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Lo spazzino che sapeva giocare a basket

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Lo spazzino che sapeva giocare a basket

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Difficile, estremamente difficile.
Difficile quanto per lui mettere 10 parole in croce davanti ad una telecamera, almeno quanto scrivere e dire qualcosa di Larry Bird che non sia stato già detto altre 20 volte. Del resto, la sua è una storia da film, è lui stesso un paradossale personaggio da film, un ragazzo nato in campagna e che ha rischiato di non cambiare il basket per sempre, lavorando piuttosto come netturbino. E la storia del dito storto? Larry ha un dito deformato (ma non ha mai voluto raccontarne la ragione, quindi si sa molto poco) e lo nascose per non farsi licenziare da Auerbach; perciò allenamenti e niente gesso. Giustamente, come dice lui, non è che si smette di andare a lavorare, anche con un dito rotto. Qualche novello Clint Eastwood ci farà un film prima o poi. C’è anche l’antagonista perfetto, anzi, l’antieroe, distante anni luce in tutto ma con il quale condivide il talento e una carriera piena di successi, spesso contrapposti come nell’antefatto in NCAA tra Spartans e Sycamores o fianco a fianco nel Dream Team 1992. Assieme alle Converse.

Larry Bird è un “hombre de la pelìcula”.

Oppure, quando arrivò in 3 quarti di gioco una steal dalla quadrupla doppia… Da una parte ci sono i Ricky Davis che si inventano un “autorimbalzo” per la tripla doppia, dall’altra i Bird che si siedono per l’ultimo quarto perchè “aveva già fatto abbastanza danni”. Ma Larry era già qualcosa di impensato al suo anno da rookie che avvenne un anno dopo la sua scelta (Boston lo scelse pur sapendo di averlo in squadra l’anno dopo, un po’ quello che sta succedendo ai Sixers odierni anche se per motivi diversi) e già senza giocare un minuto scrive un pezzo di storia in NBA: i giocatori non possono essere draftati e rimanere comunque al college, dicasi Bird Collegiate Rule. Auerbach aveva puntato lunghissimo, abbozzando anche sui 3 milioni e passa che ha dovuto allungargli di stipendio, alzando l’asticella per il rookie più pagato pur di avere in squadra uno che scrive 21+10+4+2 a partita per tutto l’anno. Celtics primi ad Est, eliminati poi dai Sixers (stavolta quelli di Erving) nelle Conference Finals. Successivamente arriveranno anche McHale, Parish ed assieme a loro il primo titolo NBA. Numeri incredibili come al solito ma il titolo di MVP delle finali va a Maxwell, pazienza. Vale la pena fermarsi un attimo a parlare della “Death Frontcourt” che aveva partorito la mente di Auerbach: a proposito c’è una famosa foto di uno scouting dei NY Knicks datata 1984 che parla proprio dei Celtics.

Larry Bird: “Gioca a tutto campo. Tira da 3. Usa il post in attacco. Gioca spesso in angolo. Passatore eccellente. Tende a seguire il suo tiro. Tosto fisicamente, fa a spallate tutte le notti. Ama partire in transizione dopo il rimbalzo, anche in dribbling. Porta palla fuori 9 volte su 10. Finta palla in mano per farti saltare, poi gioca.” Un altro “scout d’eccezione” disse:“Look in his eyes and you see a killer.” Un certo Dominique Wilkins da Atlanta.

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Iconica per la storia dei C’s e dell’NBA intera è la stagione 1984 dove forse la miglior versione di questa Dynasty ed i Lakers si giocano il titolo. Playoff non senza grattacapi per Boston che supera facilmente i Bullets e necessita di 7 gare per battere i Knicks prima di superare i Bucks 4-1. Due giorni dopo, i Lakers si presentano in finale e i ricordi delle battaglie tra Russell e Chamberlain si stagliano sullo sfondo delle battaglie che 15 anni dopo si accingono a ripresentarsi nel panorama NBA, un ciclo inarrestabile che contrappone Lakers e Celtics da sempre, lo Showtime contro il Pride, a never ending story.

