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Fino al confine: quando vincere in patria non basta più

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Fino al confine: quando vincere in patria non basta più

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Volere, volere, volere sempre di più. Sembra questo il monito costante dell’uomo comune che non si accontenta di ciò che ha già o di ciò che ha ottenuto ma, attanagliato da una famelica brama di successo, assume le sembianze di una metaforica iena assatanata di prestigio. Come ogni atteggiamento, nell’immensa varietà del genere umano, questa attitudine può essere vista da due angolature: la prima mostra il lato esasperato della vicenda di chi fatica ad accontentarsi, privandosi del piacere di godersi ciò che ha, la seconda invece mostra il lato ambizioso dell’uomo che punta ad alzare sempre di più l’asticella dei suoi obiettivi.

Non esiste una scelta giusta o sbagliata di questo comportamento ma il giusto mezzo tra le due parti sarebbe l’esito migliore. In un mondo come quello del calcio che vive sulla smania di raggiungere traguardi, il tifoso spesso fatica ad accontentarsi della mediocrità o della costanza di un risultato come la vittoria di un titolo nazionale. A tal proposito, prendiamo ad esempio club come il Paris Saint Germain o il Bayern Monaco o, rimanendo in Italia, la Juventus: queste squadre hanno istituito una sorta di dittatura sportiva a livello nazionale che gli permette ogni anno di conquistare il campionato.

La classica festa del titolo del Bayern Monaco.

 

Queste costanti vittorie hanno contribuito ad alimentare l’odio dei tifosi avversari a fronte anche dell’insofferenza e dell’apaticità con cui i supporters parigini, bavaresi o juventini vivono questo successo costante: dà fastidio, in particolare, il fatto che non si accontentino di ciò che ottengono ogni anno. Ma, nell’analisi precedente delle ricezioni diverse di una vicenda, l’uomo fortunato non è gratificato dalla normalità e giustamente punta sempre più in alto: in questo caso calcistico alla conquista dell’Europa.

Accompagnati dalla colonna sonora degli sbeffeggianti cori “fino al confine”, “Jusqu’à la frontière” o “Bis zur grenze” queste squadre ogni anno cercano di sovvertire l’infausto destino europeo. Dato che il fallimento internazionale della Juventus è già stato ampiamente analizzato, quest’oggi noi di Numerodiez cercheremo di valutare le ragioni dietro le sfortunate e mediocri campagne europee del Bayern Monaco e del Paris Saint Germain, valutando anche i possibili rimedi che potrebbero adottare.

Le celebrazioni per la vittoria della Ligue 1 del PSG.

ECCESSIVA GRATITUDINE 

Ormai data la frequenza di questa affermazione si potrebbe istituire una sorta di equazione: eccessiva gratitudine uguale a fallimento inevitabile. Come una sorta di comandamento inopinabile, questa operazione simbolica andrebbe affissa in ogni sede societaria perché ormai è conclamato come nel calcio, il riconoscimento verso campioni del passato sia un’inevitabile portatore di insuccessi futuri. Tanti sono gli esempi di questa affermazione ma mai ci si sarebbe aspettati che anche il Bayern Monaco potesse rientrare in questo sfortunato club. La storia insegna infatti che la rigida e pragmatica mentalità teutonica sia l’esempio lampante del fatto che nostalgia del passato e gratitudine non siano ammissibili per una rinascita. Vedere quindi il glorioso club della baviera percorrere da tempo la strada della mediocrità è alquanto inusuale.

La concretezza di questa realtà è ravvisabile nel fatto che nell’attuale organico del Bayern Monaco vi siano ben 9 giocatori artefici dell’ultimo successo europeo, datato 2013. È vero, molti di questi tra cui Boateng, Neuer, Javi Martinez e Müller al tempo della vittoria erano ancora fertili giovani su cui poggiare i successi futuri ma negli anni, come è inevitabile che sia, hanno perso la lucidità necessaria e probabilmente avrebbero dovuto lasciare spazio a nuovi innesti. La dura e inspiegabile opposizione della società non lo ha tuttavia permesso, portando a questa situazione.

