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L'indimenticabile Senegal

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L’indimenticabile Senegal

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Uno dei requisiti necessari ad un CT per guidare al meglio una Nazionale è sicuramente quello di essere in grado di instaurare una sinergia culturale ed emotiva con il gruppo che si ha davanti. Questa non sarà mai una legge scritta, ma in determinati casi e/o situazioni può rivelarsi fondamentale. Difatti, esser capaci di calarsi in un contesto differente dal proprio è un’abilità spesso sottovalutata, soprattutto per un ruolo delicato come quello del commissario tecnico. A maggior ragione, in un Mondiale o in qualsiasi torneo che si disputa nell’arco di poche settimane, il rapido susseguirsi di eventi e partite può scombussolare ogni piano, e la comunione di intenti tra allenatore e squadra supera il principio tecnico-tattico. Di esempi da fare ce ne sarebbero tanti ma il più emblematico riguarda la cavalcata del Senegal nella competizione iridata tenutasi tra Corea del Sud e Giappone nel 2002.

Per i senegalesi il deus ex machina di quell’irripetibile avventura fu Bruno Metsu, allenatore francese dall’aspetto anticonvenzionale e dal carisma magnetico. Metsu arrivò in Senegal all’alba del nuovo millennio, dopo un breve apprendistato con il mondo africano sulla panchina della Guinea. Il suo sbarco coincise con l’esonero di Peter Schnittger, imputato di aver sviluppato uno stile di gioco distante dalle caratteristiche dei giocatori e di aver instaurato una specie di regime del terrore nello spogliatoio. Dall’ultradifensivismo sul rettangolo verde si passava a treccine e cuffie vietate ai calciatori: un tentativo di mutazione culturale che ha avuto come conseguenza la fuga dalla Nazionale dei giocatori più rappresentativi.

Come un padre alle prese con una famiglia da ricostruire, Metsu ha faticosamente raccolto i cocci della squadra, utilizzando un nuovo codice comportamentale per risvegliare i Leoni della Teranga.

Il leone rosso ha ruggito.

Il domatore della savana

di un balzo s’è slanciato

dissipando le tenebre.

Le parole di Léopold Senghor, che assieme alla musica di Herbert Pepper compongono l’inno senegalese, vanno a braccetto con le intenzioni di Metsu: risvegliare e liberare il leone.

A GRANDI PASSI

L’impatto in termini di risultati fu piuttosto immediato: per la prima volta nella sua storia il Senegal raggiunge la fase finale di un Mondiale, superando nel girone di qualificazione le ben più quotate Algeria, Egitto e Marocco. L’aritmetica qualificazione giunse a corollario della goleada rifilata alla Namibia il 21 ottobre 2001 ma la partita che di fatto valse il viaggio in Corea si tenne a Dakar, sette giorni prima contro il Marocco. L’unico gol dell’incontro lo realizzò El-Hadji Diouf, il settimo degli otto totali che lo incoronarono capocannoniere del girone.

Prima di assaporare l’aria del Mondiale, il Senegal fece tappa in Mali per disputare la Coppa d’Africa, competizione nella quale fino al 2002 contava come massimo risultato un quarto posto ottenuto nel lontano 1965. Forte di una difesa impermeabile, la squadra di Metus galoppò fino alla finale contro il Camerun campione in carica. Il match si protrasse sino alla folle lotteria dei calci di rigore, dove i camerunensi – che indossavano una singolare canotta come divisa di gioco – sfruttarono gli errori di Faye, Diouf e Cissé per riconfermarsi campioni.

FINALMENTE MONDIALE

A queste ottime prestazioni non fece, però, seguito una riconciliazione tra squadra e federazione. Le due fazioni erano da tempo in piena guerra, e l’avvicinamento ad un evento storico come il primo Mondiale al posto di placare gli animi inasprì questi dissapori. Squadre e staff, attraverso le parole dirette e poco diplomatiche di Diouf, espressero il loro disappunto verso le amichevoli organizzate nel pre-Mondiale, ritenute troppo poco allenanti e competitive:

“Ci hanno organizzato un pre-Mondiale che è una farsa. Non sono stati capaci di trovarci avversari seri. La verità è che noi siamo una Nazionale di professionisti ma troppi nostri dirigenti sono dilettanti allo sbaraglio.”

