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Čech e l'hockey: storia di un desiderio finalmente esaudito

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Guantoni e caschetto: Petr Čech 2.0

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Svegliarsi una mattina e Decidere di dire basta con il calcio giocato. Quello sport che ti ha accompagnato letteralmente per oltre 30 anni e dal quale hai preso tutto ciò che potevi prendere. Spalancare l’armadio. Riporre con cura i guantoni nel cassetto, salvo poi aprire quello sottostante per estrarne un paio nuovo ma che subito riporta alla mente vecchi ricordi. Prenderli, indossarli e iniziare a scrivere l’ennesima pagina della propria vita. È quello che è successo, o quasi, a Petr Čech. Quattro volte vincitore della Premier League con il Chelsea – oltre che di una Europa League e una storica Champions League nel 2012 – che ha deciso di dare inizio alla sua carriera da goaltender, come è definito il portiere su un campo di hockey su ghiaccio.

È tornato bambino, deciso a rincorrere il proprio sogno. Quello interrottosi a 13 anni quando, per motivi economici, dovette scegliere il calcio al posto dell’hockey, il suo primo grande amore. Una passione che lo scorso ottobre lo ha portato a firmare un contratto da giocatore part-time dei Guildford Phoenix, club londinese militante nella National Ice Hockey League South 2 (quarta divisione) e per il quale ora ricopre il ruolo di terzo portiere.

SOGNO NEL CASSETTO

“Giocare a hockey è sempre stato il mio sogno. La mia prima scelta. Comprare però tutto il necessario (abbigliamento, mazza e caschetto, ndr) era costoso e, pensando a quanto cresca velocemente un ragazzo, sarebbe stato necessario ricomprare sempre tutto in continuazione. Non ce lo potevamo permettere. Mio padre allora è stato molto intelligente. Sapeva che mi sarebbe piaciuto ogni tipo di sport e che potevo giocare a calcio tanto quanto a hockey. Così mi portò a una scuola calcio a 7 anni. Mi è piaciuto dal primo momento.”

Con queste parole solo qualche mese fa Čech raccontava ad Arsenal TV la sua vecchia passione per l’hockey. Sport da sempre molto popolare in Repubblica Ceca, nonché il più praticato a Plzeň, dove Petr è cresciuto da bambino. È qui che nel 1998 ha saltato per giorni la scuola per non perdersi nemmeno una partita della Nazionale ai Giochi Olimpici invernali che quell’anno si tenevano in Giappone. Manifestazione poi vinta proprio da selezione ceca.

“Giocavano a Nagano quindi i quarti di finale, la semifinale e la finale erano tutte di mattina. Non sono andato a scuola. Tutti cercavamo il modo di non perderci i match.”

Stella indiscussa di quella Nazionale era Dominik Hasek, leggendario goaltender ceco che ha scritto la storia anche della NHL. Due infatti le Stanley Cup vinte dal portiere, per il quale Čech aveva un debole. In suo onore l’ex Chelsea e Arsenal – tra le altre – ha infatti deciso di indossare la maglia numero 39 e di riservare uno spazio all’altezza del mento sulla sua maschera protettiva a una foto proprio di Hasek.

Fonte: immagini di redazione, Petr Čech Live ad Alexandra Palace

Dato che Čech non ha però alcuna intenzione di dimenticare la sua prima vita da calciatore, ha deciso di portare sempre con sé, anche su un campo da Hockey su ghiaccio, le due grandi squadre che hanno segnato la sua carriera: Chelsea e Arsenal. I loro stemmi sono infatti presenti sul caschetto. Quello dei Blues all’altezza dell’orecchio sinistro e quello dei Gunners di quello destro. A fare da ponte una Union Jack, per celebrare quella terra che nel 2004 lo ha accolto e che ormai sente come casa sua.