Kareem Abdul-Jabbar si prende i riflettori della prima partita: nonostante una vertebra ballerina che gli causa un bel po’ di problemi, il trentasettenne capitano scrive 32+8+5, due stoppate, una steal e 12-19 dal campo. Al Garden. 1-0 e fattore casa già perso. In Gara 2 succede l’impossibile. Lakers in dominio per 47 minuti con James Worthy che semina il panico e a 18 secondi dalla fine i losangelini sono avanti di due e palla in mano dopo i due errori di McHale per il mancato pareggio. C’è un problema però: Riley chiede a Magic di chiamate timeout se Kevin mette i liberi, Magic capisce il contrario e permette ai Celtics di assettarsi in difesa. Da un attacco congegnato male nasce la rubata di Gerald Henderson che scappa per il layup per il pareggio ed il suo assist ai supplementari per il piazzato vincente di Wedman. 1-1 e andiamo a LA. Gara 3 e Gara 4 svoltano la serie. La prima è dominata dai Lakers, Larry urla inviperito ad un microfono “We played like a bunch of sissies”. Abbiamo giocato come signorine. Ecco, McHale in Gara 4 abbatte Rambis lanciato in contropiede e piazza l’inferno a casa degli altri. Il messaggio lo hanno recepito tutti forte e chiaro, dai Riley che li definisce “banda di criminali” ai Lakers che avevano cominciato a giocare più guardinghi. Altro overtime vinto dai Celtics, 2-2. Gara 5 viene giocata in un palazzetto che bolle tanto a livello sportivo quanto proprio per la temperatura, Kareem dirà che gli sembrava di correre nel fango. Fango o no, questa partita la guida Larry: 15-20 dal campo e 34 punti totali per il 121-103 che vale il 3-2 Boston. Anche i Lakers alzeranno l’intensità fisica rispondendo in Gara 6 colpo su colpo alla guerra senza quartiere messa in campo da Boston. 3-3, Gara 7 al Garden. “Hop on my back, boys”, Maxwell si carica letteralmente la squadra sulle spalle e simpatizza con la tripla doppia mentre Bird e Johnson vanno sopra i 20 e Parish 12+16. MVP della Regular Season, MVP delle Finals e secondo titolo NBA per Larry. Più avanti Magic avrà modo di rifarsi riuscendo a spezzare l’incantesimo delle Finals dei Lakers contro i Celtics, nel segno di una delle rivalità sportive più belle e genuine della storia. I ricorsi storici metteranno ancora Showtime e Pride l’uno contro l’altro ma “Larry, tu mi mentisti una sola volta nella tua vita: una volta mi dicesti che in futuro ci sarà un nuovo Larry Bird. Larry, non ci sarà mai, mai, mai e poi mai un altro Larry Bird”.

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Clamoroso Lebron James, le sue parole sul possibile ritiro: “Ci devo pensare”

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Nella nottata italiana i Los Angeles Lakers di Lebron James sono stati battuti, e eliminati per 4 a 0, dai Denver Nuggets per 111-113. Lakers che non riescono a riaprire la serie e che manda i Nuggets alle Finals aspettando la vincente di Miami-Boston.

Oltre che per la sonora sconfitta sulle 4 partite, il mondo del NBA è rimasto scosso per le dichiarazioni di Lebron James nel post partita, che lasciano pensare ad un possibile ritiro:

“Ho molto su cui pensare a livello personale sulla possibilità di proseguire con il basket, devo riflettere a fondo”

Dichiarazioni bomba del 4 volte campione NBA, che nonostante abbia ancora 2 anni di contratto, con l’ultimo opzionale, non pare più cosi certo di voler continuare a calcare i parquet della NBA. L’idea a cui tutti pensavano era quelli che il “Re” avrebbe aspettato il draft del figlio Bronny, per giocare una stagione insieme a lui. Ha poi confermato alla domanda sul possibile ritiro ai microfoni di un giornalista ESPN.