L’aria, già tossica di per sé, fu resa ancor più pesante da un evento che scosse l’opinione pubblica a pochi giorni dall’esordio: Khalilou Fadiga, numero 10 e fantasista della squadra, venne accusato di aver rubato una collana d’oro da una gioielleria di Taegu, in Corea del Sud. Il giocatore, al tempo in forza all’Auxerre, tentò di lavarsene le mani affermando che si trattasse di uno scherzo. La versione convinse pochi ma tra questi vi era Bruno Metsu, che preferì ignorare l’insurrezione popolare sollevatasi contro Fadiga, tenendolo in squadra e utilizzando l’episodio come espediente per motivare il gruppo.

“L’unico modo per far sì che le persone dimentichino il tutto è battere la Francia. Se non vinciamo, questa storia continua. Ma se vogliamo salvare il nostro amico, dobbiamo vincere questa partita. Se ci riusciremo, sarà un terremoto nel mondo.”

La natura di questa decisione – criticabile per molti ma senz’altro intelligente a pochi giorni dal debutto – va ricercata nel rapporto instaurato tra CT e squadra. Metsu, ormai un senegalese acquisito, nelle ore in cui non erano impegnati in riunioni tattiche o allenamenti, concedeva ai suoi giocatori la libertà di scorrazzare tra locali e discoteche, di passare del tempo con i propri familiari e di gestirsi liberamente in funzione degli impegni. Difficile quantificare l’influenza di questo fattore sul risultato finale ma sicuramente il comportamento poco professionale dei senegalesi non si rifletteva sulle prestazioni.

Sul rettangolo di gioco, senza ricercare soluzioni astruse, Metsu schierava la squadra con un baricentro basso e composto da due linee strettissime. L’obiettivo era quello di avere più campo possibile da attaccare, al fine di assecondare l’istinto dei giocatori migliori. La conseguenza fu un calcio figlio del caos, della giocata estemporanea, della supremazia atletica sugli avversari.

Nella partita d’esordio contro la Francia tutte queste caratteristiche andarono a nozze contro una squadra colma di talento ma sazia e poco intensa. Il palo di Trezeguet svegliò i Leoni della Teranga che dopo un paio di contropiedi mal sviluppati andarono a segno a metà primo tempo. Il gol fu del centrocampista Bouba Diop, ma l’azione fu orchestrata da Diouf: il futuro attaccante del Liverpool e Pallone d’Oro africano sgattaiola sulla fascia, costeggia la linea di fondo e spedisce in area un cross teso che innesca la carambola mortale per i francesi. Da terra, Diop spinge in rete e, simultaneamente, a Dakar, ai piedi dei maxi schermi messi nelle piazze principali, impazzano i festeggiamenti. La reazione francese non arriva e l’assenza forzata di Zidane priva les bleus di quell’imprevedibilità necessaria per mandare in tilt la difesa rossoverde. Quando ormai le energie dei transalpini sono al lumicino, l’arbitro decreta la fine del match e i senegalesi possono alzare le braccia al cielo.

“Se conosci tutta la storia che è accaduta, è stata un’occasione per l’Africa, o per il Senegal, per dire sì, possiamo battere il potere coloniale”.

A tanti anni di distanza, Salif Diao sottolinea l’impatto che nella loro testa quella vittoria avrebbe potuto avere, restituendoci l’idea di gruppo caricato a molla dalle decine di fattori contingenti a quella partita.