Fonte: immagini di redazione, Petr Cech Live ad Alexandra Palace

Così si è presentato in campo lo scorso 13 ottobre, quando ha disputato la sua prima gara con i Guildford Phoenix. Gli avversari gli Swindon Wildcats 2, il risultato alla fine dell’overtime 2-2. È a quel punto che Čech ha deciso di rendere indimenticabile il suo debutto, bloccando due di quelli che in ambito calcistico verrebbero chiamati calci di rigore e regalando così una vittoria per 3-2 alla propria squadra. Il titolo di ‘Man of the Match’ la naturale conseguenza, con il ceco che ha poi dichiarato:

 “Era un mio sogno di bambino giocare una partita e ora è successo. Nessuno potrà mai togliermelo e ciò è bellissimo. Voglio vincere. Questa è la cosa più importante per me. Lo abbiamo fatto.”

UN PRESENTE CHE SA DI PASSATO

Due rigori parati, come nella finale di Champions League vinta all’Allianz Arena contro il Bayern Monaco nel 2012. Numeri che legano il presente al passato, creando un filo unico nella vita di Čech. Vita piena di impegni e per la quale l’ex portiere riesce ancora a trovare spazio per il calcio.

Essere un goaltender non è infatti il suo lavoro principale. Quello è riservato al suo ruolo di collaboratore tecnico del Chelsea, con particolare focus su strategia e performance. Una sorta di consigliere che ogni giorno intrattiene rapporti con allenatori delle diverse categorie e membri dei vari staff, cercando di creare un ponte tra la prima squadra – ora nelle mani dell’ex compagno e amico Frank Lampard – e l’Academy dei Blues. Per questo, quando è uscita la notizia di una sua nuova carriera nel mondo dell’hockey, lo stesso Čech ha tenuto a fare chiarezza con un messaggio affidato ai social:

“Alcune persone pensano che abbia cambiato lavoro. Non è così. Fortunatamente il mio lavoro di collaboratore al Chelsea non mi impedisce nel mio tempo libero di praticare quello sport che ho sempre amato sin da bambino e che ho giocato per anni. Quando ero un calciatore professionista non mi era possibile farlo per ovvie ragioni… ora posso.”

Fonte: immagini di redazione, Petr Čech Live ad Alexandra Palace

Quando gli impegni con il Chelsea glielo permettono, Čech indossa dunque pattini e caschetto e passa le proprie serate ad allenarsi. A 37 anni come a 7, mosso da quella passione che in molti dicono possa permettere a un uomo di spostare anche una montagna all’occorrenza. Passione che ha mostrato fin dalle prime dichiarazioni:

“Sono entusiasta di poter giocare per i Phoenix e accumulare esperienza in campo. Spero di poter aiutare questa giovane squadra a raggiungere i risultati che si è prefissato per la stagione e provare a vincere il più possibile quando ho l’opportunità di giocare.”

Team nato solamente nel 2017, i Phoenix sono infatti la seconda versione di quei Guildford Flames che Čech ha sempre seguito sin dal suo arrivo a Londra nel 2004. La sua carriera da calciatore non lo ha infatti ostacolato nel creare un rapporto molto stretto con la comunità di hockey di quella zona di Londra. Un movimento in continua ascesa e che ora l’ex portiere con la sua notorietà potrà aiutare a crescere sempre di più. Le basi ci sono. Lo dimostra il fatto che la Nazionale della Gran Bretagna nel 2019 ha affrontato le migliori nazionali in Slovacchia nel Campionato Mondiale IIHF, riuscendo a evitare la retrocessione, contro ogni pronostico, grazie alla vittoria sulla Francia nell’ultima partita del torneo.

Un buon livello dunque quello raggiunto dagli UK nell’hockey, anche se non ancora paragonabile a quello sul quale la Repubblica Ceca si attesta da anni. Basti pensare che al momento la Nazionale maschile è al quinto posto del ranking mondiale mentre quella femminile è ottava (dati dell’International Ice Hockey Federation).

CHARITY GAME AD ALEXANDRA PALACE

Passione ed entusiasmo. Le parole d’ordine di questa storia. Le stesse parole d’ordine che domenica 17 novembre hanno portato Čech nel nord di Londra, nello storico e affascinante scenario di Alexandra Palace. Lì dove sono sorti i primi studios della BBC, il goaltender ceco si è messo in mostra in una partita benefica: il Charity All-Stars Ice Hockey Game.

