Bologna. Città storica, la città delle torri, quella dove “non piove mai” perché tutti quei porticati sopra la testa ti riparano sempre. Una città grande, per una piazza calcistica altrettanto grande, ricca di storia e di fascino.
Dopo un’annata vissuta nel limbo della medio-bassa classifica, al Dall’Ara sta tornando un entusiasmo che mancava ormai da tempo: grande calcio, giocatori di talento e gregari con tanta corsa ed un cuore immenso, un allenatore pacato quanto capace, una tifoseria calda ed entusiasta che spinge le maglie rossoblu, ed un patron che sembra aver ritrovato la passione che pareva essere scemata da qualche tempo. Dopo la vittoria con la Spal, sono 9 punti nelle ultime tre, la classifica sorride perché nessuno avrebbe mai immaginato un 6° posto a 14 punti (assieme alla Samp).
Tutto bellissimo, perché Verdi è tornato quello che conoscevamo prima del grave infortunio alla caviglia, Di Francesco sta maturando ogni partita di più, Donsah, Poli, Taider sono gregari di lusso, Pulgar gioca come un veterano, e chi più ne ha più ne metta. Ma all’appello manca il protagonista designato all’inizio della stagione. Non c’è Mattia Destro.
MALINCONIA D’OTTOBRE
Dimenticami, cancellami, tienimi fuori da te, convinciti, rassegnati: questa storia non c’è!
Declino senza fine. La storia di Mattia Destro sembra una favola senza lieto fine, perché il classe ’91 è cresciuto con un’etichetta pesante come quella di “piccolo Ibra”, quando faceva faville nelle giovanili dell’Inter. Poi i primi segnali al Genoa, l’exploit a Siena e la grande chiamata: quella Roma che sembrava voler puntare tutto su di lui, ma che poi lo ha sempre un po’ messo in disparte (nonostante la sua media gol sia stata di tutto rispetto).
Il secondo treno riporta a Milano, sponda rossonera, ma è la prima vera delusione: 15 partite e 3 gol. Rimane solo una chance per rilanciarsi, ossia accettare una squadra inferiore ma diventandone il leader tecnico. Ecco come Destro è arrivato a Bologna da trionfatore.

Ma come talvolte succede, le aspettative non sono mai rispettate nella realtà: Destro sente il peso di un ambiente che lo vede come leader tecnico e carismatico, sente di dover portare la squadra sulle spalle e di trascinarla fuori dalle difficoltà, quelle che si sono viste spesso nell’anno passato. Due stagioni nella norma, senza infamia e senza lode, meglio nella seconda (30 partite 11 gol) che nella prima (27 partite 8 gol), ma senza mai trovare la continuità. Vuoi per colpa degli infortuni, vuoi per i motivi sopracitati, ma Destro era arrivato alla stagione della consacrazione.
Così arriviamo ai tempi attuali, quelli della terza stagione in rossoblu: l’ora di fare il definitivo salto di qualità, perché la squadra è innanzitutto maturata ed è stata anche discretamente rinforzata. Invece accade il contrario di quanto previsto, perché Destro appare indietro di condizione, fuori dal gioco, un pesce fuor d’acqua all’interno di una macchina che sembra aspettare soltanto i suoi gol per ingranare la giusta marcia.
Poi un fastidio muscolare che lo ferma. Una cosa apparentemente da niente.
Apparentemente.

STELLA DI MARE
Torniamo però un attimo indietro: è cosa comune tra le squadre di metà classifica andare a cercare almeno un colpo tra i giocatori in scadenza di contratto, magari quel giocatore d’esperienza che può aiutare non solo dal punto di vista tecnico ma anche a livello psicologico, perché ad una certa età se ne sono viste tante, e ai giovani si può trasmettere tanto.
Ci avevano pensato in tanti, la Fiorentina che poi ha preferito Théréau, l’Atalanta che ha virato poi sul vichingo Cornelius, o il Genoa che lo avrebbe rivoluto proprio sotto la Lanterna dove esplose per la prima volta in Italia. Invece l’ha spuntata il Bologna. El Trenza è arrivato all’ombra della Torre degli Asinelli da chioccia, come un 35enne pronto ad insegnare e, perché no, mettere lo zampino dove necessario.

L’argentino che vien dal mare, da Bahia Blanca, come sempre si è messo a lavorare, in silenzio, lontano dagli occhi delle telecamere: testa bassa, esperienza a disposizione dei compagni e aiuto anche ai suoi compagni di reparto, dai più giovani come Okwonkwo o Di Francesco, ma anche con chi aveva bisogno di ritrovare un po’ di fiducia, come Simone Verdi o lo stesso Destro.
Torniamo dove ci eravamo fermati: piccolo problema per Destro, un guaio muscolare, niente di che, una cosa da non più di due partite. A Firenze il Bologna soffre, va sotto ma col cuore trova subito il gol del pareggio. E chi lo segna? Quello con la treccina, anche se non servirà ad evitare la sconfitta. A Sassuolo invece arrivano i tre punti nel finale, la firma stavolta è quella del ragazzino nigeriano Orji, ma chi è il migliore in campo? La stessa treccina di Firenze.
Sono due i gol in sette partite, non tutte da titolare. Non sono tanti, per carità, ma ciò che più conta è il contesto nel quale arrivano queste reti, perché Palacio a dispetto della sua carta d’identità corre per due giocatori, sembra un diciottenne in rampa di lancio: insegue gli avversari, pressa, taglia in continuazione ed attacca la profondità con i ritmi di un calciatore nel pieno della sua forma. Esempio non solo a parole, ma anche nei fatti.
Tu voli con me, tu voli con me, tu vola che si è alzato il vento
E come può farne a meno adesso Donadoni? L’argentino sembra sposarsi al meglio al gioco dei rossoblu, perché pur non essendo un bomber di razza è utile alla manovra, non è un caso che a giovare del gioco del trenza siano anche i compagni, sia gli esterni che possono incrociarsi e attaccare centralmente quando il buon Rodrigo si allarga, sia i centrocampisti che possono inserirsi in area di rigore (vedi Poli contro la Spal). Palacio è ormai il titolare in una piazza che ha resuscitato fior fior di talenti, da Signori a Di Vaio, senza dimenticare l’inimitabile Roby Baggio; titolare e non solo, perché Okwonkwo è pronto ad apprenderne i trucchi del mestiere.

E Destro?
Pare destinato ormai verso altri lidi, sembra impossibile poter riconquistare una piazza che ha già voltato le spalle all’attaccante marchigiano perché innamorata del “giovincello” argentino.
Bologna è sì una piazza grande, ma non abbastanza per tutti e due.