L’avvincente lotta delle semifinali nel palcoscenico dell’Egitto ha dato la definitiva sentenza. I 180 minuti andati in scena nella giornata di oggi di Coppa d’Africa hanno consegnato al grande pubblico i nomi delle finaliste.
Due partite all’insegna di continui capovolgimenti di scena figli dello spettacolo e dell’imprevedibilità. Il talento su calcio di punizione di Riyad Mahrez ha consegnato allo scadere il pass per la finale agli algerini mentre la fortuna ha sorriso a un Senegal, approdato all’ultimo incontro grazie ad una rovinosa uscita di Hassen fra i pali e il clamoroso autogol di Bronn al minuto 101.
Un ventaglio di fattori immediati e decisivi, che nel giro di pochi attimi hanno deciso il destino della competizione.
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La finale di venerdì prossimo è dunque decisa. Nella vetrina dello Stadio Internazionale del Cairo si sfideranno Senegal e Algeria, i leoni di Terranga contro le volpi del deserto.
LEONI DI TERRANGA
La definizione di Leoni non è certo casuale per questa squadra. Il Senegal, nonostante la rocambolesca semifinale vinta grazie a un autogol avversario, è infatti fin dall’inizio della competizione una delle grandi favorite alla vittoria finale. La terza semifinale della propria storia è stata comunque vinta ed è questo ciò che conta. La concretezza prima di tutto, un termine appropriato in quelli che sono i valori chiave di quest’organico, alla sua seconda finale di Coppa d’Africa.
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Il percorso dei ragazzi di Cissè è stato nel complesso lineare e convincente. Sì, quel Aliou Cissè simbolo e anima della nazionale di Dakar. Prima da giocatore (nel 2002), ora da allenatore, nel segno di una parabola con la volontà questa volta di vincere. Figlio di una generazione che ha portato il calcio in una nazione che alla parola sport associava soltanto il rally. Un percorso, quello di questa squadra, cominciato fin dal Mondiale di Russia che ha lasciato promettenti premesse per la sfida continentale. Un lascito, quello dello scorso anno, sfociato in un percorso che ha fatto della concretezza e della convinzione le proprie idee chiave in campo.
Prescindendo dalla sconfitta proprio contro l’Algeria, ora finalista, i leoni di Terranga hanno sempre vinto facendo della difesa il loro primo punto di forza. Un reparto difensivo capace nel giro di 6 partite di concedere soltanto una rete. La sinergia creatasi partita dopo partita fra la coppia Koulibaly-Kouyatè ha certamente rappresentato quel quid in più nell’economia del torneo del Senegal. La prestazione maiuscola poi di Gomis fra i pali completa un reparto arretrato fra i più convincenti della competizione.
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Nonostante la confusione tattica di inizio torneo (un modulo ibrido fra il 4-3-3 e il 4-2-3-1), incontro dopo incontro la nazionale di Dakar ha trovato la quadratura del cerchio fin dal reparto arretrato. Una solidità difensiva che si è sposata con la classe offensiva. Basti pensare che l’indiscussa stella del Senegal, un certo Sadio Mané Campione d’Europa col Liverpool, è attualmente il capocannoniere del torneo. Il tutto a fronte di 3 realizzazioni e uno spirito di sacrificio encomiabile.
Suo e del resto della squadra. D’altro canto il Senegal fa della fisicità il proprio punto di forza. Una squadra che fa del perfetto connubio fra quantità e classe dei suoi campioni, Koulibaly e Mané su tutti, il suo modus operandi verso la vittoria.
VOLPI DEL DESERTO
Una difesa solida a sfidare il prorompente ruggito di un attacco insaziabile e inarrestabile. Una frase semplice che sembrerebbe il manifesto per eccellenza di una sfida fra due squadre diametralmente opposte nella loro filosofia di fare calcio. Questo perché se il Senegal ha trovato nella forza della sua difesa la base per costruire il risultato, l’Algeria lo ha trovato nell’abilità nel portare al gol i propri giocatori.
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Ma facciamo un passo indietro. Dopo l’addio del bosniaco Vahid Halilhodzic, che aveva guidato l’Algeria nella ottima Coppa del Mondo del 2014, la nazionale nordafricana era riuscita a cambiare ben sei allenatori in quattro anni. Il tutto fino alla scelta nello scorso anno di Djamel Belmadi, allenatore formatosi in Qatar dalla discreta esperienza.
L’allenatore ha saputo dare un’anima, un’identità precisa a questa squadra. Dal pressing immediato in fase di non possesso alla costruzione dal tridente di centrocampo. Il 4-3-3, che in base all’atteggiamento degli interni di centrocampo e degli esterni d’attacco può diventare un 4-1-4-1, con Bennacer e Feghouli a premiare la fantasia e le incursioni in avanti di Mahrez e Baghdad Bounedjah ad agire da sponda per gli inserimenti offensivi del talento del Manchester City o di Belaïli sulla sinistra si è rivelato uno stile di gioco efficace e spettacolare.
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Tanto da segnare ben 12 gol in sei incontri, concedendone soltanto due.
Fra i quali la punizione capolavoro della stella di questa squadra.
La punizione di Riyad Mahrez in occasione del decisivo gol del 2-1 è un capolavoro nel momento più importante. Il numero 7, (evidenziato in azzurro) nonostante il buon posizionamento della barriera (fra cui il giocatore posizionato a “coccodrillo” ai piedi della stessa), riesce a giro poco sotto il 7 a battere un incolpevole Akpeyi (evidenziato in rosso).
Una corazzata che si candida prepotentemente alla vittoria finale contro un Senegal che tuttavia si farà trovare pronto per la grande occasione della propria storia. In una finale dal risultato incerto ma dallo spettacolo potenzialmente garantito.
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