Fonte: immagini di redazione, Petr Čech Live ad Alexandra Palace

Numero Diez c’era. Live, per non perdersi nemmeno un dettaglio di questo encomiabile evento. Una serata di festa alla quale hanno preso parte in campo diverse ex stelle della NHL, attori e celebrità sportive dell’Europa dell’est. Sugli spalti bandiere della Repubblica Ceca, ovviamente, della Slovacchia e centinaia di appassionati, tutti pronti a lasciarsi catturare soprattutto dalle parate di Čech. Possiamo dire che siano stati accontentati. L’ex Chelsea non si è infatti risparmiato, rendendosi protagonista di una gara che lo ha visto effettuare numerosi salvataggi soprattutto nel primo terzo. Reattivo, rapido nelle chiusure basse e deciso nelle uscite. Sempre attento a proteggere il primo palo. L’esatta copia di quanto era solito fare su un campo da calcio. Guantoni sulle mani, protezioni per gomiti e ginocchia (in total white) e caschetto in testa. Diverso da quello che ha iniziato a indossare nel gennaio del 2007, quando a distanza di tre mesi dal terribile scontro con Stephen Hunt del Reading si mostrò per la prima volta contro il Liverpool con una protezione alla testa (si era infatti operato al cranio, fratturato), diventata poi un vero e proprio marchio di fabbrica.

Fonte: immagini di redazione, Petr Čech Live ad Alexandra Palace

Acclamato dalla folla, negli intervalli tra i tempi ha regalato sorrisi a tutto il pubblico presente, dividendosi tra centinaia di autografi e foto. L’ultima sulla soglia della porta dello spogliatoio, a dimostrazione di come non avesse alcuna intenzione di deludere nemmeno uno dei suoi fans accorsi per assistere all’evento. Una partita divertente – 11-13 il risultato finale – e che ha aiutato a raccogliere fondi da donare in beneficenza, facendo così dello sport uno strumento per raggiungere un importante traguardo. Un po’ quello che Čech ha sempre ricercato nel corso della sua carriera. Prima nel calcio e ora nell’hockey. Con la consapevolezza di poter raggiungere grandi risultati grazie soprattutto alla passione e all’entusiasmo. Le due parole d’ordine che hanno spinto Petr a scrivere una nuova affascinante pagina della propria vita.

 

Fonte immagine in evidenza: profilo Instagram ufficiale dei Guildford Phoenix

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Coppa Davis, anche i complimenti del Milan: “Lavoro fantastico, bravi ragazzi!”

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ATP Finals

COPPA DAVIS SINNER MILAN – Ieri si è scritta una pagina storica dello sport italiano: dopo 47 anni, l’Italia riporta la Coppa Davis nel bel paese, battendo l’Australia per 2-0. Decisive le vittorie di Matteo Arnaldi, contro Alexei Popyrin, e di Jannik Sinner, che ha liquidato Alex De Minaur in poco più di un’ora. Un’emozione unica per i ragazzi di Filippo Volandri.

E poco dopo la vittoria, tra l’altro, sono arrivati anche i complimenti del Milan. La fede calcistica dello stesso Sinner, infatti, non è un segreto: l’altoatesino è un grande tifoso milanista, come ha anche dichiarato in più occasioni. Sulla strada per la finale, tra l’altro, il tennista italiano ha dovuto battere (annullando ben tre match point) a un altro tifoso a tinte rossonere, Novak Djokovic. I due si erano già affrontati pochi giorni in fa in finale alle ATP Finals di Torino (dove ha prevalso il serbo), sotto gli occhi di Rafael Leao e Ismael Bennacer, che dopo l’incontro hanno incontrato anche i due tennisti.

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L’Italia trionfa in Coppa Davis! Prima volta dopo 47 anni

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Coppa Davis Italia

ITALIA COPPA DAVIS – L’Italia torna a vincere in Coppa Davis: non succedeva dal 1976, fino a oggi l’unica vittoria in questa competizione. Battuta l’Australia nella finalissima.