 

Proprio l’organigramma societario è un’altra causa di questo inevitabile fallimento. Tra le tante colpe imputabili al presidente Uli Hoeness e a al direttore amministrativo Rummenigge vi è sicuramente l’assenza di una progettualità precisa e l’assenza di un freno inibitore ad uno spogliatoio ribelle. Alcuni giocatori, infatti, hanno assunto atteggiamenti da despoti obbligando la società, per esempio, ad esonerare Ancelotti per Heynckes o, come si teme a fine stagione, a salutare Kovac reo di aver alzato troppo la voce con qualche senatore del gruppo (Ribery, Robben, Lewandowski). Con le redini completamente perse da parte della dirigenza, sono arrivate alla società alcune critiche da ex giocatori come Breitner a cui in tutta risposta è stato vietato l’accesso allo stadio.

Nervosismo, confusione e perdita del controllo sono solo il contorno della situazione critica in cui tergiversa il Bayern Monaco e che hanno portato i bavaresi a faticare in patria e a fallire in Europa, sotto i colpi delle spagnole e delle inglesi. La creazione di un gap evitabile porta il Bayern Monaco a percorrere un’unica strada per colmarlo: quella di una rapida e cosciente rifondazione, sia sportiva che societaria. Un sentiero che i tedeschi sono stati da sempre abituati a percorrere e che, ora come non mai, devono ritrovare con umiltà e intelligenza.

RIVOLUZIONE INEVITABILE

Nei famosi scritti di Marx ed Engels veniva sottolineata più e più volte di come la rivoluzione fosse una componente inevitabile per ristabilire l’ordine tra le classi. Così, anche per riportare il Bayern fuori dall’oceano della confusione e condurlo verso la spiaggia della vittoria, sono necessari dei moti rivoluzionari sportivi e societari. La rifondazione, in questo caso dovrebbe partire dall’alto, dalla testa societaria dei bavaresi ovvero dal presidente. I soci del club, infatti, hanno più volte indicato come ormai il tempo di Hoeness sia giunto al termine. Gli atteggiamenti burberi e permalosi nei confronti di vecchie glorie (vedi Breitner) e la totale rottura con un’ala dei finanziatori, dovuta anche ai tre anni di carcere per evasione, hanno portato l’assemblea a individuare un sostituto, trovato nell’ex portiere dei bavaresi, Oliver Kahn.

 

Per quanto riguarda il resto della società, nonostante la totale assenza sul mercato nella scorsa estate, Rummenigge e Salihamidzic dovrebbero essere confermati e mettersi immediatamente all’opera. Prima di tutto facendo chiarezza sulla guida tecnica: Kovac ha ancora un anno di contratto con i bavaresi ma la stagione deludente ha portato più di qualche dubbio nei vertici societari. In particolare ha deluso l’incapacità nella gestione delle redini dello spogliatoio, più volte ribelle nei suoi confronti. Per ripartire serve un allenatore con quella leadership tecnica e caratteriale abituata a stare ad alti livelli. In questo senso i nomi di Allegri, Lopetegui o Mourinho potrebbero fare al caso dei bavaresi.

 

 

Passando poi all’arrivo di nuovi innesti, il Bayern ha bisogno di un’ingente campagna acquisti per ricostruire una squadra vincente. I ritiri di Ribery e Rafinha e  le inevitabili partenze di Javi Martinez, Robben e di James Rodriguez infatti costringono la società bavarese a rompere il salvadanaio per cominciare a comprare. Il comandamento a cui devono sottostare nell’andare sul mercato, tuttavia, è quello che porta a profili giovani e di qualità. Operazioni come quelle di Pavard e di Lucas Hernandez, già ufficializzate, in questo senso tengono fede alla parola espressa ma devono essere seguite da ulteriori acquisti. Il Bayern, quindi, segue assiduamente profili come De Ligt e Zyech dell’Ajax, Sancho del Borussia Dortmund e Sanè del Manchester City oltre a restare all’erta per giocatori come Dybala e Bale. Un mix di esperienza e talento che si aggiunge a giovani già affermati, una miscela necessaria per far ripartire più forte di prima la macchina del successo targata Bayern Monaco.

