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Da Nilton Santos a Dani Alves, l'evoluzione del ruolo del terzino

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Da Nilton Santos a Dani Alves, l’evoluzione del ruolo del terzino

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“Compratemi dei terzini di valore e vinco la Premier League”.

Si può riassumere così il pensiero di Guardiola dopo la prima stagione di insediamento al Manchester City. Dopo un anno di attenta valutazione della situazione della squadra, l’ex tecnico blaugrana aveva perfettamente inteso la falla più grande nel suo schema tattico, invitando la dirigenza a porre un pronto rimedio. Rimedio che effettivamente i Citizens successivamente attuarono, andando a acquisire i cartellini di Mendy e Walker, per una spesa totale superiore ai 100 milioni di euro. Risultato? La squadra di Pep è riuscita a conquistare due Premier, nel 2018 e nel 2019.

Negli anni la figura del terzino ha assunto, nel calcio moderno, un ruolo sempre più di primaria importanza. Spesso visti solamente come individualità in grado di dover compiere la doppia fase, correndo inevitabilmente su tutta la fascia per novanta minuti, i terzini dal dopoguerra in avanti hanno intrapreso un percorso evolutivo che li ha portati ad esser uno dei ruoli più decisivi in un preimpostato contesto tattico. Non è dunque più fondamentale chi riuscirà a siglare una rete, ma come la squadra riuscirà a farlo. La fase di gioco prima del singolo elemento ed, in tutto questo, la figura del “full-back” ha cambiato completamente la natura delle squadre più vincenti al mondo.

LA RIVOLUZIONE DEL BRASILE ’58

Nel dopoguerra, il calcio non sembra variare particolarmente rispetto al suo periodo precedente, sino però all’arrivo del magico Brasile, vincitore dei Mondiali del ’58, del ’62 e del ’70. Un Brasile dal perfetto animo carioca, che in campo riusciva a divertirsi, ma, soprattutto, a far divertire e che aveva come suo interprete massimo di gioco un giocatore del calibro di Pelé. Sino a quel tempo il modulo più utilizzato da quasi tutte le squadre di alto livello era la cosiddetta “piramide”: il 2-3-5. Due “full-back” che agivano da reali stopper della squadra, tre “halfback” in grado di giostrare al meglio le azioni nella zona mediana del campo e ben cinque calciatori offensivi, due ali e due giocatori a supporto della prima punta di peso (che spesso non era neanche una prima punta tipica, ma quello che oggi chiameremmo un “falso nueve“).

Fonte: profilo IG @pele

Il Brasile del ’58, tuttavia, decide di mischiare le carte in tavola. Vicente Feola, tecnico della rappresentativa sudamericana ed ex San Paolo, si presenta in Svezia con un 4-2-4 comunque marcatamente offensivo. I due terzini della squadra, Djalma Santos a destra e Nilton Santos (giocatore a cui è dedicato la stadio del Botafogo) a sinistra, sono giocatori in grado di compiere la doppia fase in maniera eccelsa ma, prima di tutto, sanno portare una spinta alla manovra decisiva. Il ruolo del terzino non è più dunque quello di ultimo riferimento difensivo, bensì di elemento in grado di accompagnare lo sviluppo del gioco, disimpegnandosi all’occorrenza anche da perfetto stopper.

CONTINUANO I SUCCESSI E L’EUROPA SEGUE DI PARI PASSO

Nel ’62 l’esperimento si ripete e Feola riesce a conquistare un secondo campionato del mondo, sempre con la coppia laterale del torneo di quattro anni prima. Nel ’70, invece, sarà Mário Zagallo il tecnico che condurrà la nazione carioca alla vittoria del titolo. Un allenatore che aveva assistito alle precedenti due vittorie in veste di giocatore. Molto meno tattico di Feola, si ritroverà in mano una squadra dell’altissimo valore tecnico, in grado solamente di poter vincere senza batter ciglio. In quell’edizione, Carlos Alberto ed Everaldo, reali campioni del gioco, riusciranno ad imporsi come terzini titolari della nazionale.

