La Liga – si sa – da anni è il campionato più seguito in Europa: non ha forse il fascino della Premier League, la tattica della Serie A o i giovani di Bundesliga e Ligue 1, ma in compenso propone un tasso tecnico che non ha eguali e corazzate che fanno fuoco e fiamme in Europa; Barça e Real sono le icone massime, a loro si è aggregato anche l’Atletico di Simeone, mentre in Europa League per anni abbiamo vissuto il dominio del Siviglia. E non dimentichiamoci del submarino amarillo del Villarreal, o la storia dei baschi dell’Athletic Bilbao.
Però ogni anno il campionato spagnolo vede una crescita generale, visto che anche le squadre che normalmente si assestano nella parte destra della classifica tentano qualche timida comparsa nella zona più nobile. Ma neanche così timida. Nell’ultima stagione il Betis è tornato a ruggire, togliendosi lo sfizio di tornare in Europa dopo più di 10 anni, e basti pensare che le squadre che sono arrivate ad un passo dall’Europa sono state Girona, Getafe (due neopromosse) e il piccolo Eibar.
Oggi una delle possibile sorprese potrebbe essere un’altra basca: l’Alavés.

VITÓRIA
Che in spagnolo non significa “vittoria”, ma che comunque tanto assomiglia al sostantivo che dalle nostre parti significa calcisticamente “portare a casa i tre punti”. L’Alavés viene appunto da Vitória, in basco Gastaiz, una città che ospita quasi 250 mila abitanti, una delle più importanti dei Paesi Baschi dopo Bilbao e San Sebastián: un club che ha una storia da medio-piccola del calcio spagnolo, la classica società che negli ultimi anni ha vissuto il più classico degli “ascensori” tra Primera e Segunda División ma che nel suo passato è riuscito a togliersi qualche soddisfazione.
I biancoblu che giocano al Mendizorroza – chiamato El Glorioso – vantano pochi lampi accecanti nella loro storia: nel 2016-17 una sorprendente finale di Copa del Rey, mentre il picco più alto venne raggiunto nel 2000-01. All’epoca si chiamava Coppa UEFA, e in quella stagione la finale fu tra il grande e leggendario Liverpool e il piccolo Alavés; una finale senza senso non tanto per la differenza tra le due squadre quanto per il risultato di 5-4. In quella squadra giocavano il figlio del compianto Johan Cruyff, Jordi (che peraltro segnò il gol del pari al 90′ che mandò la partita ai supplementari), e la clamorosa meteora rossonera Javi Moreno.

E oggi?
L’Alavés non è in Europa League, né in finale di Copa del Rey. In compenso ha iniziato a mille il campionato, ritrovandosi dopo 7 giornate al sesto posto, a soli 3 punti dalla coppia di testa Real Madrid e Barcellona; una squadra nata e costruita per arrivare il prima possibile alla salvezza ma che al momento sembra voler guardare sempre più in alto. Il tecnico è una vecchia conoscenza del calcio anni ’90 di Spagna, il roccioso difensore ex Barça, l’asturiano Abelardo: il suo è un 4-4-2 molto solido e ordinato, ma che sa farsi valere anche in fase offensiva.
L’anno scorso l’ex tecnico dello Sporting Gijon prese i baschi in una situazione che pareva disperata: ultimo in classifica, l’Alavés ha vissuto una vera e propria trasformazione, e correndo ad una velocità Champions (se avesse tenuto quella media tutta la stagione sarebbe riuscito ad arrivare quarto) ottenne un’insperata salvezza.
IN CERCA DI RILANCIO
Oltretutto la rosa a disposizione di Abelardo è molto interessante, visto che è composta da molti giocatori dalle potenzialità notevoli ma mai realmente messe in mostra. Partiamo dalla difesa: esordì da titolare con il Milan di Mihajlovic a Firenze, facendosi ammonire due volte in un tempo e lasciando i rossoneri in 10 in quella che sarà la prima sconfitta del campionato. Alla prima giornata. Stiamo parlando del brasiliano Rodrigo Ely, un difensore che in Italia ha fatto fatica ma che i mezzi per costruirsi una carriera più che dignitosa li ha sempre avuti.
Accanto a lui degli highlander della Primera come Laguardia e Duarte, mentre a centrocampo il metronomo della squadra è un altro brasiliano che non ha sfondato al Villarreal : Tomas Pina gioca davanti alla difesa, mentre sull’esterno uno dei giocatori più talentuosi è Ibai Gomez, ex Athletic Bilbao che ha scelto di essere protagonista sempre nei Paesi Baschi.
Interessanti le storie nel reparto offensivo: accanto a Rúben Sobrino si alternano due eterne promesse che però a Vitória stanno pian piano ritrovando le loro certezze. Il primo è lo svedese John Guidetti, l’eterna promessa cresciuta nel City e che già aveva cercato fortune in Spagna con la maglia del Celta Vigo, senza trovarne. Dall’altra parte, un attaccante che viene dall’emisfero opposto del mondo e che non ha mai concretizzato le belle parole che si dicevano su di lui ai tempi del Boca: prima di arrivare all’Alaves Jonathan Calleri è passato inizialmente dalla Premier con la maglia del West Ham e poi dalla Liga con quella del Las Palmas, malamente retrocesso nella scorsa stagione.

Da molto tempo si parla del calcio basato su possesso palla, sul tiqui-taca tipicamente spagnolo e sulla classe cristallina dei giocatori che mettono in atto questo tipo di fútebol: diverso è ciò che avviene nel calcio di Abelardo, che dapprima ha concentrato le sue attenzioni su uno schema di gioco che desse stabilità innanzitutto difensiva, registrando il reparto che più serve per raggiungere la salvezza, e costruendo una squadra dedita allo spirito di sacrificio, a partire dagli attaccanti (proprio Sobrino e Guidetti sono due giocatori “guerrieri”).
Qualcuno potrebbe accusare l’Alavés di giocare un calcio all’antica ma fatichiamo a pensare che qualcuno ad oggi possa criticare il mister del Glorioso: dal 4 dicembre, data del suo arrivo sulla panchina dei baschi, El Pitu ha disputato 31 partite ottenendo ben 51 punti, risultando la quarta squadra per rendimento, dietro soltanto a Barcelona, Real Madrid e Atletico Madrid. Come detto in precedenza, un passo da Champions League.
Nessuno pensa che l’Alavés possa ambire a tanto, eppure ha tutte le caratteristiche per essere una delle squadre più ostiche da affrontare: per quadratura e capacità di ripartire, per solidità (non solo nel reparto difensivo, quanto di tutta la squadra) e spirito di sacrificio e sofferenza. Come Abelardo era un guerriero in campo, lo stesso riesce a trasmettere ai suoi soldati, rendendoli dei veri e propri lottatori.
L’orgoglio basco e la grinta asturiana: ecco la formula del roccioso Alavés di alta classifica.