 

TANTE STELLE CHE NON BRILLANO

Nell’analizzare e descrivere la situazione del Paris Saint Germain si potrebbe ricorrere ad una metafora virtuale: come nel celebre gioco di fifa un giocatore inesperto sarebbe portato a costruire la sua squadra solamente ammassando grandi nomi senza criterio; così la società parigina ha agito nell’edificare la sua squadra, unendo campioni del pallone senza un pensiero di fondo ben preciso. Il famoso gioco di calcio, tra l’altro, insegna come dietro la creazione della propria formazione sia fondamentale l’intesa tra i diversi giocatori per vincere trofei e campionati. Essendo chiaramente un gioco ispirato al mondo del football, questi valori rappresentano grandi verità anche nella realtà, sottolineando come il Paris Saint Germain sia una formazione costruita sul caso.

 

L’attuale squadra della capitale francese sembra un insieme di figurine da collezionare che sono solo belle da vedersi e niente più. E’ una squadra completamente sbilanciata verso l’attacco con un reparto offensivo pieno di fuoriclasse che colma delle mancanze tecnico-tattiche presenti in difesa e in mezzo al campo. L’assenza di un profilo come Rabiot a centrocampo capace di offrire quantità e qualità, ha mostrato tutte le lacune di una squadra che ha dovuto schierare due giocatori come Paredes e Draxler, talentuose riserve ma non titolari adatti ad una squadra con ambizioni da Champions. In difesa invece Thiago Silva, ormai in fase calante, non offre più le garanzie utili a dare sicurezza ad un reparto che, in Kimpembe e Marquinhos, non trova eredi degni del brasiliano ex Milan. Infine l’alternanza in porta tra Areola e Buffon ha evidenziato come il primo non abbia le qualità necessarie per prendersi la titolarità ed il secondo sia ormai alla fine della sua meravigliosa carriera.

 

Il Psg è una squadra di ipotetiche stelle che pecca di leadership e personalità ma soprattutto intesa. A tal proposito è doveroso sottolineare le imbarazzanti discussioni dello scorso anno tra Neymar e Cavani: come prime donne i due, pubblicamente ed in campo, litigavano per chi dovesse battere i rigori o per i premi in denaro, offrendo l’immagine di uno spogliatoio diviso. Per O’Ney tra l’altro si potrebbe aprire un capitolo a parte raccontando di come il fenomeno brasiliano arrivato per diventare l’uomo franchigia della compagine parigina tra sfortuna, atteggiamenti egoistici e comportamenti sopra le righe abbia finito inevitabilmente per consegnare lo scettro di leader ad un ventenne campione del mondo che in 41 presenze complessive ha siglato 36 reti e servito 17 assist. Kyllian Mbappè infatti,  è stato il  trascinatore del Psg a suon di gol e prestazioni da veterano e probabilmente l’unica nota positiva di una stagione che ha portato più delusioni che gioie.

 

 

L’annata 2018-2019 ha consegnato il sesto titolo negli ultimi 8 anni ma al tempo stesso è stata testimone di sonfitte clamorose come il 5-1 subito per mano del Lille, la sconfitta in finale di coppa di Francia contro il Rennes, e soprattutto la clamorosa eliminazione agli ottavi di Champions League per mano di un Manchester United rimaneggiato e battuto all’andata per 2-0. Un risultato clamoroso che va a sottolineare come il rapporto tra il Psg e la Champions League sia disastroso a fronte anche degli esiti degli anni scorsi che parlano di quattro uscite ai quarti di finale e due agli ottavi.

Dietro una normale inesperienza europea vi è un gap incredibile, in termini societari e progettuali, con i grandi colossi della Champions che arrivano al successo grazie ad investimenti importanti ma soprattutto indirizzati ad un miglioramento graduale. Il Paris Saint Germain ha i mezzi per arrivare in alto ma manca della coscienza e dell’intelligenza necessaria per farli rendere.