Ma l’Europa, dinnanzi a tutto ciò, come si pone? Doveroso fare una prima differenza tra quello che col tempo sarebbe divenuto il “full-back” e quello che sarà il “wing-back“. Per decenni (ed in parte anche ai giorni nostri), ogni compagine vincente presentava questi due tipi di terzini. Il primo, con qualità primariamente difensive, agiva sulla destra e si aggiungeva molto spesso alla batteria dei centrali arretrati. Il secondo, d’altro canto, era prima di tutto un giocatore di spinta, che doveva sì compiere la doppia fase, ma guardando soprattutto verso il comparto avanzato, agendo sulla sinistra del campo.

LA SITUAZIONE ITALIANA

Nel Vecchio Continente e più specificatamente in Italia, la squadra in grado di assolvere pienamente a questa doppia categoria di giocatori fu sostanzialmente una: l’Italia del ’70, avente tuttavia la batteria di terzini dell’Inter di Helenio Herrera, pluricampione d’Europa. La rappresentativa azzurra poteva vantare a destra la presenza di Tarcisio Burgnich, uno dei migliori difensori della storia del calcio italiano. Terzino di posizionamento in grado di adempiere perfettamente a severi compiti difensivi, vincitore di ben due Coppe dei Campioni con il club neroazzurro. A sinistra, invece, la nazionale poteva fregiarsi di Giacinto Facchetti, calciatore di spinta e giocatore rivoluzionario, in grado di cambiare in Europa la dietrologia che si celava intorno a tale ruolo.

Fonte: profilo IG @cabriniantonio

Da citare oltremodo anche la Juventus di inizio anni ’80, avente due calciatori che poi si rivelarono fondamentali anche nella conquista del Mondiale ’82: Gentile e Cabrini. Tuttavia si può già affermare che i bianconeri proseguissero un percorso ampiamente collaudato, che aveva visto nella squadra milanese sopracitata l’impatto evolutivo principale.

UNA NUOVA RIVOLUZIONE CHE ARRIVA AI GIORNI NOSTRI

Quando dunque la concezione del ruolo cambiò nuovamente? Dopo il definitivo cambio di metodo difensivo, dalla marcatura a uomo a quella a zona, la compagine che cambierà nuovamente il modo di giocare non può non esser il Milan di Sacchi. Una squadra che intenderà il gioco in una nuova maniera e seguace dell’esempio di calcio totale portato dalla scuola olandese. Come affermato nell’introduzione, ogni calciatore doveva saper svolgere più ruoli per riuscire ad entrare in un contesto di gioco determinato ed estremamente funzionale. L’esempio di giocatore più importante nella concezione della posizione fu sicuramente Paolo Maldini, uno stopper finissimo in fase difensiva, primo costruttore di gioco decisivo nello sviluppo della manovra rossonera e ala in grado di sovrapporsi periodicamente per rifornire di primi palloni i giocatori offensivi della rosa.

Maldini è estremamente esemplificativo della concezione che si ha del terzino ai giorni nostri. Un calciatore che ha sì funzioni offensive, che deve periodicamente proporsi negli ultimi trenta metri di gioco, dando continue soluzioni alla squadra, ma che innanzitutto parte essendo difensore. Da tale, dunque, non può permettersi errori, dato che quasi sempre le mancanze difensive si tramutano in reti avversarie. Con il cambio di marcatura, da uomo a zona, non si pensi che il ruolo abbia un’interpretazione più libera, tutt’altro. Proprio per questa ragione, il terzino è forse diventato uno dei ruoli più complessi ed in perenne cambiamento nel mondo del calcio.

Ai giorni nostri, tuttavia, trovare dei terzini validi è un qualcosa di estremamente raro. Ripetere le gesta di Dani Alves, Roberto Carlos o Cafu (non casualmente tutti e tre brasiliani), non sarà compito semplice.

TERZINI O CENTROCAMPISTI?

Innegabilmente, negli ultimi anni, sono stati parecchi i giocatori di fascia a disimpegnarsi egregiamente anche in linea mediana e viceversa. Sintomatico di ciò il Bayern degli ultimi dieci anni. Agli albori fu Philipp Lahm il giocatore che, essendo uno terzini migliori al mondo, ha chiuso la carriera sulla linea mediana. Medesimo discorso vale per David Alaba, che in carriera ha ricoperto quasi tutti i ruoli del campo: mediano, terzino, centrocampista a tutta fascia, centrocampista centrale e adesso centrale difensivo. E, per completare il trittico bavarese, Joshua Kimmich, ultimamente tornato nella zona mediana di gioco, dopo svariati anni passati sul lato destro del campo.