Poco prima, sempre nella conferenza stampa post partita, si è espresso così su una domanda riguardante la sua visione sulla prossima stagione:

Vedremo cosa succede… non lo so. Non lo so. Ho molto a cui pensare a dire il vero. Personalmente, quando si tratta di basket, ho molto a cui pensare. Penso che sia andata bene, anche se non mi piace dire che è stato un anno di successo perché non sto giocando per nient’altro che vincere titoli in questa fase della mia carriera. Non mi diverto solo a fare una finale di Conference. L’ho giocata molte volte. E non è divertente per me non essere in grado di fare una finale di campionato”.

 

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[VIDEO] Finale di Basket islandese: parte un coro contro la Juventus

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Simpatico siparietto quello avvenuto sabato durante la finale Scudetto del campionato islandese di basket.
Durante un momento di pausa del match tra Valur Reykjavik e Tindastoll, lo speaker del palazzetto ha fatto partire la celebre canzone dei Ricchi e Poveri, “Sarà perché ti amo”.

Fino a qui nulla di strano, ma durante il ritornello, il pubblico si lancia nel celebre coro (di matrice milanista) contro la Juventus, proprio sulle note della canzone.

Un episodio che ha già fatto il giro del mondo e che ha strappato un sorriso a molti in Italia, anche ai tifosi bianconeri.

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Curry contro LeBron: sfavoriti a chi? Stanotte ritorna in scena il duello

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LeBron James Curry

Non saranno le Finals del quadriennio 2015/2018, ma questa notte sarà di nuovo Steph Curry contro LeBron James. E la Lega già si infiamma, per la serie che questi due talenti potrebbero mettere in piedi.

Il primo guida ormai dal 2009 i Golden State Warriors, con cui ha vinto 4 anelli e segnato un’epoca. Il secondo si è legato con i Los Angeles Lakers nel 2018, laureandosi campione NBA per la quarta volta nella sua storia la stagione successiva.

I PRECEDENTI

Nel 2018 i Golden State Warriors di Curry, Thompson, Durant e Green hanno spazzato via i Cleveland Cavaliers di LeBron James nelle Finals con un nettissimo 4-0. Da un lato abbiamo, probabilmente, la squadra più forte della storia come quintetto titolare. Dall’altro lato un roaster in evidente fase calante che LeBron James, se non da solo quasi, ha trascinato alle Finals. Le sue ottave Finals NBA consecutive, tra Miami Heat e Cleveland Cavaliers.

Nonostante il risultato senza repliche, infatti, dalle parti di Cleveland, King James fu idolatrato come una divinità, quando a fine anno svestì la casacca della franchigia dell’Ohio. Il motivo di tale amore incondizionato del pubblico dei Cavs è dovuto al fatto che il primo addio, che a tutti è sembrato un vero e proprio tradimento, commercializzato all’inverosimile con “The Decision“, è stato ampiamente colmato. Nella sua seconda avventura ai Cavs, LeBron ha portato la squadra ad un livello superiore. E, soprattutto, ha portato a casa il primo anello della storia della squadra. Lo ha fatto con un’impresa degna di nota: prima e unica volta nella storia che una squadra in svantaggio di 3-1 in una serie di Finals è riuscito a ribaltare e vincere.

Quell’estate, LeBron ha lasciato la sua Cleveland e la Eastern Conference, per sbarcare ad Ovest, per la prima volta in carriera, a quasi 34 anni. Con la casacca gialloviola, LeBron ha subito scritto la storia, vincendo il titolo nel 2020 e, soprattutto, tenendo alto il nome di Kobe Bryant, leggenda e volto storico dei Lakers tragicamente scomparso nel gennaio dello stesso anno. Ma dal 2018, non ci sono più stati scontri in un play-off tra Steph Curry e LeBron James. Ci si è andati vicini, se si pensa che nella stagione 2020/21 le due squadre si sono affrontate in un play-in, in cui è stato il King ad avere la meglio.

