È difficile dare un titolo che sia esaustivo all’ultima stagione di Gianluigi Buffon in bianconero, dopo 17 anni di Juventus.
Da una parte Coppa Italia e Scudetto, a far pensare che tutto si sia risolto con un lieto fine.
Dall’altra, indelebili, Svezia e Madrid, a rendere fastidiosamente acido il retrogusto di una stagione di per sé dolce e vincente, ancora una volta. Soprattutto per come sono arrivate due delle più grandi delusioni della carriera di Gigi.
Un ultimo Mondiale in Azzurro fermatosi a Milano, lontanissimo dalla Russia, davanti alla propria gente, con quello zero a zero di cui probabilmente nemmeno gli addetti ai lavori hanno mai rivisto gli highlights.
E poi quel minuto al Bernabeu, al termine della miglior prestazione stagionale di squadra e individuale, serrando la porta nel terreno di gioco più pericoloso del mondo del calcio per 89 minuti e finendo eliminato da un rigore che non ha nemmeno avuto la possibilità di parare.
Questa premessa non per riaprire ferite mai chiuse agli eventuali lettori di fede juventina, ma per fissare da subito due delle argomentazioni fondamentali che stanno portando Buffon da Torino a Parigi: la Nazionale e la Champions.
Il Psg? Ho bisogno di prendermi una settimana per stare sereno, esaminare tutte le cose a bocce ferme. Una persona di 40 anni deve prendere le decisioni giuste non sull’onda dell’emotività ma della razionalità
LE ALTERNATIVE E LA SCELTA
Sebbene sia infatti fuori discussione che un professionista della sua caratura possa tranquillamente fare quello che preferisce, giunto a questo punto della sua carriera, è altrettanto indubbio che al vociferare sempre più insistente (ad oggi praticamente realtà) di un suo approdo al Psg – non esattamente la squadretta in cui chiudere la carriera a basso regime – molti avranno reagito con una certa dose di stupore, a metà tra il perplesso e il basito.

Alcuni se lo immaginavano a Parma, appena risalito in massima serie, a chiudere dove tutto era iniziato. Molto romantico.
Altri avranno dato per scontato il trasferimento oltreoceano, indistintamente tra Stati Uniti, Cina e soluzioni esotiche varie, a prendere un po’ di applausi (e “soldini”) in giro per il mondo.
Invece no.
Non Italia, ma comunque Europa.
Al Paris Saint Germain, forse l’unica squadra in Europa altrettanto ossessionata dalla conquista di quella maledetta coppa come lo è la sua (ex) Juventus.
Nessun tradimento, nessuna rivolta di piazza in stile Bonucci. Ma più o meno tutti i tifosi della Juve – e non – si saranno fatti quel pensierino, per ora inconsistente e aleatorio, di incontrarlo nuovamente.
Questa volta da avversario. E che avversario.
RISVOLTI SENTIMENTALI
Ma si può biasimare Buffon per una scelta del genere?
Probabilmente no.
A vent’anni come a quaranta è difficile rimanere impassibili al corteggiamento di una squadra il cui progetto societario prevede, semplicemente, di vincere tutto. Soprattutto se ti offrono intorno ai sei milioni di motivi l’anno, per due anni, per provarci con loro.
Inoltre, sebbene la fine del rapporto con la Juventus sia stato sereno e sebbene sia politica della Juventus non tenersi le vecchie glorie in casa fino a sopraggiunta muffa in panchina (vedere alla voce: Del Piero), nessuno ha detto che Buffon non sia più performante.
Anzi, il primo a pensarla diversamente è probabilmente il Numero Uno, che ha tutto il diritto di non sentirsi ancora quel giocatore in procinto di svernare una mezza stagione, da qualche parte, nel calcio di seconda fascia.

PRENDERSI DEI RISCHI
Certamente rimane una componente di rischio che entrambe le parti (Psg e Buffon) si prendono reciprocamente: la precarietà di questo rendimento fisico.
Un acciacco, un infortunio in partita come in allenamento a questa età potrebbe condizionare pesantemente le possibilità di rendimento del portiere.
Inoltre, da un punto di vista squisitamente tecnico relativo alla squadra, Buffon alla Juve si poteva permettere grandi parate perché, in generale, era chiamato in causa un numero limitato di volte.
La Juventus ha finito il campionato con la migliore difesa del torneo perché prima di tutto subiva meno tiri in porta rispetto a chiunque altro.
Al Psg non vige esattamente la stessa ideologia di calcio.
Vero è che a partire da giugno comincerà un nuovo ciclo condotto in panchina da Thomas Tuchel, mente calcistica perfezionatasi a Dortmund dove le risorse sono andate via via diminuendo, ma quando in attacco hai Neymar, Cavani, Di Maria, Mbappè e compagni è difficile impostare un gioco prevalentemente conservativo senza rischio di sbandate difensive.
Sarà allora interessante osservare come reagirà Buffon a una sfida così probante, così affascinante e così intrinsecamente piena di rischi, di trappole sportive e di eventuali brutte figure (l’unica cosa di cui il portierone non ha veramente ulteriore bisogno).
Ma se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla longeva e incredibile carriera del “numero uno dei numeri uno”, è che senza rischi di sicuro si vince poco.
Fu un rischio farsi pagare dalla Juve 75 miliardi di lire a 23 anni.
Fu un rischio seguirla in serie B nel 2006/07 come Campione del Mondo e secondo classificato al Pallone d’Oro.
Ora un altro rischio, l’ultimo del suo percorso.
Per provare un’ultima volta a vincere l’unico trofeo che manca in bacheca.
E magari per farsi convocare un’ultima volta in Nazionale, per far sì che quelle lacrime a San Siro non siano il suo ultimo ricordo in Azzurro.
Biasimatelo, se potete.