Fonte: profilo IG @jok_32

In Italia, Alessandro Florenzi ha iniziato la carriera da finissimo giocatore di centrocampo, all’occorrenza anche ala offensiva, per passare progressivamente a ricoprire il ruolo di terzino destro, con tuttavia notevoli mancanze difensive. In Spagna, attualmente, Sergi Roberto si è, anno dopo anno, specializzato sempre più per quanto concerne l’aspetto difensivo del ruolo, pur essendo cresciuto nella cantera blaugrana da mezzala di inserimento.

Tutti questi adattamenti perché? Semplicemente, il terzino deve essere un calciatore di gamba, ma dotato di un piede molto ben educato, con un perfetto concetto di timing dell’azione. Avere le giuste letture di gioco, innegabilmente può agevolare anche a centrocampo, dove la velocità e la sincronizzazione sono aspetti estremamente rilevanti nella ricerca della vittoria. Un ruolo, come visto, in continua evoluzione. Chissà dunque dove potrà portare tutto questo studio di situazioni nei prossimi dieci, quindici anni.

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Arrivano le parole di Gravina su Acerbi: “La sentenza va rispettata”

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FIGC

Dopa la decisione del giudice sportivo di assolvere Acerbi sono arrivate le dichiarazioni del presidente della Figc Gabriele Gravina circa l’accaduto. Nelle ultime ore la sentenza aveva scatenato le reazioni più disparate, a partire dall’indignazione del Napoli resa nota tramite un suo comunicato ufficiale. A cercare di placare le acque ci ha provato proprio Gravina, a conclusione dell’Assemblea di Lega odierna. Gravina ha invocato il rispetto verso la sentenza del giudice sportivo. Inoltre si è pure detto disposto a credere alla difesa di Acerbi che aveva saltato per via del caso gli ultimi impegni con la Nazionale italiana. Di seguito vi riportiamo le sue dichiarazioni.

GRAVINA – “L’assoluzione di Acerbi? Si tratta di una decisione del giudice che tutti devono accettare, compreso chi non si sente soddisfatto. Esistono  principi che devono essere rispettati altrimenti corriamo il rischio di  far saltare tutto il sistema. Io accetto il verdetto e sul piano umano  abbraccerò il ragazzo quando lo incontrerò. Abbiamo saputo di una verifica da parte del giudice sportivo e allora, per evitare forme di distrazione, lo abbiamo lasciato a casa. È stata una decisione a scopo precauzionale, non perché già condannato. Acerbi ha fornito le proprie motivazioni e noi crediamo alle parole del ragazzo”.

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Flash News

Kvaratskhelia in dubbio per l’Atalanta: oggi la decisione

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Khvicha Kvaratskhelia, giocatore del Napoli - Serie A, Coppa Italia, Supercoppa Italiana, Champions League

Nella giornata di oggi Khvicha Kvaratskhelia farà ritorno a Napoli. Nel corso del match contro la Grecia che è poi valso la qualificazione a EURO24 con la sua Georgia, l’esterno sinistro è stato costretto ad uscire dal campo a causa di un dolore all’inguine. La sua nazionale ha poi vinto lo stesso ai calci di rigore. La sua presenza contro l’Atalanta resta ancora in dubbio.

LE CONDIZIONI DI KVARATSKHEILA

Come riporta Il Mattino, Kvaratskhelia sarà valutato nelle prossime ore dallo staff del Napoli. La speranza è che si tratti solo di un affaticamento muscolare. Se così dovesse essere la sua presenza in campo per la sfida contro l’Atalanta non sembra essere in discussione. Se invece si dovesse trattare di uno stiramento il georgiano dovrà stare ai box per qualche settimana. il Napoli aspetta il rientro di Kvaratskhelia per capire se sarà necessaria o meno una risonanza magnetica. Vedendo i video che sono circolati sui profili social dello stesso georgiano, che lo ritraevano festeggiare coi compagni, la speranza è che davvero non sia nulla di grave. Il popolo azzurro dovrà restare con il fiato sospeso ancora per qualche ora. Ricordare l’importanza della sfida contro l’Atalanta è quasi superfluo: si potrebbe trattare infatti dell’ultima chance per la Champions League.