 

DITTATURA TECNICA

Nell’antico mondo romano il concetto di dittatura non era contraddistinto dall’accezione negativa che si è soliti dare oggi. In un periodo di confusione o di incertezza, infatti, il dittatore era visto come colui che con i suoi poteri incontrastati avrebbe potuto ristabilire l’ordine necessario al buon funzionamento del paese. Una sorta di soluzione finale a cui appellarsi per riportare tranquillità e ridare efficienza ad una nazione caduta in disgrazia per una democrazia che aveva assunto i tratti della pericolosa oclocrazia. Questa idea in un certo senso potrebbe essere applicata al Paris Saint Germain in cui l’influenza al potere è caduta in mano a troppe persone: con Al Khelaifi che suggerisce le formazioni, il Ds Antero Henrique che sceglie giocatori in totale autonomia e Neymar che sembra il principino a cui viene perdonato tutto, l’allenatore Tüchel ha perso la sua normale e doverosa leadership dello spogliatoio e del lato sportivo del club.

 

Questo atteggiamento, tuttavia, non è nuovo nella capitale francese: negli anni scorsi, infatti, ai vari allenatori che si sono susseguiti spesso sono stati imposti acquisti e cessioni di alcuni giocatori senza che questo potesse metterci parola. Come è normale che sia ogni mister ha bisogno di plasmare la propria squadra per arrivare al successo, pertanto l’imposizione di giocatori, seppur di primo ordine, non è una strategia portatrice di vittorie. In questo senso, ecco che la soluzione per uscire da questo stato di confusione sportiva e societaria potrebbe essere proprio l’istituzione di un manager all’inglese dotato di pieni poteri sia sul campo che nelle trattative. Tüchel, infatti, ha più volte sottolineato l’esigenza di alcuni giocatori giovani e talentuosi ma soprattutto adattabili al suo stile di gioco. Richieste ovviamente ignorate. Tra le caratteristiche di un allenatore talentuoso, tuttavia, vi deve essere anche la capacità di sapersi imporre sia nei confronti dello spogliatoio che della società: se Tüchel dovesse riuscirci potrebbe rimanere sulla panchina parigina altrimenti spazio ad allenatori alla Allegri, alla Mourinho o alla Conte profili dotati di grande leaderhsip e di un’importante esperienza europea.

 

Oltre ad un possibile cambio di guida tecnica e ad una maggiore definizione delle sfere di influenza all’interno della società, necessari e doverosi sono i nuovi innesti che dovranno andare a colmare mancanze e ad innalzare il livello qualitativo della squadra. Seguendo l’istruzione di un famoso detto che recita “Pochi ma buoni”, il Paris Saint Germain deve agire sul mercato in maniera oculata indirizzando le proprie risorse in reparti come la difesa e il centrocampo acquistando profili di qualità, giovani e con esperienza europea importante. Giocatori come Koulibaly e Pjanic, in questo senso, rappresenterebbero operazioni ottime per migliorare una squadra che necessita di pochi innesti ma di qualità. Talvolta, infatti, per migliorare una torta di qualità basta qualche ciliegina e non strabilianti quanto pacchiane decorazioni.

http:/https://youtu.be/dLPMv5RA55E

 

 

CAMPIONATI POCO ALLENANTE?

Terminiamo questa lunga analisi con una realtà che non si può ignorare: la scarsa competitività del campionato tedesco e del campionato francese. Nonostante nell’ultimo periodo si possa registrare un sostanziale miglioramento di alcuni club come il Borussia Dortmund o l’Eintracht Francoforte in Germania e il Lione o il Lille in Francia, il livello della Bündesliga e della Ligue 1 rimane basso. I larghi margini (la stagione in corso per il Bayern è un’eccezione) con cui solitamente le due squadre terminano il campionato in anticipo è indicativo dell’abisso qualitativo che intercorre tra loro e gli altri club del torneo.

Questa semplicità nel fare risultato in patria è sostanzialmente diseducativa e nociva per questi club che, una volta usciti dai propri confini, si trovano di fronte squadre più preparate tecnicamente e tatticamente che inevitabilmente li portano a figuracce. Senza addentrarci nella spinosa ed estrema soluzione dell’istituzione di una superlega, la soluzione più utile per ovviare a questa “carenza di mentalità” è l’istituzione di una filosofia di gioco e di una progettualità improntata su una precisa corrente di pensiero che non deve essere snaturata contro nessun avversario. In questo senso l’Ajax ne è un esempio: nonostante la poca competitività del campionato olandese, i lancieri hanno creato una propria filosofia di gioco che hanno applicato sia contro il Vitesse che il Real Madrid.

