadita di una nazione assurta a potenza del continente nero. La morte del presidente nel 1993 catalizza un processo di rivolta che conduce, inevitabilmente, a tensioni e spaccature.
Il paese lasciato dal presidente è diviso in due. I suoi successori, di fede cristiana, come tutto il sud ivoriano, attuano una politica discriminatoria e oppressiva nei confronti della minoranza musulmana concentrata al nord. In quel momento si rompe qualcosa e nel 1999 un colpo di stato trasferisce il potere nelle mani del generale Robert Guéï. Gli anni prima dello scoppio della guerra civile sono un susseguirsi di tentativi di colpi di stato, elezioni contraddistinte da brogli elettorali, morti e feriti.
Laurent Gbambo, membro del Fronte Popolare Ivoriano, si autoproclama presidente dopo le discusse elezioni del 2000. Due anni più tardi, il 19 settembre 2002, le truppe militari del nord, alleate del repubblicano Alassane Outtara, escluso dalla vita politica del paese, assaltano le principali città ivoriane, tra cui Korhogo e Bouaké, senza però riuscire a raggiungere Abidjan. Il conflitto è appena iniziato.
UN OBIETTIVO
Ora, tuttavia, occorre fare un salto in avanti, abbandonare momentaneamente il panorama storico-politico della Costa d’Avorio e concentrarsi su quello sportivo, calcistico nello specifico. La nazionale degli elefanti ha un palmarès scarno, ha vinto poco. Precisamente, una Coppa d’Africa nel 1992 e niente più. Non ha mai partecipato ai Mondiali e non vanta calciatori conosciuti a livello internazionale. La nuova generazione, però, è diversa. Il talento c’è, anche parecchio. Dagli albori del nuovo secolo in avanti cominciano a germogliare gemme preziose, diamanti grezzi dal futuro luminoso. I fratelli Yaya e Kolo Touré, il difensore Didier Zokora, Gervinho, Kalou e, ovviamente, Didier Drogba, il più grande di tutti.
Nel 2004, i ragazzi della generazione d’oro ivoriana hanno un comune obiettivo: giocare la Coppa del Mondo. Rendere orgoglioso il loro tricolore, rappresentandolo fieramente nella competizione calcistica più importante e prestigiosa del pianeta. Mancano ancora due anni. Prima, bisogna vincere il gruppo di qualificazione. Gli elefanti capitano in un girone ostico, insieme a Egitto, Sudan, Libia, Benin e, soprattutto, Camerun, guidato da Samuel Eto’o, detentore del premio di calciatore africano dell’anno.
Les élèphants vincono e convincono, Drogba segna ripetutamente. La Costa d’Avorio, nonostante la sconfitta nello scontro diretto contro i leoni indomabili nella gara di andata di Yaoundé, si ritrova prima nel girone a due giornate dalla fine. La penultima sfida è il ritorno contro il Camerun, incontro da disputarsi ad Abidjan. Gli elefanti hanno bisogno di tre punti per centrare l’obiettivo. Tuttavia, un pareggio non sarebbe un cattivo risultato in vista dell’ultimo match, quello contro un Sudan privo di speranze.
FINE DEI GIOCHI?
Il 4 settembre 2005 la capitale è in festa. Le strade pullulano di colori, bandiere, entusiasmo. È un giorno storico per il paese, orgoglioso dei suoi beniamini. Ad Abidjan giungono addirittura José Mourinho e Roman Abramovich, allenatore e presidente di Drogba al Chelsea. Eppure nulla è scontato. La Costa d’Avorio deve prima sconfiggere sul campo il Camerun di Eto’o. Gli ospiti sono più forti, hanno più esperienza. Achille Webò firma il vantaggio dei leoni, Drogba pareggia. Webò riporta avanti i camerunesi, Drogba riacciuffa la partita. I padroni di casa devono limitarsi a gestire il risultato. La spinta di un popolo intero, però, è troppo forte per non cercare di ottenere la vittoria. Gli ivoriani continuano ad attaccare, spingere e cercare la rete del 3-2, rete che non arriverà mai.
Arriva, invece, una doccia gelata a spegnere gli animi dei 35 mila assiepati sulle tribune. A 5′ dalla fine Webo firma una storica tripletta e regala la vittoria del sorpasso al Camerun. 20 a 19 e una partita a testa ancora da disputare. La Costa d’Avorio fuori casa, in Sudan, i leoni indomabili in casa, contro l’Egitto. Gli ivoriani devono assolutamente vincere e sperare che Eto’o e compagni non facciano lo stesso.
IL MIRACOLO
A Omdurman, città più popolosa del Sudan, i ragazzi allenati da Henri Michel, vincono agilmente 3-1, con le reti firmate da Kanga Akalé e Dindane, autore di una doppietta. Nel frattempo, a Yaoundé, il Camerun è impantanato in un 1-1 sinonimo di eliminazione. Al 94′, tuttavia, l’arbitro assegna un rigore in favore dei padroni di casa. Sul dischetto si presenta Pierre Wome. La partita tra Sudan e Costa d’Avorio è finita, ma giocatori e staff tecnico sono ancora in campo, riuniti in cerchio, attaccati a un telefono dal quale è collegato il fisioterapista della selezione che sta seguendo l’altra partita in televisione.
Al 96′ Wome prende la rincorsa e spiazza il portiere avversario. Palo. La palla esce, la partita finisce 1-1. Drogba e compagni esplodono di gioia, la festa è appena iniziata. Canti, urla, pianti, lacrime. Un mix di emozioni liberatorie che spiegano il significato di quell’impresa, la prima storica qualificazione alla Coppa del Mondo per la Costa d’Avorio. Abidjan e tutto il paese è ebbro di felicità, incredulo, travolto da un’onda di gioia mai sperimentata prima.
Nello spogliatoio Didier prende in mano il microfono e pronuncia in diretta nazionale le parole con cui è iniziato il racconto. Le trasmettono tutte le televisioni e le radio ivoriane. La gente dimentica momentaneamente la guerra, non c’è tempo per i brutti pensieri. Il futuro sembra tornare a essere un orizzonte pulito e felice a cui puntare. Le armi cesseranno di offendere solo due anni dopo, ma il miracolo calcistico compiuto dagli elefanti è l’inizio della svolta, il primo passo verso la riunificazione. Un pallone in grado di ridare speranza e fede, un gioco, il più bello del mondo, capace di far tornare a splendere il sole.
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