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Calcio Internazionale

Futuro Lewandowski: l’Arabia un’opzione ma attenzione all’Atletico

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Barcellona Lewandowski

Il futuro di Robert Lewandowski è molto incerto. I media spagnoli parlano da qualche settimana di un interesse molto forte da parte dell’Arabia Saudita. Si parla addirittura di un’offerta da 100 milioni di ingaggio, cifre folli che potrebbero far vacillare l’attaccante polacco. Secondo quando riporta Sport ES però, su Lewandowski ci sarebbe anche un interesse di un altro club spagnolo: l’Atletico Madrid. Nonostante la rivalità sportiva tra Barcellona e Atletico, le due società hanno spesso fatto affari insieme, quindi quest’operazione non sembra del tutto impossibile.

Lewandowski non sembra voler andare via da Barcellona, ma il club catalano sta prendendo in considerazione una sua possibile cessione, in quando per contratto, l’ingaggio del giocatore è destinato a salire con il passare degli anni. Il classe ’88 ha segnato 20 gol e fornito 9 assist in 39 partite totali: numeri ancora una volta super. La carta d’identità però recita 35 anni e anche per questo motivo il Barcellona potrebbe decidere di sacrificare il suo bomber per puntare su un giocatore più giovane come Vitor Roque, andando ad allinearsi con la politica del club degli ultimi anni.

Una cosa è certa: chiunque riuscirà ad accaparrarsi il contratto di Lewandowski sarà autore di un affare. Basterà solo aspettare per vedere con quale maglietta segnerà una valanga di gol il prossimo anno.

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Calcio Internazionale

ESCLUSIVA – Andrea Compagno, dalla chiamata in Nazionale di Mancini all’avventura in Cina

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Andrea Compagno

Andrea Compagno si è da poco trasferito in Cina, al Tianjin Tiger Football Club, lasciando lo Steaua Bucarest dopo 1 anno e mezzo di gol e grandi soddisfazioni personali. Compagno è nativo di Palermo, nel quale gioca con le giovanili della squadra della città prima di trasferirsi al Catania. Inizia dunque il suo girovagare per l’Italia, sempre giocando nei vari gironi della Serie D, ma senza mai incidere veramente. La sliding doors della sua carriera porta il nome di San Marino, dove va a giocare accasandosi al Tre Fiori.

All’ombra del Titano Compagno vince campionato e coppa, venendo eletto nella stagione 2018/2019 miglior giocatore straniero e capocannoniere del campionato con 22 gol. Trova anche il tempo di segnare il suo primo gol internazionale durante i preliminari di Europa League. Tutto ciò gli vale la chiamata del Craiova, nella Serie B romena, che vince al primo tentativo. L’impatto in SuperLiga è ottimo, tanto da convincere lo Steaua Bucarest (oggi FCSB) a comprarlo per 1.5 milioni di euro, più una clausola del 10% sulla futura rivendita. Nel 2022 è il miglior marcatore italiano nei massimi campionati europei, con Mancini, allora CT della Nazionale, che confida ai media di seguirlo.

La chiamata del tecnico arriva, con la dirigenza dello Steaua Bucarest che riceve la notifica dell’inserimento del loro attaccante nella lista dei pre-convocati di marzo 2023. Andrea Compagno vive il momento più alto della sua carriera, ma inspiegabilmente, all’alba della corrente stagione, arriva la rottura con la società. Il vulcanico presidente dello Steaua, George Becali, cambia improvvisamente opinione su Compagno. Tante le parole dette e riportate dai giornali romeni sulla trattativa che lo ha portato in Cina, ma in esclusiva per l’Italia, Compagno ha spiegato a noi di Numero Diez come sono andate realmente le cose, ripercorrendo questi mesi così difficili per lui. Inevitabile porre uno sguardo su quello che è stato il suo passato, sulle tante fatiche fatte per arrivare dove è oggi, ma anche sul suo futuro, in un altro continente e con la solita voglia di migliorarsi giorno dopo giorno.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA SERIE D E L’ALL IN CON SAN MARINO

In Italia hai giocato in Serie D, spostandoti dal Sud al Nord sin da molto giovane, con contratti che specialmente all’inizio ti obbligavano ad andare a fare la spesa con la calcolatrice. Che consiglio ti senti di dare a quei ragazzi che stanno vivendo oggi quel tuo momento?