Il Bayern Monaco e il Paris Saint Germain usciranno da questo limbo di mediocrità solo grazie ad un progetto tecnico e societario importante che gli permetterà di spostare l’asticella verso la direzione europea e sfuggire finalmente ai cori canzonatori che li vedono padroni “solamente” fino al confine.

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Champions League

Rimonta da urlo dell’Inter, il Napoli crolla nel finale: i resoconti

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Inter

Serata di Champions dalle mille emozioni per Inter e Napoli. Primo tempo da dimenticare per i nerazzurri, sotto 3-0 all’intervallo col Benfica grazie alla tripletta dell’ex Joao Mario. Al rientro dagli spogliatoi, grande reazione gli uomini di Inzaghi che riescono a trovare una super rimonta con il 3-3 finale. Succede di tutto anche al Bernabeu. In casa del Real Madrid, il Napoli prima la sblocca, poi la riprende con Anguissa e, alla fine perde 4-2. I resoconti dei match.

IL RESOCONTO BENFICA-INTER

Serata che parte malissimo per l’Inter. Al Da Luz sembra essere la serata dell’ex Joao Mario, capace di annichilire i nerazzurri con una tripletta nei primi 34 minuti di gioco. La serata di grazia del portoghese si apre dopo soli 5 minuti, quando è abile a raccogliere la sponda di Tengstedt e mettere il pallone all’angolino. Il raddoppio del Benfica arriva in maniera anche abbastanza fortunosa: palla persa da Asllani a centrocampo e ripartenza culminata con un rimpallo tra Bisseck e Rafa. Il pallone arriva poi tra i piedi di Joao Mario che non sbaglia. La timida risposta interista è rappresentata dall’errore di Arnautovic nell’uno contro uno con Trubin. I padroni di casa non si fermano e arriva anche il 3-0, sempre propiziato da un ispiratissimo Tengstedt. Stavolta l’attaccante danese serve un cross delizioso sempre per Joao Mario che, da due passi, mette in rete di testa.

Quella del secondo tempo è tutta un’altra Inter. Gli uomini di Inzaghi ci mettono carattere e riescono a tornare in partita con il tap in vincente di Arnautovic. Sull’onda dell’entusiasmo arriva anche il 3-2 firmato da Frattesi. Gran gol dell’ex Sassuolo che, su cross di Acerbi, trova la rete con un gran tiro al volo. Dopo aver corso un enorme rischio con il salvataggio di Bisseck su Tengstedt, arriva il clamoroso 3-3. Pestone in area di Otamendi su Thuram: dal dischetto va un glaciale Alexis Sanchez che non sbaglia e trova un insperato pareggio. Emozioni anche nel finale con il grande intervento di Audero su Di Maria e l’espulsione di Antonio Silva. Match che però si chiude con un pirotecnico 3-3.

IL RESOCONTO DI REAL MADRID-NAPOLI

Avvio pazzesco al Bernabeu dove, dopo soli 9 minuti, a passare è il Napoli. I partenopei trovano il gol grazie a una bella azione chiusa con l’appoggi di Di Lorenzo per Simeone, bravo a farsi trovare pronto e mettere in rete. Giusto il tempo di ribattere e il Real ha già pareggiato: azione solitaria di Rodrygo e gran destro all’incrocio. Spinti dal proprio pubblico i Blancos trovano anche il raddoppio con il solito Bellingham. L’inglese si inserisce alle spalle di un incerto Natan e, di testa, batte Meret sfruttando al meglio il perfetto lancio di Alaba.

