I primi mesi di calciomercato hanno visto i club più prestigiosi della Serie A al centro di molte trattative di livello. Il ritorno di giocatori come Lukaku e Pogba e l’imminente sbarco italiano di Di Maria sembrano ridare “appeal” ad un campionato che, negli ultimi anni, ha faticato a reggere il passo delle altre leghe.
C’ERA UNA VOLTA
Se è vero infatti che l’Italia è stata, storicamente, una seconda patria per il gioco del calcio, è innegabile che la storia recente abbia visto altre nazioni farla da padrone. Negli ultimi anni del vecchio secolo la massima serie italiana, simbolo e frutto del movimento calcistico nostrano, è stata senza dubbio il massimo palcoscenico mondiale del gioco più bello del mondo. Solo i migliori giocatori degli altri campionati, dopo essersi affermati in patria, potevano aspirare a giocare in Serie A.
Ciò aveva reso il Bel Paese la culla del calcio che conta, e non solo. L’incredibile iniezione di talento nelle vene calcistiche italiane mise in moto un meccanismo consequenziale piuttosto lineare: migliori calciatori rendevano più spettacolari le partite, le quali a loro volta attiravano più spettatori. Risultato? Più soldi da investire.
Ma allora perché non è più così?
DEFINIZIONE DI OBSOLETO
Se si cerca sul dizionario la definizione della parola “obsoleto”, questo è ciò che si trova:
“Disusato, antiquato, passato di moda. Nel linguaggio tecnico che, pur essendo ancora in perfetta efficienza, risulti non più competitivo rispetto ad altri basati su idee o tecnologie più avanzate.”
Siamo obsoleti. Negli ultimi anni campionati come La Liga spagnola prima, e la Premier League dopo, si sono sviluppati verticalmente fino a superarci. Così come era perfettamente logico il meccanismo che ha portato tanto in auge la Serie A, è perfettamente comprensibile il crollo che quest’ultima ha subito. L’accentramento di capitale verso le big e una mancanza di una distribuzione equa (ad esempio nei compensi televisivi) hanno generato in seno alla massima divisione italiana un divario troppo ampio tra le società partecipanti, andando a danneggiare l’intrattenimento offerto dalle partite.
Percorso inverso, invece, è quello intrapreso proprio da campionati come quello inglese. Così come ha sempre fatto l’NBA, che sebbene non sia una lega calcistica è sicuramente l’organizzazione più efficiente a livello di intrattenimento, la Premier League ha adottato un sistema inverso. La forbice di differenza di entrate originate dai diritti televisivi che intercorre tra prima e ultima classificata è minima, quasi nulla. Ciò fa sì che chi ha faticato nella stagione corrente potrà rinforzarsi in quella successiva, rendendo i match più equilibrati e più appetibili. Più intrattenimento, più soldi.
SERIE A 2.0
Il momento buio della Serie A, che nonostante tutto rimane tra i migliori campionati del mondo, sembra poter volgere al termine. A dare l’input necessario, la scossa, è stato senza dubbio l’acquisto da parte della Juventus di Cristiano Ronaldo nel 2018. L’avvento di CR7, all’apice della sua carriera e reduce dal trionfo in Champions, ha rappresentato un’inversione di tendenza da non sottovalutare.
Sebbene Cristiano non abbia portato i risultati pratici auspicati dagli juventini, gli effetti che il suo arrivo hanno comportato sull’immagine del club (ed indirettamente sul campionato) sono tangibili. Allo stesso modo acquisti come quelli di Lukaku, Di Maria o Pogba, rappresentano passi avanti verso un nuovo inizio per il campionato italiano.
Tuttavia la rinascita della Serie A potrebbe non essere così semplice da mettere in moto. Se è vero che l’arrivo di nomi illustri portano appetibilità alla competizione, il discorso è puramente circoscritto ai grandi club italiani. Per far sì che l’intero movimento riprenda forza motrice è necessario che il cambiamento parta dal basso, e non sia invece calato dall’alto. È necessario, anzi vitale, un cambiamento dell’organizzazione schematica della lega che consenta alle piccole squadre di poter competere.
Inoltre uno stravolgimento del genere non andrebbe a danneggiare le squadre di testa, tutt’altro. Poter giocare partite ad alta intensità per tutta la stagione consentirebbe alle “big” italiane di arrivare pronte agli incontri europei, dove da troppo tempo abbiamo una rilevanza pressoché nulla. Avere un ruolo di spicco negli incontri internazionali conferirebbe ai club italiani quell’appeal che tanto ci manca. Il discorso non cambia: più visibilità, più soldi.
Chi si adatta sopravvive, chi si ferma muore.