Quello è stato un periodo bello e brutto allo stesso tempo. Lì vedi più passione di quella che trovi a livelli più alti. Andando avanti nella mia carriera ho visto molti giocatori con la pancia piena, che mi hanno fatto pensare a quanti miei vecchi compagni di squadra avrebbero pagato per essere al loro posto. Quello che a me ha salvato è stato vivere nel mio sogno, nella incondizionata fiducia di potercela fare. Vivevo, mi allenavo e giocavo come se fossi in Serie A. Neanche quando prendevo 400 euro al mese la mia testa è andata a cercare altro, un qualcosa di più sicuro. Fondamentale poi è stata la perenne voglia di migliorarmi. Ce l’ho ancora adesso e penso che ce l’avrò fino all’ultimo giorno della mia vita“.

Lo snodo cruciale della tua carriera è stato scegliere di andare a giocare a San Marino. Nonostante non fosse una lega di livello, era un campionato che ti permetteva di giocarti le coppe europee, cosa che nel CV di un calciatore fa la differenza.

Sono coincise due cose. La risoluzione di un problema alle ginocchia in primis, una condropatia rotulea, grazie a un medico di Palermo che ha capito quale fosse il problema. Fino a quel momento io mi ero abituato all’idea di dover giocare a calcio con il dolore. E poi essendo a San Marino mi stavo giocando un trofeo e l’accesso ai preliminari delle coppe europee, cosa che mi galvanizzava. Ho fatto molto bene, trovando anche il gol in Europa e riuscendo ad aprirmi le porte per l’estero“.

Dopo tutto il tuo percorso, dopo tutte le fatiche che hai dovuto affrontare, cosa ha voluto dire per te essere nella lista dei convocati della Nazionale campione d’Europa?  

Ancora adesso mi vengono i brividi a pensarci. Era un buon momento della stagione con lo Steaua, eravamo in una buona posizione in classifica e a coronamento del momento arriva la chiamata. Mi cercavano tutti, ma a me non piace stare sotto i riflettori, volevo essere concentrato sul campo e sulla squadra. Sono orgoglioso se ripenso a ciò che ho fatto e ciò che ho ottenuto, per me era impensabile. L’unico rimpianto è stato poi che la convocazione in sé non si è concretizzata, per cui non ho mai varcato i cancelli di Coverciano. Farlo penso che avrebbe donato a qualche direttore di squadre di Serie A un pizzico di coraggio in più sullo scommettere su di me la scorsa estate. Rimane però tutto così bello e magnifico che per me è impossibile dargli un’accezione negativa“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – L’ESCLUSIONE SENZA PREAVVISO ALLO STEAUA

Il tuo trasferimento dallo Steaua Bucarest ha molto a che fare con i rapporti compromessi con il presidente. La sua opinione su di te quando cambia e perché?

Dopo la stagione dei 21 gol, per cui per me era inimmaginabile in quel momento un cambio di opinione sul mio conto. Inoltre aveva deciso di giocare con il falso 9. Un attaccante con le mie caratteristiche non era più quello che voleva, secondo lui non ero neanche da Steaua Bucarest. Ha fatto si che giocassero punte centrali dei calciatori non abituati a quel ruolo pur di non mettere me. Sono stati 6 mesi d’inferno da questo punto di vista, ma i tifosi mi hanno sempre dimostrato il loro affetto. Mi dispiace per come si è chiusa, se proprio avessi dovuto lasciare lo Steaua, l’ideale sarebbe stato farlo d’estate. Dopo i tanti gol e la chiamata di Mancini, sarebbe stato perfetto andare in crescendo, aumentando l’importanza del campionato“.

C’è stata una concreta opportunità durante quel periodo di fare questo salto di qualità?

Il mio obiettivo era quello di andare in un campionato che fosse più competitivo agli occhi della Serie A, che rimane il mio sogno. Quello olandese o quello belga sarebbero stati perfetti. Un’offerta come quella che desideravo era anche arrivata, dall’Heerenveen in particolare. Offrirono 1.5 milioni, ma il presidente rilanciò a 2. In quel frangente non voleva cedermi, l’obiettivo era entrare nei gironi della Conference League. Nel momento in cui non ci riuscimmo, si convisse del fatto che in campionato avrebbe voluto quel famoso falso 9. Tutto questo però è accaduto poco dopo aver rifiutato l’offerta dell’Heerenveen. Erano arrivate anche proposte dall’Italia, dalla Serie B, ma sentivo che non fosse la tappa ideale per il mio percorso“.