La sbornia post-vittoria è intensa e duratura, ma non coincide con l’atteso senso di appagamento. Ad attendere il Senegal c’è la Danimarca di Morten Olsens, Jorgensen e Tomasson, con quest’ultimo in grande spolvero nella vittoria all’esordio contro l’Uruguay. L’avvio è traumatico per il Senegal: prima, ù Fadiga si conferma più sregolato che genio e solo per un abbaglio arbitrale il suo calcione ad Helveg non viene punito con il cartellino rosso; successivamente, un’altra ingenuità regala un cioccolatino dagli undici metri che Tomasson scarta con freddezza. Il Senegal reagisce in modo confusionario e generando qualche occasione principalmente su palla inattiva. Ad inizio ripresa però, la squadra di Metsu orchestra e conclude l’azione simbolo del suo Mondiale:

Il dribbling negato a Jorgensen, l’immediata ricerca della verticalità, la sponda di tacco di Diouf e i 70 metri di progressioni di Diao che si concludono con una goffa puntata dritta all’angolino: senza ombra di dubbio, questi 15 secondi sono il manifesto calcistico del Senegal di Bruno Metsu.

Il pareggio con la Danimarca apre al Senegal la possibilità di ragionare sul doppio risultato in vista dell’ultimo match del girone: la vittoria e il primo posto sono l’obiettivo, ma anche di un pareggio ci si può accontentare. L’avversario è l’Uruguay, che al suo ritorno al Mondiale dopo 12 anni di assenza nutre ancora fondate speranze di passaggio del turno. Nel primo tempo, però, i leoni lasciano le catene negli spogliatoi. Fadiga si redime dal dischetto e apre le danze, mentre Bouba Diop completa l’opera, prima accompagnando alla perfezione un contropiede fulminante condotto da Camara e pochi secondi dopo ripetendosi con una spaccata sul filo del fuorigioco che, se replicata adesso, farebbe penare gli arbitri in sala Var.

Il duplice fischio dell’arbitro giunge come una manna dal cielo per i sudamericani, che 15 minuti dopo rientrano in campo affamati. Richard Morales, dopo una decina di secondi, spinge in rete una corta respinta di Tony Sylva e da il via alla rimonta uruguagia. La forsennata pressione della Celeste non scalfisce il muro africano, ma a polverizzarlo ci pensa un ragazzo dalla folta criniera bionda con un destro al volo che si spegne sotto l’incrocio. Parliamo di Diego Forlan, che si presenta a quel match con alle spalle 4 partite in Nazionale maggiore ed il ruolo di quarta punta nelle rotazioni di mister Pùa. Al gol del Cachavacha fa seguito un rigore generoso concesso per un presunto fallo su Morales. Dal dischetto, il Chino Recoba, a 3 minuti dalla fine, spiazza Sylva e inietta ulteriore adrenalina nelle vene dei suoi compagni. L’assalto finale è un’altalena di emozioni: il culmine lo si tocca durante il primo minuto di recupero, quando un salvataggio sulla linea di Diatta si trasforma in un campanile che spiove a pochi metri dalla porta ancora sulla testa del Chengue Morales. Il numero 18 deve solo indirizzare la sfera verso la porta sguarnita, ma forse stupito dalla grande libertà di cui gode la spedisce sul fondo.

L’errore madornale di Morales spedisce il Senegal agli ottavi di finale, un’impresa storica per il calcio africano e che fino a quel momento solo il Camerun nel 1990 aveva raggiunto. Gli indomabili leoni si spinsero fino ai quarti di finali, il Senegal per farlo avrebbe dovuto eliminare una Svezia che aveva messo in fila Inghilterra e Argentina nel girone.

DENTRO O FUORI

Il passaggio del turno coglie tutti impreparati: lo staff, ad esempio, è a corto di scorte mediche ma la benevolenza dei colleghi francesi in partenza (che invece di scorte ne avevano a buttare) permette loro di equipaggiarsi. Tra disorganizzazione e sana trepidazione, il 16 giugno 2002 il Senegal affronta la Svezia per un posto nei quarti di finale del Mondiale.