Dopo l’equilibrio di fine primo tempo, al rientro dagli spogliatoi ricominciano le emozioni ancora grazie al Napoli. La squadra di Mazzarri trova il pareggio grazie ad un gran destro di Anguissa che, dopo un primo tentativo murato, trova un grande angolo da posizione defilata. Il Real Madrid riesce a ritagliarsi subito l’opportunità per il nuovo vantaggio ma Joselu, da pochi passi, non riesce a coordinarsi. Il Napoli lotta ma crolla nel finale. Il Real, grazie ad una vistosa incertezza di Meret, trova prima il 3-2 con il destro dalla distanza di Nico Paz. Poi, mette anche il punto esclamativo con il tap in di Joselu su assist di Bellingham. 4-2 il risultato finale.

COME CAMBIANO LE CLASSIFICHE DEI GIRONI

GRUPPO D

  1. Real Sociedad 11
  2. Inter 11
  3. Salisburgo 4
  4. Benfica 1

GRUPPO

  1. Real Madrid 15
  2. Napoli 7
  3. Braga 4
  4. Union Berlino 2

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Calcio Internazionale

Mazzarri torna in Champions dopo undici anni: a che punto è il suo Napoli per l’esame Real Madrid?

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Napoli - Real Madrid

Il Napoli si prepara alla grande sfida di Champions League contro il Real Madrid al Bernabeu. Dopo la sfida di andata vinta dai Blancos per 2-3, dove il Napoli aveva dato comunque dimostrazione di potersela giocare con una delle migliori squadre d’Europa, questa volta ci sarà un’importante differenza, ovvero chi si siederà nella panchina degli attuali campioni d’Italia. Walter Mazzarri torna nel palcoscenico più importante d’Europa a distanza di 11 anni, quando con i partenopei, riuscì a far sognare i tifosi anche nella massima competizione europea.

Il magico trio Lavezzi-Cavani-Hamsik, trascinatori del primo Napoli di Mazzarri, aveva infatti riportato dopo 21 anni gli azzurri in Champions League, trovando un girone ostico con Bayern Monaco, Manchester City e Villarreal. Nonostante il grande livello, i campani riuscirono a piazzarsi in seconda posizione, trovando quindi l’accesso agli ottavi di finale per la prima volta nella storia. Con il Chelsea si sfiorò l’impresa: all’andate al San Paolo finì 3-1 con doppietta di Lavezzi e un gol di Cavani. Allo Stamford Bridge poi la disfatta, con la vittoria da parte dei futuri campioni d’Europa di Roberto Di Matteo per 4-1 ai tempi supplementari con il decisivo gol di Ivanovic.

Come si farà trovare la formazione di Mazzarri?

LA SITUAZIONE NEL GIRONE

Il girone C composta da Real Madrid, Napoli, Braga e Union Berlino vede le prime due squadre in prima e seconda posizione, rispettivamente a 12 e 7 punti. La formazione di Carlo Ancelotti è infatti a punteggio pieno fino a questo momento. Il Napoli ha portato a casa due vittorie, la sconfitta appunto con il Real Madrid e l’ultimo risultato che è il pareggio con l’Union Berlino, che aveva già fatto mettere in dubbio la definitiva posizione di Rudi Garcia, che da lì a pochi giorni verrà esonerato da Aurelio De Laurentiis. Il patron del Napoli ha quindi deciso di affidare la panchina ad un traghettatore. Un uomo di fiducia, che come raccontato in precedenza, ha già portato buoni risultati e conosce l’ambiente.

“Quando mi ha chiamato gli ho fatto capire che una squadra così importante l’avrei allenata ancora volentieri, e lui avrà pensato che ero l’allenatore giusto. Col presidente c’è stato un po’ di gelo per un paio d’anni dopo che sono andato via, ma ora è un amico, mi ha chiamato anche in occasioni diverse, magari per chiedermi consigli sui giocatori. C’è un rapporto di stima reciproca e considerazione. Domani sarebbe bellissimo se riuscissimo a fare risultato e passare il turno già domani, però se non dovesse essere così ci sarà l’ultima che sarà come una finale. Contro un’avversaria di valore, ma non come il Real Madrid”.

Walter Mazzarri, intervista a Sky Sport

Con la fiducia dell’importante esordio con vittoria di Bergamo per 2-1 contro l’Atalanta, Mazzarri dovrà affrontare qualche dubbio di formazione per affrontare una della favorite al titolo.

