Ci sarebbero tanti spunti dopo un weekend in cui tanti piccoli frammenti di novanta minuti ci hanno fatto appassionare a qualcosa o capire nuove leggi non scritte del calcio che ci hanno reso più ricchi interiormente e forse anche più felici. Ce ne sarebbero davvero tante di riflessioni da fare, ma preferiamo concentrarci su due di esse, provocate dopo Girona-Real Madrid e Lille-Marsiglia, due partite nelle partite in cui passato, presente ed incerto futuro si incontravano in uno stranissimo mélange di emozioni che si è avvertito dentro e fuori dal campo. E se nel primo caso la gioia e lo stupore sono stati assoluti ed hanno permesso ad un’intera città di gioire, almeno per una notte, per aver ritrovato la vittoria sul proprio campo contro i Galacticos, nel secondo le sensazioni sono state molto più sottili e introspettive, specchio di una partita dai due volti.
RISVEGLIO CATALANO

Il risveglio catalano continua ad essere incerto, strano, controverso ed al tempo stesso affascinante: è la storia di una regione piena di culture differenti ma anche di assurdità che mai come in questo periodo stanno provando ad alzare la cresta nei confronti del suo paese d’appartenenza, quella Spagna reale che trionfa sul simbolo del Real Madrid diventato tale dopo l’inserzione della corona sul suo stemma agli inizi del novecento. E se nell’immaginario comune tocca spesso al Barcellona fare da scudiero al potere reale e “galacticos“, questa volta ci hanno pensato i ragazzi del Girona di Pablo Machin, che dopo 87 anni di vita festeggiano quest’anno la prima storica promozione in Liga. In un pomeriggio, quello che non t’aspetti: dopo un primo tempo di possesso palla culminato sullo 0-1 per il Real Madrid, Girona e la Catalogna alzano la testa quasi fosse l’ultima occasione utile: nonostante il 5-4-1 dell’inizio, Machin alza i suoi laterali permettendo alla squadra di penetrare centralmente ed in verticale una statica difesa del Real Madrid grazie ai suoi assi nella manica Portu e Stuani, che in dieci minuti ribaltano la situazione. Il Real Madrid nulla può per tirarsi fuori da questa situazione grazie alla chiusura ermetica del centrocampo da parte di Alex Granell e Pere Pons, nati, cresciuti e plasmati a cavallo tra Olot(città di 30.000 abitanti a 100 km da Barcellona) e Girona, quasi fossero Puidgemont e Rull, finiti nella bufera dell’ultimo periodo ed in un sogno(forse utopico) diventato quasi un incubo che ha pervaso tutta la comunità autonoma, ancora per il momento, di Catalogna. Senza voler entrare nei dettagli, sdrammatizziamo come i tifosi del Valencia facevano qualche giorno fa, simulando una Liga senza Barcellona che li vedrebbe lanciati verso la vetta. Noi diciamo invece che, nel calcio, l’articolo 155 che prevede il commissariamento catalano non esiste e Girona, almeno per una notte, ha potuto vivere la sua gloria.
LOCO-GARCIA

Riuscire a capire cosa ci fosse dietro il confronto Lille-Marsiglia non era semplice: se vediamo i numeri, la quarta classificata affrontava la penultima (ed in piena crisi), che fatica e non poco ad assorbire quei crismi tattici e fisici del Loco Bielsa che tanto hanno dato al mondo del calcio ma che a volte hanno tolto alle sue stesse squadre. Tralasciando il risultato finale, uno 0-1 in cui il Lille ha finalmente dimostrato un’identità di gioco e di armonia tattica (giocava con un “insolito” 4-2-3-1) ma il Marsiglia ha prevalso per organizzazione e cinismo (unico tiro in porta il gol al minuto 5), bisogna soffermarsi sulle parole di uno che di Lille e di identità ne sa e non poco, ovvero Rudi Garcia:
“Premettendo che oggi l’importante non era giocare meglio ma riuscire a vincere, sono molto dispiaciuto per Lille ed il Lille e non lo nascondo. Ho paura che si sia perso qualcosa dell’identità di questa squadra, allontanando alcune figure importanti come per esempio Rio Mavuba.. Sono preoccupato per loro.”
C’è chi può vederla come un’affermazione esagerata ma c’è chi può convenire con Garcia, uno che con quelle figure importanti ha vinto uno storico scudetto nel 2011 e che oggi, a Marsiglia, vincendo ma non convincendo, prova a ridare una solidità tattica ma anche morale che mai si era sanata dopo l’addio del coach argentino ad inizio del 2015/2016. “Non c’è nessuno che soffre più di me per questa situazione che, francamente, non mi aspettavo” aveva affermato Bielsa nella conferenza pre-partita, smentendo qualsiasi voce di un confronto con i giocatori durante la settimana. La situazione è strana: Lille è una città paziente e spesso sa attendere i suoi talenti, ma, come hanno esposto i tifosi durante la partita di coppa contro il Valenciennes, “la pazienza non è #unlimited”, sfruttando il nuovo motto del LOSC di Gérard Lopez, che ha dato vita alla peggior stagione dal 1995 proprio quando, secondo la critica, l’effettivo nordista era pronto a tornare in Europa.


Già rientrata la notizia (forse bufala) del mancato allontanamento dell’argentino per 7 milioni di euro, quando il Loco ne chiedeva 14. La squadra è con lui e, questa volta, Bielsa si è calato al 100% nella mentalità LOSC continuando a lottare per un sogno che al momento non è riuscito a mantenere nei confronti della gente del Nord, deludendo soprattutto per l’atteggiamento remissivo e poco fantasioso della sua squadra che, fino a ieri sera e dopo Nantes, non aveva mostrato la sua nuova pelle sudamericana. Il tempo è denaro, in questo caso perso, qualora la squadra retrocedesse in Ligue 2 e dovesse sfortunatamente dire addio ai suoi sogni di gloria Unlimited.