La “telenovela” tamponi in casa Lazio non accenna a placarsi e, anzi, vive di un nuovo capitolo in attesa del processo che prenderà ufficialmente il via venerdì 26 marzo. Infatti, nella mattinata di oggi, sono arrivate nuove dichiarazioni di uno dei potenziali testimoni chiave della vicenda.
RICOSTRUZIONE DEI FATTI
Tutto ebbe inizio il 7 novembre scorso quando la Procura della Repubblica di Avellino inviava gli investigatori della polizia giudiziaria a Formello e nel laboratorio campano “Futura Diagnostica“, istituto medico al quale la Lazio si appoggia per l’analisi dei tamponi, per acquisire elementi sull’incongruenza di risultati tra i tamponi processati dal laboratorio della UEFA e quelli della società biancoceleste.
Il “peccato originale” sorge nelle due settimane clou della prima parte di stagione della squadra di Inzaghi in cui, tra le fondamentali partite di Champions League con Bruges e Zenit e le trasferte di campionato con Torino e Juventus, la UEFA, in occasione di entrambe le partite, riscontra una “sospetta positività” di diversi calciatori biancocelesti tra cui quella di Ciro Immobile, costringendo la Lazio a fare a meno del suo bomber in Europa. Fin qui tutto normale e in regola con il protocollo UEFA se non che tra le due partite “incriminate” ci sia la partita con il Torino alla quale Immobile, ripetuti i test nel laboratorio di Avellino, prende parte e risulterà decisivo ai fini del risultato finale, per poi essere di nuovo fermato, come già detto, per la partita successiva in Russia sfogando tutta la sua rabbia su Instagram.
NUOVE INDISCREZIONI
La tesi difensiva della Lazio, in attesa di andare a processo il prossimo 26 marzo, si basa sul fatto che Enrico Di Rosa (direttore del Servizio di Igiene e Sanità pubblica dell’Asl Roma 1) avrebbe dato l’autorizzazione alla partenza di Ciro Immobile per Torino, ribaltando il risultato del tampone del laboratorio “Synlab” che aveva riscontrato la positività del calciatore prima del match contro il Bruges di pochi giorni prima.
Arrivando ai giorni nostri, lo stesso Di Rosa, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, ha dichiarato:
Io non ho mai dato alcuna autorizzazione. Perché sia stato citato? Non lo so, non riesco a capirlo. Io quest’autorizzazione non l’ho data né avrei potuto darla, visto che appartengo alla Asl Roma 1 e la Lazio a quella Roma 4
Dichiarazioni completamente in controtendenza con quelle della società di Lotito, che se confermate metterebbero la Lazio in una posizione davvero scomoda in sede di processo.
COSA RICHIA LA LAZIO?
Il tema ora risulta quanto mai chiaro: cosa rischia Lotito e la società nel caso in cui fosse dichiarata colpevole? La realtà è che siamo davanti ad un caso completamente nuovo sia per la giustizia sportiva che per quella ordinaria, e che per questo le sanzioni potrebbe variare a seconda della riscontrata gravità dei fatti commessi.
Le sanzioni, per la violazione del protocollo Covid della Figc, variano da una semplice ammenda alla possibilità di infliggere punti di penalizzazione alla squadra. In teoria le sanzioni potrebbero anche prevedere l’esclusione dal campionato con la conseguente retrocessione, misure estreme che tutta via tendiamo a scartare a priori.