Il teatro è l’Oita Bank Dome di Oita e il primo atteso protagonista non si fa attendere: al minuto 11 un’uscita avventurosa di Sylva permette alla versione glabra di Henrik Larsson di girare il pallone in rete per il vantaggio scandinavo. L’incornata di Larsson non intacca, però, la solidità mentale senegalese: il tridente Diouf-Thiaw-Camara comincia a carburare e proprio quest’ultimo, a 10 minuti dal termine della prima frazione, riporta in parità il match. Il gol è, ancora una volta, frutto dell’improvvisazione: lo stesso Camara ricicla una seconda palla al limite dell’area, l’addomestica e come una gazzella scatta alla sinistra del suo marcatore prima di spedire un diagonale imprendibile all’angolino.

I fuochi d’artificio del primo tempo non sono seguiti da una ripresa altrettanto scoppiettante. Nemmeno l’ingresso di un Ibrahimovic dai tratti ancora efebici scuote lo status quo della gara e, così, il match travalica il muro dei 90 minuti e sfocia nei tempi supplementari, dove vige la regola del Golden Gol: un’idea probabilmente frutto della mente del Diavolo in persona. In questa occasione, però, il Diavolo condanna gli svedesi ad un’atroce eliminazione: la combo ruleta-destro potente di Svensson si infrange sul palo e, pochi minuti dopo, un’altra serpentina di Camara si conclude con un tiro strozzato che bacia il palo prima di spegnersi in rete. Il conto che la Svezia si ritrova a dover pagare è salatissimo, ma questo Senegal sembra aver fatto carte false per conquistarsi il benestare della dea bendata.

Anche il successivo accoppiamento, con la Turchia, non sembra proibitivo per i senegalesi, che dall’alto del loro spirito libertino si apprestano a sfidare nuovamente la storia. Il primo tempo è di marca senegalese, con Diouf in versione tuttofare che cuce il gioco e si catapulta in area con encomiabile costanza. Più passano i minuti, più le squadre patiscono le fatiche delle settimane precedenti, ed il secondo tempo scivola via con colpi da KO nemmeno abbozzati. Ad attendere Turchia e Senegal ci sono i 30 minuti di roulette russa aka tempi supplementari prima della lotteria dei calci di rigore. Il minuto chiave è il 94, quando il Senegal capitola dinanzi ad un rapido ribaltamento di fronte inaugurato dal portiere Rustu, alimentato da Umit Davala e trasformato in gol da Ilhan Mansiz, eroe per una notte che si porta a casa lo scalpo dei leoni.

ICONICI MA SENZA LIETO FINE

Al termine di ogni coinvolgente avventura, il ritorno sulla Terra o, più semplicemente, alla vita di tutti i giorni può rivelarsi traumatico. Nel caso della Nazionale senegalese l’esaltazione e la gratitudine per i risultati ottenuti vengono rapidamente sostituiti dallo smembramento del gruppo. Il primo ad abbandonare la nave è proprio Bruno Metsu, che pochi mesi dopo cede al fascino irresistibile del denaro e si trasferisce negli Emirati Arabi. L’addio dell’anello di congiunzione del gruppo si traduce in deludenti risultati sportivi: le buone prestazioni in Coppa d’Africa (quarti di finale e quarto posto nelle successive due edizioni) vengono oscurate dalla mancata qualificazione ai Mondiali 2006, manifestazione in cui ben figura il Ghana che, quattro anni dopo, replicherà le imprese di Camerun e Senegal.

Il Senegal ai Mondiali ci è tornato la scorsa estate, con in panchina uno degli eroi di Corea-Giappone: Aliou Cissè. Con un proposta di gioco simile a quella che lo vide protagonista in campo quasi vent’anni prima, Cissè ha messo la nuova florida generazione di talenti del calcio senegalese nelle condizioni di rendere al meglio. La singolare regola dei cartellini ha estromesso i Leoni della Teranga dalla competizione, ma la finale raggiunta quest’inverno in Coppa d’Africa è un’ulteriore dimostrazione del bel lavoro fatto fino ad ora.