A Malaga, a partire dalle 16, si è giocato l’atto finale della massima competizione mondiale a squadre nazionali del tennis maschile. Per l’Italia, nel singolo, hanno partecipato Matteo Arnaldi e Jannik Sinner. Nel doppio, insieme a quest’ultimo, sarebbe stato il turno di Lorenzo Sonego. Gli azzurri si presentavano all’incontro da favoriti, con l’obiettivo di evitare di rischiare di arrivare al doppio e chiudendo, dunque, la gara nelle due sfide singolari.

Il primo incontro singolare ha visto sfidarsi i numeri 2 delle rispettive nazionali. Dato l’infortunio di Matteo Berrettini, il testimone è stato passato a Matteo Arnaldi, che ha affrontato Alexei Popyrin, numero 2 australiano. Il classe 2001 italiano ha superato l’avversario per 7-5 2-6 6-4. Arnaldi ha così portato l’Italia in una situazione vantaggiosa, concedendo a Sinner un match point molto importante.

La seconda sfida, quella tra i numeri 1 di Italia e Australia, ha visto sfidarsi proprio Jannik Sinner contro Alex de Minaur. Per il mattatore di Novak Djokovic, non sarà una passeggiata battere l’australiano, ma neanche un’impresa erculea. Il nativo di San Candido, infatti, vince 6-3 il primo set, non senza qualche difficoltà. In scioltezza, invece, il secondo, vinto 6-0, che permette di portare la gara sul 2-0 e tornare a casa con il trofeo. L’Italia si aggiudica così la seconda Coppa Davis nella sua storia: un successo storico, scritto da una generazione di ragazzi che può far sognare il nostro paese ancora per tanti anni.

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MotoGP 2023: Pecco Bagnaia diventa Campione del Mondo

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Bagnaia

Dopo un Motomondiale lottatissimo, decisosi solo all’ultima gara, Pecco Bagnaia diventa Campione del Mondo della MotoGP 2023. Il verdetto arriva già durante la gara, dopo che il suo rivale, Jorge Martin, cade provando a sorpassare Marq Marquez. Al nostro portacolori bastava solamente il quinto posto, in caso di vittoria della gara dello spagnolo, ma la caduta dell’iberico in forze alla Ducati Pramac ha sancito la fine dei giochi. Bagnaia, infatti, anche in caso di caduta, avrebbe ugualmente vinto il Mondiale.

LA STAGIONE

Il duello tra Bagnaia e Martin è stato avvincente fin dalle prime battute della stagione, ma l’italiano verso la metà della stagione era riuscito a distanziarsi con oltre 70pnt di vantaggio. La caduta nel GP di Barcellona, in cui Pecco ha rischiato ben più del Mondiale, ha riaperto i giochi, con Martin che ha risucchiato gara dopo gara i punti di vantaggio. A Valencia il ducatista ufficiale si presentava con 21pnt di vantaggio, ma dopo la sprint di sabato i punti sono diventati 14.

La situazione per Martin era dunque difficile, ma la caduta dopo qualche giro, con prima anche un grossissimo rischio prima di superare Pecco, ha mostrato come lo spagnolo ha sofferto la pressione di dover vincere, mentre il campione del mondo in carica ha mostrato l’astuzia, e l’esperienza, che lo ha portato a poter trionfare nel Motomondiale 2023.

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ESCLUSIVA – Bertolucci: “Sinner è un ragazzo serio, ora lo aspetta lo step più complicato. Milan? I dirigenti sanno cosa fare”

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Paolo Bertolucci

ESCLUSIVA PAOLO BERTOLUCCI – Dopo una settimana vissuta intensamente, per il tennis italiano (e il suo pubblico) è ora di concentrarsi sulla Coppa Davis. L’Italia, capitanata da Filippo Volandri, affronterà domani mattina la selezione olandese. In palio un posto per le semifinali, dove la squadra vincente potrà affrontare una tra Gran Bretagna e Serbia. Per questo, chi meglio di Paolo Bertolucci, storico ex tennista e vincitore in Davis con l’Italia nel 1976, poteva raccontarci le sensazioni relative a questo ultimo periodo tennistico. Sotto la guida del capitano Nicola Pietrangeli, ha fatto parte de “La Squadra”, insieme a compagni del calibro di Corrado Barazzutti, Adriano Panatta e Antonio Zugarelli.

