Dopo una stagione da 27 presenze e 6 reti (la peggiore da quando è a Bologna), le strade di Mattia Destro e del Bologna sembravano inevitabilmente destinate a separarsi.
Numero dieci sulle spalle e ingaggio più alto della squadra per distacco (intorno a 1,8 milioni l’anno, il Verdi appena venduto a Napoli e beniamino di casa percepiva quasi la metà), Destro non ha mai saputo imporsi con costanza come leader trascinatore dei felsinei.
COSE CHE NON FUNZIONAVANO
Il suo rendimento a intermittenza, unito al suo linguaggio del corpo dalle movenze “ciondolanti” (petto sgonfio, spalle basse, corsa di chi sembra non averne troppa voglia) gli hanno conferito col tempo un’apparenza di apatia verso tutto ciò che lo circonda, che ha profondamente diviso l’opinione pubblica calcistica bolognese su quale sia il suo reale valore.
Inoltre, la spaccatura tecnica maturata con l’ex allenatore del Bologna, Roberto Donadoni, gli era costata un numero considerevole di esclusioni dall’undici titolare nella seconda parte di campionato, anche all’interno di una rosa in cui, sulla carta, avrebbe facilmente dovuto stagliarsi per superiorità tecnica e fiuto del gol.
I SEGNALI, IL SEGNALE
Al termine del campionato, quindi, tutto faceva pensare a una separazione imminente, anche al costo di una minusvalenza importante.
In questa direzione andava l’acquisto di Santander, prima punta di peso paraguaiana militante in Danimarca e lo scambio Di Francesco-Falcinelli, trovando in quest’ultimo un giocatore dalle spiccate caratteristiche offensive.
Qualcosa deve però essere scattato nella mente dell’attaccante italiano classe ’91 quando è arrivata l’ufficialità dell’esonero di Donadoni e dell’approdo di Filippo Inzaghi, allenatore giovane, voglioso, pieno di idee verso il quale tutti avevano carta bianca. Nessuna gerarchia stabilita e tutto da dimostrare.
Da allora, sono sparite le voci intorno al mercato d’uscita di Destro, il quale da parte sua ha cominciato ad assumere un atteggiamento improvvisamente positivo e propositivo, dentro e fuori dal campo.
SI FINISCE SEMPRE SUI SOCIAL
Un aspetto che può sembrare effimero ed aleatorio – ma che di questi tempi è sempre più rivelatore – riguarda l’utilizzo dei social.

Sempre utilizzati in maniera estremamente marginale dall’attaccante ascolano, dal primo giorno di raduno a Casteldebole e dunque in ritiro a Pinzolo non passa giorno senza che Destro – o il suo social media manager – pubblichi qualcosa (Instagram). 2/3 contenuti al giorno che lo ritraggano perennemente sorridente, voglioso e ben integrato con il resto del gruppo. Il tutto immancabilmente accompagnato dall’hashtag “DestroComeBack”, con tanto di progressiva indicazione del giorno (“Day 1”, “Day 2”), quasi volesse pubblicizzare un suo personale diario di bordo, una narrazione a puntate che documenti il suo “ritorno”.

Si tratta di un tentativo comunque apprezzabile di riavvicinarsi a tifosi e addetti ai lavori dal momento che, per un motivo o per l’altro, Destro non si presenta ai microfoni in conferenza stampa, in zona mista o in intervista semplice da ormai diversi mesi.
CHE PARLI IL CAMPO
Al di là di quella che può essere la sua volontà di mostrarsi voglioso ad allenatore, giornalisti e piazza, a parlare nel calcio deve però essere il campo, sempre.
Anche da questo punto di vista, Mattia sta compiendo uno sforzo notevole per farsi apprezzare: non salta un allenamento, corre e si diverte, pressa e rincorre, quando possibile segna.
E’ un atteggiamento che incontra tuttavia una certa dose di scetticismo, soprattutto da parte della stampa locale, che già l’anno scorso si era spesa in titoli, approfondimenti e analisi di come e quanto Destro fosse asciutto di fisico, in forma, pronto per la stagione della rivelazione. Salvo poi rivelarsi la peggiore di tutte.
In sostanza, Destro è probabilmente consapevole del fatto che, arrivato alla sua quarta stagione a Bologna (con sole 25 realizzazioni alle spalle), con una competitività crescente in attacco e con un progetto di squadra che miri a togliersi, nel medio periodo, dal ventre molle della classifica di Serie A dove il Bologna ha comodamente e noiosamente stagnato nelle ultime stagioni, è costretto a rilanciarsi attraverso le sue sole forze, in quanto la pazienza con cui è stato coccolato per oltre due dei tre anni che ha passato all’ombra delle Due Torri sembra volgere vorticosamente al termine.
Tutto starà nella volontà e nella capacità del giocatore di sapersi mettere in discussione a 27 anni, di non accettarsi come un attaccante formato e maturo ma, cercando una seconda giovinezza diversa da quello che lo poneva come gioiellino conteso dai top club di Serie A, di reinventarsi come leader tecnico e carismatico di una squadra che, dopo la vendita di Verdi, non annovera punti di riferimento offensivi.
Solo a quel punto, il suo “ComeBack”, potrà essere hashtag e titolo di un racconto che varrà la pena raccontare.