A quasi due decenni di distanza, l’esperienza asiatica è ancora viva nello staff e nello spirito del gruppo senegalese come un promemoria da consultare e rispettare. Pur provenendo da un contesto diverso, Metsu tracciò un percorso da perseguire basato sul concetto di libertà d’azione e sul rispetto mostrato verso una cultura al tempo ancora incompresa. Seppur il cinismo calcistico che storicamente si abbatte sulle Nazionali africane non sembra placarsi, il Senegal avrà sempre un’ideale a cui aspirare, ovviamente, senza scendere a compromessi.

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Champions League

Rimonta da urlo dell’Inter, il Napoli crolla nel finale: i resoconti

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Inter

Serata di Champions dalle mille emozioni per Inter e Napoli. Primo tempo da dimenticare per i nerazzurri, sotto 3-0 all’intervallo col Benfica grazie alla tripletta dell’ex Joao Mario. Al rientro dagli spogliatoi, grande reazione gli uomini di Inzaghi che riescono a trovare una super rimonta con il 3-3 finale. Succede di tutto anche al Bernabeu. In casa del Real Madrid, il Napoli prima la sblocca, poi la riprende con Anguissa e, alla fine perde 4-2. I resoconti dei match.

IL RESOCONTO BENFICA-INTER

Serata che parte malissimo per l’Inter. Al Da Luz sembra essere la serata dell’ex Joao Mario, capace di annichilire i nerazzurri con una tripletta nei primi 34 minuti di gioco. La serata di grazia del portoghese si apre dopo soli 5 minuti, quando è abile a raccogliere la sponda di Tengstedt e mettere il pallone all’angolino. Il raddoppio del Benfica arriva in maniera anche abbastanza fortunosa: palla persa da Asllani a centrocampo e ripartenza culminata con un rimpallo tra Bisseck e Rafa. Il pallone arriva poi tra i piedi di Joao Mario che non sbaglia. La timida risposta interista è rappresentata dall’errore di Arnautovic nell’uno contro uno con Trubin. I padroni di casa non si fermano e arriva anche il 3-0, sempre propiziato da un ispiratissimo Tengstedt. Stavolta l’attaccante danese serve un cross delizioso sempre per Joao Mario che, da due passi, mette in rete di testa.

Quella del secondo tempo è tutta un’altra Inter. Gli uomini di Inzaghi ci mettono carattere e riescono a tornare in partita con il tap in vincente di Arnautovic. Sull’onda dell’entusiasmo arriva anche il 3-2 firmato da Frattesi. Gran gol dell’ex Sassuolo che, su cross di Acerbi, trova la rete con un gran tiro al volo. Dopo aver corso un enorme rischio con il salvataggio di Bisseck su Tengstedt, arriva il clamoroso 3-3. Pestone in area di Otamendi su Thuram: dal dischetto va un glaciale Alexis Sanchez che non sbaglia e trova un insperato pareggio. Emozioni anche nel finale con il grande intervento di Audero su Di Maria e l’espulsione di Antonio Silva. Match che però si chiude con un pirotecnico 3-3.

IL RESOCONTO DI REAL MADRID-NAPOLI

Avvio pazzesco al Bernabeu dove, dopo soli 9 minuti, a passare è il Napoli. I partenopei trovano il gol grazie a una bella azione chiusa con l’appoggi di Di Lorenzo per Simeone, bravo a farsi trovare pronto e mettere in rete. Giusto il tempo di ribattere e il Real ha già pareggiato: azione solitaria di Rodrygo e gran destro all’incrocio. Spinti dal proprio pubblico i Blancos trovano anche il raddoppio con il solito Bellingham. L’inglese si inserisce alle spalle di un incerto Natan e, di testa, batte Meret sfruttando al meglio il perfetto lancio di Alaba.

Dopo l’equilibrio di fine primo tempo, al rientro dagli spogliatoi ricominciano le emozioni ancora grazie al Napoli. La squadra di Mazzarri trova il pareggio grazie ad un gran destro di Anguissa che, dopo un primo tentativo murato, trova un grande angolo da posizione defilata. Il Real Madrid riesce a ritagliarsi subito l’opportunità per il nuovo vantaggio ma Joselu, da pochi passi, non riesce a coordinarsi. Il Napoli lotta ma crolla nel finale. Il Real, grazie ad una vistosa incertezza di Meret, trova prima il 3-2 con il destro dalla distanza di Nico Paz. Poi, mette anche il punto esclamativo con il tap in di Joselu su assist di Bellingham. 4-2 il risultato finale.