Oltre a essere un gran tifoso milanista ed ex numero 22 del mondo, oggi è un commentatore sportivo per Sky Sport, tramite il quale entra nelle case di tutti noi appassionati. In attesa del grande impegno di domani, Paolo Bertolucci ha rilasciato ai nostri microfoni un’intervista tra il tennis e il calcio, spiegandoci anche le emozioni che si provano a vivere il tennis da così vicino. Di seguito l’intervista completa.

INTERVISTA A PAOLO BERTOLUCCI

Da anni ormai lei vive il tennis anche da commentatore: soprattutto in occasione della Coppa Davis ma non solo, dove finisce il Bertolucci tifoso e inizia il Bertolucci telecronista?

È molto difficile trattenersi. Sarà che io per anni ho commentato con gioia le gesta di vari campioni come Federer, Djokovic, Nadal e tutti i grandi campioni stranieri, la cui vittoria non mi cambiava niente. Era un commento più distaccato. Adesso, prima con Berrettini, poi con Sinner e gli altri italiani, quando si tratta di un giocatore italiano sei più coinvolto. Un po’ perché magari conosci direttamente lui o l’allenatore, ora è sicuramente più difficile fare un commento distaccato. Tanto ci sarà sempre chi critica per un commento troppo fazioso e chi per uno troppo freddo. Faccio sempre quello che mi sento”.

Ci apprestiamo a vivere l’ultima settimana di tennis della stagione. Nel complesso le chiedo, che anno è stato per il tennis italiano?

È stato un anno inebriante. Quando c’è un ragazzo di 22 anni, italiano al numero 4 del mondo che gioca le Finals vincendo e convincendo è una bella figura. Tutto questo trascinerà anche altri dietro di lui. Non è un caso se la finale ha riscosso così tanti telespettatori, oltre allo stadio pieno durante entrambe le sessioni nonostante i prezzi folli dei biglietti. Oltre al tifoso tennista si avvicina anche il tifoso generale: da un lato è bello perché permette di allargare la propria visione, dall’altro attira una parte di pubblico di cui potremmo fare anche a meno”.

Senza fare pronostici, cosa possiamo aspettarci da questa Coppa Davis? Sarebbe contento di perdere il suo record di detentore italiano del trofeo?

Sarei molto contento, così questo dolce peso non sarebbe più solo sulle nostre spalle. In generale l’Italia è tra le prime due o tre del mondo. Probabilmente se l’anno scorso fosse arrivata in finale avrebbe vinto. Mancava Berrettini e mancherà anche quest’anno, per cui perdiamo un elemento importante. Nel mentre però sono venuti su dei giovani interessanti. La squadra è molto forte, poi a questi livelli, con grande equilibrio, si gioca tutto su pochi punti”.

Dopo questa settimana abbiamo tutti la “Sinnerite”, come ha definito lei nelle sue telefonate (con il collega e amico Adriano Panatta, ndr); nonostante la sconfitta, possiamo dire che la finale di domenica è stata il punto più alto toccato nella carriera di Jannik Sinner?

Dopo gli Slam vengono le Finals, quindi assolutamente si. Adesso lo aspetta un ulteriore step, sempre più complicato, ossia la gestione dei cinque set negli Slam. È un ragazzo serio, di 22 anni, che migliora ogni giorno di più. Si tratta solo di avere pazienza, cosa che il tifoso italiano di solito non ha. Non tutti nascono già imparati”.

Lei è anche un grande tifoso milanista: come giudica lo stato attuale dei rossoneri in vista di due big match come Fiorentina e Dortmund?

Come tutti i tifosi, c’è sempre la volontà di giudicare a tanti chilometri di distanza quelli che succede a Milanello. Ci sono dirigenti, allenatori, medici e preparatori che fanno di tutto per permettere alla squadra di ottenere i migliori risultati. Finché un giocatore veste la maglia del Milan per me rimane intoccabile. I dirigenti sono preparati e sanno quello che devono fare, io mi limito a fare il tifoso da divano”.

Fonte immagine di copertina: profilo X @paolobertolucci

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