“Continuità dopo i segnali di Bergamo? Quello lo vedremo. Siamo coscienti di giocare contro una squadra top nel mondo contro un allenatore bravissimo che ha vinto tutto. Conosciamo le difficoltà ma questo è affascinante e bello e speriamo di fare il meglio possibile”.

LA FORMAZIONE

Mazzarri pronto a confermare il 4-3-3 che ha convinto per compattezza del gruppo contro l’Atalanta in campionato. In porta torna Meret, in difesa Di Lorenzo a destra, centrali confermati Rrahmani e Natan. Sulla sinistra visto il grave infortunio di Olivera, è pronto Juan Jesus. A centrocampo con tutta probabilità verrà riproposto la mediana con Anguissa, in ripresa vista l’ottima prestazione di Bergamo, Lobotka e Zielinski.

In attacco ecco il grande dubbio: sono confermati Politano e Kvaratskhelia confermati come due ali d’attacco, resta da capire il grande dubbio su Raspadori e Osimhen. Il nigeriano è rientrato nello scorso turno di campionato ma anche Mazzarri ha voluto chiarire la situazione:

“Osimhen partirà titolare? Gli devo parlare. Quando ci sono partite così ravvicinate bisogna parlare con i ragazzi. Anche con chi ha fatto una partita intensa a Bergamo: devo capire se stanno bene. Di sicuro Osimhen non ha i 90′ nelle gambe: se partirà dall’inizio o giocherà a partita in corso lo deciderò dopo aver parlato con lui e con lo staff medico”.

Walter Mazzarri, intervista a Sky Sport

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Pioli in conferenza post Milan-BVB: “Non sono soddisfatto”

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Pioli

A margine della sconfitta rimediata contro il Borussia Dortmund, un evidentemente deluso Stefano Pioli ha parlato in conferenza stampa. Queste le sue parole.

PARTITA ED EPSODI – “Non sono soddisfatto, per vincere queste partite ci vuole più qualità Abbiamo avuto le occasioni per andare in vantaggio, la qualità doveva essere superiore. Krunic lo abbiamo già provato in quella posizione, può farlo”.

STRASCICHI – “Siamo sempre stati molto bravi a reagire a queste delusioni, ora dobbiamo dare continuità alla vittoria con la Fiorentina in campionato”.

IL GIRONE DEI RIMPIANTI – “I rimpianti ci sono soprattutto per la prima partita con il Newcastle. Questa sera non siamo stati precisi e abbiamo consentito all’avversario di giocare la partita che volevano. Ora non dipende più da noi, ma proveremo a vincere contro il Newcastle”.

RAMMARICO – “C’è rammarico per l’infortunio di Thiaw. Mi spiace perdere un giocatore così forte per un po’ di partite”.

CONFRONTO CON LA SOCIETÀ – “C’è stato nel corridoio come alla fine di ogni partita”.

STADIO – “Fin quando la squadra ha dimostrato di poter essere in partita lo stadio è stato con noi. I tifosi hanno tutto il diritto di essere delusi”.

 

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Milan-Borussia Dortmund 1-3, le pagelle: incubo Giroud, Chukwueze l’unica luce rossonera

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Milan

Il Milan perde malamente in casa contro il Borussia Dortmund ma tiene in vita i discorsi qualificazione agli ottavi sfruttando il pareggio tra Newcastle e PSG. A San Siro finisce 1-3 per il BVB: decisiva la serataccia di Giroud che sbaglia un rigore in apertura di primo tempo. Chukwueze l’unica luce. Queste le nostre pagelle.

LE PAGELLE DEL MILAN

Maignan 5.5: responsabilità sul gol di Adeyemi, l’estremo del Milan prova battezzare con troppo ottimismo il secondo palo, l’esterno del Borussia lo fredda sul primo. Inutile il disperato tentativo di tenere il pallone oltre la linea

Calabria 5: praticamente sempre in difficoltà nei duelli con Bynoe-Gittens, l’ingenuo fallo da rigore ne è l’emblema. Sciupa di testa una clamorosa palla gol nel recupero del primo tempo.