COME CAMBIANO LE CLASSIFICHE DEI GIRONI

GRUPPO D

  1. Real Sociedad 11
  2. Inter 11
  3. Salisburgo 4
  4. Benfica 1

GRUPPO

  1. Real Madrid 15
  2. Napoli 7
  3. Braga 4
  4. Union Berlino 2

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Calcio Internazionale

Mazzarri torna in Champions dopo undici anni: a che punto è il suo Napoli per l’esame Real Madrid?

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Napoli - Real Madrid

Il Napoli si prepara alla grande sfida di Champions League contro il Real Madrid al Bernabeu. Dopo la sfida di andata vinta dai Blancos per 2-3, dove il Napoli aveva dato comunque dimostrazione di potersela giocare con una delle migliori squadre d’Europa, questa volta ci sarà un’importante differenza, ovvero chi si siederà nella panchina degli attuali campioni d’Italia. Walter Mazzarri torna nel palcoscenico più importante d’Europa a distanza di 11 anni, quando con i partenopei, riuscì a far sognare i tifosi anche nella massima competizione europea.

Il magico trio Lavezzi-Cavani-Hamsik, trascinatori del primo Napoli di Mazzarri, aveva infatti riportato dopo 21 anni gli azzurri in Champions League, trovando un girone ostico con Bayern Monaco, Manchester City e Villarreal. Nonostante il grande livello, i campani riuscirono a piazzarsi in seconda posizione, trovando quindi l’accesso agli ottavi di finale per la prima volta nella storia. Con il Chelsea si sfiorò l’impresa: all’andate al San Paolo finì 3-1 con doppietta di Lavezzi e un gol di Cavani. Allo Stamford Bridge poi la disfatta, con la vittoria da parte dei futuri campioni d’Europa di Roberto Di Matteo per 4-1 ai tempi supplementari con il decisivo gol di Ivanovic.

Come si farà trovare la formazione di Mazzarri?

LA SITUAZIONE NEL GIRONE

Il girone C composta da Real Madrid, Napoli, Braga e Union Berlino vede le prime due squadre in prima e seconda posizione, rispettivamente a 12 e 7 punti. La formazione di Carlo Ancelotti è infatti a punteggio pieno fino a questo momento. Il Napoli ha portato a casa due vittorie, la sconfitta appunto con il Real Madrid e l’ultimo risultato che è il pareggio con l’Union Berlino, che aveva già fatto mettere in dubbio la definitiva posizione di Rudi Garcia, che da lì a pochi giorni verrà esonerato da Aurelio De Laurentiis. Il patron del Napoli ha quindi deciso di affidare la panchina ad un traghettatore. Un uomo di fiducia, che come raccontato in precedenza, ha già portato buoni risultati e conosce l’ambiente.

“Quando mi ha chiamato gli ho fatto capire che una squadra così importante l’avrei allenata ancora volentieri, e lui avrà pensato che ero l’allenatore giusto. Col presidente c’è stato un po’ di gelo per un paio d’anni dopo che sono andato via, ma ora è un amico, mi ha chiamato anche in occasioni diverse, magari per chiedermi consigli sui giocatori. C’è un rapporto di stima reciproca e considerazione. Domani sarebbe bellissimo se riuscissimo a fare risultato e passare il turno già domani, però se non dovesse essere così ci sarà l’ultima che sarà come una finale. Contro un’avversaria di valore, ma non come il Real Madrid”.

Walter Mazzarri, intervista a Sky Sport

Con la fiducia dell’importante esordio con vittoria di Bergamo per 2-1 contro l’Atalanta, Mazzarri dovrà affrontare qualche dubbio di formazione per affrontare una della favorite al titolo.