Ma si tratta di una sfida facilmente oltrepassabile. In primis, perchè non è reputata parte della post-season. In secondo luogo, perchè è stata una sola gara disputata, non una serie.

COINCIDENZA DELLE STELLE

LeBron James è di Akron, Ohio. Per tutti ora è “Il King“, ma per anni è stato “Just a kid from Akron“. Un’etichetta nata per erssere dispregiuativa e limitante nei suoi confronti e che ora, invece, lui stesso sfoggia con orgoglio. Il ragazzo venuto dal niente, in possesso solo di un talento sconfinato, schiacciato dalle attese sin dal suo ingresso nella Lega a soli 18 anni. Ed ora diventato leggenda.

Ma se andassimo a leggere, invece, data e luogo di nascita di Steph Curry, ritroveremo un nome familiare. Anche in questo caso, Akron, Ohio.

Le due stelle più rappresentative del basket americano degli anni 2010, vincitori di 7 titoli complessivi su 1o disponibili tra il 2010 e il 2020 concittadini. Nati nello stesso ospedale di Akron, a poco più di 3 anni di distanza. Quando le stelle (in questo caso, in senso astronomico) decidono di dare alla luce altre stelle (ora parliamo di Curry e James), il risultato non può che essere esplosivo. Stanotte, dopo 5 anni dall’ultima volta, i due si guarderanno di nuovo negli occhi in una serie da dentro-o-fuori valida per i Play-off. Con la consapevolezza che solo uno dei due potrà andare avanti.

La cosa più ironica, però, è che i due fuoriclasse sono arrivati a questa sfida scollandosi l’etichetta di chi li dava come “sfavoriti“. Memphis Grizzlies (avversari dei Los Angeles Lakers) e Sacramento Kings (avversari dei GSW) avevano dalla loro un miglior piazzamento in regular season e sembravano favoriti, con una eventuale Gara 7 in casa. Per i Grizzlies questa Gara 7 non si è neanche giocata. Curry, invece, ha letteralmente vinto quella giocata contro i Kings, con la migliore prestazione della storia in termi di punti segnati (50) in una Gara 7.

Da stanotte saranno l’uno contro l’altro, in una sfida che si prospetta già elettrica e piena di colpi di scena.

TUTTO SU SKY

La diffusione dell’NBA in Italia, ormai da anni, è governata da SKY. Su SkySport NBA (ed in streaming su NOW) sarà possibile assistere alle prime quattro gare in diretta e in replica. Si inizia stanotte alle 4:00 ora italiana.

Gara 1

LIVE nella notte tra martedì 2 e mercoledì 3 maggio ore 04:00

Repliche mercoledì 3 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Gara 2

LIVE nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 maggio ore 03:00

Repliche venerdì 5 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Gara 3

LIVE nella notte tra sabato 6 e domenica 7 maggio ore 02:30

Repliche domenica 7 maggio ore 14:00 e 19:30

Gara 4

LIVE nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 maggio ore 04:00

Repliche martedì 9 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Eventuali gara 5, gara 6 e gara 7 verranno comunicate in seguito.

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Altri Sport

LeBron James supera Kareem: i 5 canestri più iconici della carriera del Re

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Nella notte LeBron James ha superato Kareem Abdul-Jabbar diventando così il miglior marcatore di tutti i tempi nella storia dell’NBA. Nella partita persa dai suoi Lakers in casa alla Crypto.com Arena contro gli Oklahoma City Thunder, il Re ha riscritto la storia: con un canestro in fade-away ha raggiunto quota 38.388 punti in carriera, aggiungendone due poco dopo, così da superare l’ex Bucks. Riviviamo insieme i cinque canestri più iconici della sua straordinaria carriera.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – TOMAHAWK DUNK CONTRO MILWAUKEE

