La grande lezione di calcio dell’Ajax nella doppia sfida contro la Juventus non si è limitata a quello che è stato il calcio giocato all’interno del rettangolo verde, sotto le luci del bellissimo Allianz Stadium e all’interno di una cornice di pubblico pronto ad assaporare, una volta per tutte, il grande salto di qualità in Champions League. La dimostrazione di forza della squadra olandese si allarga verso altri orizzonti e rende chiaro e cristallino un concetto fondamentale: il situazionismo non paga. O per lo meno non paga più come una volta.
MENTALITÀ DIFFERENTI
Juventus-Ajax infatti non è stata solamente la sfida tra due differenti organigrammi societari: ovvero tra chi investe sul giocatore più efficace e decisivo del panorama calcistico internazionale, Cristiano Ronaldo, il quale aveva sempre raggiunto almeno le semifinali dal 2010, e chi invece decide di investire cifre, sotto forma di strutture e allenatori preparati, nel creare un’identità societaria globale, che cresce, fiorisce e si sviluppa a partire dai ragazzi del settore giovanile che calciano per la prima volta il pallone ad Amsterdam fino ad arrivare alla prima squadra.

Contestualizzare la diversa filosofia societaria all’interno dell’eliminazione della Juventus non sarebbe corretto, visto che sono davvero poche le società che riescono ad unire progettualità legata alla crescita dei propri giovani con il raggiungimento di trofei e obiettivi. Il grande tema da tenere in considerazione dopo il fallimento Champions della Juventus è lo scontro, eterno e titanico, tra situazionismo e identità di gioco. O per meglio dire tra un situazionismo a metà e una chiara e definita identità di gioco da proporre in ogni dove e in qualsiasi momento. Inutile dire che la battaglia è stata nettamente vinta da quest’ultima: la proposta offensiva ha avuto la meglio sulla speculazione difensiva, difensivista e ancorata ai singoli e alle loro qualità. L’Ajax di ten Hag rappresenta la massima espressione di tutto questo: velocità di palleggio, rapidità di pensiero, forza fisica, aggressività e volontà di giocare uno contro uno a tutto campo contro qualunque avversario. L’Ajax, grazie a questa identità, ha creato numerose occasioni da gol in 180 minuti, ha dominato il gioco sia in casa che in trasferta e ha anche subito pochissimo in fase difensiva: in sostanza ha meritato nettamente di passare il turno.
QUAL È L’INSEGNAMENTO?
A che conclusione si può e si deve arrivare dopo questo doppio confronto? Il situazionismo non basta più. Non basta più nascondersi dietro alla lettura tattica dell’avversario, non basta più cercare di limitare gli avversari ancora prima di avere chiaramente in testa cosa proporre, non basta più speculare sull’invettiva e sulla mortifera capacità dei propri singoli di azzannare partite piatte e scialbe. In Europa questo non basta. Sia chiaro: studiare l’avversario dal punto di vista tattico è di fondamentale importanza, trovare dei piani strategici per distruggere e impedire all’avversario di avviare la manovra e costruire come preferisce è determinante per vincere le partite e per portare a casa trofei. A questo però va aggiunto dell’altro, va aggiunta un’identità e vanno aggiunti concetti credibili per giocatori, società e tifosi. Accontentarsi di annullare l’avversario non è sufficiente per alzare la coppa dalle grandi orecchie. La partita contro l’Ajax ne è stata un’enorme dimostrazione: Allegri ha sempre dimostrato di saper leggere perfettamente dal punto di vista tattico gli avversari e di saper cucire su misura un vestito diverso per la Vecchia Signora in base alla squadra che si trovava di fronte. Contro la squadra di ten Hag questo piano però non ha funzionato: la Juventus non è mai riuscita né ad essere aggressiva, né a difendersi bassa in maniera ordinata e proprio in quel momento, quando il situazionismo non stava portando frutti e quando sarebbero dovuti emergere concetti offensivi per ribaltarla, nulla è successo. Tutto è rimasto piatto. I difetti dell’Ajax non sono mai stati realmente messi in mostra in 180 minuti e il secondo tempo di Torino è stato ancora più complicato rispetto alla trasferta della Johann Cruijff Arena. In quel momento sarebbe dovuto emergere dell’altro, oltre che la reazione difensiva alla manovra offensiva avversaria. In quel momento di difficoltà tattica sarebbero dovuti emergere dei principi di gioco all’interno dei quali i giocatori si sarebbero potuti riconoscere a grazie ai quali avrebbero potuto acquisire sicurezze per tentare di ribaltare la gara.

Nemmeno ridurre il tutto alla definizione di “giocare bene” è corretto per analizzare la partita e l’eliminazione della Juventus. “Giocare bene” è una definizione fuorviante, spesso usata in maniera sconsiderata e che raggruppa al suo interno molti modi di intendere il calcio. Giocare bene non significa per forza proporre il tiqui-taca o avere il possesso palla dell’80%. Giocare bene significa anche attaccare continuamente la profondità come il Liverpool di Klopp, oppure giocare a tutto campo come l’Ajax o anche aggredire e ripartire come il Tottenham. Giocare bene significa avere un’identità.
La Juventus, contro l’Ajax, ha dimostrato di non avere un’identità precisa: il situazionismo ormai non è più sufficiente se si vuole trasformare in realtà un sogno che manca ormai da 23 anni.