“Continuità dopo i segnali di Bergamo? Quello lo vedremo. Siamo coscienti di giocare contro una squadra top nel mondo contro un allenatore bravissimo che ha vinto tutto. Conosciamo le difficoltà ma questo è affascinante e bello e speriamo di fare il meglio possibile”.

LA FORMAZIONE

Mazzarri pronto a confermare il 4-3-3 che ha convinto per compattezza del gruppo contro l’Atalanta in campionato. In porta torna Meret, in difesa Di Lorenzo a destra, centrali confermati Rrahmani e Natan. Sulla sinistra visto il grave infortunio di Olivera, è pronto Juan Jesus. A centrocampo con tutta probabilità verrà riproposto la mediana con Anguissa, in ripresa vista l’ottima prestazione di Bergamo, Lobotka e Zielinski.

In attacco ecco il grande dubbio: sono confermati Politano e Kvaratskhelia confermati come due ali d’attacco, resta da capire il grande dubbio su Raspadori e Osimhen. Il nigeriano è rientrato nello scorso turno di campionato ma anche Mazzarri ha voluto chiarire la situazione:

“Osimhen partirà titolare? Gli devo parlare. Quando ci sono partite così ravvicinate bisogna parlare con i ragazzi. Anche con chi ha fatto una partita intensa a Bergamo: devo capire se stanno bene. Di sicuro Osimhen non ha i 90′ nelle gambe: se partirà dall’inizio o giocherà a partita in corso lo deciderò dopo aver parlato con lui e con lo staff medico”.

Walter Mazzarri, intervista a Sky Sport

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Pioli in conferenza post Milan-BVB: “Non sono soddisfatto”

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Pioli

A margine della sconfitta rimediata contro il Borussia Dortmund, un evidentemente deluso Stefano Pioli ha parlato in conferenza stampa. Queste le sue parole.

PARTITA ED EPSODI – “Non sono soddisfatto, per vincere queste partite ci vuole più qualità Abbiamo avuto le occasioni per andare in vantaggio, la qualità doveva essere superiore. Krunic lo abbiamo già provato in quella posizione, può farlo”.

STRASCICHI – “Siamo sempre stati molto bravi a reagire a queste delusioni, ora dobbiamo dare continuità alla vittoria con la Fiorentina in campionato”.

IL GIRONE DEI RIMPIANTI – “I rimpianti ci sono soprattutto per la prima partita con il Newcastle. Questa sera non siamo stati precisi e abbiamo consentito all’avversario di giocare la partita che volevano. Ora non dipende più da noi, ma proveremo a vincere contro il Newcastle”.

RAMMARICO – “C’è rammarico per l’infortunio di Thiaw. Mi spiace perdere un giocatore così forte per un po’ di partite”.

CONFRONTO CON LA SOCIETÀ – “C’è stato nel corridoio come alla fine di ogni partita”.

STADIO – “Fin quando la squadra ha dimostrato di poter essere in partita lo stadio è stato con noi. I tifosi hanno tutto il diritto di essere delusi”.

 

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Milan-Borussia Dortmund 1-3, le pagelle: incubo Giroud, Chukwueze l’unica luce rossonera

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Milan

Il Milan perde malamente in casa contro il Borussia Dortmund ma tiene in vita i discorsi qualificazione agli ottavi sfruttando il pareggio tra Newcastle e PSG. A San Siro finisce 1-3 per il BVB: decisiva la serataccia di Giroud che sbaglia un rigore in apertura di primo tempo. Chukwueze l’unica luce. Queste le nostre pagelle.

LE PAGELLE DEL MILAN

Maignan 5.5: responsabilità sul gol di Adeyemi, l’estremo del Milan prova battezzare con troppo ottimismo il secondo palo, l’esterno del Borussia lo fredda sul primo. Inutile il disperato tentativo di tenere il pallone oltre la linea

Calabria 5: praticamente sempre in difficoltà nei duelli con Bynoe-Gittens, l’ingenuo fallo da rigore ne è l’emblema. Sciupa di testa una clamorosa palla gol nel recupero del primo tempo.