Thiaw 6: attento, mette i piedoni su un paio di cross dalla sinistra e controlla Fullkrug. Sfortunato, si fa male dopo un’ottima chiusura. (Dal 52′ Krunic 5.5: in difficoltà adattato a centrale, il gol dell’1-2 nasce dal suo lato).

Tomori 5.5: rimedia un giallo ingenuo in mischia, il cartellino lo condiziona.

Theo Hernandez 5.5: più timido del solito in attacco, il Borussia, che tiene gli esterni molto alti, ha dei meriti, ma poteva fare meglio.

Adli 6: sprazzi di grande classe nel primo tempo quando è bravo anche in difesa. Cala alla distanza, meriterebbe ugualmente più chances dal primo minuto. (Dal 76′ Jovic 6: sfortunato, coglie un palo al 85′).

Reijnders 5.5: la sensazione è che a volte manchi il dialogo con i compagni di reparto: spesso il Milan lascia delle voragini a centrocampo, e il Borussia le sfrutta.

Loftus-Cheek 5.5: fatica a trovare la sua posizione in mezzo al campo, soffre il duello con Emre Can.

Chukwueze 7: conferma alla grande il trend positivo intravisto con la Fiorentina. Il migliore dei suoi, ma il gol è solo una parte della sua partita: oltre a quello sono i dribbling e le corse a mandare in tilt la fascia sinistra del BVB. Finalmente, ma non basta per la vittoria. (Dal 76′ Traore s.v.).

Giroud 4.5: sbaglia il rigore al decimo del primo tempo ed esce da quel momento dalla partita. Da uno con la sua esperienza sarebbe servito altro.

Pulisic 5.5: imbrigliato, pochi spunti e una gara rivedibile.

All. Pioli 5.5: il suo Milan approccia bene, ma il rigore di Giroud soffoca un primo tempo sin lì ottimo. Prova a sistemare le cose pescando dalla panchina, ma le risorse sono limitate.

LE PAGELLE DEL BORUSSIA DORTMUND

Kobel 6.5: intuisce e para il rigore di Giroud, forse poco reattivo sul gol di Chukwueze, ma non era facile.

Ryerson 6: un crossaccio direttamente sul fondo a inizio partita gli suggerisce che forse sarebbe meglio badare più alla difesa, lo fa bene.

Hummels 7: il peso dell’esperienza, annulla Giroud e non buca un intervento. Bravo.

Schlotterbeck 5: prima “para” illegalmente un tiro di Chukwueze e provoca il rigore, poi tiene in gioco tutti sull’azione del gol dello stesso nigeriano. Esce per infortunio. (Dal 55′ Ozcan 6: da geometrie al centrocampo del Dortmund).

Bensebaini 5.5: soffre Chukwueze che lo saluta e segna nell’azione del pareggio. Le sue costanti discese sul fondo si concludono spesso con un nulla di fatto.

Emre Can 6.5: la sua duttilità un’arma tattica. Utile sia da mediano che da difensore centrale.

Sabitzer 6.5: ci mette quantità, realizza l’assist per il gol di Bynoe-Gittens

Malen 5.5: poco incisivo sia a destra che a sinistra, il cambio è la matematica conseguenza. (Dal 55′ Adeyemi 7: entra e chiude la partita).

Reus 6.5: una cosa ma fatta bene, il rigore che tira a Maignan è perfetto e vale il momentaneo 0-1. (Dal 79′ Brandt s.v.).

Bynoe-Gittens 7.5: si conquista il rigore e segna il gol dell’1-2 che, talaltro, si meritava per quanto fatto vedere fino a quel momento. Esser più decisivo di sarebbe stato difficile. (Dal 66′ Wolf 6: svaria sul fronte, ma è poco preciso).

Fullkrug 6.5: un colpo di testa pericoloso e una traversa, bravo anche nella gestione del pallone. Da una sua bella giocata nasce il gol del 1-2.

All. Terzic 7: imbriglia Theo e Pulisic, non soffre il dinamico centrocampo rossonero. Cambi tutti azzeccati, la qualificazione agli ottavi è un piccolo capolavoro.

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