E come mai se il tuo obiettivo è giocare un giorno in Serie A, hai deciso di rifiutare la cadetteria? Per certi versi ti avrebbe avvicinato al suo raggiungimento. 

Se fossi sceso in una lega di secondo livello, avrei poi avuto problemi se un un giorno avessi scelto di tornare all’estero. La Serie B è un campionato di assoluta importanza, con molta più qualità di quella che ne è la sua considerazione in altri paesi, ma fuori dall’Italia si concentrano su altro. Prima di te guardano altri 100 mila giocatori che giocano in campionati di serie superiori, anche se di livello inferiore alla B. Stare all’estero mi ha dato tanto, non voglio perderlo. Oltre quelle c’erano state offerte dal Kazakistan e dall’Ungheria, ma non avrei alzato il livello rispetto la Romania come volevo“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA VERITÀ SULLA TRATTATIVA CON IL KONYASPOR

I giornali romeni hanno riportato anche dell’offerta del Konyaspor, in Turchia, che però avresti rifiutato nonostante saresti stato in un campionato con diversi ponti per la Serie A. 

Proprio per tutto il discorso che abbiamo fatto finora sul prestigio del campionato, io do subito la mia disponibilità quando vengo a sapere di quest’offerta da 150 mila euro che avevano fatto al club. Era una trattativa ben avviata, ma sono mancate le condizioni per chiuderla“.

È stata fatta uscire la notizia per la quale l’offerta del Konyaspor non fosse di 150 mila euro, ma di circa mezzo milione, e che tu avessi rifiutato la destinazione preferendo lo stipendio cinese. 

Tutte cavolate, sia le cifre sia il fatto che l’offerta del Konyaspor fosse arrivata insieme a quella cinese. Si era semplicemente inserita una persona che per puro interesse personale prometteva al presidente di fargli arrivare un’offerta più alta dalla Turchia, ma non ce ne era più nessuna in realtà. In Cina stava per arrivare il capodanno cinese, e mi avrebbero dovuto tesserare per forza prima di questa scadenza. Per colpa di questo contrattempo stavo rischiando di non ultimare in tempo i dettagli con il Tianjin“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA CINA COME NUOVA TERRA DA CONQUISTARE

Non ti ha spaventato la fuga dei grandi nomi che c’è stata negli ultimi anni dal campionato cinese nel momento in cui lo hai scelto? 

Non posso esserne spaventato. Quelli erano giocatori che percepivano stipendi molto lontani dalla mia situazione. È un’opportunità importante per me, ci sono solo 5 posti per gli stranieri per squadra, e le speranze che ripongono in questi sono alte. Per questo è difficile vedere dei contratti lunghi, ma anche solo entrare nel campionato è complicato“.

Cosa ti ha sorpreso in questi primi mesi lì?

Il livello degli stranieri è molto alto, ma anche tra i cinesi vedo buone individualità. Certo, le mie sono solo prime impressioni, sono appena arrivato, ma è chiaro che loro stiano investendo tanto. Hanno degli stadi enormi e all’avanguardia, nella città dove sono io ce n’è uno da 30 mila posti e un altro da 60 mila. Non hanno però la cultura del centro d’allenamento come casa base, noi ci alleniamo direttamente allo stadio per esempio. È diverso da quello a cui ero abituato. Quello che certamente dimostrano è tanto entusiasmo e tanta organizzazione, che si riflette anche in allenamento. Prepariamo ogni situazione, calci piazzati, rimesse laterali… sto lavorando sulla tattica molto più qui che in passato“.

La Cina porta 4 squadre alla Champions League asiatica, che oltre a essere un’altra competizione internazionale a cui potresti prendere parte, ti potrebbe far vivere delle esperienze con giocatori incredibili. Quanto speri di ritrovarti a giocare il prossimo anno con personaggi del calibro di CR7?

Se non è lui ce ne sono tanti altri. Qui c’è un entusiasmo incredibile anche solo per il campionato, non oso immaginare cosa vorrebbe dire fare la Champions. Sono sincero, come ho fatto appena arrivato in Romania, me la voglio vivere giorno per giorno. Ragiono partita dopo partita con la volontà di farmi apprezza qua come fatto altrove“.

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