Thiaw 6: attento, mette i piedoni su un paio di cross dalla sinistra e controlla Fullkrug. Sfortunato, si fa male dopo un’ottima chiusura. (Dal 52′ Krunic 5.5: in difficoltà adattato a centrale, il gol dell’1-2 nasce dal suo lato).

Tomori 5.5: rimedia un giallo ingenuo in mischia, il cartellino lo condiziona.

Theo Hernandez 5.5: più timido del solito in attacco, il Borussia, che tiene gli esterni molto alti, ha dei meriti, ma poteva fare meglio.

Adli 6: sprazzi di grande classe nel primo tempo quando è bravo anche in difesa. Cala alla distanza, meriterebbe ugualmente più chances dal primo minuto. (Dal 76′ Jovic 6: sfortunato, coglie un palo al 85′).

Reijnders 5.5: la sensazione è che a volte manchi il dialogo con i compagni di reparto: spesso il Milan lascia delle voragini a centrocampo, e il Borussia le sfrutta.

Loftus-Cheek 5.5: fatica a trovare la sua posizione in mezzo al campo, soffre il duello con Emre Can.

Chukwueze 7: conferma alla grande il trend positivo intravisto con la Fiorentina. Il migliore dei suoi, ma il gol è solo una parte della sua partita: oltre a quello sono i dribbling e le corse a mandare in tilt la fascia sinistra del BVB. Finalmente, ma non basta per la vittoria. (Dal 76′ Traore s.v.).

Giroud 4.5: sbaglia il rigore al decimo del primo tempo ed esce da quel momento dalla partita. Da uno con la sua esperienza sarebbe servito altro.

Pulisic 5.5: imbrigliato, pochi spunti e una gara rivedibile.

All. Pioli 5.5: il suo Milan approccia bene, ma il rigore di Giroud soffoca un primo tempo sin lì ottimo. Prova a sistemare le cose pescando dalla panchina, ma le risorse sono limitate.

LE PAGELLE DEL BORUSSIA DORTMUND

Kobel 6.5: intuisce e para il rigore di Giroud, forse poco reattivo sul gol di Chukwueze, ma non era facile.

Ryerson 6: un crossaccio direttamente sul fondo a inizio partita gli suggerisce che forse sarebbe meglio badare più alla difesa, lo fa bene.

Hummels 7: il peso dell’esperienza, annulla Giroud e non buca un intervento. Bravo.

Schlotterbeck 5: prima “para” illegalmente un tiro di Chukwueze e provoca il rigore, poi tiene in gioco tutti sull’azione del gol dello stesso nigeriano. Esce per infortunio. (Dal 55′ Ozcan 6: da geometrie al centrocampo del Dortmund).

Bensebaini 5.5: soffre Chukwueze che lo saluta e segna nell’azione del pareggio. Le sue costanti discese sul fondo si concludono spesso con un nulla di fatto.

Emre Can 6.5: la sua duttilità un’arma tattica. Utile sia da mediano che da difensore centrale.

Sabitzer 6.5: ci mette quantità, realizza l’assist per il gol di Bynoe-Gittens

Malen 5.5: poco incisivo sia a destra che a sinistra, il cambio è la matematica conseguenza. (Dal 55′ Adeyemi 7: entra e chiude la partita).

Reus 6.5: una cosa ma fatta bene, il rigore che tira a Maignan è perfetto e vale il momentaneo 0-1. (Dal 79′ Brandt s.v.).

Bynoe-Gittens 7.5: si conquista il rigore e segna il gol dell’1-2 che, talaltro, si meritava per quanto fatto vedere fino a quel momento. Esser più decisivo di sarebbe stato difficile. (Dal 66′ Wolf 6: svaria sul fronte, ma è poco preciso).

Fullkrug 6.5: un colpo di testa pericoloso e una traversa, bravo anche nella gestione del pallone. Da una sua bella giocata nasce il gol del 1-2.

All. Terzic 7: imbriglia Theo e Pulisic, non soffre il dinamico centrocampo rossonero. Cambi tutti azzeccati, la qualificazione agli ottavi è un piccolo capolavoro.

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