Probabilmente la giocata più conosciuta del Re: il celebre passaggio dal suo compagno di mille avventure Dwayne Wade a inizio partita con i Milwaukee Bucks. Questa giocata ha dato vita ad una delle foto più iconiche della storia del basket e non è un caso che ci sia proprio LeBron a schiacciare in contropiede, mentre Wade esulta già a mani aperte.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – FADE-AWAY DEL PAREGGIO CONTRO GLI WASHINGTON WIZARDS

Come dimenticare uno dei canestri forse più complicati della sua carriera. Immaginiamo il momento: 117-120 per gli Wizards con 3.4 secondi sul cronometro. I Cleveland Cavaliers di LeBron James non hanno più timeout e devono rischiare la giocata. Sarà Kevin Love a lanciare la palla stile football americano per trovare LBJ che riceve spalle a canestro. Trova il tempo di guardare dove si trova, per poi mettere i piedi dietro la linea dei tre punti e sparare una tripla impossibile in fade-away. Risultato? Canestro con sponda sul tabellone e pareggia la partita (poi vinta 140-135) per forzare i tempi supplementari. Un canestro fuori dall’ordinario, un canestro da Re.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – SCHIACCIATA CONTRO HOUSTON IN MEMORIA DI KOBE BRYANT

LeBron James, come in generale tutti gli amanti del basket, è sempre stato molto legato alla figura di Kobe Bryant. Dopo la sua morte il 26 gennaio 2020, l’ex Miami Heat si è mostrato tra i più commossi durante le celebrazioni allo Staples Center (ora Crypto.com Arena). Qualche giorno dopo la sua morte, esattamente il 7 febbraio 2020, LeBron ha voluto ricreare una schiacciata che fece lo stesso Kobe ben diciannove anni prima. Il Re ruba palla, parte indisturbato in contropiede e piazza una schiacciata all’indietro sullo stesso parquet, nello stesso canestro di Kobe Bryant. Un tributo apprezzato da tutti i tifosi, una schiacciata che verrà ricordata da tutti con un significato particolare.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – POSTER SU JASON TERRY

Bisogna dire che LeBron James potrebbe riempire le pareti di casa sua con tutti i poster che ha collezionato in carriera, ma probabilmente il più iconico e “cattivo” è quello contro i Boston Celtics nel 2013. I suoi Miami Heat rubano palla e dopo aver ricevuto da Mario Chalmers, Norris Cole alza per LBJ che arriva a schiacciare sulla testa di Jason Terry. Il giocatore dei Celtics prova a saltare per contrastarlo, ma c’è poco da fare. Dopo aver aggiunto alla sua collezione uno dei poster più conosciuti della storia dell’NBA, James guarda per terra il povero Terry, spazzato via dal suo strapotere fisico. Dominante e fisicamente incontenibile sono due definizioni che probabilmente contraddistinguono il Re.

I 5 CANESTRI PIÙ ICONICI DI LEBRON JAMES – BUZZER BEATER NELLA VITTORIA CONTRO I MAGIC NEL 2009

Si poteva mettere il fade-away di questa notte come ultimo canestro iconico, ma sarebbe troppo scontato. La scelta ricade su uno dei buzzer beater più decisivi della carriera di LBJ. Contro Orlando nel 2009, sul punteggio di 95-93 per i Magic con un 1.0 sul cronometro, la palla arriva al Re. La serie di playoff era partita male, sotto 1-0 dopo la prima sconfitta in casa e ci pensa proprio James a pareggiare momentaneamente la serie (poi persa 2-4). Rimessa per i Cavaliers, palla a LeBron che in “catch and shoot” spara da tre punti e sancisce la vittoria dei suoi Cavs per 96-95. Un buzzer beater da ricordare, il primo della sua carriera, per LBJ, nonostante poi la serie si sia conclusa con una sconfitta alle finali di conference.

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